Capitolo
5
LE
PATOLOGIE DELL’UTERO E IL PREGIUDIZIO SCIENTIFICO*
Direttore
del Servizio di Oncologia ginecologica e Citodiagnostica dell'Università
di Padova
1.
la
situazione attuale
In tutto il mondo l’isterectomia, è uno degli interventi maggiori più
diffusi: l'hanno subita negli USA
(1) e nel South Australia (2) una donna su tre di 60 anni o più; nel Regno
Unito (3) una donna su cinque tra quelle di età superiore a 65 anni; in Italia
(4) da un’indagine caso-controllo, condotta nell’area milanese fin dal 1983,
il 12,2% delle donne risultava isterectomizzata, e tra le ultra sessantenni la
percentuale cresceva dal 12,8% tra le nate negli anni 1900-09 al 22,0% tra le
nate negli anni 1930-39.
Il tasso annuo è anch’esso molto diverso: alla fine degli anni ottanta
si andava da 550 casi ogni 100.000 donne per anno negli USA (1), a 348 in
Finlandia (5) a 164 in Norvegia (6).
Vi sono anche opposte linee di tendenza: in calo progressivo, anche se
lento, negli USA (da 701/100.000 donne/anno nel 1980 a 550 nel 1988-93), ma in
aumento in paesi come la Norvegia dove dal 1977-78 al 1988-90 è aumentata del
50% raggiungendo 164 casi per 100.000 donne/anno. In Italia non sono disponibili
dati nazionali, ma sembra in aumento, almeno da alcuni rilevamenti regionali. In
Veneto le isterectomie sono passate
da 5.909 casi nel 1993 a 6.120 nel 1994, 6.326 nel 1995, 6.685 nel 1996: questi
dati oltre a dimostrare un trend in
aumento ci dicono che, in Veneto, nel corso della sua vita una donna su quattro
viene sottoposta ad isterectomia. Questa disparità di incidenze e tendenze
indica l’esistenza di criteri più di ordine soggettivo che oggettivo
nella definizione delle indicazioni.
USA
e AUSTRALIA
una donna su tre di oltre 60 anni
REGNO
UNITO
una donna su cinque
di oltre 65 anni
ITALIA
una donna su otto nel corso della vita (SIGO)
Veneto,
1996
una donna su quattro
nel corso della vita
TASSO
ANNUO
(n° casi ogni 100.000 donne /anno)
(fine
anni ‘80)
USA
550
FINLANDIA
348
NORVEGIA
164
LINEE
di TENDENZA
USA
(1980 è
1990) : tasso annuo
701 è
550
NORVEGIA
(1977 è
1990):
+
50%
Veneto
1993 : 5909 casi
è
1996 : 6685 casi
Anche
le indicazioni e controindicazioni per la scelta del tipo di isterectomia
(limitata al corpo dell’utero, totale, allargata ai tessuti circostanti,
comprendente o meno l’asportazione degli annessi uterini e quindi delle
ovaie), delle vie di accesso (addominale o vaginale), delle tecniche chirurgiche
oggi disponibili (chirurgica tradizionale, laparoscopica, mista) mostrano
disparità importanti non solo tra un paese e l’altro, ma anche tra i vari
operatori. Negli USA una recente indagine sui criteri di valutazione per la
scelta della via di accesso ha spostato le indicazioni a favore della via
vaginale rispetto a quella addominale da 3:1 a 1:68 (7). Dalle indagini
epidemiologiche risulta inoltre che l’isterectomia è associata spesso ad
ovariectomia senza relazioni significative con lo stato patologico delle ovaie.
Eppure il benessere della donna e la sua qualità di vita possono essere
diverse se l’intervento è più esteso o più limitato o a seconda delle vie
di accesso: la possibilità di conservare il collo dell’utero può giovare
alla sessualità, l’avere o meno una cicatrice chirurgica visibile può
influire sul suo atteggiamento psicologico e sul suo vissuto, il conservare o no
le ovaie può significare, nelle donne in età fertile, una improvvisa
cessazione dell’attività ormonale con un inizio traumatico ed anticipato
della menopausa, non sempre ben compensabile con
terapie ormonali sostitutive.
L’associazione dell’isterectomia con l’ovariectomia cosiddetta
“profilattica” è un tema contraddittorio ed affrontato più su base
empirica che scientifica. Dalla letteratura risulta spesso, per esempio, che per
quanto l’ovariectomia sia eseguibile senza diversità di difficoltà sia che
l’isterectomia venga eseguita per via addominale o per via vaginale, la si
esegue molto di più nel primo caso (8), come se le indicazioni alla prevenzione
o la valutazione della situazione delle ovaie potesse variare in relazione alla
via di accesso. Alcuni testi di chirurgia per medici ne danno indicazioni in
relazione all’età, con alcune diversità, proponendola alcuni fin dai 40 anni
di età della donna, altri più tardi, ma comunque tutti sono d’accordo ad
indicarla se la donna è in menopausa.
La
giustificazione è la prevenzione, in queste donne, del carcinoma dell’ovaio,
ma i dati epidemiologici portati a supporto di questa tesi sono approssimativi e
contradditori (9,10). E’ l’unico caso rimasto in medicina in cui si tolgono
organi sani: il tumore maligno dell’ovaio è ancora una delle peggiori
eventualità cliniche per la sua aggressività e la prevalenza di stadi avanzati
al momento della diagnosi, ma oggi comunque la disponibilità di indagini
ecografiche indica possibili percorsi di diagnosi precoce; allora perché
privare la donna di un organo sano
e di un apporto ormonale importate (11) sia prima che dopo la menopausa? Quante
ovaie si asportano, con le relative conseguenze, per prevenire pochi tumori?
Anche
la conservazione o meno di un collo dell’utero sano in corso di isterectomia
per affezioni ginecologiche benigne ha avuto alterne vicende: la sua quasi
sistematica conservazione quando si sono cominciate ad eseguire le isterectomie
avveniva più per le difficoltà connesse con la sua asportazione che per
ragioni oggettive di rispetto per la salute della donna. La sua asportazione
prima degli screening citologici per
la prevenzione del carcinoma del collo dell’utero poteva avere anche alcuni
vantaggi. Il collo dell’utero non è un organo inutile e la sua perdita con le
conseguenti alterazioni dell’innervazione circostante può influire
negativamente sulle funzioni urinarie ed intestinali e sulla sessualità (12),
ma anche su questo argomento i dati scientifici sono contraddittori.
Il
collo dell’utero, in linea teorica, dovrebbe essere tolto su in presenza di
una sua patologia non altrimenti curabile.
Non
c’è comunque accordo su queste scelte, e pochi sono i dati della letteratura
che dimostrano oggettivamente, con studi accurati anche di lungo periodo, quali
sono i vantaggi reali o gli svantaggi in un caso o nell’altro, qual’è il
rapporto costi/benefici di una scelta e dell’altra.
L’isterectomia, inoltre, non è un intervento privo di complicanze, che
possono essere legate all’intervento chirurgico in se stesso (emorragie,
infezioni, fistole, disturbi della motilità intestinale ed alle vie urinarie,
ecc.) e soprattutto dovute alle sequele successive alla perdita dell’utero o
di tutto l’apparato genitale interno e possono essere sia di tipo ormonale che
fisico, ma soprattutto di ordine psicologico e relazionale.
COMPLICAZIONI
DELL’ISTERECTOMIA (Harris,
review, 1997)
EMORRAGIA
(1-3%)
intraoperatoria
(necessità di trasfusione o
perdita ematica >1 litro) 0,2-3,7%
AH 0,2% *
VH
0,7% * LH 0,21%
^
postoperatoria
(ogni perdita che richieda
trattamento)
AH
1,6% *
VH
1,9% * LH
0,50% ^
0,9% °
2,6% °
INFEZIONI
febbre
inspiegata (38° da 24 ore dopo
l’intervento)
AH 32,3%
* VH
15,3% * LH 2,7% ^
infezione
nella sede di intervento
AH 9%
*
VH 3,9% *
LH 1,4%^
infezione
distante dalla sede di intervento
-
urinaria:
1-5%
LH 0,33%
-
polmonare:
rara
DANNI
AGLI ORGANI VICINI
Vescica
0,5% (1971) 1-2%
(1986-1995)
AH 0,3% *
VH 1,6% *
LH 1,1% ^
Intestino
AH 0,3% *
VH 0,4% *
LH 0,25% ^
Uretere
AH 0,2% *
VH
/ * LH
0,2% ^
TROMBOEMBOLIA
(AH -VH)
AH * 0,2% v
2,4% vv
VH *
0,2% v
1,6% vv
DEISCENZA
DELLA FERITA
AH 0,3-0,7%
VH : aneddotica
LH 0,29% ^
NECESSITA’
DI INTERVENTI CHIRURGICI MAGGIORI (3,4%-4,3%)
(durante
o entro otto settimane
dall’intervento)
AH
1,8% *
VH 5,1%
*
LH 3,2%
MORTALITA’
isterectomia per patologia benigna:
1,6 ‰
_____________________________________________________________________________
Legenda:
*CREST study,1982
°Amirikia,1979
^ Harris,1996
vdonne
a basso rischio
vvdonne
ad alto rischio
Dall’analisi
di numerose casistiche risulta che la mortalità per l’intervento sia tra 6 e
11 casi su 10.000 operate per affezioni ginecologiche
benigne e tra 29 e 38 casi su 10.000 operate per complicanze legate alla
gravidanza ed al parto, mentre la morbilità, comprendente tutti i gradi di
complicazioni post-operatorie, in un vecchio studio del 1982 (13), è stata
rilevata nel 43% delle isterectomie vaginali e nel 24% di quelle vaginali.
Da
uno dei pochi studi epidemiologici sistematici condotto su tutte le isterectomie
eseguite in Danimarca nel periodo 1978-81, emerge che
le complicazioni, dal momento dell’intervento fino a sei anni dopo,
sono avvenute nel 2,6% dei casi entro i primi 30 giorni, nel 3,7% entro 90
giorni, nel 9,4% entro due anni; circa l’8% aveva avuto necessità di nuovi
ricoveri in relazione alle complicazioni nell’arco dei sei anni di
osservazione (14).
Tra
le complicazioni più rilevate e più studiate vi sono i disturbi psicologici e
quelli sessuali, ma anche in questo campo i risultati sono contraddittori.
Occorre dire che molti studi non
sono condotti con metodologie corrette e non sempre si è tenuto conto di
variabili importanti come il tipo di intervento, l’informazione data, il
supporto familiare, le condizioni preesistenti, la terapia ormonale sostitutiva
(15-19). Infine occorre dire che pochi sono gli studi sugli esiti a distanza, in
particolare sui vantaggi di salute ottenuti specie nelle isterectomie per
patologia benigna.
COMPLICAZIONI
DELL’ISTERECTOMIA (Harris,
review, 1997)
DISFUNZIONI
PSICOSESSUALI
·
dispareunia
·
diminuzione della libido
·
diminuita lubrificazione vaginale
Questione
controversa: la letteratura precedente sosteneva
un aumento di disfunzioni sessuali, i lavori più
recenti non confermano.
Tutti
sono d’accordo su:
u
l’asportazione concomitante delle ovaie in premenopausa porta ad un aumento
delle disfunzioni sessuali;
u
un adeguato counseling preoperatorio sulle indicazioni, il tipo di intervento,
il decorso postoperatorio migliora lo stato di benessere postoperatorio;
ulo
stato delle funzioni sessuali prima dell’intervento è il miglior fattore
predittivo della funzione
sessuale dopo.
DISFUNZIONI
DEL TRATTO URINARIO INFERIORE
§
Segnalazioni cliniche di aumento
(incontinenza, ritenzione, disuria, poliuria,ecc)
§
In pazienti studiate prima e dopo
l’intervento, anche con urodinamica, non si è osservato un significativo
aumento.
§
Virtanen (1993) ha notato una diminuzione della stress
incontinence
DISMOTILITA’
GASTROINTESTINALE
§
intestino irritabile:
compare nel 5% dei casi, diminuisce nel
60%
§
stipsi: in generale è descritta in
significativo aumento, ma mancano studi comparativi prima/dopo
·
diminuite sensazioni rettali
·
aumento del volume rettale
·
diminuita motilità del sigma
2.
le
prospettive
La
medicina moderna, basata sull’evidenza, cioè su conoscenze ed esperienze
oggettive, verificabili e confrontabili, ci obbliga a valutare efficacia ed
appropriatezza degli interventi medici, diagnostici e/o terapeutici, in
relazione alle possibilità che offrono di
promuovere e/o recuperare il bene salute. Ogni atto chirurgico comporta in sé
un rischio per la salute che può
essere corso solo per un beneficio maggiore; l’isterectomia, oltre al rischio
chirurgico, comporta anche la perdita della capacità riproduttiva e di un
organo che ha una grande valenza simbolica nell’identità femminile.
L’isterectomia quindi come atto terapeutico è giustificata solo nella misura
in cui è l’unico mezzo possibile per impedire o riparare un danno rilevante
alla salute e dovrebbe comunque essere limitata all’asportazione della minor
parte possibile dell’utero, in relazione al beneficio che si vuole ottenere,
privilegiando le vie di accesso meno invasive.
Non è facile definire, superando le vecchie concezioni organicistiche, il concetto di salute e di malattia. L’OMS
ha definito la salute nel 1947 ad Alma Ata
come “stato di benessere
fisico, psichico e relazionale”; malattia è quindi
tutto ciò che compromette questo stato di benessere. Nel nostro
specifico quale patologia dell’utero costituisce malattia e necessita quindi
di essere prevenuta e/o curata? e quando non vi è altro strumento terapeutico
che quello chirurgico? e quale è l’intervento più appropriato in ciascuna
delle molteplici situazioni cliniche che si possono osservare?
Da molte indagini (5) risulta che il 10-15% delle isterectomie è
eseguito per patologia tumorale maligna, mentre il 85-90% avviene per patologia
benigna, (principalmente fibroleiomiomi, in parte minore endometriosi, prolassi
uterini, metrorragie, o, raramente, per urgenze come emorragie infrenabili o
infarcimenti uterini post-partum, ecc.).
I tumori
maligni dell’utero e dell’ovaio costituiscono un grave rischio per
lo stato di benessere della donna e
l’isterectomia, modulata nella sua estensione a seconda dello stadio clinico,
rimane ancora il principale presidio terapeutico. Tuttavia la diagnosi precoce
di molte neoplasie del collo dell’utero e dell’ovaio comincia ad offrire
oggi la possibilità di eseguire nelle forme molto iniziali interventi più
limitati, per esempio circoscritti al solo collo dell’utero o al solo ovaio.
C’è da dire, inoltre, che le attività di screening
dei tumori del collo dell’utero tramite il Pap-test
– che permette di diagnosticare le lesioni che precedono i tumori e quindi di
rimuoverle con piccoli interventi “radicali rispetto alle lesioni”, ma
conservativi per quanto riguarda l’utero -
hanno oggi ridotto ad un terzo i
casi di donne affette da tumori invasivi che
richiedono l’isterectomia e, tra questi, quelli che richiedono gli interventi
più radicali. Anche altre alterazioni dell’utero come le iperplasie, ritenute
a rischio per lo sviluppo di carcinomi, possono oggi essere validamente curate
in gran parte con terapia ormonale o con la sola ablazione endometriale.
Per quanto riguarda le alterazioni benigne,
che costituiscono oggi il motivo di gran lunga prevalente per cui si consiglia
l’isterectomia, da tutte le casistiche risulta che le indicazioni più
frequenti sono costituite dalla fibromatosi uterina (30-35%), dall’endometriosi
(20%), dalla patologia del pavimento pelvico (15%), da dolore pelvico cronico,
iperplasie endometrio, sintomi multipli associati.
Nella
fibromatosi, in tutte le sue multiformi espressioni, l’ACOG (American College
Obstetrics Gynecology) accetta come
indicazione:
-utero di volume superiore a quello di 12
settimane di gestazione o superiore a 280 gr.;
-presenza di sintomi (perdite ematiche,
dolori,ecc.) non controllabili con terapia medica;
-rapida crescita dei fibromi in
menopausa.
La SIGO (Società Italiana Ginecologia e
Ostetricia) sta elaborando le sue linee guida con l’orientamento ad indicare
un volume uterino superiore a quello corrispondente a 16 settimane di
gestazione.
Queste formazioni, allora, quando sono un semplice alterazione anatomica
di un organo e quando invece costituiscono malattia o rischio di malattia? Cioè,
quando incidono o possono incidere sullo stato di benessere fisico, psichico e
relazionale della donna? La risposta a questa domanda è fondamentale per
verificare la necessità o meno di una terapia e, in caso di risposta
affermativa, quale sia la terapia più adeguata ed efficace.
Manca una definizione oggettiva dei
criteri che possono far includere o meno una fibromatosi tra le malattie; il
danno allo stato di benessere della donna deriva più che dal loro volume o
dalla loro localizzazione, dalla presenza o meno di sintomi e dalla loro entità, dalle
modificazioni che ne possono derivare per la vita sessuale e per la
capacità riproduttiva, e, non ultimo, dalle influenze sul suo atteggiamento
psicologico e sul suo vissuto, in definitiva sulla sua qualità di vita.
Esistono peraltro pochi dati in letteratura che abbiano valutato, in base alla
situazione clinica ed agli esiti dell’intervento, se questo sia stato
realmente efficace ed appropriato, capace cioè di rimuovere i sintomi e
migliorare significativamente la qualità della vita, o se vi fossero state
altre possibilità.
Negli studi prospettici di coorte di Karen Carlson (The Maine Women’s
Health Study I e II) si rileva una riduzione dei sintomi, anche se con alcune
differenze, sia con la terapia chirurgica che non, e si conclude che molte donne
con fibromi, perdite ematiche, dolore pelvico cronico beneficiano di trattamenti
non chirurgici, ma che l’isterectomia rimane un’importante alternativa
quando i trattamenti conservativi falliscono.
In parallelo anche nella ricerca scientifica è mancato un impegno
costante per individuare le cause che favoriscono l’insorgenza dei fibromi,
dati indispensabili per poterli prevenire e/o curare efficacemente senza
ricorrere necessariamente a terapie chirurgiche. Lo scarso impegno nella ricerca
di base può essere dovuto al fatto che si tratta di alterazioni benigne, che
non sempre costituiscono “malattia” nel senso che abbiamo detto sopra, ma
anche al fatto che, con una chirurgia così diffusamente applicata e
silenziosamente subita dalle donne, spesso senza valutazione del rapporto con il
beneficio che si intendeva ottenere, si è in qualche modo by-passato
il problema.
3.
la
ricerca di nuovi percorsi diagnostico-terapeutici
Di fronte alla diagnosi di
fibroma occorre in primo luogo chiedersi, quindi, se
occorre solo osservarne il
comportamento o se invece è
necessaria una terapia. Su questo occorre definire meglio i criteri per una
scelta che sia basata su dati oggettivi di un sicuro beneficio per la donna. In
attesa di linee guida e definizioni più certe, su cui è indispensabile un
serio impegno di ricerca, bisogna comunque riferirsi all’antico concetto che
la cura serve se vi è un rischio concreto e misurabile di danno alla salute, da
prevenire o da rimuovere, e che la cura non deve addurre danni peggiori di
quelli esistenti.
Se la terapia appare necessaria, occorre valutare prima di tutto
l’utilità della terapia medica. Non esistono in questo campo, come ho sopra
osservato, farmaci capaci di agire
sulle cause e risolvere definitivamente il problema, esiste però la possibilità
di farmaci che possono rimuovere o ridurre sintomi come le perdite ematiche, che
costituiscono causa di anemia e
quindi di possibile malattia, o possono ridurre il volume dei fibromi e ridurre
anche per questa via disturbi dolorosi o emorragici
e recuperare così lo stato di benessere della donna.
Se la terapia medica non è sufficiente o se ci si trova nella
circostanza (per esempio in previsione di una gravidanza) in cui sia necessario
rimuovere i fibromi rimane l’approccio
chirurgico. Questo deve in primis
tendere a rimuovere i fibromi e non l’utero. Nella pratica clinica, così come
si è tramandata fino ad oggi, si è ritenuto in genere che la miomectomia,
l’intervento cioè che rimuove i fibromi e conserva l’utero, fosse da eseguire nelle donne molto giovani ed in
quelle comunque che esplicitamente desideravano mantenere la possibilità di
avere figli. L’intervento di miomectomia, può essere più semplice di quello
di isterectomia o più complesso, lungo e complicato, soprattutto in caso di
miomi multipli, voluminosi, inseriti nello spessore della parete uterina,
inoltre, conservando l’utero, c’è un rischio non trascurabile di comparsa
di ulteriori miomi: tutti questi motivi sono state alla base della scelta fin
qui prevalentemente fatta di eseguire interventi conservativi solo se fosse
stato necessario conservare la capacità riproduttiva.
Le nuove tecniche chirurgiche, la possibilità, ove necessario, di
preparare ed accompagnare l’intervento con terapie mediche capaci di
facilitarlo e di prevenire la ricomparsa di miomi, la disponibilità di
strumenti diagnostici per un adeguato follow-up
possono indirizzare oggi la scelta verso interventi conservativi,
qualunque sia l’età della donna. Le tecniche endoscopiche (laparoscopia e/o
isteroscopia), quando indicate, sono di notevole vantaggio soprattutto
nell’immediato decorso post-operatorio che è sicuramente più breve e meno
impegnativo, anche se non è ancora sufficientemente dimostrato il loro
vantaggio nelle valutazioni a lungo
termine.
Un vero consenso informato è
essenziale perché la donna possa liberamente decidere tra un intervento
conservativo con un certo rischio di recidive e con la necessità di un adeguato
follow-up ed un intervento demolitore.
Nei casi (che dovrebbero essere ormai pochi) in cui si valuti più vantaggiosa
per la salute della donna l’isterectomia, non pare giustificata
l’asportazione delle ovaie e del collo dell’utero, se sani.
Oltre
che per i fibromi anche per tutta la
patologia benigna è necessario individuare percorsi diagnostico-terapeutici
simili: alla fine gli interventi di isterectomia per cause benigne, che oggi
sono la maggior parte, dovrebbero ridursi di molto, perché molti meno saranno i
casi da trattare con terapia chirurgica e la maggior parte di questi
comunque potranno giovarsi di una terapia chirurgica conservativa. E’
una via, che come tutte le scelte in medicina necessita di essere verificata
lungo il percorso sia per quanto riguarda le indicazioni in cui l’isterectomia
è indispensabile, sia per limitare l’intervento comunque all’asportazione
di ciò che è ammalato e non di ciò che è sano, utilizzando come unico
indicatore il recupero del benessere globale e della qualità della vita della
donna nell’immediato e a lungo termine. E’un lavoro impegnativo, richiesto
al mondo medico, di ricerca e di
verifica delle scelte più efficaci ed appropriate per la salute della donna, di
formazione degli operatori.
INDICAZIONI ALL’ISTERECOMIA PER PATOLOGIE
BENIGNE: NUOVE TENDENZE
Fibroleiomiomi
uterini
prevalenza:
16,9‰
tra le donne nere e 8,2‰
tra quelle bianche
rappresentano
il 30% delle indicazioni all’isterectomia
i
sintomi clinici che motivano l’intervento sono:
§
volume
§
rapida crescita
§
sanguinamento, che non risponde alla
terapia medica o all’ablazione endometriale
§
dolore che non risponde alla terapia e
di sicura causa uterina
volume utero
La
soglia comunemente accettata per raccomandare l’isterectomia è un
volume come o superiore a 12
settimane di gravidanza, ci si sta ora orientando su un volume come o
superiore a 16 settimane.
Le
motivazioni addotte sono (ma non vi sono evidenze scientifiche):
§
evitare potenziali futuri sintomi:
non è documentata la motivazione
di un maggior rischio di perdite ematiche;
è probabilmente rara e non
documentata l’ostruzione silente dell’uretere, ma non è comunque
documentata la possibilità di conseguenti danni renali
§
possibile aumento di rischio chirurgico
per volumi maggiori:
o
può esservi in corso di isterectomia di
uteri superiori a 20 settimane un lieve aumento di perdite ematiche, ma non è
documentata una aumentata necessità di trasfusioni né una aumentata morbilità
§
evitare interferenze con la valutazione
clinica degli annessi e ritardare la diagnosi di cancri ovarici o tubarici, non
documentata evidenza scientifica
§
prevenzione del cancro uterino (rischio
di sviluppare un cancro uterino in una donna di 50 anni è
di circa il 2,4% e dello 0,6% per quello cervicale; le probabilità di
morte sono rispettivamente del 0,2% e 0,3%.)
§
diagnosi più precoce di leiomiosarcoma
(rischio < 1/1000)
Trattamenti alternativi:
miomectomia e terapia medica (GnRH agonisti)
·
se vi sono 4 o meno fibromi, il rischio
di recidive, nei 10 anni dopo la miomectomia, è del 20%
·
il trattamento con analoghi dà una
riduzione di volume del 40-60%, ma non sono stati ancora trovati sistemi per
mantenere stabile il risultato
·
mancano studi di valutazione
dell’effettivo costi/ efficacia nella vita della persona
·
queste ipotesi sembrano più
difficilmente attuabili per il rischio di un aumento di sintomi da fibromi in
corso di terapia sostitutiva in menopausa.
4.
isterectomia:
linee-guida
Come si è visto, l’isterectomia è un intervento molto diffuso, su
cui, però, da anni si è aperta una fase di riflessione critica nello stesso
mondo sanitario, sia in relazione alle indicazioni che alle tecniche di
esecuzione e agli esiti di salute. E’ necessario, quindi, elaborare
linee-guida in relazione sia alle indicazioni che alle tecniche per
l’isterectomia. Tale necessità nasce, in particolare, dai seguenti
motivi:
·
i cambiamenti della medicina, della ginecologia e della chirurgia
ginecologica;
·
il sempre maggior numero di specialisti che affrontano le tematiche
chirurgiche della specialità;
·
l’estensione della medicina basata sull’evidenza scientifica e
di conseguenza, la valutazione, su questi criteri, dell’appropriatezza di ogni
atto medico;
·
la disparità di incidenza di tale intervento e delle sue
indicazioni nei vari paesi e,
nell’ambito dello stesso paese, nei
vari ospedali;
·
la diversa attenzione agli aspetti economici dell’assistenza
sanitaria;
·
l’attenzione sempre maggiore alla salute intesa come stato di
benessere fisico, psichico e relazionale, e quindi alla qualità della vita,
come elemento fondamentale della salute;
·
la necessità di un nuovo rapporto medico-paziente, in cui il
paziente diviene attore della decisione e il consenso informato diviene
strumento fondamentale di salute.
Inoltre,
è bene sottolineare che è importante una continua collaborazione tra il mondo
medico e le donne tutte, affinché la salute sia sempre
il vero e unico obiettivo. Questo deve esprimersi
attraverso la realizzazione di nuove
dinamiche del rapporto informazione-consenso, che deve guidare il
cittadino ad essere il soggetto del percorso sanitario che lo riguarda; ma deve
esprimersi anche nella partecipazione alla ricerca per individuare percorsi
diagnostico-terapeutici sempre più appropriati, come pure nella collaborazione
alla formazione del personale sanitario, affinché acquisisca le conoscenze
necessarie per offrire ai cittadini prestazioni sempre più qualificate e la
capacità di comunicare con i pazienti in modo da fornire loro le informazioni
ed il sostegno necessari perché possano essere i veri
protagonisti della promozione e recupero della salute.
In
merito al consenso informato e al processo decisionale relativo alla scelta
dell’isterectomia va ricordato quanto segue:
§
Più dell’85% delle isterectomie sono elettive: c’è, cioè,
almeno un’altra ragionevole procedura alternativa.
§
nonostante i dati scientifici la decisione di operare dipende
ancora dall’interpretazione soggettiva della paziente e del suo medico, rimane
quindi esposta all’influenza delle motivazioni personali e culturali di
ambedue.
§
La capacità di dare un’informazione completa e corretta e tale
che possa aiutare veramente la donna
a scegliere deve far parte delle capacità professionali da acquisire nei
percorsi formativi dei ginecologi.
Di
seguito sono riportati uno schema ed una esemplificazione relativi alla
metodologia da applicare per una corretta procedura di consenso informato,
ricavato da uno dei rarissimi lavori sull’argomento nelle riviste scientifiche
di ginecologia.
METODOLOGIA
PREPARED Protocol (PROTOCOLLO Predisposto)
P
rocedure - Procedura:
il percorso dell'azione considerata
R
eason -
Motivo: indicazione alla procedura
E
xpectation - Aspettativa: esiti
benefici della procedura
P
references - Preferenze: vantaggi
dal punto di vista del paziente
A
lternatives - Alternative:
altre
opzioni e procedure
R
isks - Rischi:
esiti potenzialmente dannosi della procedura
E
xpenses - Costi: tutti i costi diretti e
indiretti
D
ecision - Decisione:
scelta consapevole (pienamente informata) della paziente
(Gambone J.C., Reiter R.C., 1997)
FIBROMI
VOLUMINOSI, ASINTOMATICI (Gambone J.C., Reiter R.C., 1997)
PROCEDURA
Isterectomia Addominale Totale
MOTIVI
La diagnosi è leiomioma uterino asintomatico
Per questa diagnosi i danni potenziali sono:
1.
Sintomi futuri
2.
Diagnosi ritardata di cancro delle ovaie (o delle tube di Falloppio)
3.
Diagnosi ritardata di leiomiosarcoma (meno di 1 su 1.000 casi)
4.
Aumentate complicazioni operative in futuro quando l’utero più
risultare più grosso
ASPETTATIVE Assenza di un ragionevole
beneficio per il presente:
1.
I sintomi possono non svilupparsi
2.
Bassa riduzione del rischio di cancro (non fondato in base
all’evidenza)
3.
Diagnosi e trattamento precoce di leiomiosarcoma (meno di 1 su 1.000
casi)
4.
Bassa riduzione del rischio di complicazioni chirurgiche se si opera
presto
SCELTE
1.
Evitare l’intervento chirurgico
2.
Aumentare la longevità a causa di una precoce diagnosi di cancro
ALTERNATIVE
1.
Attesa vigile
2.
Miomectomia e/o
3.
Trattamento tipo 'GnRH' seguito da isterectomia vaginale
RISCHI
Morte: 1-1,6 per 1.000 casi
Complicazioni: 25-30% dei casi:
1.
Serio-raro (es. lesione dell’uretere)
2.
Minore-comune (es. infezione del tratto urinario)
COSTI
1.
Isterctomia addominale totale: costi diretti stimati $ 4.200,00
2.
Altri costi indiretti
DECISIONE
Questa
paziente può decidere che l’attesa
vigile è ragionevole sulla base dei rischi della procedura, per esempio
basso rischio di morte o di altre complicazioni, dei costi e relativamente dei
bassi rischi (di cancro e morte per cancro) legati alla gestione dell’attesa.
Al
contrario, la paziente può scegliere di non accettare di correre questo basso
rischio di cancro e preferire la miomectomia,
oppure può decidere per l’isterectomia.
referenze e note
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* Alcuni
contenuti di questo contributo sono presenti anche in un'altra pubblicazione
(Isterectomia, il problema sociale di
un abuso contro le donne, (a cura di) M. Dalla Costa, Angeli,1998).