Capitolo  11

 

NOTE SU GENERE E STATISTICHE SANITARIE IN ITALIA

 

Paola Vinay

sociologa

 

 

1.         il ruolo della ricerca nel contrastare le disuguaglianze di genere nella salute.

 

Come osserva una studiosa di sistemi sanitari, la disuguaglianza nella salute è diventato oggetto di riflessione in molti paesi europei già dagli anni settanta; nel corso degli anni ottanta studiosi appartenenti a discipline diverse hanno prodotto analisi comparative sui differenziali sociali nella mortalità e nella malattia in numerosi paesi europei. Ma in quest’ambito: “l’Italia assume una posizione marginale…. perché è mancato un sistema informativo strutturato a copertura nazionale adatto alla sorveglianza delle differenze sociali nella salute”[1]. D’altra parte, è noto che la lotta alle disuguaglianze nella salute costituisce uno degli obiettivi qualificanti del Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, ma per conseguire tale obiettivo è essenziale disporre di un adeguato flusso informativo. Il ruolo che possono avere, a tal fine, informazione e ricerca è stato sottolineato anche in un recente articolo nel quale, tra l’altro, gli autori osservano che in alcuni paesi europei:

“…. il tema è entrato nell’agenda pubblica grazie ad alcuni ingredienti di successo: una sistematica e continuativa disponibilità di dati a livello generale e a livello locale, una intensa collaborazione tra ricerca medica e ricerca sociale ed una assunzione di responsabilità da parte del mondo medico. (…) Nel nostro paese i singoli sistemi informativi sanitari e statistici non sono ancora in grado di monitorare in modo adeguato le disuguaglianze nella salute su tutto il territorio” [2].

L’articolo si conclude con un invito a diffondere l’informazione scientifica e a promuovere la ricerca sulle cause delle differenze sociali nella salute e nella sanità “vincolando le intese di programma regionale e aziendale ad azioni concrete per contrastarle (…)”[3].

Gli autori fin qui citati fanno riferimento alle disuguaglianze nella salute in termini generali e legate a fattori di rischio quali l’appartenenza a classi sociali svantaggiate, alla povertà e all’età avanzata. Va detto, tuttavia, che da questi punti di vista le donne sono più sfavorite, soprattutto se vivono sole e sono anziane. E’ ben noto, del resto, che le donne, rispetto agli uomini di analoghe condizioni socio-economiche, hanno una maggiore speranza di vita, ma vivono in peggiori condizioni di salute, per fattori biologici, età avanzata, povertà e solitudine. Come documentano i contributi di questa pubblicazione, vi sono anche considerevoli differenze tra i due generi nel decorso delle malattie, nell’accesso alla cura, nei trattamenti e nella loro efficacia. Inoltre, le donne sono soggette ad alcuni rischi specifici spesso sottovalutati: i rischi legati al lavoro domestico, alla responsabilità nella cura dei familiari, alla coesistenza di più ruoli lavorativi e i rischi legati alla violenza fisica, psicologica e sessuale di cui molto spesso sono vittime dentro e fuori dalle mura domestiche.

Tutti questi temi vengono affrontati in un recente documento del Dipartimento per la Salute della Donna (Department of Women’s Health - WHD) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS - WHO) nel quale viene sottolinea anche la presenza di rilevanti bias nella ricerca medica:

“Sempre più oggi appare evidente che la ricerca medica è stata un’attività di genere. Gli argomenti scelti, i metodi utilizzati e la successiva analisi dei dati riflettono una prospettiva maschile in più sensi. (…) Il bias di genere è evidente non solo nella scelta dei temi, ma anche nel disegno di molte ricerche. Nei casi in cui le stesse malattie colpiscono uomini e donne, molti ricercatori hanno ignorato le possibili differenze tra i sessi per quanto riguarda gli indicatori diagnostici, i sintomi, le prognosi e l’efficacia relativa di trattamenti differenti. (…) Fin quando i ricercatori considereranno gli uomini come la norma, la cura medica offerta alle donne continuerà ad essere compromessa” [4].

Da qui la necessità di ridisegnare la ricerca come strumento di conoscenza che è alla base delle politiche sanitarie; la necessità che i bisogni specifici delle donne siano resi visibili da una opportuna raccolta di statistiche sanitarie disaggregate per sesso, in assenza delle quali è difficile conoscere la situazione di donne e uomini e pianificare di conseguenza le prestazioni socio-sanitarie.

Il documento sottolinea in proposito che il governo degli Stati Uniti ha creato un Ufficio per la Salute delle Donne (Office of Women’s Health) affinché la ricerca medica risponda ai loro bisogni: “Il compito dell’OWH è quello di garantire che venga effettuato un numero adeguato di ricerche di alto livello su malattie, disturbi e condizioni che si presentano unicamente, con maggior prevalenza, o in modo decisamente più serio nelle donne, oppure per le quali si rilevino fattori di rischio e interventi differenti tra uomini e donne. Per conseguire tale obiettivo sono state adottate alcune strategie, comprese azioni positive per aumentare il numero di ricercatrici in medicina. Inoltre, sono state approvate leggi che prescrivono che tutti i progetti finanziati dal Governo Federale includano nei loro campioni sia uomini che donne in numero adeguato al problema da indagare. (…) per documentare alcuni degli aspetti più strutturali delle disuguaglianze nella salute e nel benessere c’è bisogno di metodi quantitativi. Ma per comprendere in modo adeguato tutti i fattori che influiscono sulla salute umana è necessario far ricorso anche a metodi di ricerca qualitativi (…) per affrontare in modo appropriato questioni di genere è opportuno integrare i metodi cosiddetti ‘duri’ delle scienze naturali con i metodi più ‘dolci’ spesso associati con le scienze sociali.”[5] 

Non vi è dubbio, in proposito, che una efficace politica di promozione della salute di uomini e donne, debba disporre, oltre che di dati sulla prevalenza di malattie e disturbi nei due sessi, anche di informazioni sulla loro realtà di vita, sui diversi ruoli lavorativi, la diversa esposizione a rischi per la salute, sulle preferenze nel ricorso ai servizi sanitari (medicina di base o specialistica, servizi territoriali o ospedalieri), e su quali sono le cause che determinano le diverse scelte.

 

2.         genere e statistiche sanitarie in italia

 

Uno dei compiti che si è proposto il gruppo di  lavoro “Obiettivo 2001: una salute a misura di donna” è verificare quali informazioni sulla salute dei cittadini distinte per genere sono disponibili in Italia e quali sono le carenze che è opportuno colmare in questo campo. A tal fine il gruppo ha svolto un incontro presso il Ministero della Sanità (febbraio 2000) con funzionari del Dipartimento Programmazione. Durante tale incontro si è avuto modo di mettere a fuoco la tipologia di dati statistici in possesso del Ministero, le fonti e le modalità di raccolta esistenti. Riportiamo di seguito schematicamente i risultati di tale lavoro.

 

2.1            Sistema informativo del Ministero della Sanità: dati esistenti e disponibili.

 

A) La raccolta dati più sistematizzata è  fornita dalla Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO). Come riferito da responsabili del servizio informativo del Ministero, tutti gli ospedali (pubblici, convenzionati e privati) sono tenuti a fornire alle Regioni le schede di dimissione dei/delle pazienti; le Regioni, a loro volta, le inviano semestralmente al Ministero. La scheda di dimissione indica il sesso e l’età della persona dimessa, ma l’informazione epidemiologica è limitata. Il problema maggiore di questa fonte informativa è l’incompletezza e l’imprecisione dell’informazione: alcune schede sono complete per certi aspetti e carenti per altri e l’errore non è omogeneo e quindi difficilmente valutabile; per quanto riguarda il sesso si stima che la completezza sia nel complesso al 70%. L’incompletezza riguarda vari ambiti, ma se manca la diagnosi principale la scheda non viene inserita nella banca dati del Ministero. C’è da considerare poi che il Pronto Soccorso non rientra nel sistema di rilevazione SDO. Un altro problema di questa banca dati è che per ogni ricovero viene compilata una scheda, quindi per ogni persona vengono compilate tante schede quanti sono i ricoveri subiti, sia pure per lo stesso motivo e a breve distanza di tempo; l’universo di riferimento, quindi, non è la popolazione, ma l’insieme dei ricoveri.  E’ bene tener presente, inoltre, che le elaborazioni tratte dalle schede SDO fanno riferimento ad un universo limitato e fortemente caratterizzato, il ricovero ospedaliero, e quindi non possono fornire alcuna informazione riferibile alla salute della popolazione nel suo complesso.               

Le informazioni provenienti dalle schede SDO sono disponibili nel sito internet del sistema informativo del Ministero http://www.sanita.it/sistan/sdo.htm dove si legge: “La S.D.O., unitamente ad altre informazioni del sistema informatico sanitario, fa parte del sistema statistico nazionale e sostituisce, dall’anno 1995, analoga rilevazione effettuata dall’ISTAT limitatamente ai dimessi nella prima settimana del mese”.

 

 

 

Dall’analisi della Scheda del 1997[6] emergono i seguenti dati.

Le informazioni delle schede di dimissione (SDO) riguardano tipo e numero di diagnosi tratte dal Diagnosis Related Group (DRG)  e le giornate di degenza; esse sono ordinate secondo le seguenti tipologie di ricovero ospedaliero:

-         attività di ricovero per acuti in regime ordinario;

-         attività di ricovero per acuti in regime diurno;

-         attività di riabilitazione in regime ordinario;

-         attività di lungo-degenza.

Le diagnosi  tratte dalla versione del DRG 10, sono raggruppate in 25 macrogruppi. Questi raggruppamenti  contengono ciascuno i singoli DRG di propria competenza. La rilevazione inoltre individua :

   i primi 30 DRG per numerosità delle dimissioni;

-         i primi 100 interventi chirurgici “principali” in ordine di frequenza;

-         le prime 100 diagnosi  “principali” in ordine di frequenza.

I dati così raggruppati e raccolti contengono le seguenti informazioni per ciascun DRG: numero dei casi, percentuale di casi sul totale, giornate di degenza e degenza media. Mancano dati disaggregati per sesso, che possono però essere ricavati dall’attuale banca dati. I dati sono riportati sia in riferimento al  livello nazionale complessivo  che  al livello periferico regionale.

 

B) Una seconda fonte informativa è data dal “Compendio del Servizio Sanitario Nazionale”; abbiamo analizzato quello relativo all’anno 1997[7] in cui vengono riportati in sintesi i dati delle schede di dimissione ospedaliera. In questo compendio i dati dei macro-gruppi diagnostici sono suddivisi prima per fasce  di età e poi per sesso senza interazione tra le due variabili. Il dato disaggregato per sesso fornisce alcune indicazioni sulla prevalenza delle donne nei seguenti domini:

-    malattie della ghiandole endocrine, della nutrizione e del metabolismo;

-         malattie del sangue;

-         malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (ma non disturbi psichici  che sono riportati a prevalenza maschile);

-         malattie dell’apparato genito-urinario;

-         malattie del sistema circolatorio solo per l’ipertensione;

-         malattie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo.

I dati disaggregati per sesso sono rappresentati anche nelle infezioni da HIV negli adulti e nei bambini.

 

Dati   territoriali

Un’altra fonte di informazione è data dai sistemi informativi delle ASL relative ai singoli presidi; essi fanno riferimento sostanzialmente alle prestazioni erogate secondo la tipologia della struttura: territoriale, semi-territoriale; da essi non si evince la tipologia delle/dei pazienti.

I dati dell’assistenza territoriale specialistica raccolti dalle ASL nel modello STS.21 indicano solo il numero di prestazioni aggregate per la denominazione dello specialismo (25 specialismi). Mancano sistemi centralizzati cui far affluire da ogni servizio sanitario che svolge funzioni di assistenza sanitaria (diagnosi e trattamento) i dati delle cartelle cliniche relativamente a numero/anno di primi assistiti, sesso, età, diagnosi e tipo di trattamento; mancano altre informazioni socio-democrafiche che sarebbero utili (stato civile, numero di figli, professione). A livello territoriale, poi, a maggior ragione rispetto al livello ospedaliero, esiste il problema di distinguere le nuove utenze dal carico delle utenze, la persona dalla pluralità degli interventi richiesti. Anche con riferimento a questa fonte informativa si registra una notevole diversità nella raccolta dei dati da presidio a presidio e da regione a regione; le regioni più avanzate da questo punto di vista sono la Lombardia che dal 1997 ha iniziato una raccolta sistematica dei dati ambulatoriali e l’Emilia Romagna che sta sperimentando un nuovo sistema per le cartelle ambulatoriali (Ambulatory Patient Group).          

 

Dati   dei  CUP

Vi è una possibilità di utilizzare i dati elaborati dai CUP (centri unici di prenotazione) attualmente funzionanti, per reperire informazioni aggiuntive dalla relazione tra più variabili quali: età, sesso, prestazione richiesta. Anche in questo campo Bologna sta avviando una rilevazione sulla base del sesso del/della paziente, la tipologia di prestazione richiesta e i tempi di attesa.

 

Dati delle Aziende Sanitarie

I Dati delle singole ASL  (Aziende Sanitarie Locali), raccolti in modelli approntati dal Sistema Informativo Sanitario[8] contengono riferimenti a numero di prestazioni o di utenti, ma non disaggregati  per sesso, essi riguardano: 

-     l'assistenza farmaceutica convenzionata (FLS. 21),

-     l'assistenza sanitaria di base (FLS. 21),

-     l'assistenza specialistica territoriale (già discussa sopra STS. 21),

-     l'assistenza sanitaria residenziale e semiresidenziale (STS.24),

-     l'assistenza riabilitativa (RIA.11)

-     l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro (numero di

-     lavoratori controllati) (FLS.18),

-   i pronto soccorso (ricoverati/non ricoverati), ospedalizzazione domiciliare (nuovi   pazienti/ pazienti già in trattamento/pazienti dimessi)  (HSP.24).

E' invece disaggregata per sesso la raccolta dei  dati che riguarda il personale sanitario.

 

Osservatori regionali  e  dati epidemiologici dalla periferia

I dati degli osservatori epidemiologici  regionali non arrivano al Ministero: ogni osservatorio ha proprie linee e settori di raccolta. I dati epidemiologici sono organizzati dalle regioni con propri sistemi informativi (accessibili via internet attraverso links con il Ministero Sanità.) Arrivano al Ministero – Dipartimento Prevenzione dalla periferia (Regioni, ASL) solo flussi informativi speciali regolati da normativa specifica, come i dati sulle malattie infettive che sono disaggregati per sesso e per età.

 

Conclusioni sulla situazione attuale

-         Vi sono difficoltà presenti nella raccolta dati attuale: spesso risultano incompleti e poco affidabili.

-         Non vi è ancora  una precisa indicazione alla periferia (ASL) di raccogliere  dati disaggregati per sesso (ad esempio, attraverso una modifica degli attuali modelli statistici in uso).

-         Non vi è una consuetudine a rappresentare i dati disaggregati anche quando si dispone dell’informazione (ad esempio tutti dati che provengono dalle schede di dimissione ospedaliera e che  contengono riferimenti specifici a sesso ed età).

-         Mancano dati epidemiologici  centralizzati; quelli periferici di singole ASL o servizi non sono coordinati e collegati tra loro, né disaggregati per sesso.

 

2.2       Istituto Nazionale di Statistica: rilevazioni e ricerche.

 

L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) costituisce una importante fonte di informazione sulla salute dei cittadini distinti per genere cui fa riferimento, nelle sue pubblicazioni lo stesso Ministero della Sanità[9].   La “Rilevazione sulle cause di morte” fornisce dati sulle cause di morte distinte secondo le seguenti categorie: malattie infettive, tumori, malattie del sistema circolatorio, malattie dell’apparato respiratorio, malattie dell’apparato digerente, mal definite, cause violente, altre. La rilevazione è annuale; gli ultimi dati disponibili fanno riferimento al 1999.[10]

            Un’altra importante informazione fornita periodicamente dall’ISTAT è quella relativa alla speranza di vita e in particolare alla speranza di vita libera da disabilità[11]. Secondo i dati del 1999 in Italia la speranza di vita è pari a 75,8 anni per gli uomini e 82 per le donne, ma il divario tra i sessi, si riduce nettamente quando si fa riferimento alla speranza di vita libera da disabilità: se per una persona di 65 anni la speranza di vita è oggi pari a 20 anni per le donne e a 16 per gli uomini, la speranza di vita priva da disabilità è di 15 anni per le prime e di 14 per i secondi (un solo anno di differenza)[12]. Il divario tra i sessi si riduce con l’età: secondo i dati del 1994, per esempio, il divario nella speranza di vita libera da disabilità era di 3,8 anni a 15 anni, di 2,8 a 45 anni, scendeva a 1,5 a 65 anni e appena 0,3 a 75 anni[13].

L’affermazione iniziale che le donne vivono più a lungo degli uomini, ma in peggiori condizioni di salute è confermata, oltre che dai dati sulla disabilità, anche dall’indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”. Come noto, si tratta di un’indagine campionaria l’ultima delle quali è stata condotta dall’ISTAT, con il contributo del Fondo sanitario nazionale nel 1999/2000 su un campione rappresentativo di 52.300 famiglie per un totale di 140.000 individui. L’indagine raccoglie informazioni sulla presenza di malattie croniche e disabilità, sul ricorso a servizi sanitari, su comportamenti preventivi e in difesa della salute e sull’auto valutazione del proprio stato di salute da parte degli individui. Si ricorda in proposito che anche le informazioni soggettive sono importanti al fine di valutare lo stato di salute della popolazione e sono molto utilizzate in Europa. Come osservato in un documento ISTAT:

“… le condizioni oggettive di salute non possono rappresentare l’unico parametro di valutazione, a meno di offuscare le implicazioni psicologiche e sociali della malattia, così come la variabilità delle sue conseguenze sugli individui in funzione delle loro differenti caratteristiche. Inoltre, l’auto-valutazione dello stato di salute si è dimostrata una variabile importante non soltanto nel determinare il livello della qualità della vita, ma anche l’intensità del ricorso ai servizi sanitari.”[14]

Le informazioni generali raccolte dall'ISTAT con l’indagine sulle condizioni di salute della popolazione sono le seguenti:[15]

-         Auto-valutazione dello stato di salute: una percentuale più elevata di donne che di uomini ha una percezione negativa del proprio stato di salute; tale percentuale tende ad aumentare con l’età.

-         Malattie croniche prevalenti: una quota maggiore di donne che di uomini dichiara di soffrire di almeno una malattia cronica (soprattutto artrosi,  artrite e ipertensione arteriosa). Le patologie sono raggruppate in 28 categorie per ben 23 delle quali si registra una prevalenza delle donne (fanno eccezione: bronchite, ulcera gastrica, calcolosi remale, ernia addominale e infarto del miocardio).

Confrontando i dati delle schede di dimissione e l’indagine ISTAT si possono valutare alcune differenze: le donne sono prevalenti in più campi di malattia alcuni coincidenti ed in altri divergenti dall’analisi SDO, come  per il campo  dei disturbi psichici (che nello SDO compare a prevalenza maschile), differenza attribuibile al relativo minor ricorso delle donne ai servizi ospedalieri. Ciò conferma il carattere limitato e potenzialmente anche fuorviante del campione SDO.

-         Visite mediche generiche, specialistiche, esami diagnostici: coerentemente con i dati precedenti, il ricorso a tali servizi è più frequente per le donne e (se si esclude la classe di età 0-5 anni) aumenta con l’età.

-         Disabilità, analizzata secondo la seguente tipologia: confinamento individuale, difficoltà nelle funzioni, nel movimento, nella vista, udito, parola; per la maggior parte delle fasce di età le donne risultano svantaggiate rispetto agli uomini in tutti i livelli considerati, la loro più frequente disabilità quindi non è attribuibile solo alla maggiore longevità.

-          Stili di vita e comportamenti a rischio: alimentazione (pasto principale, pranzo a casa), abitudine all’attività fisica, consumo di vino e birra, abitudine al fumo.

-         Comportamenti di prevenzione e diagnosi precoce: misurazione della pressione, controllo dei livelli di colesterolemia e glicemia (tutti più frequenti nelle donne ed aumentano con l’età); screening dei tumori femminili (pap-test e mammografia).

-         Ricorso alla medicina “alternativa”: agopuntura, fitoterapia, omeopatia, chiroterapia, osteoterapia etc.

-         Auto-prescrizione farmaceutica.

 

 

3 .             proposte operative a breve termine

 

L’indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” dell’ISTAT è molto utile ai fini della valutazione dei bisogni, dei comportamenti della popolazione e della programmazione sanitaria. Essa, tuttavia, è un’indagine campionaria che si basa su informazioni soggettive importantissime, ma che andrebbero affiancate da dati provenienti dai servizi del sistema sanitario nazionale ed inseriti nel sistema informativo del Ministero della Sanità. Sono stati ricordati in precedenza i limiti di tale sistema informativo. In occasione dell’incontro sopra citato al Ministero sono state formulate alcune  proposte operative.

A. Operare rilevazioni disaggregate per sesso sui dati esistenti:

-         elaborare ulteriormente i dati tratti dalle schede SDO per evidenziare i dati disaggregati;                           

-         elaborare i dati provenienti dai flussi informativi speciali (là dove non siano stati elaborati).

B. Utilizzare i CUP (Centri Unici di Prenotazione), funzionanti sul territorio nazionale, per la raccolta e l'analisi multivariata di alcuni dati quali: età,  sesso, tipo di prestazione, diagnosi.

C. Inserire la variabile sesso già per l’anno in corso nei modelli ministeriali in corso per la raccolta dei dati sanitari.

D. Stimolare le Regioni e gli Osservatori epidemiologici esistenti  a collegare i sistemi di rilevazione locale mettendo in comune obiettivi (l’osservazione delle  patologie a più alto impatto tra la popolazione) e  codici di procedure (linee guida) per la raccolta dei dati, ivi compreso il principio della disaggregazione dei dati per sesso in ogni elaborazione.

E. Collegare queste esigenze di rappresentatività dei dati per la popolazione femminile con le esigenze espresse dal Piano Sanitario Nazionale di adeguamento dei flussi informativi: “Apposite linee guida saranno emanate al fine di favorire il raccordo dei flussi informativi esistenti con i nuovi modelli di monitoraggio e verifica dei livelli di assistenza”.

F. Integrare i protocolli diagnostici, che riguardano le patologie ad alto rischio per la popolazione femminile ma anche  per la popolazione generale,  con dati utili alla prevenzione: analisi delle condizioni di vita e di lavoro sia familiare  che extrafamiliare; indagine su maltrattamenti e violenza; valutazione  di supporti e di reti.

Un altro problema da sollevare è la mancata attenzione alla differenza di genere nel programma ministeriale della ricerca sanitaria finalizzata (art. 12 D.Lgs. 502/92 e art. 12bis D. Lgs. 229/99). Il programma individua annualmente specifici campi  della ricerca sanitaria finalizzata nell'ambito dei quali è possibile per le istituzioni (province autonome, regioni, ecc.) richiedere finanziamenti. Se osserviamo il programma dell'anno 2000, troveremo che nei campi definiti (18) non vi sono raccomandazioni ad osservare il fenomeno (qualunque esso sia) anche dal punto di vista del genere. Al contrario in un'ottica di apartheid esiste un unico campo "Salute Donna" (codice B011) che prevede solo quattro aree di indagine:

-         la cardiopatia e cerebropatia ischemica;

-         la tutela della lavoratrice in gravidanza;

-         il ruolo protettivo delle terapie ormonali;

-         i fattori di rischio in post-menopausa.

Come questa prospettiva, adottata nel programma di ricerca finalizzata, sia riduttiva appare chiaro dai contributi offerti dalle esperte del gruppo in questo volume.

 L’esperienza clinica e la ricerca medica mostrano infatti  come sia opportuno adottare il principio della integrazione del punto di vista di genere in tutti i campi della ricerca sanitaria; per tutte le patologie ed i disturbi è necessario tener presente le specificità biologiche, le condizioni di vita e l’esposizione a specifici fattori di rischio di tipo ambientale e socio-lavorativo (in primis violenza e stress da doppio carico di responsabilità) a cui sono esposte le donne. Solo in questo modo è possibile individuare nuovi strumenti diagnostici, di trattamento e garantire anche alle donne il diritto alla prevenzione primaria.

 

referenze

 

G. Costa, CA. Perucci, N.Dirindin, (1999) Le disuguaglianze nella salute e il Piano Sanitario, Epidemiologia & Prevenzione, 23.

 

ISTAT (2000) Rapporto annuale – Situazione del Paese 1999,  Roma.

 

ISTAT (2000) “Le condizioni di salute degli Italiani – Anno 1999”, 13 dicembre, http://www.istat.it/Anumital/Astatset/sanit.htm.

 

ISTAT (2000) Alberto Zuliani, Salute e sistema sanitario in Italia negli anni ‘90, intervento del presidente al Convegno “Risposte integrate ai bisogni di salute. Cittadini e nuova sanità”, Bologna, 1° dicembre, http://www.istat.it/Anumital/Astatset/sanit.htm.

 

ISTAT (2001) Tendenze della mortalità in Italia nel periodo 1995-1998, http://www.istat.it/Anotizie/Aaltrein/statinbrev/tendomort-95-98.html.

 

Ministero della Sanità  (1999) Compendio del Servizio sanitario Nazionale anno 1997, Servizio Studi e Documentazione, Roma.

 

Ministero della Sanità, Dipartimento Programmazione (1999), Modelli di rilevazione delle attività gestionali ed economiche delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere, Sistema Informativo Sanitario.

 

Ministero della Sanità, Servizio Studi e Documentazione (1999), Compendio del Servizio sanitario Nazionale anno 1997, Roma.

 

Ministero della Sanità, Dipartimento Programmazione (1999) Scheda di Dimissione Ospedaliera:  anno

1997, Sistema Informativo Sanitario.

 

Ministero della Sanità  (2000), Relazione sullo stato sanitario del Paese 1999, Servizio Studi e Documentazione, Roma.

 

Giovanna Vicarelli (1993) L’equità nella salute, in  Paci (a cura di) "Le dimensioni della disuguaglianza.

Rapporto della Fondazione Cespe sulla disuguaglianza sociale in Italia", Il Mulino, Bologna.

 

WHO The Department of Women’s Health (2000) “Gender and Health Technical Paper”, in internet

WHO- FHD - Gender and Health Technical Paper.



[1] Giovanna Vicarelli, L’equità nella salute, in M. Paci (a cura di) "Le dimensioni della disuguaglianza. Rapporto della Fondazione Cespe sulla disuguaglianza sociale in Italia", Il Mulino, Bologna, 1993, p. 193. Vedi anche la bibliografia ivi citata.

[2] G. Costa, CA. Perucci, N.Dirindin Le disuguaglianze nella salute e il Piano Sanitario, in "Epidemiologia & Prevenzione", 1999, 23, p. 137.

[3] Ivi, p. 139.

[4] WHO The Department of Women’s Health, “Gender and Health Technical Paper”, in internet al sito WHO- FHD - Gender and Health Technical Paper, 09/03/2000 pp.18-19.

[5] Ivi, pp. 23 e 24.

[6] Ministero della Sanità, Dipartimento Programmazione (1999) Scheda di Dimissione Ospedaliera: anno 1997, Sistema Informativo Sanitario.

[7] Ministero della Sanità  (1999) Compendio del Servizio sanitario Nazionale anno 1997, Servizio Studi e Documentazione, Roma.

 

[8] Dipartimento Programmazione, Ministero della Sanità (1999), Modelli di rilevazione delle attività gestionali ed economiche delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere, Sistema Informativo Sanitario.

[9] Si veda in proposito, per esempio, la Relazione sullo stato sanitario del Paese 1999, Ministero della Sanità, Servizio Studi e Documentazione, Roma 2000, cap. II: “Lo stato di salute della popolazione”.

[10] Vedi ISTAT Rapporto annuale – Situazione del Paese 1999, Roma maggio 2000. Vedi anche: “Tendenze della mortalità in Italia nel periodo 1995-1998”, (5 gennaio 2001), in internet http://www.istat.it/Anotizie/Aaltrein/statinbrev/tendomort-95-98.html.

[11] L’ISTAT per l’individuazione della disabilità fa riferimento a una batteria di quesiti predisposti da un gruppo di lavoro OCDD sulla base della classificazione OMS, che definisce la disabilità “la riduzione o la perdita di capacità funzionale o dell’attività conseguente ad una menomazione” sia essa di tipo anatomico, psicologico o fisiologico. Vedi: Le condizioni di salute degli Italiani – Anno 1999”, 13 dicembre 2000, in internet: http://www.istat.it/Anumital/Astatset/sanit.htm.

[12] Ivi.

[13] Vedi: Ministero della Sanità, Relazione sullo stato sanitario del Paese 1999, cit.

[14] Vedi:  Le condizioni di salute degli Italiani – Anno 1999”, cit., p. 1.

[15] Vedi: Le condizioni di salute degli Italiani – Anno 1999, cit.; ISTAT, Rapporto Annuale – La situazione del Paese nel 1999 , maggio 2000; Alberto Zuliani, Salute e sistema sanitario in Italia negli anni ‘90, intervento del presidente dell’ISTAT al convegno “Risposte integrate ai bisogni di salute. Cittadini e nuova sanità”, Bologna 1 dicembre 2000, http://www.istat.it/Anumital/Astatset/sanit.htm.