Resp.: dr. E. Reale
Linea guida n. 4
Intervento
di cambiamento sulle condizioni psico-sociali del disagio psichico:
la psicoterapia integrata
Perchè una psicoterapia
centrata sulla differenza
I
problemi psichici sono per consenso generale e per evidenza riconosciuta
problemi personali che attengono alle relazioni con il mondo esterno.
Questi
problemi secondo le diverse weltanschaung
dei ricercatori - sia attuali che presenti nella storia della psicologia -
possono avere il loro punto di partenza nell'individuo e allora le relazioni
con l'esterno sono riflessi ( proiezioni) ovvero sottoordinati ai problemi
interni, oppure al contrario i problemi sociali e relazionali sono
sovraordinati ai problemi individuali .
Nella
storia dello sviluppo individuale ciascuno di questi costrutti viene di
fatto integrato con il punto di vista opposto. Alla fine ambedue le
posizioni scientifiche, qualunque sia stato il loro punto di partenza
teorico, giungono nella pratica clinica a valutare l'insieme degli elementi
sia esterni che interni che
compongono in modo integrato e complesso il malessere individuale.
Il
mondo della psicologia e della clinica in generale mostra comunque intorno a
questi due problemi una sua stabilità di orientamento che nel tempo non ha
subito delle trasformazioni radicali.
Il
campo invece della sociologia, dei fenomeni di massa, ha subito delle
trasformazioni più ampie, che seguono le trasformazioni imponenti della
storia dei popoli, del capitalismo, della globalizzazione, della pressione dei paesi del terzo
mondo sulla scena politica internazionale.
In
questo nuovo scenario hanno preso consistenza, soprattutto attraverso studi
epidemiologici, le ipotesi che mettono in relazione condizioni di vita e
condizioni di salute delle popolazioni. Di queste ipotesi e collegamenti è
interprete principale l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che
attraverso la World Bank
investe i l mondo della ricerca sulla salute con i dati che mostrano i
collegamenti tra povertà e cattiva salute, tra determinate patologie e il
mondo industriale avanzato, tra politiche che disprezzano l’ambiente e
maggiore insorgenza di patologie tumorali, tra appropriate politiche di
prevenzione ambientale e di educazione e migliori condizioni di salute.
In
questo quadro di riferimento si stanno facendo avanti anche ipotesi di
collegamento tra le cattive condizioni di salute ed il rapporto tra i due
generi maschile e femminile. Sono le donne infatti, che in tutti i contesti
politici ed economici, dai paesi avanzati a quelli meno, a mostrare più
longevità ma peggiori condizioni di salute (indice di morbilità più
elevato). Si è così affermato sulla scena mondiale, un concetto che oggi
viene posto (almeno teoricamente) a guida della scelta delle politiche
sanitarie e di protezione della
salute: la segnalazione delle iniquità e disparità come luogo principale
di produzione di malattia. E in queste disparità si comincia a tenere conto
anche delle disparità di genere.
Basta
seguire nel 2000 tutti i "pronunciamenti" dell'OMS per capire che
al centro della battaglia per
la prevenzione delle malattie sia di quelle trasmissibili (communicable diseases) che non trasmissibili (non communicable diseases) vi sono le condizioni di vita, ed in
particolare la povertà e la scarsa possibilità
di accesso alle risorse sanitarie.
Tra queste condizioni, negli ultimi tempi, - in documenti ancora separati e non integrati alle politiche generali - si comincia ad inserire anche l'iniquità derivante dalle condizioni di disuguaglianza tra i sessi a vari livelli (accesso alle risorse, all'informazione, mancanza di ricerche finalizzate, ecc) [1]. Viene segnalato altresì dall'OMS nell'analisi dello stato di salute delle donne che questa disuguaglianza è da considerare un fattore di rischio importante, se non addirittura il primo fattore di rischio per la salute.
Questi
brevi cenni, su cui è possibile confrontare altri documenti del Centro
Ricerche "Prevenzione Salute Mentale Donne", sono sufficienti per
dare evidenza ad un gap tra
ricerca sociale, ricerca epidemiologica e ricerca clinica.
Il
trattamento clinico, il trattamento del singolo o di gruppi di pazienti, la
richiesta di intervento psicologico e psichiatrico non tengono conto di
queste nuove acquisizioni e non valutano
nel rapporto terapeutico la presenza di fattori di rischio come le disuguaglianze
e le iniquità; al contrario queste ultime cominciano a
essere ritenute importanti nell'ambito di
politiche sanitarie per la prevenzione dei fattori di rischio.
Da questa mutata prospettiva generale e da questi nuovi input
nasce l'esigenza per il nostro Centro Ricerche di sviluppare i concetti
della differenza e delle disparità come luoghi privilegiati di formazione
del disagio anche all'interno dei trattamenti psicologici e psicoterapici.
Queste differenze e disparità agiscono infatti nei rapporti concreti
tra le persone creando specifiche dinamiche interpersonali ed intrapersonali
che sono alla base del processo di formazione del disagio psichico.
L’ |
integrazione degli strumenti terapeutici: una nuova strada
per coniugare le più efficaci strategie di approccio e risoluzione del
disagio con il punto di vista della differenza.
Descriveremo
sinteticamente in questo paragrafo le teorie ed i concetti di riferimento su
cui poggiano le indicazioni al trattamento contenute nella Linea guida n.4.
Il trattamento integrato che analizzeremo
fa riferimento a tre indirizzi psicoterapici già definiti da teorie
e pratiche specifiche:
v
cognitivo-comportamentale
v
socio-dinamico
v
storico-esperienziale
v
L'indirizzo
cognitivo dà attenzione alla percezione ed al punto di vista del paziente,
ai suoi modi di vivere e di attribuire significati alle azioni e alle
relazioni. L'approccio cognitivo orienta il tecnico alla valutazione della
formazione del punto di vista attraverso l'analisi dei modelli culturali,
degli scopi e delle aspettative della persona. Questo approccio punta,
attraverso la valutazione di comportamenti ed atteggiamenti sia personali
sia altrui, ad una trasformazione del punto di vista su quelli che sono gli
interessi e gli obiettivi personali di benessere.
L'indirizzo
cognitivo nell'impianto di questo intervento, è associato strettamente
all'indirizzo comportamentale. L'indirizzo comportamentale si riferisce allo
studio dei comportamenti umani come prodotti di eventi e di stimoli esterni.
In questo ambito si è sviluppata la teoria dello stress che ha dato un
contributo importante alla comprensione dei nessi tra ambiente sociale e
disagio individuale. Lo stress costituisce una pressione che genera risposte
o comportamenti di adattamento. La concezione dello stress rinvia ad un
ambiente in movimento che induce continue modifiche psico-fisiologiche
nell'individuo chiamato a rispondere agli stimoli esterni. Nell'ambiente
sociale gli eventi esterni e la pressione si traducono in richieste e lo
stress può essere considerato come il differenziale tra richieste esterne e
capacità soggettive (sia in termini positivi che negativi) [3].
Il concetto di stress può esser applicato anche al concetto di ruolo
sociale intendendo per esso " l'insieme delle norme e delle aspettative
che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione in
un insieme sociale"[4].
Le
richieste di adattamento si palesano in generale quando si manifestano
cambiamenti o quando eventi producono cambiamenti (interni o esterni). La
risposta dell'individuo è quindi una risposta al cambiamento che può
essere di due tipi: di fronteggiamento o di evitamento. Nella risposta
l'individuo mobilita risorse ed in generale capacità di coping.
Il percorso delle risorse personali impegnate, degli obiettivi raggiunti,
delle motivazioni implicate costituisce un prezioso filo conduttore per
analizzare il disagio e la formazione di un sintomo psichico. Dall'analisi
del tipo di risposta, dall'analisi della motivazione personale e nel
contempo dall'analisi dei modelli e dei ruoli sociali che presiedono alla
risposta, viene fuori un tipo di comportamento che potrà essere adattivo
positivo (e cioè capace di interpretare e sostenere gli interessi
dell'individuo) oppure adattivo negativo (che non riesce a veicolari gli
interessi della persona).
L'analisi
dei fattori stressanti (cambiamenti nella vita quotidiana) e delle risposte
serve ad individuare comportamenti disfunzionali al benessere personale. La
trasformazione dei comportamenti disfunzionali ed il loro consolidamento
passa però sempre attraverso la modifica e la ristrutturazione del punto di
vista. L'elemento cognitivo e quellocomportamentale sono quindi strettamente
connessi nell'approccio terapeutico.
v
L'indirizzo socio-dinamico individua le dinamiche sociali e
familiari dell'individuo mettendo in risalto le differenze di posizione e le
ineguaglianze strutturali (socioeconomiche) e culturali (di ruolo) delle
relazioni. Obiettivo di questo approccio è l'individuazione delle relazioni
di potere e dei meccanismi per creare il consenso (dipendenza emotiva) in
colui che oggettivamente detiene un minor potere; obiettivo dell'intervento
è la trasformazione della situazione di dipendenza (ovvero il ritiro del
consenso e della partecipazione a pratiche di "asservimento").
v
L'approccio storico-esperienziale indica che la storia di vita
della persona e delle sue esperienze costituiscono il campo di osservazione
principale dell'intervento terapeutico. La storia di vita, la materia
dell’intervento psicoterapico, è sempre filtrata dalla percezione e dalla
memoria della persona (attore principale) ma rinvia anche ad una realtà che
si pone temporaneamente al di fuori della percezione attuale ovvero della
sua memoria.
I
vuoti della storia, i “ non ricordo”, le lacune, i passaggi tra un
momento e l’altro della narrazione storica, costituiscono i luoghi di
maggiore attenzione del tecnico. Questi momenti possono rilevare luoghi di
sofferenza psicologica propria o di altri membri del contesto di vita e
quindi vanno riproposti alla memoria con specifici interventi del tecnico.
La
ricostruzione della storia dei suoi avvenimenti in una scala temporale in
cui la cronologia segna un ordine processuale che può mettere in evidenza
vuoti e mancanze, crea le condizioni per riportare nel presente e
ricollegare fatti accantonati[5]. La storia di vita narrata
è uno strumento insostituibile per l'intervento terapeutico: esso indica i
luoghi ed i modi di formazione del disagio così come sono stati vissuti ed
esperiti dal soggetto.
Il |
tecnico
nell'intervento non ha chiavi interpretative pre-costituite, ma griglie di
lettura in cui disporre i dati della storia della persona. La competenza del
tecnico è nel ruolo di chi conduce l'utente nel percorso a ritroso della
propria storia; la storia di vita ed i suoi contenuti sono sconosciuti al
tecnico che li apprende dall'utente. Mentre l'utente narra la storia di vita
di cui è unico competente e referente, il tecnico vede le dissonanze, i
vuoti ed i pieni in cui si possono addensare le ragioni del malessere e
stimola l'utente ad approfondire il racconto. Approfondire vuol dire
guardare meglio, più da vicino, prestare attenzione a situazioni, ed
accadimenti che sono invece accantonati o considerate di poco rilievo. Su
questa base, il tecnico stimola la persona a fare altre valutazioni e
sintesi dei fatti, ad aggregare fatti e percezioni in modo diverso dal
precedente fino a che la storia stessa ed il ruolo della persona nella
storia, abbia un'altra configurazione. Quando la configurazione della storia
cambia, cambia la percezione delle situazioni e questa può a sua volta
sbloccare circuiti paradossali di ripetizioni di eterne dinamiche e
stimolare così un cambiamento operativo e comportamentale.
Quando
poi la persona ha cambiato insieme modalità di percepire e di essere,
cambia anche la situazione circostante e le relazioni con gli altri, ma non
solo, cambiano anche le posizioni e gli atteggiamenti degli altri nei
confronti della persona.
Il tecnico, in questa funzione, apre delle nuove prospettive nella storia della persona e nelle sue relazioni, nell'organizzazione delle sue aspettative, e svolge un ruolo consistente di supporto della persona nelle strategie di cambiamento.
Sia
il tecnico che l'utente possiedono una stessa guida o bussola: il malessere,
il sintomo, la sofferenza. Quando il malessere si riduce, quando si riesce a
collocarlo nella propria vita e lo si riesce a gestire ed a dargli un senso,
ciò sta ad indicare che la strada percorsa verso il cambiamento può essere
quella giusta.
In
definitiva, come ha ben detto Marcello Cesa Bianchi, il modello di
riferimento delle psicoterapie potrebbe essere inteso come "una sorta
di sistema di coordinate che consente di volta in volta al paziente di
individuare la rotta migliore"[6].
Il
rapporto terapeutico tende a contenere nella modalità dello scambio di
competenze e nella necessaria complementarità dei ruoli e dei saperi i
problemi di differenza di potere tra il curante ed il curato, e gli
eventuali problemi di dipendenza.
Questo
ruolo del tecnico si esaurisce alla fine del rapporto in quanto la
conclusione avviene con un trasferimento di competenze: durante la
narrazione l'utente diviene esperto del modo come modificare la sua
condizione e fronteggiare il malessere.
Il
tecnico con i suoi interventi non fa altro che stimolare le capacità di
valutazione, elaborazione dell'utente e di apprendimento di strumenti adatti
a superare il malessere o a prevenirlo.
Il
tecnico dispiega il suo intervento in trasparenza, applicando le procedure
di qualità per ridurre il potere differenziale tra terapista ed utente:
informazione sulla diagnosi e sul trattamento; chiarezza dei presupposti del
suo intervento, condivisione degli obiettivi e dei mezzi per raggiungerli,
salvaguardia del rapporto da intrusioni esterne.
Il
linguaggio che il tecnico usa è il linguaggio comune attinto alla vita
quotidiana e al mondo esperienziale dell'utente.
Il |
trattamento
psicoterapico si sviluppa contestualmente alle fasi della
valutazione
e
dei sintomi e del
percorso di ammalamento.
Vi
è indicativamente una fase in cui l'ascolto prevale: la prima fase
dell'accoglienza con quella immediatamente successiva di inquadramento
diagnostico. Questa fase deve riportare esaustivamente, come prima
ricognizione del problema, il punto di vista attuale del paziente con la sua
prima "versione" della storia personale.
Individuiamo
nell'intervento complessivamente tre fasi che non sono in successione
schematica ma si intersecano tra loro e si sovrappongono nella scansione
temporale degli incontri tra tecnico ed utente. L'ordine del discorso segue
l'orientamento e le evoluzioni del pensiero e dell'emotività dell'utente,
ma è importante che il tecnico inserisca le informazioni, i dati ed i
vissuti in uno schema logico storico in modo da restituirlo all'utente per
una visualizzazione dei collegamenti e degli intrecci delle situazioni di
vita personali e di quelle altrui che hanno un significato per il proprio
malessere.
1° Fase
prevede
l'ascolto del punto di vista dell'utente sul sintomo e sul collegamento di
questo con eventi e condizioni di vita, sulla percezione di se. In questa
fase prevale l'ascolto e la definizione del punto di vista che ha portato
l'utente a percepirsi malato o bisognoso di aiuto tecnico.
2° Fase
è
caratterizzata dal lavoro di collocazione del sintomo all'interno della vita
quotidiana e dall'analisi
storica sull'origine e sui collegamenti del malessere con le condizioni di
esistenza.
3 Fase
è
caratterizzata dal lavoro di ricostruzione di un nuovo punto di vista che
porta la persona fuori della percezione di una malattia, di nuovo a contatto
con i problemi concreti da affrontare, ma con il supporto di un nuova
visione del proprio ruolo e
delle proprie risorse e degli obiettivi personali. L'intervento in questa
fase si sviluppa anche come sostegno psico-sociale alla persona nel
cambiamento di atteggiamenti e comportamenti più funzionali al proprio
benessere[7].
Tipologia dell'intervento
I
tipi di interventi derivati dall'integrazione di approcci diversi, sono
definibili come: storico, cognitivo, comportamentale, esperienziale.
L'intervento
storico punta all'approfondimento della storia personale e delle relazioni
dell'utente e si sviluppa in una serie di narrazioni delle tante storie che
rappresentano i diversi livelli di approfondimento raggiunti nel rapporto di
inter-relazione con il tecnico. Questo approccio ha tre modalità specifiche
di espressione:
§
storico-narrativo: finalizzato alla narrazione della storia di
vita. Il tecnico guida la persona a percorrere
con l'ausilio di una griglia (definita dal percorso di ammalamento)
le tappe salienti della sua storia di vita. L'operatore definisce, durante
la narrazione dell'utente, l'ambito storico rispetto al quale si raccolgono
informazioni e si sviluppano gli approfondimenti.
§
Storico-concreto finalizzato all'analisi della vita quotidiana
attuale o passata, riferita ai vari periodi storici portati in discussione
all'attenzione del tecnico. Questa analisi punta a visualizzare, con
descrizioni dettagliate di tipo quali-quantitativo, tutti gli elementi di
cui si compone la vita quotidiana: dal lavoro al tempo libero sia personale
che delle altre figure significative del contesto di vita.
§
Storico-dinamico
finalizzato a cogliere le disuguaglianze e le disparità nelle relazioni
sociali e familiari. Le disparità sono spesso nascoste dal loro presunto
carattere naturale o dalla normale dialettica dei ruoli. Dietro le disparità
si colloca la visualizzazione dei vissuti di dipendenza e di insufficienza
personale.
L'intervento
cognitivo inserisce l'analisi della percezione soggettiva dei dati di realtà
ponendo all'attenzione il divario e le differenze tra proprio punto di vista
e punto di vista altrui (di altre figure del contesto). L'intervento
cognitivo punta a ricostruire, attraverso la pressione dei modelli sociali e
culturali, i progetti e le aspettative personali che incidono, insieme ai
carichi e dati materiali, sulla formazione di un disagio. Esso ha le
seguenti modalità di espressione:
·
Cognitivo-espositivo mirato alla individuazione dei vari punti di
vista di una situazione; alla differenziazione tra il proprio punto di vista
e quello degli altri, alla rappresentazione del punto di vista come
emanazione di interessi retrostanti, e al confronto dei vari punti di vista
ed interessi.
·
Cognitivo-sociale mirato all'analisi dei modelli e dei ruoli
sociali con la visualizzazione del peso dei modelli sui comportamenti e
scelte personali.
·
Cognitivo-ristrutturativo
finalizzato nella ristrutturazione della percezione
e del punto di vista dell'utente su di sè e sugli altri ottenuto
attraverso la visualizzazione degli interessi personali ed altrui.
L'intervento
esperienziale-comportamentale punta a introdurre nuove esperienze, a
considerare quelle finora fatte come passibili di modifica ed a sperimentare
nuovi stili di vita e comportamenti
·
Esperienziale-valutativo finalizzato e alla valutazione sia dei
dati di realtà secondo procedure di misurazione più oggettive come la
quantità, i tempi, i risultati ed i prodotti ed i vantaggi realizzati; che
dei comportamenti misurati secondo i vantaggi e gli svantaggi procurati a se
ed ad altri
·
Esperienziale-desiderativo finalizzato a visualizzare ed esperire
un piano di esigenze, interessi e progetti collocati a livello del
desiderio: passato, quello che avrei voluto fare, e quello attuale, quello
che ora desidererei fare ma non posso.
·
Esperienziale -innovativo rivolto
alla sperimentazione di altri tipi di risposta agli eventi
e alle richieste sociali e familiari diversi da quelli fino allora
preferiti e prescelti.
Campi dell'intervento
l'intervento
psicoterapico si snoda intersecando i sette campi che attraversano l'analisi
del percorso di malattia:
§
la storia del sintomo
e del malessere non diagnosticato,
§
l'analisi degli eventi di vita,
§
la storia delle condizioni materiali di esistenza in particolare il
lavoro ma ogni attività in generale (tempo libero, formazione, studio,
ecc.),
§
le modalità di relazione con gli altri (in famiglia, nel lavoro,
nel sociale),
§
la percezione di sè, e delle proprie capacità e risorse,
§
i modelli sociali ed i progetti personali,
§
le relazioni adolescenziali e le aspettative risarcitorie.
L’ |
· tempi
di insorgenza,
· collegamenti
con eventi,
· percezione
soggettiva
· effetti
prodotti
La
ricognizione ha la finalità di
inserire il sintomo nella storia di vita e trasformarlo da altro da se,
accadimento esterno, come percepito nel momento della richiesta di aiuto, in
elemento prodotto all'interno della propria storia come segnalatore prezioso
di un malessere più ampio a carattere psico-sociale.
Il
lavoro da svolgere inizialmente prevede la riduzione del senso di estraneità
del sintomo caratterizzato da manifestazioni di paura e di panico e di
sviluppo di ulteriore sintomatologia.
Le
procedure per eseguire un adeguato processo di familiarizzazione del sintomo
sono:
-
scomporre il sintomo nelle sue parti costitutive differenziando il
sintomo primitivo da altri sintomi che sono secondari in quanto messi in
moto dalla paura del primo;
-
familiarizzare con il sintomo ricostruendo genesi e modi di
presentarsi, in determinate situazioni, e condizioni;
-
sviluppare conoscenza anche delle situazioni in cui il sintomo non
si presenta come indicatore di condizioni protettive;
-
sperimentare con il supporto del tecnico ciò che l'utente teme
maggiormente nel collegamento con il sintomo (ad esempio la paura di
svenire);
-
valutare e
rappresentare tutti gli effetti e le conseguenze
temuti alla luce della loro reale dannosità per sé e per gli altri;
-
valutare gli effetti secondari del sintomo ovvero i possibili
"benefici" che il sintomo ha realizzato (tipico l’interruzione
di attività onerose);
-
imparare a differenziare attraverso gli effetti
il sintomo "buono" dal sintomo "cattivo". Ogni
sintomo in genere ha due
funzioni: allontanare eventi di vita temuti e onerosi per se ma anche allontanare eventi
desiderati per se ma temuti per altri. Il sintomo cioè mette d'accordo il
conflitto di interesse tra sé e gli altri penalizzando or gli uni or gli
altri interessi. Questa differenziazione del sintomo in due parti è utile
per fronteggiare il sintomo inizialmente: alla persona si prospetta la
possibilità di affrontare solo quelle situazioni che sono emerse come
oggetto del desiderio della persona e non degli altri. In questo modo si è
agito attivando risorse positive e vantaggiose per l'individuo in grado di
offrire una migliore gestione del sintomo. Questa performance ha migliori
possibilità di successo se l'intervento mette in discussione anche il
collegamento con sensi di colpa. Spesso il senso di colpa è collegato ad un
compito da assolvere percepito come ineludibile: l'analisi concreta di
questa percezione (esiste un bisogno non differibile) può creare
quell'alleggerimento del senso di colpa e rendere fattibile il lavoro per
una migliore gestibilità (o per la scomparsa del sintomo nelle situazioni
desiderate dalla persona).
Un
altro trattamento si sviluppa quando il
sintomo esprime il non poter fare,
rispetto ad un non volere, non
desiderare di fare. Esso non va combattuto e superato, ma accolto come
spia di un rifiuto della persona non altrimenti esprimibile nell’attualità;
esso sarà sciolto solo nel progressivo aumento delle capacità della
persona di sottrarsi al compito.
Obiettivo
finale si questa azione è che la persona non espunga più il sintomo dalla
propria vita, non lo consideri estraneo
ma all'opposto intraneo, lo
consideri un alleato ed un fattore di protezione ovvero un segnale di
allarme di situazioni insostenibili non valutate adeguatamente. Obiettivo
inoltre è che la persona impari a distinguere dietro il sintomo "il
rifiuto di una qualche operatività"; e a distinguere inoltre la
"direzione" del rifiuto ovvero se si tratta di un rifiuto causato
da onerosità del compito
(interesse personale) oppure un rifiuto causato dalla percezione di
doverosità (rispetto delle esigenze altrui, ovvero: ciò che facendo
intralcerebbe gli altri).
La
modifica di percezione del sintomo accompagna la modifica di un’altra
percezione quella della condizione di persona malata: la malattia che si
sostanzia del sintomo è riletta e presentata come luogo di emersione di una
crisi personale.
Non
sempre questa percezione è ottenibile in prima battuta; quando un sintomo
presenta le caratteristiche della cronicizzazione ed invasività[8],
si dovrà procedere con altre
modalità tra cui le più tipiche sono:
-
la messa tra parentesi del sintomo per un periodo concordato con il
tecnico, quando il processo di cronicizzazione ha creato una costruzione
ideativa “chiusa” del proprio malessere che non lascia alcuno spazio
all’intervento storico-dinamico Questa misura è necessaria per poter
entrare nella storia di vita ed agire sulle condizioni che hanno prodotto la
situazione di cronicizzazione, e solo dopo, rivedere e rivalutare la
situazione sintomatica.
-
Un percorso di disassuefazione che consiste nell’intervento di
delimitazione forzata del sintomo. Questa misura è in genere relativa ad
una pratica ripetitiva (sintomo ossessivo, rituale, ecc.) che vede il contesto coinvolto ma assecondante. Una
indicazione di non rispondere alle richieste di rassicurazione correlate
all’esecuzione dell’attività sintomatica, può favorire lo sviluppo di
uno spazio per iniziare il trattamento successivo centrato sulla storia di
vita.
Ciascuno
degli interventi descritti permette
di alleggerire la pressione del sintomo e di introdurre la persona al
racconto della sua storia, come unico luogo in cui il sintomo può trovare
un’adeguata collocazione, vale a dire: non più come referente e
segnalatore di malattia ma come efficace segnale di condizioni di vita
insostenibili. Nel corso di tutto l'intervento il sintomo avrà un grande
valore perché esso segnala con la sua presenza o con la sua temporanea
assenza i luoghi e i modi di presenza o di assenza delle condizioni di
benessere/malessere personale.
La |
di
eventi traumatici come unici
e/o esclusivi produttori di malessere.
Il lavoro condotto inizialmente sul sintomo apre la porta
all'intervento sulla storia e la storia compare in prima battuta come
insieme di eventi percepiti come traumatici e autonomi induttori di
malessere. Questi eventi sono portati all'attenzione
del tecnico, che apre alla storia di vita,
come prime spiegazioni del malessere: si tratta
in genere di eventi gravi secondo il senso comune, oppure di eventi
che, pur non avendo non essendo gravi, datano in maniera soggettivamente
certa l'inizio del malessere e del sintomo.
Questa interpretazione del malessere come dipendente da eventi
singoli generatori di per sé di disagio, può essere accolta inizialmente
dal tecnico perché introduce l'utente al rapporto con la storia in
un'ottica dinamica.
Successivamente
anche l'evento va scomposto nelle condizioni storiche che lo hanno
determinato e negli effetti che da esso sono derivati in termini di
riduzione delle risorse personali e/o di sovraccarico.
Gli
eventi e gli accadimenti sono da considerare occasioni di cambiamento in
relazione ai quali si determinano modifiche nell'organizzazione di vita
personale sia oggettiva (carichi di lavoro e responsabilità,) sia
soggettiva (percezione di sé e degli altri, progetti, aspettative)
Gli
eventi come i sintomi costituiscono importanti elementi-segnale
del malessere ed intorno a loro va organizzato l'approfondimento delle
modalità di vita (tipologia degli stili di risposta, dei modelli della
persona, ecc.).
Eventi
di maggior peso hanno un impatto maggiore sulla organizzazione della vita
quotidiana e possono dar luogo a cambiamenti più radicali, ma anche gli
eventi minori e più banali possono avere un elevato peso nel creare un
cambiamento di prospettiva; essi però sono più difficili da cogliere in
un'analisi esterna senza un percorso terapeutico centrato sulla persona e
sul sistema interno di percezioni e motivazioni.
Spesso l'intervento sugli eventi gravi è diverso da quello sugli
eventi di minor peso:
-
l'evento grave, su cui vi è consenso, viene ad essere enfatizzato
e fa da velo al resto dei significati soggettivi e dei cambiamenti
collegati;
-
l'evento banale è sottovalutato e scarsamente preso in
considerazione dagli altri, spesso è anche considerato sintomo di una
patologia o di una debolezza dell'individuo che " per nonnulla si
agita".
Sul
primo tipo di evento, l'atteggiamento del tecnico sarà di riduzione del
significato di gravità oggettiva; sul secondo, di ricerca del significato
di gravità soggettiva.
L'evento
è comunque il primo elemento di una storia che la persona collega al
sintomo ed al malessere: esso ha messo in luce, in maniera improvvisa una
crepa in un sistema di sicurezza (risposte non adeguate, ecc.). L'evento è
quindi la chiave di passaggio dall'analisi del sintomo alla storia di vita.
L'evento
grave va ridotto ad evento tra gli altri, senza che gli si dia uno statuto
speciale, per evitare che la persona sviluppi una sindrome di
vittimizzazione che è altra cosa dal rivendicare, in rapporto
all'aggressore/aggressione, la propria posizione di non consenso all'azione
(victima: legata)
La
percezione di "essere vittima", è un’importante acquisizione
per differenziare i ruoli ed evitare elementi percettivi confusivi che
portano a impropri e pericolosi processi di colpevolizzazione; essa però
è una percezione che deve essere contenuta nel tempo e nello spazio
altrimenti, se generalizzata, dà luogo ad una vera e propria sindrome di
tipo depressivo.
L'intervento
terapeutico sugli eventi non va quindi nella direzione di valutarne il peso
in maniera oggettiva, secondo i criteri definiti dal DSM IV, ma di valutarne
l'impatto soggettivo nella complessa organizzazione di vita della persona.
Anche
l'evento va quindi scomposto nelle sue parti costitutive: che cosa è successo, chi
sono state le persone coinvolte, quali
i loro ruoli, di chi le responsabilità, quali le risposte.
La
scomposizione dell'evento è un
ulteriore modo per passare all'attenzione della storia di vita in tutti i
suoi aspetti: piccoli e grandi, banali ed eccezionali accadimenti.
D |
La
storia da di vita si dispiega secondo due registri di lettura: la
rappresentazione concreta della vita quotidiana e la scansione temporale
degli accadimenti.
q
La prima lettura riguarda tutto quello che una persona fa: la
rappresentazione del suo quotidiano; rientrano in questo campo di analisi il
lavoro per il mercato e quello per la famiglia, le altre attività non
lavorative.
Questa
analisi (storico-concreta) è data dalla misurazione dei fatti più vicina
possibile alla realtà: una rappresentazione per così dire
"oggettiva" con indici precisi del che
cosa è, come è fatto ciò di cui
si parla, come si estende nelle coordinate spazio temporali.
Il
lavoro produttivo va connesso con il lavoro familiare e ambedue con le altre
attività (formazione, studio, tempo libero): essi devono poter costituire
alla fine un unico campo integrato di valutazione. Questa lettura deve
fornire una visione del carico complessivo individuando una distribuzione
iniqua del carico (sovraccarico o sottocarico) tra le varie attività
all'interno dell’economia personale (differenze di carico rispetto a
capacità e/o progetti) e all'interno dell’economia del gruppo (differenze
di carico in situazioni d’omogeneità di ruolo e/o responsabilità o
viceversa).
q
La seconda lettura è quella storico-temporale che vede le attività
quotidiane dislocate in vari periodi significativi della vita (tappe di
sviluppo biologico ma anche cambiamenti situazionali e sociali) che
coincidono con tappe di rischio per la formazione di un disagio
esistenziale. L'analisi storico-temporale dà la mappa dei cambiamenti delle
condizioni materiali segnalando un aumento o una riduzione dei vari elementi
che compongono il campo integrato ( il lavoro familiare, il lavoro
produttivo, lo studio/formazione, il tempo libero)
La
lettura complessiva della
storia è accompagnata da
quattro chiavi esplicative che costituiscono indici di significatività
nell’analisi degli accadimenti.
Gli
indici di significatività del campo sono dati da:
ü
la quantità:
-
la misura del sovraccarico o del sottocarico dell'una attività
rispetto ad altre all'interno del sistema personale ( un problema di
distribuzione interna dei carichi)
-
la misura del sovraccarico o del sottocarico rispetto al sistema di
relazioni familiari e sociali ( un problema di distribuzione dei carichi
esterna alla persona)
ü
la qualità
-
il grado di soddisfazione personale e altrui,
-
la percezione di valore e d’utilità
-
la percezione della parità nel bilancio “dare-avere” e
“costi-benefici”
ü
la direzione ovvero la finalità e motivazione.
-
Il per sé o intendendo per
esso tutto ciò che la persona fa nell'ottica di un accrescimento diretto
del benessere personale, tutto ciò che alimenta le capacità e le risorse
personali, l'immagine di sé, il sistema di sicurezze personali.
La
direzione del per sè configura
una motivazione forte, che può essere assunta come valido supporto nel
superamento del malessere e come fattore di protezione del disagio psichico.
-
Il per altri ovvero tutto
ciò che è fatto per accrescere capacità e risorse altrui. Tutto ciò che
si fa per altri porta con sè dipendenza dei fini e quindi senso di
immodificabilità soggettiva (a meno che gli altri non lo desiderano e
chiedano), senso di doverosità, massima esposizione al giudizio altrui e
alle altrui critiche ( i committenti e i diretti interessati alle azioni) e
senso di incapacità soggettiva ( riferita a sè e non all’altro per cui
conto si agisce) in caso di insuccesso.
Per
tale configurazione risulta una
motivazione debole, responsabile della percezione di malattia e che non
aiuta la persona a risolvere il malessere.
Nella
produzione di disagio psichico lo svolgimento delle attività per altri, non
solo è responsabile di una motivazione debole, ma crea anche aspettative
specifiche di recupero dall'esterno di risorse energetiche (risarcimento e
compensazione).
ü
I modelli
-
I modelli sociali e familiari che si accompagnano come rinforzo alle
aspettative del proprio ruolo. Essi agiscono come dover essere rigido che ha
una forza di costrizione ed oppressione sull'agire personale: la buona
madre, il bravo marito, il buon figlio, ecc. Nella maggioranza dei casi di
disagio questi modelli costituiscono gabbie di costrizione dell'agire
personale e influenzano pesantemente la rappresentazione di una condizione
personale d’immodificabilità.
-
I modelli personali che si organizzano liberamente rispetto alle
aspettative sociali e sono fondati sui propri desideri, capacità e risorse,
e su aspettative svincolate dai dettami e dalle aspettative dei ruoli
sociali. Questi modelli, nelle situazioni di disagio, costituiscono
strumenti importanti di supporto per la costruzione di nuovi atteggiamenti e
comportamenti.
Con
questi indici si analizza il campo esperienziale portato all'attenzione del
tecnico. Il tecnico presiede al processo di composizione della storia con
interventi di stimolo rivolti al completamento della narrazione attraverso
l'inserimento di fatti ed accadimenti, sottovalutati o accantonati. Il
tecnico svolge la funzione di riattivatore della memoria avendo come finalità
la ri-composizione della storia personale.
In questa funzione il tecnico interviene con un ampliamento del mondo cognitivo-esperienziale, portando all'attenzione dell'utente ed introducendo durante la narrazione indici di lettura differenziali ( il per sè rispetto al per altri, i modelli sociali diversificati da quelli personali, i carichi personali differenziati da quelli altrui, i carichi di lavoro produttivi differenziati da quelli riproduttivi, i carichi di lavoro diversificati dalle attività di tempo libero).
Gli
obiettivi dell'intervento nell'analisi della vita quotidiana sono:
Ø
l'alleggerimento dei carichi di lavoro impropri rispetto al sistema
personale dei bisogni ( maggiore equilibrio tra attività lavorative per il
mercato per la famiglia e di altre attività)
L'alleggerimento
dei carichi di lavoro e responsabilità per conto di altri e l'apertura di
uno spazio di riflessione sulle attività "per sé"; Ritiro delle
aspettative risarcitorie centrate
sugli altri( derivate dalle attività svolte per altri) e investimento di
risorse direttamente su attività di interesse personale.
Ø
L'alleggerimento della pressione dei modelli sociali e familiari e
l'ampliamento dei modelli personali.
Strumenti
per ottenere l’alleggerimento sono:
·
la narrazione della storia
·
l’analisi concreta e circostanziata degli eventi e situazioni
·
collegamento e scollegamento tra fatti ed eventi; la
ex-composizione e la ri-composizione della storia
·
i confronti per differenza e per omogeneità tra sé e gli altri,
tra momenti diversi della storia di vita;
Il
senso complessivo è quindi quello di un alleggerimento di una pressione che
la persona vive e può non percepire, ma di cui sicuramente il sintomo è
segnale.
Effetto
di questo alleggerimento è un'attività complessiva più equilibrata nella
sua ripartizione tra le varie sfere, e più equilibrata tra i componenti del
sistema di riferimento personale sia sociale sia familiare.
L'alleggerimento
riduce la pressione dell'ambiente sulla persona e contestualmente una
riduzione dello spazio occupato dal sintomo: ciò determina la possibilità
di avviare un processo di riconfigurazione dei propri spazi di vita ed
attività.
Le
forme di alleggerimento sono molteplici, tutte devono portare ad una
riduzione della tensione che la persona esprime con il sintomo. Una
sospensione delle attività lavorative, un allontanamento dal luogo di
lavoro o dalla casa, la cessazione/sospensione di una singola attività, di
un singolo rapporto, ecc.
Le
forme di alleggerimento devono essere condivise dal paziente il che
significa che l'alleggerimento prevede il lavoro analitico concreto di
visualizzazione del peso, il confronto con altri ruoli, il rapporto con i
modelli che lo sostengono ed infine la percezione che quella misura è
quella giusta per sé, per il proprio recupero, in quel momento specifico.
Accenniamo ora brevemente anche all'effetto delle misure di
alleggerimento introdotte nel sistema di vita dell'utente sul sistema
relazionale circostante: l'ambiente sociale e familiare se ne avvantaggia se
non è un ambiente ostile che ha già precostituito una sua via di soluzione
al problema relazionale ( ad esempio l'interesse di un'azienda a licenziare
una persona, oppure l'interesse di un marito a separarsi rendendo
insostenibile la vita della moglie, ecc.).
I vantaggi possiamo individuarli se pensiamo ad esempio ad una
relazione lavorativa o familiare dove il sovraccarico di lavoro e
responsabilità (per conto di altri) di un membro non fa crescere in
autonomia e responsabilità anche gli altri.
Gli
interventi di alleggerimento del carico e di modifica delle condizioni di
vita comportano anche l'analisi dei rapporti e delle relazioni maggiormente
implicate nelle contromisure proposte o concordate. E' opportuno quindi che
questo intervento vada integrato con il successivo sul problema dei livelli
di dipendenza presenti in queste relazioni. Emerge spesso una relazione di
dipendenza che è dipendenza da una persona in particolare ( figura
significativa del contesto) supportata in genere da modelli di rinforzo
della dipendenza ( modelli di ruolo).
Infine
gli interventi del tecnico sulla vita quotidiana possono introdurre, anche
quando non si analizza approfonditamente il problema della dipendenza o
prima di analizzarla, misure di protezione e rinforzo positivo
dell'autonomia che sono date dall'allargamento della rete amicale e dei
supporti sociali.
Infatti,
più la persona si presenta isolata e carente di una adeguata rete sociale,
più vi è il rischio di innesto di una condizione di dipendenza patologica,
più grave è la condizione di disagio, più lungo è il percorso
terapeutico di uscita dal malessere.
Proprio
per queste ragioni (la presenza di relazioni di dipendenza non
fisiologiche), l'intervento sulle condizioni di vita può trovare degli
ostacoli e delle resistenze nell'utente: difficoltà a visualizzare diverse
organizzazioni di vita, paura del cambiamento, desiderio di non
partecipazione al processo di ricognizione proposto, nel mentre si svolge
l'intervento (ad intervento cioè già accettato nelle sue linee generali di
percorso). Quando ciò accade è importante ipotizzare una condizione di
dipendenza non diagnosticata e lavorare su questo punto, per poi ritornare
al problema del cambiamento delle condizioni di vita individuate come
disfunzionali.
Un |
Abbiamo visto che l'intervento sulle condizioni di esistenza prevede
anche la distinzione delle attività in base a finalità e motivazioni ( per
sé e per altri).
La dialettica per sè-per altri si trova a fondamento di un conflitto
di interessi nelle relazioni sociali ed affettive che a sua volta permea e
fonda la dinamica autonomia-dipendenza.
Il
conflitto di interessi si riferisce ad una contrapposizione al minimo tra
due persone, al massimo tra il contesto di riferimento ed una persona; esso
riguarda tutto quello che fondatamente ha a che fare con la realizzazione
personale e con gli obiettivi di benessere di una persona. Chiameremo questi
interessi di posizione per
segnalarli come interessi oggettivi, e che possono essere diversi da quelli
percepiti, che accompagnano una persona nello sviluppo personale e sociale.
Questi interessi possono essere anche non chiari alla persona stessa,
ovvero la persona può avere scarsa conoscenza di ciò che sia un vero
interesse personale, e può fare confusione tra i propri interessi e quelli
altrui.
Quando
ciò avviene, ovvero quando in modo confusivo la persona si rappresenta i
propri interessi e ha difficoltà gravi a modificare una organizzazione
della propria vita, si può ragionevolmente pensare che la persona sia
inserita in una dinamica di rapporto che crea confusione tra interessi
personali ed altrui; e ciò succede sempre quando si danno relazioni di
dipendenza "patologiche" che non corrispondono ai reali bisogni di
dipendenza della persona, ma veicolano attraverso meccanismi non trasparenti
i bisogni di qualcun altro implicato nella relazione.
In
via preliminare occorre chiarire che esistono due tipi di dipendenza:
-
una dipendenza diffusa e necessaria che è più propriamente
definita come interdipendenza[9]
o dipendenza circolare in cui tutti dipendono da tutti ed in cui vi è
un'attività reciproca di scambio: questi in rapporti sono e rimangono
simmetrici ed orizzontali.
-
Vi è poi la vera e propria dipendenza che chiameremo unilaterale
che rappresenta una relazione in cui vi è una persona carente di risorse
che necessita di un'altra per raggiungere i suoi obiettivi o realizzare i
propri interessi. In questa
relazione non si realizza la circolarità perché l'altro non chiede, non ha
bisogno di scambiare risorse.
Una
dipendenza unilaterale è molto difficile da concepire e rappresentare: in
realtà è molto difficile che in una relazione vi sia solo uno che dà ed
uno solo che riceve. Queste dipendenze in genere sono temporanee,
determinate da condizioni transitorie, e quindi in prospettiva possono
configurarsi come una dipendenza bilaterale in cui la reciprocità è
sottesa e/o rinviata.
Più facilmente ci troviamo di fronte a interdipendenze che "si
atteggiano" a dipendenze unilaterali.
La possibilità di analizzare le relazioni di dipendenza e valutarne
le condizioni di base è possibile solo attraverso la visualizzazione
concreta degli interessi e degli scopi delle persone che stanno in relazione
tra loro.
La
dipendenza unilaterale (presunta) pone la persona in una relazione
asimmetrica come colui che riceve e non dà nulla.
Il
non dar alcunché rimanda ad una percezione soggettiva di anormalità ed
incapacità, la persona dipendente si sente ed è vista non capace,
bisognosa di tutela.
Il
vissuto di non capacità è legato a quello di disvalore: la persona che non
si attribuisce valore difficilmente uscirà dalla dipendenza ma anche
difficilmente cercherà altri legami di dipendenza più soddisfacenti. In
definitiva la dipendenza unilaterale facilita vissuti di insostituibilità [10]e
abbassa la soglia di tolleranza alla frustrazione nella relazione stessa (
si è disponibile a tollerare tutto pur di non perdere un rapporto i cui
vantaggi non sono sostituibili da altro)
Questi
caratteri della presunta relazione di dipendenza unilaterale costituiscono
fattori di rischio per il disagio psichico perché minano il sistema di
sicurezza personale, riducono o azzerano le capacità di autonomia e la
percezione di valore personale, facilitano l'instaurarsi di condizioni di
isolamento sociale e di depressione.
Come
si è già detto è' molto difficile pensare alla reale sussistenza di
condizioni di dipendenza unilaterale, ovvero di una relazione in cui non vi
sia uno scambio, ed in cui vi sia solo l'interesse materiale di una persona
( quella considerata meno capace e meno dotata di risorse) mentre l'altra
non ha interessi alla relazione se non quella di fornire risorse all'altro e
di tutelarlo.
Quando
ciò accade si può ipotizzare più agevolmente che lo scambio ci sia, ma
che una parte della relazione di scambio sia resa inapparente o occultata e
che sia resa manifesta, ovvero riconosciuta solo un versante dello scambio:
quello della persona che presenta o dice di avere più risorse o che ha
risorse considerate più redditizie e scambiabili.
Queste
condizioni di scambio inapparente si danno in genere quando la condizione di
base tra coloro che scambiano risorse è diseguale, ovvero quando sia
imputata ad età, censo, cultura, sesso, un differenziale di potere sociale
che dà ad una delle due persone una opportunità di stabilire una relazione
che contenga un'idea di tutela avallata da una delega sociale. La persona
che riveste una posizione sociale di maggior potere ha una delega sociale
implicita/esplicita ad esercitare un ruolo di tutela e di protezione che in
qualche modo nasconde o impedisce lo scambio paritario tra risorse. Per
mantenersi in un ambito di dipendenza fisiologica queste situazioni "
di dipendenza unilaterale" devono poter essere temporalmente limitate e
finalizzate al trasferimento di strumenti che mettano in grado la persona di
procacciarsi le risorse in autonomia.
Pensiamo
per esemplificare alla condizione più nota di dipendenza fisiologica
unilaterale: il rapporto genitori e figli. In questo rapporto,
esemplificativo dei rapporti educativo-formativi, la condizione di tutelato
è limitata ad un periodo della vita ed il mandato sociale ai genitori o
agli educatori è trasferire strumenti e competenze perché la persona sia
in grado di entrare nel circuito di scambio e provvedere alle proprie
risorse direttamente o indirettamente.
Ma
come succede che questa dipendenza unilaterale diviene patologica?
Questo
mandato di delega sociale può essere rotto ed il tutore designato può
sostituire all'interesse del tutelato, che consiste nel promuoverne la
competenza e l'autonomia, il suo interesse personale che è l'utilizzo della
persona attraverso il mantenimento della situazione di dipendenza.
La
situazione di dipendenza si mantiene inducendo e/o mantenendo e rafforzando
la percezione di incapacità ed inautonomia; colui che si sente incapace e d
inautonomo sente il bisogno di integrare il proprio sistema di sicurezze
personale con una protezione esterna. Così basta promuovere il meccanismo
di induzione della incapacità per sviluppare l'interesse della persona alla
tutela. Quando si è stabilito, sulla base di una percezione di carenza
soggettiva, l'interesse alla tutela, i bisogni di benessere del tutore
saranno percepiti come interessi soggettivi (come faccio se il tutore mi
abbandona o se non contribuisco a tenerlo in buona salute?).
Da
questa percezione ( il suo interesse è il mio) trae origine la disponibilità
a dare le proprie risorse all'altro senza chiedere nulla in cambio di
equivalente se non la protezione stessa postulato di questo tipo di
rapporto.
Gli
effetti della dipendenza unilaterale e dell'abuso del rapporto di tutela
sono:
-
mantenimento della percezione di incapacità e bisognosità,
approfondimento ed estensione nel tempo di tale percezione;
-
appropriazione delle risorse del protetto, e sovraccarico nel tempo
di compiti e responsabilità per conto di altri;
-
mancanza di riconoscimenti e di compensazioni delle attività
svolte;
-
riduzione della stima di sé e del senso di valore personale e
percezione di incapacità a stabilire altri rapporti ovvero percezione di
insostituibilità della relazione;
-
depauperamento in un processo continuo di trasferimento di risorse
all'esterno senza riconversione e senza immissioni di nuove risorse.
Effetto
generale di questo rapporto di dipendenza è l'aumento improprio dei carichi
di lavoro e responsabilità, la riduzione di rete relazionale esterna al
rapporto di dipendenza, privazione di riconoscimenti e compensi, riduzione
della stima di sé, progressivo aumento del valore attribuito all'altro e
cronicizzazione del legame di dipendenza.
E
può succedere che si instaurino rapporti di dipendenza unilaterale anche se
non vi siano deleghe esplicite alla tutela?
Questi
rapporti di tutela sociale, costituiscono dei modelli per l'instaurarsi di
rapporti di dipendenza unilaterale senza che vi sia una delega
giuridicamente valida e condizioni di reale disparità e dislivello di
capacità soggettive, ovvero anche quando non vi sono rapporti educativi e
formativi giuridicamente validi.
Il
modello della tutela e della dipendenza unilaterale lo troviamo tutte le
volte che ci troviamo di fronte ad un processo di "messa in
dipendenza" di qualcuno.
Questo
processo ha origine concreta da un conflitto di interessi in cui le
posizioni di due persone sono presenti e definite ma destinate alla
contrapposizione, per giungere ad una soluzione in cui una delle due
posizioni è azzerata e /o assorbita nell'altra.
L'applicazione
di questi modelli, si è già detto ma è bene ripeterlo, trova terreno
fertile in tutte le situazioni in cui si dà un differenziale di potere la
cui origine è presentata ( dalla cultura, dai pregiudizi, ecc.) come
differenziale di capacità e risorse soggettive. Con queste condizioni, la
messa in dipendenza di una persona ( ma non solo, nell'ambito politico e
sociologico questo modello trova applicazioni più vaste: interi popoli o
classi sociali) facilita l'assorbimento delle capacità e delle risorse
altrui senza introdurre la relazione di scambio e di riconoscimento
reciproco delle rispettive competenze e contributi.
Il
processo di messa in dipendenza consente l'azzeramento del conflitto con
l'eliminazione di una delle posizioni. Il processo di messa in dipendenza
(percezione di bisognosità dell'altro per sostenere le proprie carenze)
risolve il conflitto con la funzionalizzazione di una delle due persone al
sistema di bisogni dell'altro.
Ad
esempio supponiamo che vi sia contrasto tra la posizione di un datore di
lavoro e di un impiegato, da un lato c'è la richiesta di un maggiore
riconoscimento dall'altro l'esigenza di mantenere lo stesso carico di lavoro
(o aumentarlo) senza per questo pagare un prezzo aggiuntivo. Supponiamo che
la persona sia molto competente, ma non abbia un titolo ufficiale per questa
competenza, ( carenza culturale) e non sia acquisibile ( mancanza di tempo,
di risorse finanziarie, ecc.), e che consideri svolgere quella mansione una
"scelta libera ( gratuita) del datore di lavoro" questa persona si
trova nella posizione ideale per essere messa in dipendenza dal datore di
lavoro, che vuole comunque utilizzare le sue competenze (lo considera
indispensabile), ma non vuole pagare il prezzo adeguato.
Un
modo per avere le risorse o le risorse aggiuntive senza pagare il prezzo e
senza perdere la persona (che potrebbe cercare altri committenti) è creare
una situazione di dipendenza: poggiare sulla insicurezza e approfondirla in
modo che la persona, l'impiegato nel nostro caso, pensi che le sue
competenze siano sostituibili mentre è insostituibile l'offerta e la
liberalità del datore di lavoro. Basta che il datore di lavoro abbia un
atteggiamento di non riconoscimento delle capacità, metta in risalto gli
errori commessi, usi la svalutazione appena possibile, perché si possa
formare nel tempo la percezione di non essere all'altezza dei compiti: con
ciò la persona diviene disponibile a fare più cose per dimostrare le
proprie capacità, per cercare il riconoscimento e confermarsi di essere
capace, per paura di perdere la relazione.
Esaminiamo
ora tutte le possibilità di agire del datore di lavoro in questo caso:
-
riconoscere di avere bisogno delle competenze dell'altro e
contrattare un prezzo qualsiasi (ma se è troppo basso rispetto al mercato
la persona è messa in condizione, una volta che la richiesta ha confermato
le sue competenze ed il suo ruolo nell'azienda, di andare altrove) ed
esporsi all'incertezza della risposta e del rifiuto.
-
minacciare, con il peso di ritorsioni e di ricatti che la persona
lavori senza compenso in più;
-
adottare una strategia che presenti il bisogno di svolgere più
compiti e di compiacere il datore di lavoro come un proprio interesse al
mantenimento di un posto di lavoro, ovvero di inserire il criterio della
incapacità soggettiva come limite alla libertà d'azione e all'autonomia di
scelta dell'impiegato.
Lo
scambio introduce un criterio di orizzontalità che è antagonista rispetto
alle posizioni di potere precostituite. Dove vi sono differenze di potere
sociale, la consapevolezza dello scambio anche tra risorse ineguali, crea le
condizioni soggettive per il superamento delle differenze e l'instaurarsi di
condizioni paritarie. Là dove non si può accedere alla relazione di
scambio, si produce una condizione di subordinazione cronicizzata che dà
luogo a forme di dipendenza patologica ( mantenere la relazione con una
persona che "mi tratta male").
Questa
dinamica complessa, dove i fatti possono essere letti su due versanti o
registri diversi:
-
quello soggettivo della percepita carenza personale, del bisogno di
protezione e tutela, della difficoltà a muoversi in autonomia,
-
quello oggettivo o meglio interpersonale in cui la percepita
carenza personale è funzionale ad accrescere le competenze o a soddisfare
un altro sistema di bisogni, [11]
crea
ostacoli concreti alla modifica di condizioni di esistenza personali
svantaggiose.
Queste
dinamiche possono presentarsi in ogni situazione sociale in cui emerge un
conflitto ed in cui vi sia tra le posizioni contrapposte un differenziale di
potere, ma il terreno fertile è l'ambito dei rapporti familiari ed in
particolare le relazioni asimmetriche e tendenzialmente investite di un
mandato sociale di tutela: le relazioni genitori-figli e le relazioni
uomo-donna. I modelli di dipendenza di queste relazioni saranno approfondite
in altra sede [12].
Definito
il meccanismo relazionale più implicato nella produzione di disagio
psichico, passiamo a definire la metodologia di intervento più appropriata
allo scopo di disconnettere il circuito patologico della dipendenza a
partire dalla persona che da questa relazione mostra di avere avuto maggiori
danni in termine di malessere psicofisico.
Un
intervento specifico su questo terreno è necessario tutte le volte che
nell'analisi di vita e del quotidiano il tecnico si trovi di fronte
all'ostacolo della dipendenza, ovvero alla difficoltà della persona a
modificare e/o dismettere i comportamenti disfunzionali alla sua salute per
timore di incorrere in sanzioni di persone del suo contesto di vita.
Per
definire la presenza di una relazione di dipendenza si devono dare le
seguenti condizioni:
-
la persona sente e poi verbalizza di fare tutto per gli altri, e di
orientare i suoi bisogni e le sue scelte in dipendenza dei bisogni e delle
scelte degli altri
-
la persona si sente vincolata a fare queste cose dai modelli, dai
giudizi, dalla paura di perdere la relazione o le relazioni affettive.
-
La paura di perdere le relazioni non è solo la paura di non essere
più amati, ma la paura di rimanere soli ovvero di non essere in grado di
svolgere la vita da soli
-
La persona si rappresenta incapace a vivere da sola, perché
incapace a fare una o più cose da sola, o incapace in generale di essere
autonoma, e incapace ad apprendere ad apprendere modi di essere autonomi.
-
La persona percepisce una immodificabilità del suo stato di
incapacità e dipendenza attribuendolo a fatti naturali, congeniti, storici
stratificati.
-
La persona percepisce la insostituibilità della relazione di
dipendenza: se perdo questa relazione o se non sono amata nessun altro lo
farà
-
La persona si percepisce invece come sostituibile e svalutata,
chiunque può fare le cose che fa lei,
-
La persona si sente pressata dall'interno a continuare negli
atteggiamenti di sottoposizione, ( sensi di colpa e paura di perdere la
tutela)
-
La persona si sente pressata dall'esterno (minacce, ricatti) a
mantenere gli atteggiamenti di sottoposizione all'altro, agli altri.
-
La persona è insoddisfatta, si lamenta, ma non si sottrae alla
relazione, né prevede una possibilità di farlo: vorrebbe solo essere
riconosciuta e ricevere apprezzamenti, vorrebbe solo con quella persona una
relazione che non c'è, che non c'è mai stata, o che c'è stata solo in un
brevissimo arco di tempo.
Queste
sono le sequenze del vissuto di dipendenza, una sorta di circolo chiuso in
cui si costruisce e si conferma una immagine di sé come incapace e senza
valore.
Molte
volte il perpetuarsi della situazione di dipendenza, soprattutto se le
relazioni sono tra persone giovani, produce ciò che la persona dipendente
teme di più: essere abbandonata.
La
persona che ha subito gli effetti della relazione di dipendenza presenta una
organizzazione della vita quotidiana del tipo seguente:
·
sovraccarico di lavoro e responsabilità per conto di altri;
·
attenzione a tutto ciò che è intorno e può interferire con il
benessere dell'altro;
·
attività di prevenzione di quello che è disfunzionale al
benessere dell'altro;
·
riduzione progressiva dei propri spazi ed interessi personali;
·
riduzione dei rapporti interpersonali se in contrasto con la
relazione di dipendenza;
·
risposte progressive di svalorizzazione su richieste più pressanti
di riconoscimento;
·
stanchezza, perdita di interessi, sconforto, e disistima personale.
L'intervento sulla relazione di dipendenza utilizza tre strumenti più
o meno contemporaneamente:
¨
l'analisi storico-concreta delle capacità della persona e delle
dinamiche di dismissione di queste capacità: è importante che la persona
visualizzi rispetto alla propria storia un prima ed un dopo della percezione
di incapacità e che storicizzi la nascita del vissuto di incapacità in
modo da superare la percezione della immodificabilità che è potente
alleato della condizione personale di dipendenza.
¨
L'analisi dei percorsi svalutativi: quali giudizi sono più
frequentemente usati nel mettere in discussione le capacità e a quali
ambiti si riferiscono e da parte di chi sono usati.
¨
L'analisi degli interessi delle altre persone o dell'altra persona
implicata nel rapporto di dipendenza: l'evidenziare i percorsi e le ragioni
che possono aver portato la persona a sfruttare una relazione di dipendenza
oggettiva.
In
questa triplice visualizzazione si apre la possibilità di leggere la
dipendenza in modo diverso rispetto all'auto-attribuzione di incapacità e
colpa per la mancanza di autonomia. In questo modo si intravedono altre
motivazioni, e si profila una prima ipotesi di presenza di un valore
personale.
Queste
tre analisi portano al riconoscimento della falsità della relazione di
dipendenza unilaterale e alla ristrutturazione della percezione di questa
dipendenza come una relazione di dipendenza reciproca
Questo primo passo cognitivo apre le porte alla seconda parte
dell'intervento per sviluppare una serie di modifiche comportamentali:
·
liberare risorse. La comprensione dei meccanismi di dipendenza apre
la strada al ritiro dell'apporto di proprie risorse alle attività altrui;
·
ritirare l'attenzione dall'altro e dalle sue esigenze per
prevenirle e soddisfarle e rivolgerla a sé;
·
sperimentare altre relazioni ed attività separate dalla persona
con la quale si è in rapporto di dipendenza.
Questi
interventi che puntano alla modifica della relazione di dipendenza sono
interventi graduali che supportano la sperimentazione di nuove capacità e
delle autonomie, stimolano la persona ad un allargamento della base
relazionale che è fondamentale per non vivere la relazione con
insostituibile.
In
questo modo la persona acquista conoscenza delle reali capacità ma anche
delle possibilità di acquisirle da sola o attraverso altre relazioni;
ridisegna la propria capacità contrattuale, visualizza le risorse presenti
e quelle da acquisire, e soprattutto si pone nella relazione senza l'idea
della sua insostituibilità.
Effetto
complessivo di questa parte dell'intervento è che la persona è messa in
condizione di visualizzare l'esistenza di uno scambio di risorse, e quindi
di percepire finalmente presenza e consistenza delle proprie risorse e
capacità.
La
ricognizione delle risorse esistenti costituisce il primo passo per
interrompere il cerchio della dipendenza. Sulle risorse personali e sulla
percezione di sé, si apre il quinto campo di intervento.
Un |
L'importanza
di questo quarto campo è dato dal fatto che il mutamento della percezione
di sè, l'attribuzione di valore a se stessi è il passo decisivo per uscire
dalla situazione di dipendenza (subordinazione dei propri interessi a
quelli altrui, percezione di insostituibilità dell'altro) per sviluppare in
autonomia ( ovvero rispondente ai propri bisogni di benessere) un progetto
di vita o di uscita dal malessere.
L’importanza di raffigurare una persona come capace, in grado di
prendere decisioni e fare scelte in autonomia lo abbiamo rappresentato in
maniera estesa nel quarto campo dell'intervento; nel quinto campo
affronteremo il problema di visualizzare e far emergere le capacità della
persona con cui si svolge il lavoro psicoterapeutico.
Definiamo anche qui dei criteri generali a cui è necessario
attenersi per non creare una sopravvalutazione nella persona e per evitare
la dipendenza dal terapeuta come colui "unico che valorizza
e gratifica".
L’operatore
in questo caso, come in tutti i campi, non crea e scopre risorse dal nulla,
nè ha una griglia pre-formata su cui misurare il valore delle
risorse e capacità ottimali.
Ogni
persona, ha nella sua storia, possibilità e capacità che possono essere
state accantonate, non visualizzate: sono queste le capacità da far
emergere e su cui stimolare attenzione e motivazione all’investimento
personale.
La
individuazione delle risorse è fatta sempre attraverso la esplorazione
della storia personale presente e passata. Un elemento nuovo ed originale da
utilizzare, quando non emergono dalla storia indicazioni su esperienze
personali, è l’esplorazione del livello del desiderio: ciò che si
sarebbe voluto fare ma che non è mai stati iniziato.
L'insieme
di questi due strumenti: la storia passata e l'analisi del desiderio danno
la possibilità di riconfigurare un profilo di capacità e competenze
sottratto alle dinamiche di potere tipiche dei rapporti di dipendenza
patologici. Ma le capacità personali possono essere state accantonate anche
in rapporto a modelli di ruolo selezionati come preferiti dalla persona
stessa, è importante verificare anche il livello di coinvolgimento dei
modelli ( sesto campo di intervento) nella scelta di comportamenti
personali.
Il
percorso terapeutico della reimpostazione dell’immagine di sé non può
poggiare solo sul livello cognitivo. Tutto ciò che attiene al campo del sè
e del per sè, comporta una attivazione di una sfera emotiva legata alla
soddisfazione ed al piacere.
La
valutazione delle risorse da attivare è accompagnata da una sensazione di
soddisfazione, di piacere, di “pieno” (contrapposto al senso di
insoddisfazione, vuoto, dispiacere, ma anche solo assenza di piacere). Le
risorse personali attivate, le capacità messe in atto portano con sè anche
le sensazioni di piacere che costituiscono quindi segnali importanti di una
attivazione di risorse adeguata al sistema di benessere personale.
Il
piacere personale costituisce quindi una importante chiave di lettura per
misurare con l’utente la validità di scelte personali, contrapposte a
scelte che riguardano la sfera del “per altri”; ma questa chiave
di lettura non sempre è disponibile.
Inseriamo
in questo campo (ma la si può inserire in tutti i campi) l’analisi di una
procedura da utilizzare quando all’utente, per la sua storia, sembra
preclusa la possibilità di “provare piacere”.
Occorre
che in questa fase il piacere sia rintracciato nelle seguenti
rappresentazioni:
-
nell’assenza di dispiacere e di sensazioni sgradevoli,
-
nel collegamento ad altre fasi della vita in cui era presente,
-
in attività che ipoteticamente rappresentano solo interessi
personali in quanto non si rintraccia negli altri (le figure del contesto
implicate nel percorso di ammalamento) alcun motivo di interesse personale o
di condivisione dell’interesse.
Sul
piano pratico l’indicazione da dare è:
il
fare, lo sperimentare alcune attività, adottare alcuni comportamenti,
scegliere alcune cose, ecc., anche in mancanza di sensazioni di piacere,
a due condizioni:
a.
la valutazione che tutto ciò in passato procurava piacere o
desiderio;
b.la
verifica che nell’attualità ciò non può interessare
nessun altro.
L’adozione
di questa procedura permette di immettere l’utente in alcune attività o
scelte, senza un preventivo riconoscimento del loro carattere piacevole, e
di individuarle come piacevoli solo successivamente alla loro
sperimentazione o ri-sperimentazione.
Le
scelte personali, auto-centrate, sono infatti quelle che hanno le maggiori
possibilità di creare, valore, aumento e/o ritorno di risorse,
rappresentazione positiva di sè e quindi soddisfazione e piacere.
Il lavoro in questo campo d'azione ha due obiettivi:
v
liberare risorse
-
individuare e valorizzare capacità e risorse esistenti
-
individuare e potenziare capacità e risorse accantonate
-
individuare e dare spazio di espressione a capacità e risorse
inesplorate
v
sviluppare uno stile comportamentale personale
-
individuare e valorizzare stili comportamentali esistenti
-
individuare e potenziare stili di comportamenti accantonati
v
Liberare
risorse
Lo
strumento principale è anche qui l'analisi della storia personale come storia in cui vi sia stata una
manipolazione delle risorse e capacità della persona: capacità
accantonate, abbandonate, sottovalutate, e capacità incentivate,
incrementate nell'interesse di altri. Risultato di quest'analisi è una
ricomposizione della propria mappa di capacità e competenze potenziali e di
quelle già in passato sperimentate.
Il
lavoro di ricomposizione prosegue con la selezione delle competenze da
sviluppare e di quelle nell’attualità da tralasciare, anche capovolgendo
quello che finora è stato fatto. Infine è possibile quasi ex novo
intraprendere nuove attività, dare un corso nuovo alla organizzazione della
propria vita quotidiana , attivando risorse e capacità mai sperimentate ma
presenti solo a livello di desiderio.
La
scoperta della capacità può interessare l'ambito lavorativo, ma anche
quello non lavorativo del tempo libero, della creatività, del volontariato,
anche un hobby può richiedere competenza e capacità ed essere riconosciuto
come investimento produttivo nella sfera del per sè.
Le procedure adottate
per l’emersione delle competenze sono di tipo cognitivo ed esperienziale
¨Strumenti e procedure di tipo cognitivo:
-
attribuire competenza alle cose che già si fanno, se queste sono
state svalorizzate, stimolando l’utente a confrontarsi con altri ambiti in
cui possono essere collocate
nel giusto valore;
-
ricercare ambiti di capacità e competenza al di fuori di quelli
praticati rivolgendosi alla storia delle risorse
accantonate e lasciate decadere per motivi esterni al proprio
interesse;
-
ricercare ambiti di capacità interesse e competenza mai attivati
finora. In questo campo il lavoro da fare è l’esplorazione del livello
del desiderio, di ambiti inesplorati ma ricchi di nostalgia per non averli
percorsi.
¨Strumenti e procedure di tipo storico-esperienziali:
-
attivare percorsi di
formazione in cui la persona, ancora incerta delle sue capacità, si può
mettere alla prova;
-
attivare relazioni di supporto in un’ottica di scambio e di
reciprocità;
-
individuare referenti per ogni nuova strada che si intraprende, senza
stabilire rapporti unici ed insostituibili;
v
Sviluppare uno stile comportamentale personale
Con
questo obiettivo si intende sviluppare soprattutto due modalità che
caratterizzano uno stile di comportamento personale:
a.
la modalità dell’evitamento,
b.
la modalità relazionale di
interdipendenza.
§
la modalità a. ) di evitamento e sottrazione rispetto a richieste
specifiche. Le richieste di cui si parla sono quelle che, alla luce dei
modelli, alla luce
dell’importanza e del valore del richiedente, sono vissute come non
rinunciabili, non defettibili, non rifiutabili.
Questa
modalità comportamentale, che è quella di saper dire “no”[13],
riassume in sè tutte le altre capacità e competenze parziali che
riguardano la definizione del sè, dei propri limiti ( oltre che delle
proprie risorse).
Il
rispondere no rinvia ad una
percezione di sè come persona finita che ha limiti precisi; la
ridefinizione dei propri limiti comporta inevitabilmente la ridesignazione
dei limiti e confini anche dell’altro.
Questa
capacità per così dire “geografica” è di notevole importanza per
mettere in chiaro e definire i propri interessi ed il proprio sistema di
bisogni rispetto al sistema di bisogni e di interessi altrui e per precisare
le relazioni di scambio tra due confinanti in un’ottica di reciprocità
L’individuazione
di un proprio stile comportamentale, nella situazione di malessere, è
soprattutto la riorganizzazione del comportamento così detto di evitamento
e sottrazione[14] conseguente alla
attivazione della capacità di valutare la linea di confine tra sè e gli
altri.
Questa
capacità è quella che permette sempre di orientarsi di fronte agli eventi
nuovi ed alle richieste del contesto: la capacità di rispondere senza una
risposta pre-formata o pre-stabilità dai modelli sociali e di ruolo. Ciò
è possibile se vi è un affinamento nell'attenzione al proprio mondo
interno, ai propri desideri, a
ciò che costituisce una fonte di piacere o dispiacere diretto (non
indiretto che riguarda altri).
In
sostanza la persona deve potere sentirsi libera di rispondere positivamente
o negativamente ad una richiesta in base a valutazioni che non tengono conto del "cosa interessa agli altri,
cosa pensano o penseranno gli altri, cosa diranno, ecc."
Lo
stile comportamentale del farsi carico di tutto - che è insito come rischio
nella modalità comportamentale del fronteggiamento - dell'addossarsi i
compiti e le responsabilità e non lasciando agli altri la possibilità di
fare è fortemente alleato della patologia,
ed esso è ovviamente favorito in tutte le situazioni in cui non è
precisato il limite tra due sistemi personali di interessi e bisogni.
§
La modalità di entrare in relazione con gli altri in un sistema di
scambio e di reciprocità.
Questa
modalità di comportamento improntato alla dipendenza reciproca o bilaterale
(interdipedenza) comporta l’aver raggiunto una chiarezza circa le proprie
competenze, le proprie capacità, il proprio sistema di bisogni
differenziato, i propri limiti.
Attraverso
l’assunzione del comportamento improntato alla dipendenza bilaterale, le
relazioni con gli altri perdono il carattere totalizzante ed esclusivo
proprio della dipendenza patologica (unilaterale) e assumono caratteri di
maggiore fruibilità e fungibilità in relazione al proprio sistema di
bisogni. Uno stile comportamentale indirizzato a raggiungere più relazioni
funzionali, più relazioni di scambio ottiene come risultato una rete di
relazioni (tutte parziali e nessuna totale) su un terreno di parità e di
reciprocità di interessi.
In
definitiva l’obiettivo della ridefinizione di uno stile personale è il
riuscire a gestire gli eventi esterni non utilizzando sempre la misura del
fronteggiamento ( tipica del to cope)
ma anche sapendo utilizzare - quando necessario per l’equilibrio personale
e per il mantenimento in buona salute del proprio sistema psico-fisiologico
– la misura dell’evitamento e dell’allontanamento.
Inoltre
un buon stile comportamentale in sintonia con il proprio benessere deve
prevedere un sistema di relazioni a rete fondate sulla reciprocità dello
scambio e sulla fungibilità delle relazioni stesse.
Gli strumenti utilizzati in questo tipo di intervento finalizzato a
valorizzare e a far emergere questi due comportamenti, sono:
Gli
strumenti indirizzano l’intervento a:
-
la rilevazione di comportamenti interdipendenti, e di evitamento
presenti già nella storia personale e già esperiti nel passato;
-
la individuazione delle modalità di dismissione e accantonamento;
-
la individuazione degli ostacoli esterni alla loro assunzione;
-
la rappresentazione dei vantaggi personali nella loro assunzione;
-
la sperimentazione di questi stili ed il loro inserimento graduale
nella vita quotidiana;
-
la valutazione degli effetti della loro assunzione sul malessere e
sul sintomo.
La messa in discussione di capacità e risorse, la riscoperta di
capacità desideri ed interessi accantonati o la strutturazione di nuovi,
implica quasi sempre il confronto con i modelli ed i progetti personali.
I
modelli
La storia di una persona ci indica i modelli che sono intervenuti a
rafforzare determinate scelte e selezioni, per cui è necessario ritornare
anche a quei modelli per
ridefinire uno spazio più ampio in cui inserire le nuove scelte, o le
vecchie abbandonate.
Nell’analisi dei modelli entra la competenza del tecnico sui ruoli
sociali ed in particolare su quelli sessuali, razziali e generazionali.
E’ importante che l’operatore nell’esplorare i modelli di
riferimento della persona sia anche competente nella visione complessiva del
funzionamento di quei modelli: essi infatti possono contenere pregiudizi e
regole in sè costrittive.
Sono infatti i pregiudizi, i comportamenti consolidati dalle
abitudini cronicizzate, a costruire modelli restrittivi e conflittuali con
il bisogno di una libera espressione di sé.
Non si fa riferimento qui a norme sociali fondate sul diritto la cui
lesione può essere sanzionata sul piano giuridico e penale, ma ad usi e
consuetudini spesso in contrasto con un diritto più generale alla parità,
all’equità.
Ad esempio la tutela del minore, al di là delle norme sancite, può
determinare comportamenti di eccessiva protezione che ne limitano
l’autonomia e lo sviluppo: esistono a questo riguardo modelli
pregiudiziali e svantaggiosi per i minori che riguardano un
modo di svolgere la funzione materna come iper-accudente.
Questo stesso modello può essere svantaggioso per il figlio ma anche
per la madre, la quale potrebbe vivere questo comportamento come necessario
ed ineludibile per mantenere un giudizio positivo da parte degli altri, e
nello stesso tempo privarsi di alcuni spazi di attività più produttivi per
il proprio sviluppo personale.
Moltissime sono le possibili individuazioni di modelli costrittivi
dannosi per chi li assume e per chi li subisce.
Orientarsi non è semplice sul piano della definizione della validità
o meno di un modello: ma al livello terapeutico non è richiesto un
pronunciamento su questo o quel modello e sulla loro bontà intrinseca.
Ciò che qui si chiede in questa sezione è:
·
la visualizzazione della costrittività di un modello sulle azioni
che si vorrebbero liberamente esprimere,
·
la valutazione di questo modello costrittivo alla luce degli
ostacoli che crea,
·
la ridefinizione del modello attingendo ad altri contesti sociali e
relazionali come riferimento del valore e della possibilità di darsi una
nuova regola.
Come esempio possiamo considerare il problema della donna casalinga
in un contesto in cui è disapprovato il lavoro esterno; ebbene la donna
potrà esser aiutata a fare ciò che sente e desidera di fare, smontando il
carattere cogente e necessario
della regola “solo casalinga per essere una buona madre” confrontandola
con altri modelli e con altri contesti in cui il doppio ruolo è considerato
possibile o addirittura ottimale.
L’importante è che l’intervento sui modelli non venga utilizzato nella direzione di normare il comportamento della persona con l’idea di valutare o risolvere in questo modo (dando norme e modelli considerati più validi) il problema del malessere. Esempio di questa modalità inappropriata è mello spronare una donna depressa alla ripresa dei compiti domestici di cura e di accudimento, in nome dell’amore materno o del modello della buona madre; oppure valutare il decorso della malattia psichica in rapporto alla ripresa dei compiti da svolgere secondo uno dei modelli di ruolo.
L’intervento sui modelli deve essere finalizzato
all’alleggerimento del carico delle norme e regole che imbrigliano lo
sviluppo e l’autonomia del soggetto.
In questo campo si richiede una preparazione specifica al tecnico che
deve essere allenato a lavorare con i modelli di ruolo, e deve conoscere in
linea generale i principali pre-giudizi che investono la costruzione dei
modelli sociali.
Una misura che il tecnico può assumere nel rapporto con l’utente e
proporla all’utente stesso è dato dal verificare come il modello risponde
ad un criterio di intercambiabilità nell’applicazione a soggetti diversi.
Se esiste un modello per un “black” che non coinvolge anche un
“white” questo modello ha molte probabilità di avere un valore
costrittivo, di limitazione cioè
di sfere di competenze ed abilità per ambedue.
In definitiva i modelli di ruolo, sono sempre funzionali ad una
ripartizione pregiudiziale delle competenze e delle capacità, e alla
creazione funzionale di steccati e limiti. Essi vanno sottoposti a verifica
nel sistema di bisogni di una persona, soprattutto quando con grande
probabilità possono essere implicati nel percorso di formazione del
malessere.
Dai modelli poi discendono i giudizi del contesto sulle capacità o
meno di una persona, che sono
un terreno fertile per la riduzione del stima di sé.
Insieme ai modelli vanno anche analizzati i giudizi delle persone che
su quei modelli si basano: questi giudizi vanno rivisti e visualizzati come
invalidi in quanto portatori non di verità scientifiche ma di opinioni
soggettive e spesso pregiudiziali.
I modelli ancora fondano in parte anche i progetti personali: “non
faccio questo perchè non adatto ad una donna; non posso fare questo perchè
non adatto alla mia classe sociale, ecc.”
E’ importante anche ricostruire il valore inibente che i modelli
hanno o hanno avuto nelle scelte progettuali.
Da tutti questi presupposti discende
una modalità operativa che riassumiamo nelle seguenti procedure:
¨
cognitiva che consiste nel ristrutturare e ridimensionare i modelli
di riferimento
-
identificare i modelli pre-esistenti
-
valutare il carattere costrittivo
-
individuare la loro modificabilità alla luce di altri modelli o
modelli opposti;
-
esplorare la possibilità di mettere insieme modelli diversi e di
dimensionarli alle proprie esigenze ed esperienze indipendentemente dalla
propria collocazione di ruolo, di classe, di genere
¨
esperienziale ovvero della praticabilità o meno del modello
astratto ( sociale o di ruolo).
Con
questo tipo di intervento si vuole individuare anche la impraticabilità del
modello. Nella vita di una persona i modelli sono anche incarnati in
persone: queste “incarnazioni” appaiono dal punto di vista
osservazionale della persona (esterno
e spesso lontano) come
praticabili e soddisfacenti.
L’esempio di un padre, che nella sua vita non ha mai fatto errori
può trovare credito agli occhi di un ragazzo, se il ragazzo, oltre
a considerare possibile
che vi siano persone in grado di non commettere errori,
non è mai stato in grado di attribuire un errore al padre.
L’intervento esperienziale punta a
fornire questa specifica abilità: trovare nel sistema di vita di un altro,
eletto ad incarnazione di un modello, le crepe e le debolezze, utili non
tanto per screditare l’altro quanto per screditare l’applicabilità del
modello stesso.
Gli obiettivi di questa duplice azione
sono:
-
nel rapporto con i modelli, alleggerire il peso che da loro
proviene rispetto a immodificabilità, perfezione, attendibilità, equità;
-
nel rapporto con le persone, incarnazione di quei modelli,
individuare come normale la situazione e la esperienza di defettualità
rispetto ai modelli.
L’intervento
sui modelli ha effetto sulle relazioni di dipendenza patologica, in quanto
mostra la minore potenza della persona.
se questo potere era rafforzato attraverso il richiamo ai modelli di
ruoli e attraverso il richiamo a incarnazioni concrete di questi modelli
(esempi tratti dal contesto di vita della persona).
I progetti
I modelli costituiscono una delle basi per la formulazione dei
progetti personali.
L’attività progettuale inizia in maniera consapevole con l’adolescenza ed il periodo di addestramento e formazione sia al lavoro che alla vita di relazione affettiva e sociale.
L’attività
progettuale comporta un’analisi delle proprie risorse, capacità,
motivazione ed un’analisi esterna che riguarda le condizioni di
praticabilità esterna del progetto.
I
progetti hanno in genere due luoghi di applicazione:
-
la dimensione emotiva e le relazioni affettive
-
la dimensione del fare e le relazioni lavorative
I
criteri perchè un progetto sia buono, ovvero possa costituire per la
persona un momento di sviluppo ulteriore, sono i seguenti:
·
un progetto deve trarre origine da una buona individuazione delle
risorse personali, questa individuazione non deve essere ovviamente
fuorviata da pre-giudizi sociali e di ruolo. E’ necessaria una esperienza
nella auto-valutazione o un aiuto esterno per la valutazione per evitare
ovviamente i rischi della sotto-o sopra-valutazione.
·
La motivazione di minima al progetto deve contenere l’aspirazione
necessaria all’autonomia economica ed affettiva: ovvero la capacità di
sopravvivenza sia economica che emotiva auto-fondata
·
La motivazione di massima deve poter essere articolata in tutto
quello che la persona considera di pertinenza della sfera dei propri
interessi (la carriera, la politica, il matrimonio, ecc.) a patto che la
sfera dei propri interessi sia ben definita in rapporto alla sfera degli
interessi altrui.
·
La definizione del progetto deve contenere il riferimento alle
condizioni esterne che sono sempre modificabili, e pertanto non deve avere
carattere di necessità ed esclusività. E’ sempre possibile cambiare un
progetto, se questo è previsto ab
initio.
·
Una buona progettazione di sè deve comportare la previsione di
progetti di riserva, sempre sulla base dell’analisi delle proprie risorse.
·
Il progetto personale può avere carattere di condivisione, ma in
questo caso è necessaria un’attenzione particolare alla formulazione del
progetto perchè il progetto non crei dipendenza unilaterale.
Se
questi sono i criteri per definire un progetto buono, il percorso di
ammalamento e di formazione del
sintomo disattende molti di questi criteri, ed in particolare:
a.
la individuazione corretta delle risorse personali,
b.
la definizione degli interessi personali
separati da quelli altrui,
c.
l’aspirazione all’autosufficienza e al contrario la presenza di
una condizione di dipendenza unilaterale,
d.
la modificabilità del progetto e la presenza di progetti di riserva
dotati di pari dignità.
L’intervento
sui punti a,b,c, è già stato illustrato nei paragrafi precedenti, ma è
necessario chiarire il punto d., che costituisce una specificità relativa
al progetto.
Il
progetto è l’elemento di passaggio da una fase
all’altra del percorso di ammalamento visto come un processo in cui
si ampliano le quote di malessere fino alla formazione di un sintomo e si
restringono gli spazi di vita (attività, interessi, motivazioni, progetti).
Anzi questo restringimento degli spazi vitali è tutt’uno con la
formazione del sintomo anche se spesso il sintomo o la malattia psichica
sono visti come causa di questa modifica ( perdita di interessi, di capacità,
emozioni, di sfere di attività ecc.).
Nell’ultima parte del percorso di ammalamento, il lasso di tempo
che precede di poco ( 1-3 mesi) la formazione di un sintomo (codificabile in
una diagnosi medico-psicologica) si è parlato dell’elemento-goccia,
quell’elemento che costituisce l’occasione concreta perchè il vaso del
malessere trabocchi. Si è anche detto che questo ‘elemento goccia’ è
il più delle volte un evento banale ma è associato nella vita della
persona alla caduta di un’ultima aspettativa, di un’ultima parte di un
progetto che conteneva ancora la motivazione a portare avanti un determinato
tipo di vita, quel tipo di vita di cui il sintomo costituisce l’ostacolo e
l’interruzione.
Ebbene, la caduta dell’ultima aspettativa che è l’ultima parte
di un progetto, fa entrare nell’ottica della malattia se esso, e veniamo
al punto d, non è stato concepito come modificabile, se esso non è
sostituibile con altre aspettative ed altri progetti su cui fondare una
ripresa di motivazioni, aspirazioni, desideri, ecc. La caduta del progetto
in questo caso coincide con l’idea del fallimento personale.
Obiettivo principale dell’intervento, in questo campo di azione, è
scollegare l’idea della caduta del progetto con l’idea di un fallimento
personale e con la fine della propria attività di realizzazione personale.
Questo obiettivo è realizzabile con una serie di procedure che
mettono in discussione l’appartenenza del progetto alla propria area di
interessi personali; e che ridisegnano la progettualità personale.
Gli strumenti adottati sono quelli
soliti: storico-dinamici e cognitivo-esperienziali.
·
Dal punto di vista storico si recupera il processo attraverso cui
è stato elaborato ed identificato il progetto, le parti costitutive del
progetto, le aspettative collegate, e le fasi attuative, con relative
percezioni di fallimento o successo.
·
Dal punto di vista cognitivo si visualizzano gli interessi al
progetto identificando le parti del progetto che non appartengono alla
progettualità soggettiva.
Si ottiene così un primo passo verso l’alleggerimento della
condizione di fallimento che sottende e sviluppa
sensi di colpa ed incapacità.
Su questa base, il progetto non è più unico ed immodificabile ma si
sono aperti spazi emotivi e cognitivi per una sua rivisitazione ed
ampliamento. Si può così procedere alla revisione del progetto alla luce
delle attuali possibilità e condizioni della persona.
Nell’analisi storica del processo di formazione del progetto e
delle aspettative personali ci troviamo di fronte all’ultimo campo di
azione dell’intervento: le relazioni dell’adolescente con i suoi
genitori e con le aspettative ed i modelli genitoriali.
T |
Nell'ultima azione si profila la ridefinizione complessiva di un campo d’investimento personale: risorse, capacità, progetti, relazioni attività sono state rimesse in discussione alla ricerca di equilibri personali e relazionali che facciano superare la percezione del malessere ed il sintomo.
La ridefinizione complessiva passa attraverso la rivisitazione della propria adolescenza come punto di arrivo della storia infantile e punto di partenza della storia adulta.
L’adolescenza è il momento dell’apprendistato, delle prove di partecipazione al mondo degli adulti, dell’apprendimento consapevole dei modelli e dei ruoli in vista di un prodotto che è la definizione del progetto di vita da adulto.
Ovviamente l’adolescenza non è senza infanzia e senza i primi anni di vita, eventi importanti di questa fase possono gravare già sull’adolescente prima che si affacci alla fase della progettualità personale. Se vi sono segni importanti essi saranno letti nell’adolescenza. Se ad esempio un ragazzo giunge in prima media senza un amico e con uno stile di vita isolato, l’analisi andrà a visualizzare gli anni della scuola elementare. La rilettura dell’infanzia sarà sempre fatta tutte le volte che l’analisi della tappa adolescenziale rinvia a problemi precedenti. Ma soprattutto l’attenzione è sempre focalizzata nella fase di passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale per leggere quei cambiamenti che possono essere stati fonti di stress e di pressione capaci di creare un fattore di rischio per la salute.
L’adolescenza è infatti l’età dei grandi cambiamenti, una età in è a rischio di disagio: essa comporta la scoperta e la strutturazione consapevole di sé, delle relazioni sociali e sessuali consapevoli, dell’autonomia.
Parliamo qui di una adolescenza recuperata attraverso la storia. Dell’ammalamento durante l’adolescenza e degli adolescenti che si ammalano parleremo in una linea guida ad hoc.
Cosa allora ci aspettiamo di trovare nell’adolescenza di un adulto,
dopo che abbiamo esplorato tutti i campi
precedenti?
Nell’adolescenza ci aspettiamo di trovare la chiave ultima di spiegazione di una storia che ha mostrato tappe progressive di malessere e restringimento degli spazi personali. Ci aspettiamo di trovare un addestramento specifico ad un particolare stile di vita che è alleato della produzione di malessere.
Vi sono varie forma di progettazione che intervengono nella relazione tra l’adolescente e di suoi genitori che fanno parte di questa specifica relazione formativa composta di atteggiamenti pratici e di richieste verbali e normative.
Hanno senso per la produzione del malessere tutte quelle forme che giungono a:
· un carico di aspettative e di modalità per conto di altri che disattendono o si discostano da un modo personale di sviluppare la progettualità
· al restringimento e alla rinuncia a propri modi di vedere e di essere,
· alla sovrapposizione di altri interessi a quelli dell’adolescente,
· a funzionalizzare il progetto dell’adolescente a progetti ed aspirazioni di altri.
Analizziamo ora tutte le forme possibili di progettualità che possono manifestare i caratteri su menzionati ed entrare quindi nella produzione di un malessere futuro.
A. Progettazione del fare
B. Progettazione dell’essere
C. Progettazione della relazione
D. Progettazione della relazione di coppia.
Ognuna di queste forme di progettualità risulta dall’interconnessione tra gli input che provengono dai modelli realizzati dai genitori (chi sono, cosa fanno), dai modelli che i genitori avrebbero voluto realizzare e che non sono riusciti a realizzare ( i modelli ideali, cosa avrei voluto fare), ed i modelli normativi ( cosa è bene, è doveroso fare).
Gli input specifici che riguardano ogni singolo adolescente sono i modelli realizzati o quello che si sarebbe voluto realizzare; questi input hanno maggiore vicinanza all’adolescente e creano maggiore pressione. I modelli normativi sono modelli che vengono in secondo piano e sono rappresentati come alleati di questo o quel punto di vista dei genitori: costituiscono elementi di rinforzo generico; di essi si è già parlato nel campo dei modelli e non saranno ripresentati in questo campo d’azione.
Le varie forme di progettazione, che prenderemo in esame, possono avere tutte lo stesso effetto di costrizione, di sovraccarico, di privazione nel progetto personale di aspetti, quali: la motivazione, l’interesse, la creatività, la libertà di sperimentazione, il piacere, che costituiscono elementi importanti e significativi per la realizzazione ed il successo personale.
Infine tutti questi progetti (personali o meno), se appaiono caricati delle aspettative dei genitori assumono quei caratteri di immodificabilità e rigidità che determinano, in caso di insuccesso, la difficoltà a formulare un progetto di riserva.
A. La progettualità del fare: cosa voglio fare e cosa vogliono i miei genitori che io faccia sul piano delle attività, lavoro, famiglia.
L’adolescente può essere chiamato a sviluppare un progetto o parti di un progetto genitoriale: questa aspettativa dei genitori crea da un lato un sovraccarico sul progetto personale e dall’altro difficoltà a modificarlo (sensi di colpa ed incapacità) nel caso di fallimento. Tutto ciò che si fa per altri, come si è già avuto modo di dire, porta con sè dipendenza dei fini e quindi senso di immodificabilità soggettiva,( a meno che gli altri non lo desiderano e chiedano), doverosità, massima esposizione al giudizio altrui e alle altrui critiche, e senso di incapacità soggettiva ( riferita a sè e non all’altro per cui conto si agisce) in caso di insuccesso.
Le aspettative dei genitori entrano quindi in maniera consistente nella formazione di un disagio in quanto creano sovraccarico e carico improprio (carico in più, più responsabilità di quelle che riguardano la realizzazione personale), e percezione di immodificabilità rispetto a qualcosa di cui non si è il referente
Le aspettative dei genitori funzionano rispetto al progetto personale come restrittive o promotive: “non devi fare determinate cose che vorresti fare”; o “devi fare altre o più cose rispetto a quello che non vorresti fare”. Ambedue le funzioni hanno un unico effetto distogliere energie e capacità dell’adolescente alla realizzazione diretta del progetto personale e rivolgerle alla disattenzione delle aspettative o alla loro realizzazione.
Comunque esse creano sovraccarico e situazione di pressione interna con riduzione di risorse libere funzionali all’accrescimento e sviluppo della propria soggettività.
B. La progettazione dell’essere si riferisce agli aspetti e personalità stili di risposta preferiti: essere aggressivo, competitivo, socievole, disinibito, accomodante ecc.
Questa progettazione sul piano pratico è poco sensibile alle dichiarazioni ma assume direttamente gli aspetti che vede agire: una madre o un padre ansiosi o asociali, che prendono il figlio nell’area di supporto della loro ansia o della loro solitudine, creano una situazione da cui difficile è dissociarsi. Il volere poi che il figlio diversamente da loro sia socievole e non ansioso, non produce meno ansia e più socievolezza, ma crea soltanto il terreno fertile per una immagine di incapacità soggettiva “ i miei genitori vogliono che io sia socievole, mi spingono a fare amicizie, ma sono io che non ci riesco”.
Anche questa progettazione costituisce un fattore di rischio se risente del meccanismo della funzionalizzazionre e del coinvolgimento dell’adolescente in un’area di interessi impropri: l’area di supporto ai modi di essere dei genitori. Gli effetti specifici di questo meccanismo sono i sensi di incapacità e/od i colpa rispetto a modalità personali indotte ma al tempo stesso sottoposte a critica.
C. La progettazione della relazione.
Nella relazione il problema del modello della relazione scaturisce dal tipo di relazione con il mondo che hanno le figure genitoriali, e dall’analisi che viene fatta intorno al bilancio dare-avere.
In genere il modello pratico che illustra la relazione con l’esterno più implicata nel percorso di disagio è quello che fa riferimento ad un bilancio dispari tra le due polarità del dare e dell’avere[15]. Si dà e non si riceve, si dà fiducia e si riceve tradimento.
Questo modello è molto incisivo sulla capacità di relazionarsi con gli altri sull’onda del piacere e del “gioco”[16]. Esso sostituisce alla necessaria attività esplorativa ed esperienziale tipica dell’adolescenza, che prevede uno scambio con il mondo esterno fondato sull’interesse personale all’esperienza ed alla conoscenza di sè e degli altri, una impropria funzionalizzazione della relazione sull’onda di bisogni dell’adulto che sono quelli di costruire la relazione preferenziale con il figlio candidandosi ad unico referente e ottenendo in cambio la disponibilità ad utilizzarlo (funzionalizzazione del figlio) nell’area dei bisogni personali. L’adolescente è quindi indirizzato a valutare il rapporto con gli altri come un rapporto “in perdita” in cui non si realizzano obiettivi personali.
Tipici esempi sono le osservazioni, le critiche degli adulti alle relazioni degli adolescenti: “cosa hai ricavato, a che ti serve frequentare questo amico se non ti ricambia. Perchè fai un regalo se poi non lo ricevi ecc.”
Con questa modalità di intervento dell’adulto sul mondo relazionale dell’adolescente si veicola la percezione di una esperienza relazionale fondata solo sul dare in cui costantemente manca o è defettuale il ricevere.
In effetti con la trasmissione di questa esperienza si fornisce l’adolescente di una chiave di lettura impropria della relazione: una relazione unilaterale dove è presente solo il dare in una unica modalità “ il dare tutto”. Questa modalità non può dare origine ad alcuna relazione di scambio: come è infatti scambiabile e pareggiabile il “tutto” che è un concetto e non una quantità misurabile e concreta? Come posso pensare di ricevere in cambio qualcosa se io percepisco di dare tutto di me all’altro? Questa relazione unilaterale è anche quella che fonda la dipendenza perchè crea l’impossibilità a costituire una relazione di scambio e reciprocità tra risorse finite e limitate e quindi misurabili.
Se la modalità di relazione con l’esterno è censurata perchè non corrisponde al modello preferito della “totalità”; nella relazione all’interno, che è obbligata dalla contiguità di interessi familiari, può essere richiesta al figlio da un genitore, ed in particolare da quello che si sente deprivato di una tale modalità nei confronti del mondo esterno ( che si considera in credito e vuole essere risarcito). L’adolescente viene gravato doppiamente dal carico di un modello che non gli consente relazioni libere (attento alla ingratitudine) all’esterno e dal carico delle aspettative risarcitorie del genitore ( mi aspetto da te quella gratitudine che gli altri non mi hanno dato).
L’adozione di questa modalità toglie energie e risorse ai progetti personali, all’esperienza di relazione, e rende deboli le relazioni con gli altri ( modello del tutto o niente) e focalizza l’attenzione sulla relazione familiare che viene ad essere il luogo in cui si agiscono le aspettative di riconoscimento e le aspettative risarcitorie del “dare”.
L’investimento nella relazione familiare, con le caratteristiche indicate, rispetto a quella esterna censurata, e l’apprendimento di una relazione del tutto o niente costituiscono elementi della progettazione adolescenziale a rischio di patologia psichica.
La non adozione di questa modalità relazionale, se veicolata come esigenza familiare, apre la porta alle critiche, ai vissuti di incapacità e di colpa, alla costruzione di una immagine di sè carente.
D. la progettazione della relazione di coppia
Oltre il modello relazionale generale, nell’adolescenza il progetto di sè si fonda anche sulla percezione della relazione specifica tra i genitori: questa relazione sarà un guida per le relazioni dell’età adulta con l’altro sesso.
Anche in questo caso la progettazione viaggia su due binari:
q i modelli pratici ,
cosa fanno i genitori e come si comportano tra loro, cosa dicono ciascuno dell’altro, i loro livelli di soddisfazione espressi nella relazione;
cosa fanno i genitori in relazione al coinvolgimento del figlio nella loro relazione e cosa dicono del figlio;
come sono nel rapporto diretto con il figlio
q i modelli astratti teorici o ideali,
come vorrebbero la relazione tra di loro e cosa vorrebbero che l’altro facesse nella relazione;
quali aspettative hanno dal figlio in relazione alla loro vicenda coniugale;
come rappresentano se stessi nella relazione con il figlio.
Valutiamo i comportamenti che hanno maggiore implicazione nel disagio partendo dall’opzione che il coinvolgimento diretto del figlio nelle dinamiche di coppia[17] ( di qualsiasi gravità esse siano) è un primo fattore di rischio relativo a questo ambito.
Cosa fanno i genitori
I genitori si presentano sulla scena di cui l’adolescente è osservatore e spettatore con una relazione dispari in cui uno appare come prevaricatore (cattivo) e l’altro come vittima (buona). La vittima è tale per vari motivi: non è considerata, è trascurata, non è corrisposta nelle attenzioni, è vilipesa, criticata, svalutata, maltrattata fisicamente o psicologicamente.
La vittima crea una esigenza di protezione e di supporto in quanto incolpevole, la vittima crea lavoro diretto per l’adolescente. La vittima crea anche intolleranza perchè crea lavoro aggiuntivo, rinuncia ai propri interessi, la vittima non crea un processo di identificazione positivo; l’adolescente non vuole essere nella vita una vittima, l’adolescente rifiuta di identificarsi nel genitore vittima.
La vittima crea dipendenza ( necessità a tutelarla) ma anche aggressività ( lavoro per altri, sottrazione di energie ai propri interessi)
Il prevaricatore crea aggressività ed odio perchè esercita un potere violento; perchè per tutelare l’altro è necessario misurarsi con il violento “ mettersi in mezzo”, esporsi fisicamente e psicologicamente; dall’esistenza di un prevaricatore nasce l’esigenza di tutela.
Ma il processo di identificazione con il prevaricatore può essere facilitato: perchè è meglio avere ed esercitare un potere che subirlo. Ecco che il prevaricatore produce odio ma anche ammirazione, desiderio di emulazione.
Quando vittima e prevaricatore sono i due genitori, a parte le difficoltà implicite nel gestire la situazione ( per cui è facile che l’adolescente in situazioni conflittuali di questo tipo si ammali o produca tipologie di comportamenti ambivalenti), ne risultano modelli conflittuali.
Cosa dicono i genitori e cosa
chiedono al figlio
La vittima si dibatte tra il desiderio espresso di chiudere la situazione ma l’impossibilità di farlo, lamenta il tradimento e l’ingratitudine, e richiede al figlio affetto in risarcimento, schieramento e rifiuto dell’altro.
Il prevaricatore lamenta l’incapacità della vittima ad essere autonoma, la sua colpevolezza nel provocare le reazioni di intolleranza e di violenza, non chiede supporto ( protezione e tutela) ma condivisione del giudizio negativo sulla vittima, chiede solidarietà nella gestione del potere.
La vittima vorrebbe essere protetta, ascoltata, supportata, valutata, vorrebbe una dipendenza felice, in cui in maniera armonica si compongono le finalità di ciascuno all’interno della coppia senza patti e senza scambi: “io faccio tutto per te secondo quelle che sono le tue esigenze e tu fai tutto per me secondo quelle che sono le mie esigenze”.
Il prevaricatore vorrebbe che l’altro facesse tutto per lui senza altro in cambio perchè lui mette a disposizione dell’altro il suo potere ( economico, culturale, ecc.) e gli dà protezione: “non vuole che l’altro si lamenti, faccia richieste aggiuntive, lo limiti nella sua libertà e nei suoi interessi personali”.
In questa dinamica di interessi genitoriali contrapposti, l’adolescente resta implicato in una vicenda che lo segna nella progettazione di sè, e nell’assunzione di una posizione nella relazione di coppia.
Ma è soprattutto il supporto al genitore vittima e/o lo schieramento con il genitore vittima che è direttamente implicato nella produzione di disagio psichico.
Sono tipici fattori di rischio per il disagio psichico: il processo di vittimizzazione con il supporto al genitore percepito e rappresentato come vittima e il processo di identificazione con la vittima.
Sono fattori di protezione, l’assenza di processi di vittimizzazione, l’assenza di richiesta di supporti in vicende di questo tipo, la mancanza di un processo di identificazione con la vittima.
Se non vi è stato un percorso di ammalamento nell’adolescenza si deve presupporre che un elemento o più, di quelli individuati, siano mancati.
Dall’esperienza clinica con adulti si evince che un elemento mancante possa essere il processo di identificazione totale con la vittima.
In questo caso di una mancata identificazione con la vittima, vi è esperienza clinica che l’adolescente ha fatto un investimento progettuale (sul futuro) relativamente alle proprie capacità di non essere “mai vittima” nella relazione di coppia e di non tollerare la prevaricazione. Sono tipiche le affermazioni di questo genere: “non sarò mai come te, incapace di tenere testa al partner”.
Le aspettative sul genitore prevaricante dipenderanno poi da come agisce il genitore nei confronti del figlio o da come viene rappresentato dal genitore vittima che intanto tende ad avere un rapporto di alleanza con il figlio
Il rapporto dell’adolescente con il genitore prevaricante può essere di scontro ma anche di identificazione come modello antagonistico a quello della vittima; e questo rapporto di scontro potrebbe contenere una gratificazione: il riconoscimento da parte del genitore prevaricante di essere capace di tenergli testa.
Altre volte invece il genitore prevaricante è rappresentato come tale anche nella relazione con i figli al di fuori della relazione di coppia, ed il genitore vittima come tollerante e non autoritario: il genitore vittima cioè è colui che non decide o non può decidere e lascia decidere .
Sulla base della rappresentazione del genitore prevaricante come intollerante, incapace ad avere una relazione, disinteressato ai figli, ecc., il genitore vittima tende a costruire un’alleanza più stretta, in cui far emerge nella relazione con il figlio un interesse o condizione comune.
In questo caso Il genitore prevaricante è doppiamente prevaricante: con il partner e con il figlio.
La rappresentazione del genitore come prevaricante in assoluto (con partner e figlio) chiude la possibilità o il pericolo di una possibilità di alleanza contraria, perchè fa emergere un interesse comune tra figlio e genitore vittima.
Si crea quindi da un lato un rinforzo ad un’alleanza; e dall’altro un distacco ed una perdita del rapporto con il genitore prevaricante che viene messo fuori gioco nella relazione.
Sul progetto futuro influiscono quindi: il supporto fornito al genitore vittima e il tipo di rapporto con il genitore prevaricatore, il processo di identificazione con uno dei due ruoli. Qualunque sia il progetto, in questa situazione, sarà caricato di aspettative eccessive: esso stesso infatti avrà un carattere risarcitorio rispetto alle risorse personali spese nel supporto, alla mancanza di reintegrazioni delle risorse spese (carenza del genitore vittima e rapporto di scontro o assenza del genitore prevaricante), alla mancanza di supporti familiari per accrescere le proprie risorse ( genitori impegnati nelle dinamiche di coppia).
In
sintesi
In questa relazione che non viene risolta dagli adulti l’adolescente è chiamato a supportare la figura soccombente, quella che si mostra insoddisfatta dalla relazione, rapporto, o comunque supporta la coppia nelle vicende alterne dello sbilanciamento di potere.
Nei confronti della vittima svolge un ruolo di protezione, mediazione con l’altro, risarcimento affettivo per non ricevere riconoscimenti:
- viene implicato in una funzione di supporto del genitore vittima,
- viene implicato in un giudizio negativo su tutti e due i genitori sia come vittima che come prevaricatore,
- viene implicato in un processo identificatorio ambivalente,
- viene implicato nelle aspettative dei genitori e nel loro fallimento di un progetto di coppia ideale in cui vi sia naturale armonia, e dove non si danno ruoli di vittima e di prevaricatore.
In conseguenza:
- spende risorse personali nel supporto di un genitore vittima in una tipica inversione dei ruoli
- sviluppa senso di mancanza di risorse personali e sviluppa una percezione di bisognosità ed un’idea o un progetto di ripianamento delle risorse in relazioni future di supporto
- apprende modelli unilaterali e assolutisti ( buono o cattivo) e tenderà a riproporli nella propria relazione di coppia;
- apprende stili comportamentali che sosterranno la ripetizione delle modalità asimmetriche di relazione all’interno del rapporto di coppia e non comportamenti dall’angolo di osservazione che è dato dalla posizione di sesso apprende uno stile di comportamento nella relazione.
Raccomandazione di genere
Occorre
qui una precisazione sul genere perchè come in altre situazioni i
processi di ammalamento psichico corrono parallelamente alle vicende di
costruzione del ruolo femminile: così troviamo preferibilmente nel ruolo
di vittima la madre, e troviamo preferibilmente nel ruolo di supporto la
figlia femmina. In questa combinazione prevalente la figlia femmina si
trova a difendere la madre, ad identificarsi a volte nel ruolo di vittima
o altre volte a rifiutare il ruolo di vittima , e a svolgere un ruolo più
simile al padre (attivo, contrappositivo, affermativo che esercita un
protezione della madre al posto del padre)
Come si affronta con l’adulto la situazione della propria implicazione
come adolescente nelle vicende genitoriali?
Ciò che va analizzata è la relazione di supporto che la persona ha svolto nell’adolescenza, questa funzione di supporto emerge da una narrazione della vicenda genitoriale. Visualizzando la relazione padre-madre all’epoca della seconda infanzia e dell’ adolescenza, in particolare nella fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, si possono ottenere tutte le informazioni necessarie a definire se l’adolescente dell’epoca era in situazione di inversione del ruolo ( ruolo di supporto ad un genitore).
La individuazione di un ruolo di supporto, che si può inferire anche da vicende oggettive del nucleo familiare ( problemi economici, separazioni, lutti, ecc), deve far procedere l’indagine sulle modalità interne alla relazione padre-madre e sulla origine dei contrasti e delle contrapposizioni di interesse.
Devono essere ben individuati dall’intervento:
q il tipo di supporto fornito (mediazione, confidente, supporto materiale, affettivo)
q la direzione del supporto
q la finalità del supporto
q le percezioni dell’adolescente nei confronti dei due genitori
q i giudizi dei genitori sull’adolescente
Si precisa che questa parte dell’intervento e le relative analisi si riferiscono alle relazioni con i genitori dal solo punto di vista del ruolo di supporto svolto dall’adolescente. L’altro tipo di relazione con i genitori ( le relazioni dirette al di fuori del rapporto di coppia) risultano comunque alterate dalle dinamiche supportive e di mediazioni nella coppia[18].
L’intervento procede poi ad analizzare altri aspetti collaterali e dipendenti dal ruolo di supporto svolto dall’adolescente:
· il rifiuto del ruolo di vittima e l’assunzione del comportamento attivo del prevaricante
· la immedesimazione nel ruolo di vittima ed il crollo del sistema di sicurezze,
· il giudizio negativo espresso nei confronti del genitore vittima considerato carente e debole;
· il giudizio negativo del prevaricante come violento, autoritario, distruttivo.
Dall’analisi complessa di questi fattori possiamo delineare gli elementi che hanno accompagnato l’adolescente fino alla vita da adulto e sbloccare dei meccanismi ripetitivi mettendo mano ad una revisione di quelle relazioni e dei modelli che le sostengono.
Gli obiettivi dell’intervento di modifica sono:
¨ il riequilibrio della percezione dei genitori in due situazioni nel rapporto tra loro e nel rapporto con il figlio.
¨ La revisione delle aspettative sia su di sè che sul partner relativamente ad un progetto di coppia.
¨ La revisione dell’aspettativa di un rapporto di coppia in cui è prevalso uno stile di comportamento che crea disparità e dipendenza unilaterale ovvero vittime e prevaricatori.
Le modalità per raggiungere gli obiettivi sopra definiti
Il riequilibrio delle posizioni dei genitori significa alleggerire sia la posizione della vittima che quella del prevaricante in una nuova rilettura della storia del loro rapporto. Si mette così mano ad una rivisitazione del rapporto di coppia genitoriale, andando a scomporre i dati della storia ed individuando le possibili strategie di sottrazione iin possesso del genitore vittima. Si rivedono in questa ottica le motivazioni della vittima al rapporto di dominio, lo stile di vita, le condizioni di isolamento. Si rilegge il comportamento prevaricante come comportamento tollerato e non ostacolato, a causa di una lettura impropria delle condizioni di carenza e di debolezza della vittima ( modelli, costrizioni del contesto, opportunismo, ecc.)
IL riequilibrio prosegue andando a leggere nella storia i comportamenti dei genitori assunti direttamente nei confronti del figlio nel loro ruolo educativo-formativo. Si rivede il comportamento del genitore definito autoritario e distante, anafettivo e si rintracciano le condizioni inverse e le prove di una tensione e di un desiderio nel rapporto con il figlio, vedendo anche le condizioni di questa inapparenza, il più delle volte racchiusa nel conflitto di coppia. Si rivede il comportamento del genitore tollerante ma senza autorità, nascosto nell’autorità dell’altro e si fanno emergere le direttive e gli input dati al genitore con il ruolo dominante.
Alla fine il genitore vittima appare meno vittima e meno debole e con maggiori possibilità di esser dominante e autonomo ( senza il supporto del figlio) e quello prevaricante appare meno incontrollabile ed inarrestabile nella relazione di coppia
E nel rapporto con il figlio il genitore “cattivo” appare meno “cattivo” e quello buono” meno “buono” andando a strutturare una configurazione genitoriale complessivamente più equilibrata rispetto alla della percezione iniziale.
La revisione del rapporto con il genitore prevaricante e l’individuazione di una tensione, di un desiderio al rapporto con il figlio da parte del genitore prevaricante, una condizione non di disattenzione e distacco, ma di desiderio non colto o nascosto dalla vicenda di coppia. Un riequilibrio si imposta con un atteggiamento di ricollegamento al genitore prevaricante
La revisione del rapporto con il genitore vittima che ha prodotto una perdita di risorse e in un ruolo svolto impropriamente, suggerisce un riequilibrio che va nella direzione dello sviluppo di un atteggiamento di sottrazione e di ritiro della tutela e della disponibilità a proteggere.
Questi interventi di riequilibrio servono a modificare le percezioni che riguardano il modo di essere dei genitori nei propri confronti in modo da aprire all’utente la possibilità di trovarsi meno abbandonato, bisognoso di protezione, affettivamente carente e di individuare la possibilità di nuove strategie di rapporto con loro e di rapporto all’interno del suo rapporto di coppia.
Il riequilibrio sulle aspettative che riguardano se stesso ed il partner nel rapporto di coppia si definisce nella rivisitazione dell’idea di un sè come carente e bisognoso di appoggi. La ridefinizione della propria carenza come superabile è collegata all’idea della “cessione delle risorse ad altri” ( funzione di supporto) e a quella della possibilità di recupero ( non creandole ex novo ma invertendone la direzione di utilizzo).
La modifica della percezione di una propria carenza, invalidità si ottiene anche dal riequilibrio delle carenze del genitore vittima (se vi era identificazione, oppure appartenenza allo stesso sesso), oppure dalla modifica della percezione del genitore prevaricante come invalido e carente ( se vi era identificazione, oppure appartenenza allo stesso sesso).
La modifica della percezione di sè come carente, che deve essere tutelato o risarcito, modifica la relazione o la ricerca del partner. Il partner può essere visto alla luce delle sue risorse e possibilità reali e non più funzionalizzato ad un progetto risarcitorio in cui recuperare le proprie risorse “donate” o sottratte , sottraendole ad un altro in una spirale senza fine. Anche il partner deve rispondere per se stesso e non essere sovraccaricato di dinamiche dispari che appartengono alla storia dell’altro.
Il riequilibrio delle aspettative relative al rapporto di coppia indica una revisione degli stili comportamentali appresi nella dinamica genitoriale “vittima-prevaricatore”. Questi stili, anche se non si vuole e non si vuole essere come la coppia genitoriale si affermano e si ripetono se non vengono smascherati ed i loro meccanismi non vengono alla luce. In definitiva lo stile comportamentale appreso è quello della tolleranza alla prevaricazione, e la tolleranza viene indotta dall’idea della mancanza di risorse e della debolezza e la mancanza di risorse e la debolezza non è altro che effetto del modello del dare tutto di sè all’altro.
L’effetto dell’intervento è anche una revisione complessiva del modello di coppia e degli stili comportamentali assunti nella coppia genitoriale: un modello di coppia senza tutelati e senza tutori, in uno scambio orizzontale (bilaterale) di risorse ma anche di reciproci spazi di libertà espressivi.
[1] E' in corso un lavoro svolto da un gruppo nazionale di tecnici-donne, coordinato da Elvira Reale, Asl Napoli 1,delle varie professioni, su iniziativa del Ministero delle Pari Opportunità Italiano, sui luoghi di disparità nella medicina e nella ricerca sanitaria.
[3] La Rosa, M. (199") Stress e lavoro, F. Angeli, Milano, pag.12
[4] La Rosa, M. ibidem
[5] Il rimosso di cui qui si parla è nella storia e nell'esperienza della persona e può essere richiamato attraverso la ricostruzione puntuale delle tappe e degli eventi di vita,
[6] Pagliaro, G, Cesa-Bianchi, M. (1995) Nuove prospettive in psicoterapia e modelli interattivo-cognitivi, F. Angeli, Milano, pag. 8.
[7] Reale, E. Et al. (1982) Malattia mentale e ruolo della donna,IL pensiero scientifico, Roma, pag. 298
[8]
Parliamo di cronicizzazione del sintomo quando
la formazione di un sintomo non è relativa allo spazio temporale
definito per un primo intervento (1-3 mesi), ma ad un periodo
consistente in cui si è formata una abitudine e una assuefazione. Per
processo di cronicizzazione intendiamo l’aumento progressivo dello
spazio esterno del sintomo:
più luoghi e più
occasioni in cui esso si manifesta ma anche dello spazio interno ovvero
più tempo dedicato al pensiero di esso. Il pensiero sul sintomo è un
pensiero negativo che coinvolge se stessi ed il mondo esterno.
[9] Questa teoria dello scambio e è dedotta dalla sociologia e dall'economia. In particolare:
Kelley,H.; Thibaut, J.W. (1978) Interpersonal relation, A theoy of interdependence, New York, Wiley.
Marx, K (1970) Il Capitale, Editori Riuniti, Roma.
[10] Kelley,H.; Thibaut, J.W. (1978) Interpersonal relation, A theory of interdependence, ibidem.
[11] Su questo aspetto del problema può essere valido il confronto con la terapia sistemico-familiare che ha messo in luce distorsioni della comunicazione nelle relazioni di potere asimmetriche, e l'uso improprio dei figli nelle relazioni di coppia disfunzionali
cfr.: Hoffman, L. (1984) Principi di terapia della famiglia, Astrolabio, Roma.
[12] I meccanismi di dipendenza in queste relazioni saranno approfondire in successive linee-guida sui modelli di malattia che riguardano l'adolescenza e le donne
[13] Ricordiamo qui agli psicologi l’importanza nello sviluppo cognitivo ed affettivo della fase del no e dell’opposizione da parte del bambino nei primi anni di vita. Il “no” al mondo è il “si” a se stessi ed alla formazione del proprio mondo interno.
[14] Cfr: la teoria psicologica dello stimolo-risposta.
[15]
Reale ,E (1997) Dall’avere al dare, dall’autonomia alla dipendenza:
le tappe fondamentali dello sviluppo femminile, in Chiti, E. “ Educare
ad essere uomini e donne”, Rosemberg &Sellier, Torino.
[16] Secondo una conosciuta accezione filosofica il gioco è ciò che si dà al caso, e alla gratuità che è fine a s3estesso, l’esperienza per l’esperienza.
[17] Ottica sistemica della famiglia
[18] Ribadiamo l’importanza della teoria sistemico-familiare che ha ben individuato la tematica della relazione di coppia come luogo di formazione del disagio psichico dell’adolescente.