Capitolo
8
UNA
PROSPETTIVA DI GENERE SU EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE PRIMARIA DEI TUMORI AL
POLMONE:
i
limiti di una prevenzione gender-blind
Terri
Ballard, Ph.D.
epidemiologa, Istituto Superiore di Sanità
Laura
Corradi, Ph.D.
sociologa della salute, Università della Calabria
1.
introduzione
Il fumo è la causa maggiore del tumore al polmone al livello mondiale.
Fino ad oggi l'epidemia di questo tumore si verifica principalmente negli
uomini, ma il futuro prevede un declino fra essi e un aumento fra le donne.
Nella prima parte di questo
documento, mettiamo in evidenza i dati italiani disaggregati per genere sulla
mortalità per questo tumore; nella secondo parte esaminiamo le statistiche sul
fumo in Italia per genere e per alcuni indicatori socio-economici
assieme al rischio relativo di tumore al polmone per abitudine al fumo e
genere; e nella terza parte analizzeremo problematiche e limiti della
prevenzione primaria del cancro al polmone
e la necessità di un intervento mirato alle donne nelle diverse coorti
di età.
2.
la mortalità del cancro da polmone in italia
In
Italia le differenze nella mortalità tumorale per genere sono chiaramente
visibili. Durante il quinquennio
1990-1994, il cancro al polmone è stato la prima causa di morte fra gli uomini,
mentre si colloca al quinto posto fra le donne - dopo il cancro alla mammella e
i tumori del sistema digerente.
Grafico 1: Mortalità
per tumore al polmone in Italia, 1970 - 1994
Tassi
standardizzati per età (Popolazione
italiana, 1971). Fonte: Istat
Il grafico 1 dimostra due diversi andamenti nella mortalità per cancro al polmone per genere dal 1970 al 1994. I dati ci indicano che i tumori del polmone sono in aumento fra le donne italiane, mentre fra gli uomini la curva di aumento si ferma al 1990 – anno che segna l’inizio di una sensibile discesa. Durante il periodo 1984-94, la mortalità per cancro al polmone è diminuita del 4% fra gli uomini ma è aumentata del 18% fra le donne (dati Istat).
Inoltre,
come si può evincere dalla Tabella
1, in 24 anni il tasso di mortalità femminile per cancro al polmone è
aumentato di 79% fra le donne.
Tabella
1: Numero dei decessi per cancro al
polmone (dai 35 anni in poi) e relativo incremento del tasso di mortalità
femminile 1970-1994
Anno |
Numero di nuovi casi |
Tassi annuali di mortalità annuali (per 10,000) |
Incremento del tasso annuale rispetto al 1970 |
1970 |
1886 |
1.41 |
-- |
1980 |
2981 |
1.92 |
+36% |
1990 |
4404 |
2.40 |
+70% |
1994 |
4925 |
2.52 |
+79% |
3.
il rischio tumorale da fumo di tabacco e l'abitudine al fumo in italia
Fra
i tumori prevenibili attraverso una riduzione dell’esposizione a sostanze
cancerogene, il tumore al polmone è quello ritenuto più importante (Simonato,
1998). Il fumo di tabacco rimane il
maggiore fattore singolo di rischio per il cancro al polmone, per entrambi i
sessi: alle sigarette si attribuisce fino all’ 80% dei casi (Ernster,1996).
Finora questo tumore ha colpito principalmente gli uomini, i quali
iniziavano a fumare prima delle donne e in maniera più forte, sia
quantitativamente che qualitativamente. Ora
che gli uomini fumano meno si può notare il
declino nella mortalità maschile per questo tumore.
La
diffusione del fumo di sigaretta fra le donne è un fenomeno che inizia molto più
tardi nel tempo, rispetto agli uomini; una riduzione nella percentuale di
fumatrici purtroppo non si è ancora verificata in Europa, così come in altre
parti del mondo (Simonato, 1998). Si
può legittimamente supporre che, se non cambieranno le attitudini femminili
verso il fumo, l’incidenza del tumore polmonare tra le donne continuerà ad
aumentare ancora per qualche decennio (Beckett, 1993). L’Organizzazione
Mondiale della Sanità ci mette in guardia che le morti di donne dovute al
tabacco stanno aumentando ovunque: se il trend continua, si stima che per
l’anno 2020 il costo in vite raddoppierà, ovvero che più di un milione di
donne ogni anno morirà a causa del tabacco (Who, 1997).
C’è evidenza scientifica che le persone che cominciano a fumare
durante l’adolescenza sono a più alto rischio di sviluppare un tumore
polmonare. Le ricerche ci mostrano
che le donne che cominciano a fumare prima di 19 anni hanno un rischio doppio
rispetto a quello degli uomini che cominciano alla stessa età
(Hegmann, 1993).
Uno
studio europeo multicentrico che include dati italiani ha misurato l’associazione fra il fumo e tumori polmonari.
E’ stato dimostrato che ci sono poche differenze per sesso nel rischio
relativo sia per la durata dell’abitudine al fumo che per la quantità di
sigarette fumate, confrontando chi ha fumato poco nella vita con gli altri
fumatori. Lo stesso studio ha
trovato che in confronto con non
fumatori, i rischi relativi sono simili per uomini e donne per tutte le
categorie di esposizione al fumo e per tutti i tipi istologici nelle classi d’
età al di sotto dei 50 anni. Ciò sarebbe dovuto al fatto che oggi
l’abitudine al fumo varia meno fra i sessi, rispetto a qualche
decennio fa, diminuendo così le differenze di genere nell’incidenza
del tumore al polmone (Kreuzer, 2000).
Secondo
i dati Istat derivanti dalle
Indagini Multiscopo sulle Famiglie, “La
vita quotidiana “, la
percentuale di fumatori italiani dal 1980 al 1996 è calata fra gli
uomini mentre è rimasta pressoché stabile fra le donne. Mentre tra gli uomini
la tendenza è chiaramente verso la diminuzione dell’abitudine al fumo di
tabacco nell’arco del tempo, i dati relativi alle fumatrici ci mostrano un
andamento ondulatorio, con piccole variazioni (grafico 2)
al punto che potremmo dire di trovarci di fronte ad una assenza di trend.
Grafico 2: Fumatori
in Italia. Le tendenze differenziate per
genere, 1980 - 1996
Fonte:
Dati Istat (Indagini Multiscopo
sulle Famiglie)
Nel
1993, è aumentata la percentuale di chi fuma in Italia nelle coorti di età che
avevano 15-24 anni nel 1983, in ambedue i sessi. Mentre tra le persone che nel
1983 avevano dai 25 ai 44 anni, la percentuale di fumatori è diminuita 10 anni
più tardi - anche se va notato che il declino è meno accentuato fra le donne.
Tra i fumatori più giovani (dai 15 ai 24 anni)
va evidenziata una interessante controtendenza: nel 1993 rispetto al
1983, la percentuale di fumatori al di sotto dei 25 anni è diminuita del 36%
fra gli uomini e del 50% fra le donne (Istat, Indagine Multiscopo sulle
famiglie. 1993-94).
L’attitudine al fumo varia anche relativamente allo status sociale. Se guardiamo i titoli di studio per genere possiamo concludere che i laureati maschi tendono a fumare meno dei coetanei con titoli di studio più bassi. Al contrario, tra le donne le laureate tendono a fumare più delle altre e ciò si verifica in particolare fra le donne di età tra i 35 e i 64 anni. Questo rappresenta un dato nuovo: se guardiamo all’universo dei laureati nel 1994, la proporzione di fumatori era analoga per uomini e donne (24,4% e 25,2% rispettivamente). Mentre per tutti gli altri titoli di studio, gli uomini fumavano in percentuale doppia rispetto alle donne. Il fumo oggi è più frequente fra le donne dirigenti e libere professioniste, mentre fra gli uomini fumano di più gli operai. Le donne occupate o in cerca di occupazione fumano il doppio rispetto alle “casalinghe” (Istat, Indagine Multiscopo sulle famiglie. 1993-94). Tra le fumatrici più accanite abbiamo purtroppo le professioniste impiegate nel settore sanità che ammettono di fumare anche di fronte ai bambini in percentuale maggiore alle lavoratrici manuali, del commercio, ed alle donne impiegate in uffici. Le fumatrici, più dei fumatori, credono che fumare sia un segno di autostima e libertà, un simbolo di emancipazione, indipendenza e successo nella carriera (Arciti, 1995).
Questi dati sono particolarmente drammatici se consideriamo il rischio per il tumore polmonare fra le donne che fumano tenendo presente il ruolo storico delle donne come educatrici sia nella famiglia che nella società (Arciti 1995), anche al di là dei rischi specifici al concepito legati al fumo durante la gravidanza. E’ stato ripetutamente sottolineato anche il ruolo del fumo passivo nell’eziologia tumorale del polmone in ambiente domestico: il 17% dei tumori polmonari tra non fumatori/trici sarebbe da attribuire all’esposizione a fumo ambientale durante le prime fasi della vita e l’adolescenza (cfr. “Linee guida elaborate dalla Commissione Oncologica Nazionale”, 1994-96). Una recente compliazione di studi di risk assessment della Oms indica che il cancro ai polmoni può aumentare di circa il 50% tra i non fumatori il cui consorte fuma (Who, 1998).
4.
per una prevenzione gender-sensitive
Poiché non esistono indicazioni che giustifichino attività di prevenzione secondaria per il tumore polmonare - la combinazione di radiologia ed esame citologico dell’espettorato non ha dimostrato benefici in termini di riduzione della mortalità (Who, 1998) - è chiaro che nel campo del tumore al polmone la partita si gioca sulla prevenzione primaria.
Oltre ad un più stringente monitoraggio del rischio legato all’esposizione negli ambienti di lavoro – sia tradizionali che non - specialmente per quanto riguarda cromo, asbesto, carbone, derivati del petrolio, piombo inorganico, arsenico e l’esposizione a radon in ambiente domestico (Iarc, 1987); oltre al bisogno di quantificare correttamente il ruolo dell’inquinamento atmosferico come fattore di rischio per microcitoma, tumore a grandi cellule ed adenocarcinoma nelle aree urbane (Ministero della Sanità, 1996) ravvediamo una necessità urgente di sviluppare campagne di informazione e programmi di intervento a scopo preventivo nelle scuole, nei luoghi di lavoro e negli ambiti ricreativi – al fine di arginare l’epidemia di tumori al polmone associato al fumo in particolare tra le donne.
Tali programmi di intervento devono essere ideati “a misura
di donna” poichè quelli
implementati fino ad oggi non lo erano -
e forse proprio per questo tali programmi non hanno funzionato. In Italia, le donne al di sotto dei 40 anni che partecipano
ai programmi organizzati per smettere di fumare hanno meno successo
rispetto agli uomini nelle stesse coorti d’età
(Pagano, 1998). Servono quindi programmi per la cessazione del fumo con
modalità diverse, a seconda dell’età, del genere, dello status
socio-economico - ed anche a seconda delle differenze dell’abitudine al fumo e
della probabilità di smettere (Gorini 1998, Fernandez, 1997).
Tali programmi devono essere ispirati a criteri di efficacia. Devono quindi essere informati dalla volontà di superare l’attitudine negativa - peraltro abbastanza diffusa anche in Italia – di biasimo e colpevolizzazione della persona che si esporrebbe “volontariamente” al rischio (blame the victim attitude). Questo atteggiamento si fonda sull’ignorare che il fumo di sigaretta – come altri fattori che determinano lo “stile di vita” - siano influenzati da variabili socio-economiche, culturali, etniche e di genere – più che essere il prodotto di un astratto ed astorico “libero arbitrio”. Un atteggiamento di biasimo della vittima è di fatto controproduttivo nelle pratiche preventive, oltre ad essere indicato come scorretto dalle associazioni di persone malate (Corradi, 1995).
Se guardiamo alle campagne di prevenzione contro il fumo di tabacco promosse nel nostro paese durante l'ultimo ventennio é facile notare che esse sono sostanzialmente gender blind – con l’ovvia eccezione dei messaggi alle gravide. In altre parole, nonostante l’esistenza di ricerche che indicano le donne come gruppo a rischio anche nel nostro paese, è difficile vedere una applicazione in campo preventivo: la prevenzione primaria del cancro da fumo tende a non osservare tra le sue variabili le differenze di genere, mentre per esempio alcune campagne di prevenzione (condotte su manifesti e brochures) osservano in maniera sensibile altre variabili come l’età e l’istruzione.
E' possibile affermare che in Italia la prevenzione primaria del cancro da fumo è sostanzialmente gender-blind in seguito all'analisi dei messaggi preventivi di:
- associazioni di ex-fumatori;
- organizzazioni di mutual aid quali Alir (Associazione di lotta alla insufficenza respiratoria);
- le associazioni di volontariato quali la Croce Rossa Italiana (Es., “Gruppo giovani non fumatori della Cri”);
- i gruppi virtuali (Es., “Tanica: tabacco chi é contro”, “Mani Tese Boycott Marlboro”);
- le campagne "Pubblicità Progresso" (e simili, come i francobolli emessi contro il fumo di tabacco);
- diverse associazioni di medici, pneumologi, psicologi, e sportivi.
Nella maggior parte dei documenti visionati fino al 1998 non compare alcunché riguardo al genere. Né compaiono le donne come genere, rese invisibili anche dal linguaggio, rigorosamente declinato al "neutro" maschile: si parla al fumatore – non alla fumatrice, la cui salute sembra riscuotere l’attenzione degli esperti di prevenzione solo in vista ed in funzione di una maternità. La preoccupazione è orientata alla salute del nascituro, più che quella della donna come persona.
E' interessante notare che invece nei materiali in lingua italiana di associazioni quali la ASN (Associazione Svizzera Nonfumatori) le donne vengono menzionate, sia pure brevemente, laddove si afferma che non solo i giovani ma anche le donne sono da considerare come "gruppo a rischio".
Nei materiali in lingua italiana della Organizzazione Mondiale della Sanità – fino al documento emesso per la "Giornata mondiale senza tabacco - 1998", e nel relativo messaggio del Direttore Oms/Who: "Crescere senza tabacco" - le donne sono assenti. Compaiono nel marzo 1999, quando il nuovo Direttore dell’Oms/Who, Dott.ssa Gro Harem Brundtland cita – tra le sette aree in cui è necessario riconoscere che il genere interagisce con le differenze di sesso biologico – anche il bisogno di contrastare gli stereotipi di genere confezionati dalle compagnie del tabacco, per allettare le giovani donne all’inizio ed al mantenimento dell’abitudine al fumo. (Who, 1999)
Una prevenzione primaria del cancro che non tenga conto delle donne è da mettere in discussione. In altri paesi, la prevenzione primaria del cancro da fumo orientata al genere, all'età, all'etnia, alla classe, ed alle preferenze sessuali - sia nel settore pubblico che nel privato sociale - ha fatto passi molto interessanti sul piano dell'efficacia. E’ evidente che in Italia c’è ancora molto da fare per diminuire l’incidenza del fumo di tabacco, e di conseguenza, limitare l’epidemia del tumore al polmone.
Come è stato recentemente segnalato dal Dott. Nardini dell'Associazione Italiana Pneumologi Opedalieri al “Convegno Nazionale sul Tabagismo e Servizio Sanitario Nazionale”, tenutosi all'Istituto Superiore di Sanità il 31 maggio, 2000, i programmi di prevenzione contro il fumo in Italia non vengono applicati in una maniera uniforme e integrata sul territorio nazionale.
I programmi in esistenza oggi non tengono conto della notevole letteratura - statunitense per lo più (cfr. “Prevenzione dell'abitudine al fumo nei giovani", Effective Health Care, edizione italiana, vol. 4, n.3, maggio-giugno 2000) - indicante come l'approccio più efficace sia quello che integra programmi al livello della comunità con campagne attraverso mass-media. Questi programmi sono caratterizzati da un focus speciale sui singoli gruppi ad alto rischio, e comprendono un intervento anche su gruppi che fino ad ora non sono stati presi in considerazione: per esempio i bambini dai 4 agli 8 anni – intervenendo cioè prima che i modelli di comportamento si consolidino (Ibidem). Ma anche questo contributo critico - eccellente sul piano della teoria e della pratica preventiva – manca purtroppo di una prospettiva di genere.
Un’ultima considerazione riguarda la motivazione a fumare. Ricerche recenti dimostrerebbero significative differenze di genere anche nelle ragioni per cui le persone ricorrono all’uso di tabacco. Il Dr. Neil Grunberg (Health Science, Bethesda, Maryland) ha dichiarato durante il mese di Ottobre 2000 alla Society for Women’s Health Research che gli uomini tendono a fumare per ridurre la noia e la stanchezza, e per migliorare la concentrazione – mentre le donne fumerebbero più per ridurre lo stress e per controllare il peso. Dr. Grunberg sta anche conducendo ricerca per individuare i periodi più appropriati per smettere di fumare con successo, tenendo in considerazione anche il ciclo mestruale, e le variabili legate alla depressione post-ovulatoria (Reuters Health, 2000).
Vogliamo
quindi concludere affermando con forza la necessità di
considerare campagne anti-fumo dirette alle donne italiane –
sia nel nord che nel sud del paese, differenziando i messaggi preventivi
in virtù delle coorti di età, dell’istruzione, dello status socio-economico,
e delle variabili regionali – con uno sforzo particolare volto a contrastare
uno specifico modello culturale – sbagliato e promosso dall’industria del
tabacco - secondo il quale le donne che fumano sono più emancipate, più
sofisticate e più libere delle altre. (Arciti, 1995).
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