6.1              gli studi sullo stress ed il lavoro invisibile

 

Elvira Reale e Paola Vinay

 

 

 

1.      Donne, lavoro, stress

 

Le ricerche sullo stress hanno finora dato poco peso alla variabile di genere. Ciò non è solo fonte di un pregiudizio, o di una mal intesa funzione neutrale della scienza, ma anche conseguenza di un circolo vizioso: gli studi sullo stress sono collegati all'evento più  significativo della vita quotidiana e ritenuto di maggior peso: il lavoro produttivo. La minore presenza delle donne in questo spazio o comunque una presenza di minore peso e qualità (lavori di minor valore e responsabilità decisionale, lavori in prevalenza subalterni), ha fatto sì che le donne "naturalmente" non entrassero sulla scena di questo settore della ricerca.

            Tutto ciò fino a quando gruppi di ricercatori e ricercatrici di vari paesi non hanno iniziato ad illuminare il circolo vizioso costituito dall'assioma: stress = lavoro produttivo; lavoro produttivo = prevalenza maschile.

            Si è così cominciato a confrontare il lavoro manageriale di donne ed uomini e si è giunti alla  individuazione di differenti profili di vulnerabilità allo stress (Davidson et al., 1986).

            Si sono messi in discussione i caposaldi della ricerca sullo stress ed in particolare la validità per le donne della correlazione tra comportamento tipo A e determinate patologie. Si è visto che tale correlazione è significativa per le donne che rivestono un ruolo più simile a quello maschile, ma è meno significativa per le donne che rivestono ruoli tradizionalmente femminili (Meininger, Eaker,  et al., 1988).

            Si sono fornite raccomandazioni per nuove aree di indagine. In particolare questi contributi  sottolineano come la ricerca futura debba rivolgersi alle situazioni psicologiche che concernono l'impiego (lavoro svolto per scelta o necessità); alla quantità di esposizione allo stress (lavoro continuo o meno), e a tutta l'area della sovrapposizione tra lavoro familiare e lavoro per il mercato (Haw, 1982).

            Tra questi nuovi orientamenti della ricerca segnaliamo il dato nuovo di maggiore importanza: il lavoro familiare, che assume in sè le attività di cura psicologiche e materiali, costituisce il fattore principale di stress per le donne.

            Si è cominciato così ad immettere nell'osservazione anche il lavoro familiare e a studiare le caratteristiche di quest'ultimo da solo o associato al lavoro extrafamiliare, in modo da consentire un ampliamento della ricerca funzionale all'apertura del campo di indagine al  soggetto donna.

            Il lavoro domestico e la casa, che erano stati considerati in precedenza come ambienti non patogeni - là dove le ricerche si erano concentrate sulla vita quotidiana maschile e avevano identificato il luogo di lavoro come principale stressor - sono stati  riscoperti come fattori prevalenti di stress per le donne sia casalinghe che lavoratrici.

            Il lavoro domestico infatti si compone di compiti e mansioni più difficilmente quantificabili e controllabili: la individuazione dei carichi di lavoro e la legittimazione per la loro autolimitazione  è più difficilmente raggiungibile a casa che non nel lavoro esterno.

            E' chiaro che la misura in cui un evento è controllabile e prevedibile condiziona, al di là del carico materiale o di responsabilità, il fatto che esso sia stressante o meno. E nel lavoro di cura questa caratteristica è la regola: compiti molto esigenti dal punto di vista psicologico, uniti ad un basso livello di controllo su di loro, creano contemporaneamente proteste, ovvero non gradimento, in chi ne è il destinatario, e frustrazione in chi li eroga e li svolge (Baruch et al., 1987).

            Un'altra ricerca che confronta madri lavoratici e non lavoratrici individua misure analoghe di stress familiare: i due gruppi non differiscono in alcuna misura del benessere psicologico; è invece lo stress familiare un significativo predittore del malessere psicologico per i due gruppi (Schwartzberg et al., 1988).

            Il lavoro familiare associa spesso queste due caratteristiche: ha come obiettivo il procurare agli altri condizioni di benessere, attraverso atti materiali e psicologici, ma al tempo stesso non è in grado di controllare gli effetti che produce. Quando si parla di lavoro familiare ci si riferisce soprattutto al lavoro connesso con il ruolo materno.

            Queste caratteristiche del lavoro familiare fanno sì che esso risulti facilmente associato a malessere psicologico, depressione e bassa autostima: esso grava su tutte le donne sia impiegate che non impiegate, ma l'impiego costituisce, in determinate condizioni,  un fattore di " moderazione dell'impatto dello stress familiare" (Schwartzberg et al., 1988).

            Anche nell'analisi del  lavoro extrafamiliare le ricerche sullo stress cominciano da qualche anno a inserire la nozione di carico di lavoro globale per definire il carico femminile composto di lavoro produttivo e carico familiare (La Rosa et al., 1994). Alla luce di questo nuovo parametro di misura dello stress lavorativo, le donne, finora poco visibili sulla scena delle ricerche sullo  stress, balzano in  primo piano mostrando sul lavoro maggiore predisposizione a riportare burn-out, e malattie legate allo stress.

            Per questi autori, l'analisi dello stress non può prescindere dall'analisi del lavoro familiare che è individuato come principale fattore di stress per il genere femminile.

            Nell'ambito del lavoro extrafamiliare, le donne madri, a parità di condizioni lavorative con i maschi, evidenziano maggiore vulnerabilità ai fattori stressanti che si manifestano sul posto di lavoro.

            Dai risultati di una ricerca condotta su madri e padri impiegati si evince un'alta vulnerabilità allo stress lavorativo di genitori che lavorano in casa e fuori casa, e questi in prevalenza risultano donne. La fatica del lavoro familiare  è risultata fortemente associata  ad un decremento del benessere psico-fisico (Googins e Burden, 1987).

            L'analisi dell'impatto del lavoro su 992 impiegati postali di cui la metà donne, indica che le donne, pur rispondendo come gli uomini  ai lavori stressanti, riferiscono livelli di disagio più alti (Lowe e Northcott, 1988).

            Dati sull'impatto dei ruoli familiari  sul lavoro extrafamiliare si ritrovano anche nella ricerca su insegnanti maschi e femmine e sulle cause di burn-out. Per gli uomini le cause del burn-out sono rintracciabili nello stress del lavoro, per le donne nello stress determinato dai conflitti di ruolo (Greenglass e Burke, 1988).

            Anche la ricerca sulle Donne - quadro in Francia giunge alla individuazione di una maggiore vulnerabilità allo stress lavorativo delle donne con lavoro familiare (Stora, 1985).

 

            Dagli studi esaminati che prendono in considerazione la condizione femminile risulta una sufficiente concordanza nell'affermazione che il lavoro familiare con le sue specifiche caratteristiche si impone come fattore principale di stress per il genere femminile, determinando anche una maggiore vulnerabilità delle donne allo stress che si sviluppa nel  lavoro extrafamiliare.

 Come prima si accennava, non è invece sempre vero il reciproco; ovvero: i carichi di impegno e responsabilità  legati al lavoro extrafamiliare di una donna, non sempre incrementano il valore stressante del suo lavoro familiare. Anzi, talora, e sotto questo specifico profilo, il lavoro extrafamiliare può fungere, in determinate condizioni, addirittura da fattore protettivo rispetto al valore stressante del lavoro familiare. Deve quindi tenersi ben presente che l'effetto stressante di ciascuna delle due diverse tipologie di lavoro non può essere calcolato mediante una semplice sommatoria, ma deve essere analizzato utilizzando più sottili e complesse interazioni dinamiche.

            Inoltre lo stress legato al lavoro familiare viene associato prevalentemente a decremento del benessere psico-fisico, a  insoddisfazione, bassa autostima e depressione.

 

2.      Il progetto FATMA del Consiglio nazionale delle ricerche

 

La ricerca sullo stress e vita quotidiana delle donne[1], condotta dalla nostra Unità Operativa ASL Napoli 1 nell'ambito del Progetto Finalizzato FATMA (Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia), ha diretto l'attenzione sulla zona grigia degli studi sullo stress : il lavoro familiare. Lo scopo della ricerca era quello di raggiungere anche per le donne l'obiettivo di collegare alcune patologie (in particolare  quelle cardiovascolari e depressive) al sovraccarico di impegno e responsabilità, ovvero ad una tipica risposta da break-down in presenza di stressors precisamente individuabili.

            L'importanza degli studi sullo stress in medicina apre la porta alla decifrazione delle risposte patologiche (le malattie) in termini di vita quotidiana, e ambiente. Lo stress non è altro che la risposta dell'individuo alla pressione esercitata dall'ambiente (esterno ed interno, fisico e psichico).

Per questo è  molto importante nella definizione di una Medicina di "genere" (che integra il punto di vista di genere in ogni suo atto) inserire l'indagine sullo stress in una prospettiva che riesca a cogliere le condizioni di stress diversificate per i due sessi, in modo da superare il problema di una indagine mirata esclusivamente al lavoro produttivo. Una Medicina di "genere" allora include nel campo di osservazione il lavoro totale e ricomprende,  dandogli nuova visibilità, anche il lavoro familiare.

La ricerca "stress e vita quotidiana della donna" ha dimostrato che se si introducono chiavi di lettura appropriate, si riescono ad individuare anche per la donna gli stressors ambientali e lavorativi in grado di agire nelle patologie come fattori scatenanti, come co-fattori, od ancora come fattori principali.

Una volta identificati gli stressors nell'ambiente di vita  sarà possibile anche identificare, nello stesso ambiente di vita, adeguati fattori di protezione.

La ricerca in particolare ha proceduto nel confronto statistico di quattro gruppi campione: donne con patologia ipertensiva, donne con patologia depressiva, donne con patologia tumorale (carcinoma mammario, del tipo T1) e donne senza alcuna patologia; ed ha individuato che la differenza significativa tra gruppi patologici e non patologici  si realizza nell'aumento del carico  familiare sviluppatosi nell'arco degli ultimi  anni  prima dell'insorgenza della patologia e della sua diagnosi (da un minimo di un anno ad un massimo di 5 anni).

La ricerca ha inoltre mostrato che in associazione con il carico familiare svolgono  un ruolo di fattore di rischio - soprattutto per la depressione - anche: la riduzione dei supporti e della rete amicale extrafamiliare; la riduzione degli interessi personali (hobbies e quanto altro assimilabile).


Il risultato finale della ricerca è che pone all'attenzione degli operatori sanitari nei loro interventi sia  diagnostici, trattamentali che preventivi lo stress come elemento tipico e specifico della vita della donna. E' infatti  il lavoro familiare con la caratteristica della funzione di cura (la cura dei bisogni altrui, contrapposta alla cura di sè) a costituire quel potente fattore di rischio per la salute complessiva della donna.

Il grafico illustra i risultati della ricerca in rapporto alle differenze statisticamente significative di carico familiare evidenziate con l'asterisco (p-level inferiore allo 0.01).

                              

La complessità del lavoro di cura è stata più volte analizzata sia dal gruppo di ricerca di Napoli (Centro Prevenzione Salute Mentale Donna) sia da altri gruppi. Due sono gli elementi del lavoro familiare che vogliamo sottolineare :

·        Si tratta di un lavoro svolto per gli altri, indirizzato al soddisfacimento dei bisogni altrui, esso difficilmente ha un ritorno nella economia psichica personale in termini di arricchimento e/o  reintegrazione delle risorse spese. Difficilmente ad esempio la donna che svolge la funzione di cura potrà contare su comportamenti di scambio e reciprocità della cura stessa.

·        E' un lavoro che mette in campo, a livello di aspettative di chi lo eroga, complesse dinamiche psicologiche e sociali: costruisce la tendenza di un soggetto a sviluppare la competenza nella cura di altri, ma al tempo stesso tende a bloccare e rendere impraticabile la cura di sè. Paradossalmente chi è competente nell'attendere ai bisogni altrui diviene incapace nell'attendere ai propri: la funzione di cura a cui la donna viene allenata fin dalla sua adolescenza è una funzione che non prevede l'investimento auto-diretto.

E così in un circolo vizioso, la donna, pur essendo esperta e capace in questa attività,  richiede a qualcun altro, anzi si aspetta che qualcun altro si prenda cura di lei, come lei ha già fatto. La vita della donna, nella nostra esperienza clinica, diviene un farsi carico (to cope) di tutto e di tutti in attesa che un altro si prenda cura di lei.

 

3.      I tempi di lavoro delle donne e degli uomini

 

Fin qui si è fatto riferimento al lavoro familiare e alla sua combinazione con il lavoro extra-familiare come fattore di rischio per la salute della donna, a questo punto è bene anche quantificare l’impegno in queste due categorie di lavoro. Nell’indagine “L’uso del Tempo in Italia”, svolta tra il 1988 e il 1989 su un campione di oltre 38.000 persone, l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT, 1993) distingue le “attività produttive” in tre categorie: istruzione e formazione; lavoro retribuito, che comprende tutte le attività effettuate per il mercato; lavoro non retribuito che comprende il complesso delle attività lavorative non svolte per il mercato, ma per uso familiare: attività domestiche, attività di cura familiare e acquisto di beni e servizi (esclusi i servizi per il tempo libero).

Come osservato altrove, la produzione di beni e servizi per il consumo familiare include servizi che vanno ben oltre il lavoro domestico propriamente detto (pulire, lavare, stirare, fare la spesa, cucinare, ecc.), ma comprende anche le attività per la cura, l’educazione e la socializzazione dei figli, le attività burocratiche necessarie per l’utilizzo dei servizi pubblici, le attività di assistenza ai membri malati, anziani, disabili della famiglia e della parentela e la produzione di beni per il consumo familiare.[2] Numerose indagini sociologiche, inoltre, hanno sottolineato l’entità del lavoro svolto nella famiglia, in primo luogo dalla donna, per la cura e la conservazione della salute dei suoi membri e gli svariati ambiti in cui si esplica: dalla responsabilità primaria per i comportamenti igienico-preventivi, alla scelta della dieta, all’autocura dei primi sintomi di malattia e della maggior parte delle affezioni croniche, all’assistenza al malato in casa e in ospedale[3]. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto che l’autocura non è un fenomeno marginale, ma costituisce in tutte le società il principale comportamento sanitario (K. Dean, 1984).

L’indagine ISTAT ha mostrato una netta differenza tra i due sessi nel tempo dedicato al complesso delle attività produttive: per esempio, gli uomini occupati nelle classi centrali di età dedicano in media circa sei ore al “lavoro retribuito” e meno di un’ora al lavoro non retribuito (attività domestiche, cure familiari e acquisto di beni e servizi); le donne occupate nelle stesse classi di età svolgono quasi cinque ore di lavoro retribuito e altrettante ore di lavoro non retribuito. Per le donne non occupate il lavoro non retribuito raggiunge in media otto ore giornaliere (vedi la tabella 1).

 

Tabella 1:   Durata media in ore, delle attività svolte dalla popolazione di 14 anni e più, per sesso, età, condizione e tipo di attività: giorno medio settimanale

                                                                                                         

MASCHI

FEMMINE

           

Classi di età

14-24

25-44

45-64

65 e +

Totale

14-24

25-44

45-64

65 e +

totale

OCCUPATI

Lavoro retrib.to

 

Att.domestiche+ Cure fam.

 

Acquisti beni/ser.

 4,8      

 

6,2

6,4

 6,3

4,5

6,3

 5,3

4,6

4,8

4,1

0,4

0,9

0,8

0,9

0,8

1,6

4,2

4,3

2,9

3,8

 

0,5

0,1

0,2

0,2

0,2

0,2

0,3

0,5

0,5

0,4

 

                                                      NON OCCUPATI

Lavoro retrib.to

 

Att.domestiche+ Cure fam.

 

Acquisti beni/ser.

 0,2        0,8        2,4       1,0       0,6        0.9        0,3       0,3        0,2       0,1

 

 

 0,3      0,8        2,0        1,7       1,2        2,4         7,1      6,6        4,7       5,4

 

 0,1      0,3        0,6        0,5       0,4        0,3         0,8      0,9        0,5        0,6

Fonte: Istat, Indagine Multiscopo sulle Famiglie, Anni 1987-91, 4 L’uso del tempo in Italia              

 

Linda Laura Sabbadini e Rossella Palomba (1993) hanno effettuato una originale elaborazione dei dati ISTAT relativi al tempo di lavoro per la famiglia[4] analizzando, in particolare, l’uso del tempo di uomini e donne secondo tre diverse tipologie familiari: coppie con figli, coppie senza figli e madri sole. Come appare dalla tabella 2, i tempi degli uomini non variano in modo significativo a seconda del tipo di famiglia in cui vivono, mentre quelli delle donne sono notevolmente influenzati dalla presenza in famiglia di bambini e dello stesso partner. Tutte le donne dedicano una parte consistente della loro giornata al lavoro per la famiglia, ma il carico maggiore si riscontra per le donne che vivono in coppia con figli: esse dedicano a tali attività mediamente più di 7 ore (5 ore e mezzo di più degli uomini con la stessa tipologia familiare). Gli uomini, con o senza figli, dedicano mediamente un’ora di più delle donne al lavoro retribuito (circa 7 ore e mezzo contro 6 ore e mezzo) e al tempo libero (quasi 5 ore indipendentemente dalla presenza o assenza di figli). Il tempo libero per le donne risulta invece residuale soprattutto se si tratta di madri sole.

In merito alla diversa distribuzione all’interno della coppia del lavoro familiare, le autrici osservano che la partecipazione degli uomini al lavoro domestico e alla cura dei figli è così marginale che la loro assenza nel nucleo familiare riduce anziché aumentare l’entità del lavoro domestico svolto dalle donne, in quanto viene loro risparmiato il lavoro di cura nei confronti del partner: 

“Comincia a configurarsi chiaramente la collocazione maschile e femminile in rapporto al lavoro familiare. L’uomo dedica una parte marginale del suo tempo al lavoro di servizio e di cura per la famiglia, la donna una parte centrale. Conseguentemente, l’uomo si avvantaggia della presenza della partner donna, la donna si avvantaggia dell’assenza del partner uomo”[5].

Analoga osservazione è stata fatta più recentemente dalla sociologa Marina Piazza, attuale presidente della Commissione Nazionale Pari Opportunità, la quale ha anche ricordato la quantità di ore di lavoro globale che ancora oggi svolgono le donne italiane:

“… tra lavoro familiare e lavoro per il mercato più della metà lavorano 60 ore alla settimana, più di un terzo 70 ore, mentre solo un terzo degli uomini lavora 60 o più ore alla settimana”[6].

 

Tabella 2: Tempo dedicato ad alcune attività secondo la tipologia familiare e il sesso.

                  Durata media specifica.

______________________________________________________________________

  Uso                                       Coppie con figli            Coppie senza figli                     Madri

   del                                         ______________      _______________                 sole

  Tempo                                  Donne    Uomini                      Donne    Uomini   

______________________________________________________________________

-  Attività per la famiglia           7h18’     1h48’                        5h06’     1h24’            5h00’

-  Lavoro                                 6h24’     7h36’                        6h30’     7h36’             6h00’

-  Tempo libero                       3h30’     4h42’                        4h12’     4h42’             3h18’

______________________________________________________________________

Fonte:  Sabbadini - Palomba, 1993, elaborazione di dati ISTAT.

 

            Anche una ricerca condotta in tre città delle Marche (Giovanna Vicarelli, 1994) ha dato la misura dell’impegno delle donne nel lavoro per la famiglia. Essa ha dimostrato infatti che le donne occupate, con figli che frequentano la scuola media, dedicano mediamente 3-4 ore al giorno ai figli e 4-5 ore al giorno ai lavori domestici; ad esse si aggiungono 6-8 ore di lavoro per il mercato. La metà di queste donne, poi, utilizza per le faccende domestiche le ore della sera e della notte e l’80% il sabato e i giorni festivi.

            Analizzati questi dati, appare evidente il sovraccarico di lavoro e responsabilità cui sono sottoposte le donne nella fatica quotidiana di conciliare vita lavorativa e vita familiare, non deve stupire, quindi, che – come si è visto nei paragrafi precedenti – tale sovraccarico costituisca un chiaro fattore di rischio per la salute della donna, in particolare per quanto riguarda la depressione e le patologie da stress. 

            E’ bene ricordare, infine, che il lavoro domestico presenta anche qualche rischio per l’incolumità fisica della persona. Secondo una stima dell’ISTAT nel corso del 1999 si sarebbero verificati nel nostro paese 3 milioni e 672 mila incidenti domestici (ISTAT 2001); il 79% di essi riguardano donne e il 76,5% degli incidenti accaduti a donne adulte (cadute, tagli, ustioni ecc.) sono capitati durante lo svolgimento dei lavori domestici, le attività di cucina e l’utilizzo di utensili (coltelli, pentole, forni e fornelli, elettrodomestici ecc.).

           

 

REFERENZE

 

 

Baruch,G.K.; Biener, L.; Barnett, R.C. (1987) (Wellesley College, Mass), Women and Gender  in Research on Work and Family Stress, in An. Psychologist 42: 130-136, Febbraio.

 

Davidson, M.J.; Cooper, C.L. (1986) Executive Women under Pressure, International Review of Applied Psychology, vol.35.

 

Dean K. (1984), “Self – Care: what  people  do  for  themselves”, in   S. Hatch – I. Kickbush  (a cura di)

Sel-help in Europe, OMS, Regional Office for Europe, Copenhagen.

 

Googins, B; Burden, D. (1987) Vulnerability of Working Parents: Balancing Work and Home Roles, Boston School of Social Work, Ma., Journal Social Work, Jul-Aug Vol 32 (4) 295-300.

 

Greenglass, E.R. et al. (1991) The relationship between stress and coping among type As. Special Issue: handbook on job stress, Journal of Social Behavior and Personality, Vol. 6(7) 361-373.

 

Haw, M.A. (1982) Women Work and Stress: a Review and Agenda for the Future, Journal of Health and Social Behavior, vol. 23.

 

ISTAT (1993), Indagine Multiscopo sulle Famiglie- Anni 1987-91, 4 - L’Uso del Tempo in Italia, Roma.

 

ISTAT (2001), Indagine Multiscopo sulle Famiglie, “Gli incidenti domestici Anno 1999”,

 

La Rosa, M; Bonzagni, M.; Grazioli, P. (1994) Stress at work. La ricerca comparativa internazionale, Sociologia del Lavoro, Progetto CNR - P.F. FATMA, Milano.

 

Lowe, G.S.; Northcott, H.C. (1988) The impact of Working Conditions, Social Roles, and Personal Characteristics on Gender Differences in Distress, Journal Work and occupations, Feb. Vol. 15 (1) 55-77.

 

Meininger, J.C. (1985) The validity of Type A Behavior Scales for Employed Women, Journal Chron Disease, vol. 38, n. 5.

 

Piazza M. (1999), “Le buone pratiche europee: i padri nelle organizzazioni”, relazione al convegno Padri

e Relazione di Cura Vita Quotidiana e Organizzazioni, Venezia 19-20 novembre.

 

Reale, E.; Sardelli, V. (1992) Stress e condizione femminile: ampliamenti del campo di ricerca, in La Rosa G. (a cura di) "Stress e Lavoro", Progetto Finalizzato CNR: Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia (FATMA), Sottoprogetto Stress, Il Mulino, Bologna.

 

Schwartzberg, N.S.; Dytell, R.S. (1988) Family stress and Psychological Well-Being among Employed and Nonemployed Mothers. Special Issue: Work and Family: Theory, Research and Applications. Journal of Social Behavior and Personality, Vol 3 (4), 175-190.

 

Stora, B. (1987) Le stress des dirigeants en France en 1985. Les Cahiers de Recherche, Chambre de Commerce et d'Industrie de Paris.



[1] Reale E. et al. (1998) Stress e vita quotidiana della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia. Progetto Finalizzato CNR: Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia (FATMA), Sottoprogetto Stress, Roma.

 

 

[2]  Vedi in proposito: Paola Vinay (1983) “Famiglia, divisione del lavoro ed economia informale”, in P. David e G. Vicarelli (a cura di) L’azienda famiglia una società a responsabilità illimitata, Laterza, Bari, e bibliografia ivi citata; vedi anche: Paola Vinay (1994), “Mutamento e continuità: i caratteri di una regione”, in G. Vicarelli (a cura di), Famiglia Mirabilis. Ruoli femmnili e reti familiari nelle Marche degli anni novanta, TranseuropA/Saggi, Ancona.

[3] Vedi: P. Vinay (1988), “Sulla nuova consapevolezza sociale: una ricerca nelle Marche”, in M. Rossanda e I. Peretti (a cura di) Il bene salute tra politica e società. Il popolo della riforma ne discute. Materiali e Atti n° 12, supplemento al n° 6 di Democrazia e Diritto, novembre-dicembre, Roma, e bibliografia ivi citata.

[4] Nella loro elaborazione il lavoro per la famiglia comprende: le attività domestiche, le cure familiari prestate a componenti della famiglia, la spesa quotidiana e le spese in generale, l’utilizzo di servizi di banca, uffici postali ecc., le code e le attese per l’utilizzo di beni e servizi e le prestazioni di aiuti non retribuiti a persone non conviventi.

[5] L.L. Sabbadini e R. Palomba (1993) “Differenze di genere e uso del tempo nella vita quotidiana”, in M. Paci (a cura di) Le dimensioni della disuguaglianza, Il Mulino, Bologna, p. 224.

[6] Marina Piazza (1999), “Le buone pratiche europee: i padri nelle organizzazioni”, relazione al convegno Padri e Relazione di Cura Vita Quotidiana e Organizzazioni, Venezia 19-20 novembre.