Elvira Reale
Responsabile
del Centro Prevenzione Salute Mentale Donna, ASL Napoli 1
1.
introduzione
La
salute mentale da sempre ha costituito un terreno fertile per sviluppare le
differenze pregiudiziali tra uomini e donne.
Parlare quindi di differenze di genere potrebbe significare un
approfondimento di un solco già segnato dalla storia della psichiatria a
partire dall’800. A quell’epoca gli studi sulla isteria e sulle differenze
tra uomini e donne segnalavano una
maggiore presenza delle donne nell’area dei disturbi psichici ed una presenza
specificamente connotata sul versante della eziologia biologistica. Gli studi di
Charcot indicavano infatti che la
isteria femminile, presente nell’80% dei casi complessivi di isteria, mostrava
una eziologia fondata sugli
eventi biologici ed affettivi (gravidanza, parto, menopausa, ecc.) mentre
l'isteria maschile presente solo nel 20% dei casi era principalmente
connotata da una serie di eventi
traumatici collegati alla sfera socio-lavorativa.
Parlare di differenza in questo ambito significava e significa ancora
oggi, se guardiamo alle statistiche mondiali ed europee del 1998, parlare di
prevalenza delle donne nell’area dei disturbi psichici ed in particolare in
quell’area segnalata come la più preoccupante ed estesa per la salute
pubblica che è la depressione.
Ma se ci fermassimo solo a parlare di statistiche e di prevalenza delle
donne in questo campo, forse non avremmo fatto molti passi avanti rispetto alla
proto-psichiatria di Charcot.
La valutazione della differenza di
genere non può essere individuata come finora si è fatto in psichiatria nelle
variazioni ormonali del corpo
femminile considerando la donna come presenza
di variazione e l’uomo come assenza
di variazione. Questo è chiaramente un artefatto: in realtà vi sono
variazioni ormonali e cicli cronobiologici per uomini e donne. Diciamo che
quello delle donne è più studiato solo perché ad esso è collegata la più
impegnativa attività riproduttiva.
Il pregiudizio sessista della
psichiatria ha sviluppato un costrutto ideologico che è partito dalla
variabilità ormonale della donna, è passato attraverso la considerazione della
esclusività di questa variabilità, ed è giunto alla determinazione che questa
variabilità fisiologica fosse responsabile di stati psichici
patologici caratterizzati da oscillazione e variazioni di umore. La
psichiatria ha così posto questa variabilità propria della fisiologia e della
normalità di funzionamento del corpo femminile come primo fattore di rischio e
come primo fattore eziologico nella prevalenza della depressione
e di altri disturbi psichici.
Una operazione così ampia e così ben
riuscita, non ha trovato corrispondenza nel campo maschile. L’aggressività,
la violenza, la condotta antisociale, pure inserite, in omaggio ad una male
intesa differenza di genere, nel novero delle sofferenze psichiche e delle
patologie, non hanno avuto gli stessi effetti di danno per la salute e per
l’immagine sociale com’è successo per il genere femminile, tant’è che più
spesso gli uomini “criminali” si sono rivolti alla psichiatria per avere un
alleato nella riduzione delle proprie responsabilità e colpe.
Come
nella medicina generale si è assistito ad un processo di medicalizzazione
impropria delle tappe fisiologiche della vita della donna, così anche la
psichiatria dal canto suo ha operato nel senso di una psichiatrizzazione della
fisiologia femminile: questa operazione ha
trovato nella patologia depressiva la sua massima espressione.
Questa premessa è essenziale per
iniziare un discorso non confusivo sulla differenza di genere all’interno
della psichiatria. Nostro obiettivo è riequilibrare la presenza delle donne
nell’area della patologia psichica, non negando la sofferenza, che non a caso
oggi è maggiore e prevalente, ma attribuendola a cause più appropriate su cui
sia possibile lavorare senza rivolgersi a eziologie speciali, che altro non sono
che discriminatorie e sessiste.
Una metodologia della parità di trattamento coniugata con una
seria e concreta analisi della differenza significa che:
uomini
e donne vengono esaminati in maniera paritaria nei vari aspetti di cui la loro
realtà si compone: dal corpo biologico, al lavoro e all’occupazione: e su
ciascuno di questi aspetti l’analisi delle differenze di genere troverà gli
opportuni strumenti perché ambedue i sessi, donne ed uomini, siano
rappresentati compiutamente senza esclusioni improprie da un campo ed anche
senza inclusioni “atipiche”, senza sopravvalutazioni o sottovalutazioni
aprioristiche.
Una
tale azione complessiva è
l’unica che può portare a scoprire variazioni ormonali anche nell’uomo, se
sono le variazioni ormonali i principali fattori di rischio, oppure a trovare
che il lavoro e lo stress, se questi sono analizzati come fattori di rischio
principale, siano presenti nella vita della donna come per gli uomini o più
degli uomini.
Questa metodologia non pregiudiziale
nei confronti delle donne porterà anche
vantaggi concreti alla scienza psichiatrica permettendole di liberarsi del tutto
da idee confusive che ingombrano il campo clinico ostacolando la ricerca di
trattamenti più efficaci ed il discorso della prevenzione nei confronti di
reali e plausibili fattori di rischio.
Vorrei ricordare qui che la depressione
come patologia nasce solo alla fine dell’800, e che le donne da sempre hanno
quel ciclo e quelle variazioni ormonali! Un discorso storico sulla nascita della
psichiatria gioverebbe alla comprensione delle ragioni economiche e sociali che
hanno fatto da sottofondo, nell’epoca della industrializzazione,
all’internamento asilare delle donne, prima negli ospizi,
e poi negli ospedali psichiatrici come la Salpétrière a Parigi[1].
2.
l’epidemiologia
della depressione e di altri
disturbi psichici
La prevalenza femminile
nelle statistiche
Nei
dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) sul
carico di malattia (disease burden)
che riguarda i disturbi neuropsichiatrici, le femmine sono prevalenti in tutti i
tipi di disturbo tranne che nell’alcoolismo e nell’abuso di
sostanze (grafico1).
Nella depressione si evidenzia una
differenza tra femmine e maschi, che è quasi pari al doppio di presenza del
disturbo tra le femmine rispetto ai maschi.
Epidemiologia della
depressione
Le statistiche del WHO
Nel World Health Report
del 1999 la depressione maggiore è inserita tra le principali cause di carico
di malattia (Disease Burden)
dell’anno 1998.
La depressione
unipolare, valutata complessivamente per tutte
le donne ed uomini in tutti i paesi, occupa per i maschi l'8° posto tra tutte
le principali cause di Disease burden (DALYs)
[2], per le femmine il terzo posto, come si evince dallo schema1.
SCHEMA 1 - DALYs in all Member States
Rank
% of total
(000)
Males
Unipolar major depression
8
2.8
20 674
Females
Unipolar major
depression
3
5.8
37 572
Se restringiamo il campo di
osservazione e valutiamo la presenza dei disturbi psichici nei paesi ad alto
reddito, e nella fascia di età compresa tra i 15 ed i 44 anni, la depressione
maggiore è al 1° posto per le donne e al 3° posto per gli uomini (schema 2).
Schema 2 |
Leading Causes of Burden of Disease, High-Income Countries, Males |
Leading Causes of Burden of Disease, High-Income Countries, Females |
||
Rank |
15-44 years |
45-59 years |
15-44 years |
45-59 years |
1 |
8
Alcohol
dependence 3 368 317 |
Ischaemic heart disease 1 797 168 |
8
Unipolar
major depression 3 404 250 |
Osteoarthritis 1 019 386 |
2 |
Road traffic injuries 2 588 238 |
Trachea/bronchus/lung cancers 701 102 |
8
Psychoses 1 061 323 |
Unipolar major depression 837 947 |
3 |
8
Unipolar
major depression 1 864 603 |
Osteoarthritis 691 670 |
Road traffic injuries 872 470 |
Breast cancers 689 178 |
4 |
§
Self-inflicted
injuries 1 279 658 |
Cerebrovascular disease 621 737 |
8
Bipolar
affective disorder 760 428 |
Ischaemic heart disease 513 340 |
5 |
8
Psychoses 1 163 653 |
Cirrhosis of the liver 571 437 |
8
Obsessive- compulsive disorders 656 493 |
Diabetes mellitus 489 714 |
6 |
8
Drug
dependence 1 037 882 |
Alcohol dependence 515 608 |
8
Alcohol
dependence 610 877 |
Cerebrovascular disease 445 959 |
7 |
Interpersonal violence 794 963 |
Diabetes mellitus 502 365 |
§
Self-inflicted
injuries 387 664 |
Trachea/bronchus/lung cancers 357 941 |
8 |
8
Bipolar
affective disorder 785
646 |
Unipolar major depression 459 669 |
STDs excluding HIV 375 327 |
Dementias 261 783 |
9 |
HIV/AIDS 664 297 |
Chronic obstructive pulmonary disease 358 920 |
Osteoarthritis 373 276 |
Colon/rectum cancers 228 987 |
10 |
8
Obsessive-
compulsive disorders 510 009 |
§
Self-inflicted
injuries 348 815 |
8
Panic
disorder 359 964 |
Chronic obstructive pulmonary disease 212 710 |
Source: World Health Report 1999 Database
Inoltre dallo schema presentato si
evince che:
Ÿ
nella fascia 15-44 le donne
hanno il carico più elevato per la depressione.
Ÿ
Sempre in questa fascia di
età donne ed uomini hanno ben 6 cause di disease
burden di tipo psichico situate nei primi 10 posti a cui possiamo aggiungere
una settima rappresentata dalla quota di suicidi compresa nelle “ferite
auto-inflitte” della categoria Injuries.
Ÿ
La prevalenza delle cause
psichiche nelle donne nel confronto con i maschi si realizza nel modo seguente:
la depressione è sempre al 1° posto mentre per gli uomini si situa al 3°
posto; la psicosi si situa al 2° posto per le femmine e per gli uomini al 5°
posto; i disturbi bipolari si situano al 4° posto per le femmine e per gli
uomini all’8°; i disturbi ossessivi al 5° per le femmine ed al 10° per gli
uomini; i disturbi da panico al 10° posto
per le femmine, e sono oltre il 10° tra gli uomini.
Ÿ
La prevalenza dei disturbi
psichici tra gli uomini rispetto alle donne ha la seguente configurazione: la
dipendenza da alcool al 1° posto mentre per le donne si situa al 6° posto; le
ferite autoinflitte al 4° posto e per le donne al 7° posto; la dipendenza da
sostanze al 6° posto mentre per le donne è assente nelle prime dieci cause.
Ÿ
Alcune cause relative alla
categoria delle Injuries sono presenti
tra gli uomini ed assenti tra le donne, come la violenza interpersonale.
Se consideriamo poi, sempre nei paesi
ad alto reddito, maschi e femmine non suddivisi per fasce di età, la differenza
tra uomini e donne aumenta: per le donne la depressione occupa sempre il 1°
posto mentre per gli uomini occupa il 5° posto.
Per
quanto riguarda il suicidio, tra le donne si registra un maggior numero di
tentativi e tra gli uomini un maggior numero di suicidi realizzati. Questo
incide da un lato per gli uomini su un aumento dei tassi di mortalità mentre
per le donne si converte in un aumento del carico di malattia. Infatti il
suicidio è la 4° causa di disabilità per le donne e solo l’ottava per gli
uomini.
In sintesi
§
La
Depressione è la prima causa del carico di malattia
per le donne tra 15 e 44 anni dei paesi sia sviluppati che in via di
sviluppo, ed è la terza causa per gli uomini di questa stessa fascia di età.
§
Il Suicidio
è compreso nella classe delle ferite auto-inflitte (self-inflicted
injuries) costituendone la
categoria maggiore e occupando il 17° posto tra le cause di disabilità nel
mondo. Nella classe di età 15-44 anni nei paesi in via di sviluppo il suicidio
è l’ottava causa di disabilità negli uomini e la quarta causa nelle donne.
Il suicidio è tra le 10 principali cause di morte nella maggioranza dei paesi;
ed è una delle
tre principali cause di morte tra i giovani. I Tentati suicidi sono tra
10 e 20 volte più elevati dei suicidi realizzati.
Le
statistiche italiane
Nella conferenza nazionale sulla salute mentale tenutasi a Roma il
15 gennaio 2001, è stato fatto il punto della situazione italiana in rapporto
a: dati di morbilità, servizi esistenti ed obiettivi da raggiungere nei
prossimi anni.
Riportiamo
nello schema seguente i dati dell'Istituto superiore della Sanità che
confermano i dati internazionali dell'OMS, sulla prevalenza femminile in tutte
le categorie del disturbo psichico:
Maschi
Femmine
Qualsiasi disturbo |
3.200.000 |
6.992.000 |
I disturbi
differenziati in: " psicosessuali " dell'infanzia e
dell'adolescenza
Psicosi non affettive
Abuso/dipendenza da sostanze " del comportamento
alimentare " del sonno " del controllo
degli impulsi " da somatizzazione " d'ansia " affettivi |
24.000 24.000 118.000 142.000 94.000 190.000 332.000 450.000 2.180.000 2.560.000 |
25.610 204.884 230.494 204.884 281.715 563.431 435.378 793.925 5.702.361 5.506.000 |
Fonte: Istituto Superiore della Sanità- Studio di Sesto
Fiorentino
Dalla tabella si evince che ogni
soggetto può presentare più di uni disturbo
Notiamo
però che, a dispetto di questi dati molto inquietanti che mostrano una netta
prevalenza (le percentuali sono quasi sempre in un rapporto di 2:1) femminile in
tutte le categorie di disturbi citati, non si sia data rilevanza nazionale al
problema. Non sono stati infatti inseriti, nella programmazione sanitaria, targets
specifici sullo studio dei fattori eziologici e di rischio specifici della
popolazione femminile, risultata più colpita di quella maschile.
La prevalenza
Tutti i principali studi e ricerche
riferiscono una prevalenza delle donne nei vari tipi di disturbi depressivi
(depressione maggiore e distimia); la prevalenza è sfumata nei disturbi
bipolari. Il tasso di prevalenza generalmente individuato è da
due a tre volte superiore a
quello maschile.
L’incidenza
L’esordio
Il rapporto tra età ed insorgenza
della depressione è significativo per le femmine e non per i maschi. I maschi
infatti mostrano una curva di incidenza che decresce in modo costante dall’età
giovanile alle età successive; per le donne invece vi è un aumento di incidenza progressivo dalla adolescenza
in poi, con un picco all’età
media (35-44 anni) seguito poi da
un costante decremento.
La prevalenza delle donne non è
limitata alla depressione, che costituisce comunque la patologia più grave e
maggiormente diffusa tra la popolazione.
L’epidemiologia degli altri disturbi psichici
Le
donne soffrono di più degli uomini in una proporzione variabile da due a tre
volte di : disturbi d’ansia ed attacchi di panico; disturbi fobico-ossessivi;
ed inoltre segnaliamo le demenze (Alzheimer ed altre demenze) tra le patologie a
maggiore impatto tra la popolazione femminile.
§
I Disturbi Fobico-ossessivi e gli Attacchi
di Panico sono prevalenti nelle donne in tutte le fasce di età. Tra le
principali cause di Disease Burden nei
paesi ad elevato reddito (High Income
Countries), troviamo che nella fascia 15-44 anni i disturbi fobico ossessivi
sono al 5° posto tra la popolazione femminile rispetto al 10° posto di quella
maschile; ed i disturbi di panico sono solo tra le femmine al 10° posto.
§
Le
Demenze sono tra le principali cause di carico di malattia (Disease Burden):
stimate dal WHO nel 1998 nella fascia di età al di sopra dei 60 anni, sono al 4°
posto tra le donne ed all’8° posto tra gli uomini.
Le
donne soffrono esclusivamente di alcune sindromi come i disturbi
dell’alimentazione con le due specificazioni di anoressia e bulimia.
§
L’ Anoressia
Nervosa è una patologia che le statistiche danno al 90% a prevalenza
femminile. Questa sindrome fa registrare anche un tasso di mortalità al suo
interno pari al 10%. L’età media di insorgenza è quella adolescenziale (17
anni)
§
La Bulimia è anch’essa diffusa maggiormente tra le donne (90%)
ed ha una insorgenza tra adolescenti e giovani adulti.
La sintomatologia
L’osservazione
clinica è orientata intorno alla maggiore presenza delle donne. Le categorie
diagnostiche raccolgono maggiormente sintomi espressi dalle donne creando poi un
profilo di malattia legato alle caratteristiche della popolazione femminile.
Si
sono infatti discussi tra i ricercatori i criteri diagnostici dei vari DSM (Diagnostic
and Statistical Manual of Mental Disorders
dell'American Psychiatric Association) che includevano ben 5 criteri
da soddisfare per la diagnosi di depressione, mentre in alcune ricerche sugli
effetti della depressione si è visto che a parità di disfunzionalità sociale
per gli uomini erano sufficienti un numero inferiore di criteri (3 criteri su 5
indicati).
In questo caso, modelli sperimentali di
malattia costruiti prevalentemente su profili femminili rischiano di
sottovalutare specifici fattori di rischio per gli uomini.
Solo nella letteratura più recente però,
sono presenti riferimenti più specifici alle differenze di genere in
particolare a specifici connotati che la depressione assume
negli uomini e nelle donne.
La sintomatologia depressiva, nella
fase di stato, tende a presentare nelle donne una maggiore gravità soprattutto
per quanto riguarda i fenomeni ansiosi e le somatizzazioni.
Le donne manifestano maggiormente,
rispetto agli uomini, i loro stati interni e ciò potrebbe portare ad una
ipervalutazione della sintomatologia; negli uomini, in rapporto a stili
cognitivi diversi, vi è una tendenza a negare alcuni aspetti sintomatologici.
Per indagare sulla realtà o meno di
questa prevalenza i ricercatori hanno preso in esame alcuni principali bias:
·
la definizione delle
casistiche con l’inclusione di un numero di sintomi maggiori di quelli
necessari per definire una situazione di depressione per gli uomini;
·
la durata degli episodi
depressivi, che essendo più elevata nelle donne, può interferire nei tassi di
prevalenza (ma non in quelli definiti nel corso della vita);
·
i tassi di mortalità
relativi ai suicidi e connessi con eventi depressivi, maggiori negli uomini che
quindi potrebbero trovare in questo un motivo di minore rappresentanza nei
campioni di ricerca.
Questi ed altri bias, esaminati non hanno portato comunque ad una sconferma della
preponderanza delle donne nell’area della depressione.
I criteri di gravità del
funzionamento sociale correlati alle diagnosi
psichiche
Ma come ci si sposta dalla espressione
soggettiva del malessere, in cui la preponderanza femminile è manifesta, e si
guarda agli effetti della patologia per misurarne la gravità, ci troviamo di
fronte a scale di misurazione (Asse
V, scala di Valutazione Globale del funzionamento di un individuo nel DSM IV) su
cui sono rappresentati in maggiore misura, senza comunque una consapevolezza di
ciò, comportamenti sociali più facilmente attribuibili all’area delle
funzioni maschili e che di fatto escludono (in quanto non sono presenti in
letteratura) parametri di gravità relativi alle condizioni di vita delle donne.
Le ricerche sugli effetti della
depressione misurati in danno sociale hanno infatti portato a risultati che
tendono a ridurre (ma non ad eliminare) le distanze dei tassi di depressione tra
uomini e donne.
Ma è il caso allora di sottolineare
per converso il bias della ricerca in
questo ambito: sul piano sociale la rappresentazione delle donne è marginale e
tende ad essere sottovalutata.
Questa marginalità e sottovalutazione
del danno sociale nella depressione ed in generale nei disturbi psichici
presentati dalle donne, ha comportato e comporta ancora una situazione
paradossale: le donne tendono ad ammalarsi di più di depressione ed altro, ma
l’organizzazione sanitaria risponde maggiormente ai problemi di salute degli
uomini valutati come più “gravi” sul piano sociale.
I problemi psico-sociali
ed ambientali correlati con la diagnosi che possono influenzare trattamento e
prognosi
I problemi psico-sociali sono visti nel
DSM IV come fattori scatenanti o esacerbanti una condizione di disturbo
psichico, oppure come fattori conseguenti al disturbo che devono essere presi in
considerazione nel trattamento.
I problemi non fanno riferimento alle
condizioni di vita dei due generi e non li rappresentano in maniera ampia per
cui facilmente, soprattutto per aree di interesse e pertinenza pregiudizialmente
attribuite agli uomini (il lavoro), si rischia una sovrarappresentazione di
alcuni problemi tra gli uomini e viceversa tra le donne.
Ma in definitiva dall’esperienza
clinica emerge che tutta la categoria dei problemi sociali e ambientali, da
quelli della istruzione alla occupazione, dai gruppi sociali di supporto alla
collocazione nell’area della criminalità, ha un maggiore riferimento alle
condizioni di vita maschile e più facilmente, in mancanza di apposite
indicazioni a riguardo per il genere femminile, viene letta ed interpretata al
maschile.
In questo modo è più facile che la
diagnostica psichiatrica si avvalga di questo importante supporto per valutare
la prognosi ed il trattamento in
riferimento alla popolazione
maschile e non a quella femminile.
Fattori premorbosi associati ai tratti di personalità
La depressione è stata da sempre
correlata non solo a variazioni ormonali, ma anche ai tratti di personalità che
ricalcano le modalità espressive e gli stili di risposta tipici del ruolo
femminile.
Ÿ
Secondo la definizione di
Arieti[3]:
“vi è un tipo di personalità associata alla depressione
che ha necessità di piacere gli altri e di agire secondo le aspettative
altrui, non ascolta i propri desideri, non conosce cosa significhi essere
se stesso."
Ÿ
Queste caratteristiche non sono altro che la trasposizione dei
valori della femminilità socialmente condivisi: “riferimento all'uomo, vita attraverso gli altri e per gli
altri, proibizione di esprimere ed affermare se stessa, di essere aggressiva e
di cercare posizioni di potere (ambizione)"
Arieti ha definito così implicitamente
una coincidenza
tra i fattori di personalità legati ai valori del
ruolo femminile ed il rischio
di depressione .
Nel Trattato Italiano di Psichiatria (Pancheri,
Cassano, 1993) viene indicato esplicitamente che più frequentemente nelle donne
la depressione è preceduta da un temperamento depressivo (40.4%) e
quest’ultimo è caratterizzato da: sentimenti depressivi, bassa autostima,
insicurezza[4].
Se guardiamo a specifici disturbi di
personalità ne troviamo alcuni le
cui caratteristiche sono sviluppate nel disturbo depressivo e che sono
maggiormente (o esplicitamente) connotate
al femminile e quindi più diffuse tra le donne:
Ÿ
il Disturbo di Personalità
Dipendente. Questo disturbo è caratterizzato infatti secondo il DSM IV da:
“comportamento sottomesso e dipendente, passività, mancanza di iniziativa,
paura della separazione”
Ÿ
il Disturbo Istrionico,
caratterizzato da emotività eccessiva, necessità di ricevere attenzioni e
dalla ricerca continua di rassicurazioni.
Decorso
ed esito
Non
vengono fatte correlazioni tra variabili di esito e sesso. Non si hanno dati
significativi sul rapporto tra depressione e tempi e livelli della sua
risoluzione tra maschi e femmine.
Per quanto riguarda il decorso, l’età
sembra avere un ruolo importante per le donne nell’episodio depressivo: nelle
donne con l’avanzare dell’età si assiste ad un allungamento della durata
degli episodi con un considerevole incremento delle percentuali di cronicità;
negli uomini invece la maggiore età si lega ad un incremento del numero di
episodi, ma non necessariamente della durata.
Circa
il 15-20% dei pazienti con depressione maggiore, trattati in ambiente
psichiatrico presenta una evoluzione verso la cronicità
Rischio genetico
Non vi sono dati che riguardano la correlazione tra rischio genetico e
sesso.
In generale le ricerche indicano che:
-
la depressione maggiore è
1,5- 3 volte più comune tra i familiari di primo grado di individui con questo
disturbi, che nella popolazione generale. Il disturbo distimico è più comune
tra i familiari di 1° grado che nella popolazione generale.
Richiesta di
intervento medico
Le donne più facilmente degli uomini si percepiscono depresse e si
rivolgono in ordine: al medico curante, ai servizi specialistici psicologici e
psichiatrici. Dai dati italiani in una indagine ISTAT[5]
risulta che le donne ricorrono più frequentemente al medico di base: nel 1996
tali percentuali erano rispettivamente pari all’80,9% e al 76,2% e valori
analoghi si sono riscontrati nel 1997.
Il trattamento
prevalente
Nei servizi pubblici il trattamento prevalente è quello
medico-farmacologico e le donne sono le più alte consumatrici di psicofarmaci[6]
con particolare riferimento agli ansiolitici ed agli antidepressivi.
Mancano studi a lungo termine sugli effetti sia biologici che psicologici
della prolungata assunzione di psicofarmaci (in particolare degli antidepressivi
).
L’osservazione clinica delle pazienti trattate con antidepressivi
indica che non è dimostrata la opinione che il trattamento antidepressivo possa
avere un effetto di prevenzione su nuovi episodi depressivi; così come invece
ha evidenza che il trattamento prolungato tende a creare a lungo termine una
inefficacia del farmaco e soprattutto crea una dipendenza psicologica
caratterizzata da sentimenti di paura e di insicurezza alla dismissione.
Il trattamento farmacologico come prima scelta terapeutica tende a
coprire il sintomo depressivo quando esso potrebbe essere utile per una indagine
e un trattamento psico-sociale
finalizzato alla modifica di equilibri e stili di vita induttori di patologia.
Il trattamento psicoterapico (generalmente inteso) praticato
in come trattamento unico o in associazione all’intervento
medico-farmacologico è poco diffuso nei servizi pubblici per vari motivi:
Ÿ
la difficoltà ad avere
disponibili modelli di interventi brevi e applicabili ad ogni tipologia di
utenza;
Ÿ
la mancanza di personale
qualificato in questo ambito;
Ÿ
il rapporto costi/benefici
che sembra essere, ad una indagine superficiale, a vantaggio della terapia
farmacologica rispetto ad altre terapie.
L’offerta di
intervento nei servizi pubblici
Come si è già detto a proposito della valutazione della gravità
sociale, i disturbi depressivi ed in generale i disturbi psichici
creano sempre minor allarme sociale e con esso minore interesse ed attenzione della comunità sul problema
della sofferenza femminile.
La minore attenzione ed il minore interesse sono determinati dal
pregiudizio sulla personalità isterica, e dalla relazione tra disturbo psichico e
variazioni ormonali presenti nella donna che pervade di sé
la pratica psichiatrica: i disturbi delle donne sono appoggiati ad una
personalità (costituzionalmente intesa) che naturaliter
è portata a manifestare, ad esprimere, ad esagerare i propri disturbi ( ne sono
testimonianza tutti i collegamenti tra le sindromi e i tratti di personalità
che più frequentemente si rilevano tra le donne), che si lamenta tanto della
sua sofferenza, che mette in atto solo tentativi di suicidio a scopo
dimostrativo o ricattatorio.
Questo atteggiamento di sottovalutazione del malessere femminile, in
presenza di una prevalenza dei disturbi psichici, è testimoniato proprio dalla
mancata organizzazione di servizi i
quali generalmente non si fanno carico dei bisogni di salute delle donne, non
prendono in seria considerazione la loro morbilità, e non tendono a lavorare sull’ascolto del malessere, sul
trattamento come presa in carico della complessiva condizione esistenziale della
donna, e sulla prevenzione.
Nei nostri servizi pubblici si assiste
molte volte ad una fuga o ad una messa in fuga
delle donne. Essi infatti sono a immagine dell’uomo: gestiti da uomini e
proporzionati ai bisogni di salute maschile.
I dati raccolti
nei servizi pubblici
Mancano in Italia i dati differenziati per sesso
quando essi vengono raccolti nei servizi territoriali di salute mentale
(psichiatrici e psicologici).
Gli unici dati esistenti
differenziati per sesso sono quelli che riguardano i ricoveri in ambiente
ospedaliero; ma nei ricoveri
ospedalieri, per motivi noti, risulta una preponderanza
di maschi. La raccolta di un dato così parziale rende poco visibile la
presenza delle donne nei circuiti psichiatrici.
Fattori genetici
Benchè vi sia evidenza per una
influenza genetica che opera nella trasmissione dei disordini mentali, si
conosce ben poco delle modalità di trasmissione di questi.
Fattori
ormonali
Il meccanismo
con cui il cambiamento negli
ormoni riproduttivi durante il ciclo mestruale possa influenzare in modo grave i
cambiamenti di umore non é dimostrato.
In particolare, sebbene
le donne abbiano più probabilità degli uomini di incorrere nell’arco della
propria vita in un evento depressivo, tra quelle che hanno sperimentato un
episodio di depressione maggiore non
compare un maggiore rischio - rispetto all’uomo
- di ricadute o ricomparse dell’evento; e ciò pertanto contraddice una ipotesi di
correlazione tra depressione e ciclo ormonale.
Il contributo di questo periodo all’insorgenza della depressione è
limitato: secondo Kaplan e Sadock (1991)
il disturbo depressivo compare in 1 o 2 casi per 1000 donne che hanno partorito.
Per questi due autori, sebbene l’improvvisa caduta del livello di estrogeni e progesterone immediatamente dopo il parto possa contribuire all’abbassamento del tono dell’umore, il trattamento con questi ormoni non ha successo.
D.
Menopausa
Le differenze di genere tendono a
diminuire in età più avanzata: queste evidenze suggeriscono che la menopausa
non è associata con un incremento del rischio di depressione.
Modelli sociali
Il ruolo dei fattori sociali
nell’insorgenza di episodi depressivi è ben conosciuto.
Un modello esaustivo è rappresentato dai risultati di uno studio su un
campione random di donne di un
sobborgo di Londra (Camberwell) e delle Outer
Ebridi, condotto da Brown e Prudo (1981). Il modello proposto individua
tre tipi di fattori nell’insorgenza della depressione:
-
agenti provocanti
costituiti da importanti eventi di vita, responsabili dello sviluppo di più
casi di depressione;
-
fattori di vulnerabilità
costituiti da tipologie ricorrenti di accadimenti della vita quotidiana:
mancanza di confidenza con il partner, mancanza di supporto sociale, presenza di
due o tre figli con età inferiore
a 14 anni, morte della madre prima dei 10 anni;
-
fattori che influenzano la
formazione dei sintomi e che non aumentano il rischio di depressione ma solo la
sua fenomenologia (durata, comorbidità con sintomi ansiosi, fobici, ecc.)
Il ruolo degli eventi di vita è stato
studiato da Paykel (1994); gli eventi sono stati raggruppati in un’unica serie
di eventi indesiderabili e minacciosi,
comprendenti anche gli eventi di perdita considerati più specificamente
associati con la depressione. Il risultato di questo studio è che un numero
significativamente maggiore di eventi è associato con l’insorgenza della
depressione. Inoltre Paykel ha studiato la mancanza di supporto sociale come
fattore di rischio per la depressione.
In questi studi vi è evidenza che le donne
sperimentano un numero maggiore di eventi indesiderati e minacciosi
rispetto agli uomini (Kessler e McLeod, 1984; Bebbington et al., 1988) o danno
un maggiore significato distruttivo all’evento
dopo averlo sperimentato ( Wilhelm e Parker, 1993) e questo in parte può
spiegare l’aumento di vulnerabilità alla depressione.
Vi è evidenza
che il contesto familiare e culturale, con la specifica struttura dei
ruoli sociali e le aspettative correlate, può influenzare il numero di life
events ed il rischio di depressione associato. Analisi di confronto
tra campioni
di donne a Londra e nelle Ebridi mostra che i life
events avvenivano molto meno frequentemente nei contesti rurali. L'analisi
condotta in ciascuna delle due popolazioni rivelò che
a Londra le donne della working class sviluppavano più facilmente depressione paragonate
alle donne della middle class perché
sperimentavano maggiormente fattori provocanti e di vulnerabilità.
Presso la popolazione delle Ebridi, le
donne, meno connesse a ruoli tradizionali, erano più a rischio di depressione
forse per i sentimenti di minor auto-stima legati a comportamenti meno
convalidati dalla comunità. (Brown e Prudo, 1981).
Pochi studi tentano di determinare l’aumento di rischio per lo sviluppo
della depressione associato con
eventi stressanti. Il rischio nei sei mesi seguenti
l’evento è approssimativamente sei volte maggiore e decade rapidamente
con il tempo dopo l’evento (Paykel, 1978). Comunque, Cooke (1987) ha valutato
la proporzione di disturbi depressivi causati da eventi di vita
e fornisce un valore oscillante tra il 29% ed il 69%, con una media
intorno al 40%. Queste scoperte suggeriscono che i life
events giocano un ruolo importante nella insorgenza della depressione
insieme con altri fattori.
La violenza sessuale
Sul tema della violenza vi sono evidenze epidemiologiche significative,
che non vengono prese in considerazione nella ricerca e nella clinica medica.
Questa evidenza, illustrata in tutte le indagine su donne che hanno
subito violenza, segnala l'alta percentuale di effetti psichici, tra i quali la
depressione ha un posto principale. Nonostante ciò la psichiatria nelle sue
indagini non prende in considerazione questo fattore e nella prassi medica non
viene considerata una eventuale eziologia da violenza sessuale (o altra
tipologia di maltrattamento). Riportiamo a questo riguardo il dato della World
Bank che ci sembra più autorevole per rappresentare questa interconnessione tra
depressione e violenza sessuale:
Disability-adjusted
life years (Daly’s lost) to women age 15 to 44
due to conditions attributable to domestic violence and rape.
Relevant conditions
|
Total DALYs lost to women age 15 to 44
(millions) |
Share attributable to domestic violence
and rape |
Depression |
10.7 |
50 percent |
Alcohol dependence |
0.9 |
10 percent |
Drug dependence |
1.1 |
10 percent |
Post Traumatic stress disorder |
2.1 |
60 percent |
Suicide |
5.5 |
30 percent |
Dallo schema si vede in
particolare come nel 50% dei casi di depressione vi sia una stima di
attribuzione causale alla violenza domestica o allo stupro (rape).[7]
Modelli di sviluppo
In accordo con
la teoria psicoanalitica classica, le donne sono più inclini alla
depressione dei maschi perché la struttura di personalità risulta dallo
sviluppo psico-sessuale femminile e dalle principali relazioni d’amore
narcisistiche, dal masochismo, dalla bassa autostima, dalla dipendenza e dalla
inibizione della ostilità.
Ruble ed altri (1993) hanno suggerito
che agenti di socializzazione e stereotipi di genere possono influenzare la
costruzione dell’identità. In generale i genitori
tendono a favorire comportamenti dipendenti e attitudini alla cura nelle
ragazze, e indipendenza e comportamenti attivi nei maschi. Questo atteggiamento
conforme agli stereotipi culturali enfatizza la competenza e la fiducia nei
maschi in opposizione alla passività, bisogno di sostegno e dipendenza nelle
femmine.
L’effetto degli agenti di
socializzazione e degli stereotipi di genere insieme contribuiscono a che le
ragazze mostrino livelli maggiore
di preoccupazione nella valutazione di sé. Queste preoccupazioni possono avere
la funzione di precursori o fattori di rischio per lo sviluppo futuro di una
depressione. Infatti le preoccupazioni di piacere agli altri, più elevate nelle
ragazze, fanno in modo da rendere più probabili le esperienze di fallimento nel
corrispondere agli standards di
comportamento e producono un più basso senso di padronanza e di controllo.
Modelli di ruolo
sessuale
L’impatto dei ruoli sociali e delle
aspettative può essere responsabile delle differenze di genere nei tassi di
depressione. Specifica attenzione è
stata data all’effetto del
matrimonio sui tassi di depressione. L’essere sposati sembra avere un effetto
protettivo per i maschi e un effetto dannoso per le donne, poiché in generale i
più alti tassi di depressione delle donne sono spiegabili con i tassi più alti
di depressione delle donne sposate (Weissman e Klerman,1977).
Un ulteriore aspetto è stato preso in considerazione: la cura dei figli.
Brown (1975) ha preso in considerazione la relazione tra stress psico-sociale e
conseguenti disturbi affettivi e ha trovato che le donne sposate della classe
lavoratrice con tre o più figli sotto i 14 anni
avevano tassi più elevati di depressione.
Questi studi suggeriscono che la
maggiore vulnerabilità delle donne sposate alla depressione possa essere
associata al lavoro familiare come fonte di stress. Infatti, le donne sposate
che non lavorano poggiano solo sull’identità di moglie e madre per
l’autostima, e questo ruolo porta con sé molti elementi frustranti come
routine, isolamento, nessun guadagno economico ed inoltre è svalutato nella
società moderna.
D’altro lato, donne che entrano nel mercato del lavoro, fronteggiano
discriminazioni ed iniquità, con relativi bassi livelli di controllo sul
lavoro, bassa complessità, scarsa sicurezza, e
basso salario.
Inoltre, poiché le donne sentono
come responsabilità primaria la cura dei figli e della casa, le donne
lavoratrici sperimentano un sovraccarico di ruolo ed un conflitto di ruolo. Queste
differenze di genere nel tipo e
nella struttura di occupazioni e ruoli creano aspettative che influenzano lo
stato di salute mentale (Gove 1979).
Infatti, Meddin (1986) usando dati da
una ricerca nazionale sulla qualità della vita negli Stati Uniti, ha fatto una
comparazione tra intervistati
maschi e femmine sposati che rispondevano ai criteri della tradizionale
divisione del lavoro, in cui il maschio lavora e la donna no; ed intervistati sposati che corrispondevano ai criteri della
divisione del lavoro "non tradizionale” nella quale ambedue i coniugi
lavorano. Le donne hanno riportato più depressione dei maschi nelle due
situazioni: di lavoro esterno o di non lavoro.
Le principali differenze di genere nei disordini affettivi possono essere
riassunte come segue:
-
nonostante i tassi di
prevalenza per la depressione maggiore e la distimia varino a seconda dei paesi,
una scoperta rilevante è che i
tassi sono più alti nelle donne che negli uomini, di circa, in media,
due volte. Le stesse scoperte vengono riportate per quanto riguarda la
depressione intermittente e quella
breve ricorrente, benchè questi disordini siano stati studiati in campioni
della popolazione generale
in misura minore. Le differenze di genere nei tassi di prevalenza per il
disordine bipolare variano tra i diversi studi fatti e non sono riportabili ad
alcun modello.
-
Pochi studi,
relativamente recenti, offrono
dati sull’incidenza della depressione, ma tutti mostrano in maniera
convincente che i tassi sono più alti nelle donne che negli uomini. Non sono
riportate rilevanti differenze di genere per i tassi sul disturbo bipolare.
Sintesi
delle principali ipotesi eziologiche
Sono state suggerite molte ipotesi sulla preponderanza delle donne
rispetto ai tassi di depressione: fattori genetici, ormoni riproduttivi,
monoamine e altri sistemi di neurotrasmittori, sistemi di regolazione endocrina,
modelli di sviluppo, fattori ambientali (es. eventi di vita e supporto sociale),
conflitti di ruolo sessuale e scoperte della neuropsicologia.
-
Fattori genetici: si
conosce ben poco delle modalità di trasmissione di questi.
-
Fattori ormonali (ciclo
mestruale, post-partum e menopausa): non vi sono evidenze sul collegamento tra
questi fattori ed il maggior rischio di depressione.
-
Fattori sociali e di ruolo:
vi sono evidenze nel ruolo giocato nell’insorgenza degli episodi depressivi.
Le donne subiscono più eventi negativi e questi sono collegati con il loro
ruolo e status sociale che le espone maggiormente ad eventi negativi (minore
occupazione, maggiore povertà, maggiore violenza subita, ecc.).
-
Fattori specifici oggetto
della ricerca come il matrimonio, la presenza di figli piccoli, la presenza di
un lavoro esterno, che mostrano diversi e a volte contraddittori risultati,
possono avere un significato solo se indagati in modo interconnesso all’interno dell’analisi del lavoro
(familiare ed extrafamiliare insieme) e delle condizioni di lavoro
(soddisfazione, gratificazione, riconoscimenti, autonomia,
competenze, ecc.).
-
Infine i fattori di
personalità hanno una loro capacità
di spiegare in modo appropriato la prevalenza della depressione tra le donne
solo se considerati alla maniera di
Ruble, cioè
come derivati e prodotti storico-culturali.
Le tendenze nelle donne ad assumere stili comportamentali improntati a
dipendenza e passività non sarebbero quindi strutture di personalità
biologicamente determinate, ma comportamenti appresi attraverso agenti di socializzazione
e stereotipi di genere che possono
influenzare la costruzione dell’identità ed indirizzare le donne verso stili
di risposta depressivi.
-
Sono stati infine poco
analizzati i fattori di rischio collegati allo stress, utilizzati invece per le
ricerche sulle malattie considerate a maggiore prevalenza maschile come quelle
cardiovascolari.
Dal complesso delle ricerche su
eziologia e fattori di rischio emergono come più deboli o scarsamente
suffragate da ricerche e dati
significativi le ipotesi
genetiche, ormonali e
psico-costituzionali (struttura di personalità). Al contrario, maggiori dati
significativi emergono dalla ricerca sui fattori di ruolo, sui fattori psico-sociali e attitudinali-educazionali.
Per tutte le ipotesi rimane valido quanto affermato dall’OMS: ovvero
che manca un modello complessivo ed integrato (multifattoriale) che aggreghi i
vari fattori secondo, aggiungiamo noi, criteri di principalità
e secondarietà rispetto al
fenomeno indagato.
Molto limitate sono le conoscenze sulla
risposta differenziale ai trattamenti farmacologici. Per questo aspetto si
rinvia al paragrafo successivo curato dal prof. Giovanni Muscettola
dell'Università di Napoli.
Dal punto di vista clinico l'esperienza nel rapporto con le donne
che fanno uso di farmaci ci fa fare le seguenti osservazioni:
le
donne riferiscono maggiormente nell'assunzione di farmaci:
-
più sintomi indesiderati e
più effetti collaterali;
-
più sintomi paradossi;
-
minore efficacia del
trattamento, ma anche maggiori atteggiamenti di dipendenza psicologica.
La prevalenza delle donne, statisticamente significativa,
non ha avuto effetti sulla valutazione del problema di salute delle donne
in vari campi:
Ÿ
nella attenzione sanitaria
al problema: basti pensare che il piano della Agenda 2000 del WHO
(Organizzazione Mondiale della Sanità), che lancia l’allarme “incremento
dei tassi di depressione nel 2020”, non menziona in alcun modo il livello di
implicazione del genere femminile;
Ÿ
nella prevenzione mirata a
questa categoria di popolazione; non esistono infatti piani di prevenzione
all’interno della salute mentale su specifici fattori di rischio come ad
esempio la violenza sessuale e il carico di lavoro familiare;
Ÿ
nella organizzazione di
servizi: sono pochissimi i servizi di salute mentale con questo tipo di
attenzione e focus sulla donna, gli altri ignorano i bisogni di salute delle
donne.
Il paradosso estremo della iniquità di
trattamento tra uomini e donne è ben visibile in questa area medica.
Le donne sono sottovalutate e con loro
sono sottovalutati anche i loro disturbi, anche quando questi si presentano come
prevalenti nella popolazione generale. Succede così che pur essendo le maggiori
portatrici di patologia depressiva, per consenso di tutti i ricercatori e
clinici, ma non solo: avendo anche più sintomi, più complicanze, più
ricadute, più rischio di cronicità, la loro condizione non sia
sufficientemente rappresentata e presa in considerazione in piani di intervento
mirati
Così
vediamo che l’attenzione al genere segue due direttrici.
Il momento diagnostico di inquadramento dei sintomi che
sembra ipervalutare il disturbo femminile: infatti la definizione dei
criteri diagnostici depressivi sembra incrociare perfettamente le modalità
espressive della donna e ciò farebbe pensare di essere in presenza di
un'attenzione sul genere; tant’è che in nome della “differenza di genere”
si esplora il territorio maschile rimasto in ombra alla ricerca di criteri
diagnostici equitativi che diano eventualmente il giusto risalto anche alla
depressione maschile.
Dall’altro lato sul piano della eziopatogenesi la clinica
mantiene un atteggiamento dispari tra uomini e donne, orientando la diagnosi e
l’interpretazione dei processi patogenetici sottostanti in due canali diversi
e tradizionalmente attribuiti ai ruoli maschili e femminili: le motivazioni
della depressione maschile sono ancorate maggiormente a fatti ed eventi esterni
e alla loro oggettiva gravità (gravità osservabile e condivisibile); le
motivazioni attribuite alle donne sono più ancorate alla variabilità
soggettiva “umorale”, alla maggiore emotività, e come tali sono connotate
da minore gravità. Il comportamento suicidario avalla la differenza compresa
nella maggiore gravità sociale della depressione maschile rispetto a quella
femminile.
E così la prevalenza delle donne in questa area non crea
emergenza sanitaria. Emergente diventa il problema della depressione
maschile perché in essa si individua una maggiore gravità dovuta sia al fatto
che i sintomi appaiono più lontani dalla costituzione di personalità
e dagli stili di risposta maschili, sia al fatto che la malattia maschile
ha effetti che si considerano (a torto) più rilevanti. Diciamo a torto perchè
basterebbe utilizzare anche altri parametri di misura della gravità sociale
della sintomatologia psichica per vedere la rilevanza che la depressione
femminile assume ad esempio nel rapporto con donna-madre e figli.
E così il trattamento (compreso quello farmacologico la cui
sperimentazione è condotta sugli uomini), la prevenzione, ed i servizi si
configurano a misura di uomo anche
quando sono le donne ad utilizzarli
maggiormente.
Quanto detto è ben rappresentato
dalle seguenti evidenze e fatti :
1)
il fatto che le donne siano poco rappresentate nei trials clinici o
farmacologici impedisce di mettere
in evidenza le differenze nella risposta al trattamento.
2)
Il fatto che non si tenga conto della diversa risposta ai farmaci, si accompagna al rischio che dosi
inappropriate favoriscano gravi sintomi collaterali quali le disregolazioni
endocrine e le discinesie tardive.
3)
Il fatto della minor offerta di trattamenti mirati alla
osservazione e considerazione della vita quotidiana (in primis il lavoro) e degli stili comportamentali
implica
una minore capacità di incidere sui fattori eziologici e di rischio a carattere
psico-sociale.
4)
Il fatto che siano le donne di età compresa tra i 15 ed i 44 anni
ad avere un più alto fattore di rischio per la depressione e per gli altri
disturbi psichici non sembra
rappresentare uno specifico indicatore di vulnerabilità per gli operatori
sanitari. Questi infatti raramente predispongono programmi mirati a gruppi
specifici di donne: le adolescenti e le post-adolescenti (fascia di età 15-24);
le giovani madri e le donne con doppio carico di lavoro (35-44).
5)
Il fatto che i servizi non producano casistiche differenziate per
sesso, nonostante vi sia evidenza
di una "epidemia sociale" della depressione femminile.
Il gap
esistente tra la ricerca e la clinica: i mancati riflessi dei risultati della
ricerca sull’intervento clinico
Il
punto di arrivo della ricerca sulle differenze di genere in questo campo ha
avuto negli ultimi 20 anni un incremento notevole: in particolare con la ricerca
della diversa eziologia sul versante dei fattori psico-sociali e di ruolo.
Ma
poco dei risultati notevoli raggiunti in questa area, anche se sono necessari
ulteriori approfondimenti, è rifluito nella clinica e poco essi hanno inciso
nella formazione pratica e teorica dei medici e dei sanitari.
I
trattati di psichiatria mantengono al loro interno inalterati i pregiudizi e
poco specificano sulle questioni di genere. Molto secondo noi deve essere ancora
fatto nel campo della clinica e dell’intervento sanitario, perché i risultati
della ricerca non siano accantonati.
Riteniamo
che il campo di studio e ricerca, nonchè il campo clinico, siano attraversati
da evidenze che non hanno finora portato a consequenziali atti e misure di
modifica per rendere appropriati i trattamenti clinici e la prevenzione.
Le
misure da proporre possono essere bene definite alla luce dell’attuale stato
di avanzamento della ricerca e dalle sue palesi contraddizioni e lacune.
Esse possono consistere, in questa fase, nella elaborazione di Linee
guida e Raccomandazioni utili al riconoscimento, alla selezione e all’adozione
di comportamenti appropriati sia sul piano della clinica che della ricerca.
I
campi su cui individuare specifici focus
e obiettivi sono elencati di seguito.
v
La
raccolta di dati epidemiologici e statistici:
-
una
specifica linea guida sulle modalità di raccolta dei dati disaggregati per
sesso in ogni opzione.
v
La ricerca sui fattori di
rischio e sui fattori eziologici:
-
implementazione delle
ricerche sui fattori di rischio psicosociali con la definizione di una Linea
guida specifica per interconnettere e conglobare in un quadro sensato i vari
fattori finora indagati separatamente (condizione matrimoniale con figli ,
lavoro esterno, supporti, autostima, eventi di vita come le variazioni del
carico familiare e la violenza sessuale, ecc.);
-
inserimento della
popolazione femminile negli studi sullo stress con la definizione di una Linea
guida specifica sugli strumenti da usare per rendere confrontabili le situazioni
di stress maschile e femminile;
-
la ricerca e la
sperimentazione degli psicofarmaci su campioni femminili con la verifica degli
effetti collaterali e dell’efficacia rispetto alla differenza di genere (efficacy).
v
La diagnostica:
- utilizzo
di schemi diagnostici appropriati per
collocare la patologia all’interno degli eventi di vita quotidiana relativi
alla condizione femminile con particolare focus
sul lavoro di cura e sulla violenza sessuale;
-
raccomandazioni sull’uso
della diagnostica (DSM IV) per l’integrazione del punto di vista di genere
nelle procedure di analisi del disturbo depressivo;
-
elaborazione di specifiche
linee guida per la individuazione del ruolo giocato da due fattori speficici
nell’esordio depressivo: il carico familiare (come evento stressante in sè e
come evento che riduce le aspettative ed i progetti personali) e la tolleranza
alla violenza come luogo in cui si struttura e si rafforza la bassa autostima.
v
Trattamento farmacologico:
-
una raccomandazione
sull’uso degli psicofarmaci nelle donne, una calcolata prudenza in rapporto a
scarsità di studi ed una valutazione dal basso della sua
efficacia pratica (effectiveness).
v
Trattamento clinico (
medico e psicologico):
-
definizione di un
protocollo per l’individuazione del profilo psicosociale dell’utente da cui
far emergere i fattori di rischio legati alla vita quotidiana ed alla storia
personale;
-
Linea guida per la
definizione dei criteri di scelta dell’intervento e per la individuazione
degli operatori e dei servizi più appropriati.
v
Prevenzione:
-
diffusione della
informazione dei principali fattori di rischio nelle donne, validati dalle
ricerche, e critica delle informazioni (molto spesso diffuse dai mass media o dalle industrie farmaceutiche) non suffragate da
evidenze significative e/o in contraddizione con altre evidenze;
-
raccomandazioni ai medici
di base e ai medici specialisti di altro settore (ginecologici, pediatri,
cardiologi, ecc.);
-
raccomandazioni agli
operatori sociali e scolastici;
-
Linea guida o opuscolo
informativo alle donne per una prima auto-diagnosi
e per l’individuazione precoce dei fattori di rischio.
REFERENZE
Abel K., Buszewicz M. (1996) Planning
Community Mental Health Services for Women, Rouledge, London.
American Psychiatric Association, (1999) DSM IV Diagnostic and Statistical Manual of mental
disorders, Masson, Milano.
Arieti,
S. e Bemporad, J. (1981) La depressione
grave e lieve, Feltrinelli, Milano.
Bebbington PE. et al. (1988)
The Camberwell Collaborative Depression
Study. I. Depressed probands: Adversity and the form of Depression. British
Journal of Psychiatry, 152: 754-765.
Brown GW., Prudo R. (1981) Psychiatric
disorder in a rural and an urban population: 1. Aetiology of Depression. Psychological
medicine, 11:581-599.
Brown
G. et al. (1975) Social
class and psychiatric disturbance among women in an urban population.
Sociology, 9: 225-254.
Brown
G.W, Harris T.(1978) Social
origins of depression, Tavistock Publications, London.
Elliott
BJ., Huppert FA. (1991) In sickness and in
health: association between physical and mental well-being, employment and
parental status in a British nationwide sample of married women. Psychological
Medicine, 21: 515-524
Gove
W. (1979) Sex differences in the
epidemiology of mental disorder: evidence and explanation. In: Bumberg E, Franks V. Eds. "Gender and
Disorder Behaviour: Sex Differences in Psychopathology", pp 23-68. New
York, Brunner/Mazel.
Kaplan HI., Sadock BJ. (1991) Synopsis
of Psychiatry, Behavioural Sciences, Clinical Psychiatry, sixth edition.
Baltimore, Maryland: Williams & Williams.
Kessler RC., Mcleod JD. (1984) Trends
in sex and psychological distress. American Sociological Review, 49:
620-631.
Meddin JR. (1986) Sex
differences in depression and satisfaction with self: findings from a United
States national survey. Social Sciences and Medicine, 22: 807-812
Nolen-Hoeksema S. (1990) Responses
to depression and their effects on the duration of depressive episodes,
Stanford University Press, USA.
Paykel, E.S. (1978) Contribution of
live events to causation of psychiatric illness. Psychological Medicina, 8: 245-253.
Paykel, E.S. et al. (1991)
Depression in Women. British Journal
of Psychiatry. 18 (suppl. l10):22-29.
Paykel, E.S. (1994) Life events
Social support and Depression, In: Lonnqvist J, Dahi T, eds. "Depression:
Preventive and Risk factors" Acta Psychiatrica Scandinavica, 89 suppl
377:50-58, Copenhagen, Munksgaard.
Piccinelli M., Gomez Homen F. (1997) Gender
differences in the epidemiology of affective disorders and schizophrenia Who
/msa /nam.
Piechowski, L.D. (1992) Mental
health and women's multiple roles, Journal Families in Society, Mar. Vol.
73(3) 131-139.
Reale
E. et al. (1982) Malattia mentale e ruolo
della donna, Progetto Finalizzato CNR Prevenzione
Malattie Mentali (PMM), Il Pensiero Scientifico, Roma.
Reale
E. et al. (1988) Manuale per l'intervento
sul disagio psichico della donna, Progetto Finalizzato CNR: Medicina
Preventiva e Riabilitativa, Roma.
Reale
E. Et al. (1998) Stress e vita quotidiana
della donna, Progetto Finalizzato CNR: Prevenzione e Controllo dei Fattori
di Malattia (FATMA), Sottoprogetto Stress, Roma.
Ruble DN. et al. (1993)
The role of gender -related processes in
the development of sex differences self-evaluation
and depression. Journal of affective disorders, 29: 97-128.
Seeman,
M.V. (1995) Gender and Psychopathology,
University of Toronto, American Psychiatric Press, Canada.
Weissman MM., Klerman GL. (1977)
Sex differences and the Epidemiology of
Depression, Archives of General Psychiatry, 34: 98-111.
Wilhelm K., Parker G. (1993) Sex
differences in depressogenic risk factors and coping strategies in a socially
homogeneous group. Acta Psychiatrica Scandinavica, 88:205-211
WHO (1995), Highlights on women's
health in Europe, Regional Office for Europe Sexuality and Family Planning
Health of Women and Children.
WHO (1997) A Focus on Women,
Division of Mental Health and Prevention of Substance Abuse, Geneva.
NOTE
[1]
E. Reale (1985), Il posto della donna nella storia della
psichiatria, in
Devianza ed Emarginazione, anno
IV, N. 8, Editiemme, Milano.
[2]
Il DALYs sviluppato dall’OMS e congiuntamente dalla Harvard University e
dalla World Bank, misura il carico complessivo di malattia combinato da un
lato con gli anni di vita potenzialmente in meno rispetto alla durata della
vita statisticamente prevedibile (YLLs: years of life lost); dall’altro
lato, con gli anni di vita produttiva in meno rispetto alla disabilità
prodotta dalla condizione di patologia (YLDs: Years lived with disability).
[3]
Arieti, S. e Bemporad, J. (1981), La
depressione grave e lieve, Feltrinelli, Milano.
[4]
Pancheri, Cassano et al. (1993) Trattato italiano di psichiatria,
Masson, Milano.
[5]
ISTAT , Annuario Statistico Italiano,1999.
[6]
I dati del 1994 relativi ad un’altra indagine ISTAT (ISTAT, Condizioni di
salute e ricorso ai servizi sanitari, 1994) ci riferiscono che le donne sono
le più alte consumatrici di psicofarmaci:
tra i 5,5 milioni di consumatori di psicofarmaci 3,7 milioni
sono donne e 1,7 milioni sono maschi.
[7]
World Bank Discussion Paper (1994) Violence Against Women: The Hidden Health
Burden. The World Bank, Washington,
D.C.