6.1
gli studi sullo stress ed il lavoro invisibile
Elvira
Reale e Paola Vinay
1.
Donne,
lavoro, stress
Le
ricerche sullo stress hanno finora dato poco peso alla variabile di genere.
Ciò non è solo fonte di un pregiudizio, o di una mal intesa funzione neutrale
della scienza, ma anche conseguenza di un circolo vizioso: gli studi sullo
stress sono collegati all'evento più significativo
della vita quotidiana e ritenuto di maggior peso: il lavoro produttivo. La
minore presenza delle donne in questo spazio o comunque una presenza di minore
peso e qualità (lavori di minor valore e responsabilità decisionale, lavori in
prevalenza subalterni), ha fatto sì che le donne "naturalmente" non
entrassero sulla scena di questo settore della ricerca.
Tutto ciò fino a quando gruppi di ricercatori e ricercatrici di vari
paesi non hanno iniziato ad illuminare il circolo vizioso costituito
dall'assioma: stress = lavoro produttivo; lavoro produttivo = prevalenza
maschile.
Si è così cominciato a confrontare il lavoro manageriale di donne ed
uomini e si è giunti alla individuazione
di differenti profili di vulnerabilità allo stress (Davidson et al., 1986).
Si sono messi in discussione i caposaldi della ricerca sullo stress ed in
particolare la validità per le donne della correlazione tra comportamento tipo
A e determinate patologie. Si è visto che tale correlazione è significativa
per le donne che rivestono un ruolo più simile a quello maschile, ma è meno
significativa per le donne che rivestono ruoli tradizionalmente femminili (Meininger,
Eaker, et al., 1988).
Si sono fornite raccomandazioni per nuove aree di indagine. In
particolare questi contributi sottolineano
come la ricerca futura debba rivolgersi alle situazioni psicologiche che
concernono l'impiego (lavoro svolto per scelta o necessità); alla quantità di
esposizione allo stress (lavoro continuo o meno), e a tutta l'area della
sovrapposizione tra lavoro familiare e lavoro per il mercato (Haw, 1982).
Tra questi nuovi orientamenti della ricerca segnaliamo il dato nuovo di
maggiore importanza: il lavoro familiare, che assume in sè le attività di cura
psicologiche e materiali, costituisce il fattore principale di stress per le
donne.
Si è cominciato così ad immettere nell'osservazione anche il lavoro
familiare e a studiare le caratteristiche di quest'ultimo da solo o associato al
lavoro extrafamiliare, in modo da consentire un ampliamento della ricerca
funzionale all'apertura del campo di indagine al
soggetto donna.
Il lavoro domestico e la casa, che erano stati considerati in precedenza
come ambienti non patogeni - là dove le ricerche si erano concentrate sulla
vita quotidiana maschile e avevano identificato il luogo di lavoro come
principale stressor - sono stati
riscoperti come fattori prevalenti di stress per le donne sia casalinghe
che lavoratrici.
Il lavoro domestico infatti si compone di compiti e mansioni più
difficilmente quantificabili e controllabili: la individuazione dei carichi di
lavoro e la legittimazione per la loro autolimitazione
è più difficilmente raggiungibile a casa che non nel lavoro esterno.
E' chiaro che la misura in cui un evento è controllabile e prevedibile
condiziona, al di là del carico materiale o di responsabilità, il fatto che
esso sia stressante o meno. E nel lavoro di cura questa caratteristica è la
regola: compiti molto esigenti dal punto di vista psicologico, uniti ad un basso
livello di controllo su di loro, creano contemporaneamente proteste, ovvero non
gradimento, in chi ne è il destinatario, e frustrazione in chi li eroga e li
svolge (Baruch et al., 1987).
Un'altra ricerca che confronta madri lavoratici e non lavoratrici
individua misure analoghe di stress familiare: i due gruppi non differiscono in
alcuna misura del benessere psicologico; è invece lo stress familiare un
significativo predittore del malessere psicologico per i due gruppi (Schwartzberg
et al., 1988).
Il lavoro familiare associa spesso queste due caratteristiche: ha come
obiettivo il procurare agli altri condizioni di benessere, attraverso atti
materiali e psicologici, ma al tempo stesso non è in grado di controllare gli
effetti che produce. Quando si parla di lavoro familiare ci si riferisce
soprattutto al lavoro connesso con il ruolo materno.
Queste caratteristiche del lavoro familiare fanno sì che esso risulti
facilmente associato a malessere psicologico, depressione e bassa autostima:
esso grava su tutte le donne sia impiegate che non impiegate, ma l'impiego
costituisce, in determinate condizioni, un
fattore di " moderazione dell'impatto dello stress familiare" (Schwartzberg
et al., 1988).
Anche nell'analisi del lavoro
extrafamiliare le ricerche sullo stress cominciano da qualche anno a inserire la
nozione di carico di lavoro globale per definire il carico femminile composto di
lavoro produttivo e carico familiare (La Rosa et al., 1994). Alla luce di questo
nuovo parametro di misura dello stress lavorativo, le donne, finora poco
visibili sulla scena delle ricerche sullo stress,
balzano in primo piano mostrando
sul lavoro maggiore predisposizione a riportare burn-out, e malattie legate allo
stress.
Per questi autori, l'analisi dello stress non può prescindere
dall'analisi del lavoro familiare che è individuato come principale fattore di
stress per il genere femminile.
Nell'ambito del lavoro extrafamiliare, le donne madri, a parità di
condizioni lavorative con i maschi, evidenziano maggiore vulnerabilità ai
fattori stressanti che si manifestano sul posto di lavoro.
Dai risultati di una ricerca condotta su madri e padri impiegati si
evince un'alta vulnerabilità allo stress lavorativo di genitori che lavorano in
casa e fuori casa, e questi in prevalenza risultano donne. La fatica del lavoro
familiare è risultata fortemente
associata ad un decremento del
benessere psico-fisico (Googins e Burden, 1987).
L'analisi dell'impatto del lavoro su 992 impiegati postali di cui la metà
donne, indica che le donne, pur rispondendo come gli uomini
ai lavori stressanti, riferiscono livelli di disagio più alti (Lowe e
Northcott, 1988).
Dati sull'impatto dei ruoli familiari
sul lavoro extrafamiliare si ritrovano anche nella ricerca su insegnanti
maschi e femmine e sulle cause di burn-out. Per gli uomini le cause del burn-out
sono rintracciabili nello stress del lavoro, per le donne nello stress
determinato dai conflitti di ruolo (Greenglass e Burke, 1988).
Anche la ricerca sulle Donne - quadro in Francia giunge alla
individuazione di una maggiore vulnerabilità allo stress lavorativo delle donne
con lavoro familiare (Stora, 1985).
Dagli studi esaminati che prendono in considerazione la condizione
femminile risulta una sufficiente concordanza nell'affermazione che il lavoro
familiare con le sue specifiche caratteristiche si impone come fattore
principale di stress per il genere femminile, determinando anche una maggiore
vulnerabilità delle donne allo stress che si sviluppa nel
lavoro extrafamiliare.
Come
prima si accennava, non è invece sempre vero il reciproco; ovvero: i carichi di
impegno e responsabilità legati al
lavoro extrafamiliare di una donna, non sempre incrementano il valore stressante
del suo lavoro familiare. Anzi, talora, e sotto questo specifico profilo, il
lavoro extrafamiliare può fungere, in determinate condizioni, addirittura da
fattore protettivo rispetto al valore stressante del lavoro familiare. Deve
quindi tenersi ben presente che l'effetto stressante di ciascuna delle due
diverse tipologie di lavoro non può essere calcolato mediante una semplice
sommatoria, ma deve essere analizzato utilizzando più sottili e complesse
interazioni dinamiche.
Inoltre lo stress legato al lavoro familiare viene associato
prevalentemente a decremento del benessere psico-fisico, a
insoddisfazione, bassa autostima e depressione.
2.
Il
progetto FATMA del Consiglio nazionale delle ricerche
La
ricerca sullo stress e vita quotidiana delle donne[1],
condotta dalla nostra Unità Operativa ASL Napoli 1 nell'ambito del Progetto
Finalizzato FATMA (Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia), ha diretto
l'attenzione sulla zona grigia degli studi sullo stress : il lavoro familiare.
Lo scopo della ricerca era quello di raggiungere anche per le donne l'obiettivo
di collegare alcune patologie (in particolare
quelle cardiovascolari e depressive) al sovraccarico di impegno e
responsabilità, ovvero ad una tipica risposta da break-down in presenza di stressors
precisamente individuabili.
L'importanza degli studi sullo stress in medicina apre la porta alla
decifrazione delle risposte patologiche (le malattie) in termini di vita
quotidiana, e ambiente. Lo stress non è altro che la risposta dell'individuo
alla pressione esercitata dall'ambiente (esterno ed interno, fisico e psichico).
Per
questo è molto importante nella
definizione di una Medicina di "genere" (che integra il punto di vista
di genere in ogni suo atto) inserire l'indagine sullo stress in una prospettiva
che riesca a cogliere le condizioni di stress diversificate per i due sessi, in
modo da superare il problema di una indagine mirata esclusivamente al lavoro
produttivo. Una Medicina di "genere" allora include nel campo di
osservazione il lavoro totale e ricomprende,
dandogli nuova visibilità, anche il lavoro familiare.
La
ricerca "stress e vita quotidiana della donna" ha dimostrato che se si
introducono chiavi di lettura appropriate, si riescono ad individuare anche per
la donna gli stressors ambientali e
lavorativi in grado di agire nelle patologie come fattori scatenanti, come
co-fattori, od ancora come fattori principali.
Una
volta identificati gli stressors
nell'ambiente di vita sarà
possibile anche identificare, nello stesso ambiente di vita, adeguati fattori di
protezione.
La
ricerca in particolare ha proceduto nel confronto statistico di quattro gruppi
campione: donne con patologia ipertensiva, donne con patologia depressiva, donne
con patologia tumorale (carcinoma mammario, del tipo T1) e donne senza alcuna
patologia; ed ha individuato che la differenza significativa tra gruppi
patologici e non patologici si
realizza nell'aumento del carico familiare
sviluppatosi nell'arco degli ultimi anni
prima dell'insorgenza della patologia e della sua diagnosi (da un minimo
di un anno ad un massimo di 5 anni).
La
ricerca ha inoltre mostrato che in associazione con il carico familiare svolgono
un ruolo di fattore di rischio - soprattutto per la depressione - anche:
la riduzione dei supporti e della rete amicale extrafamiliare; la riduzione
degli interessi personali (hobbies e quanto altro assimilabile).
Il
risultato finale della ricerca è che pone all'attenzione degli operatori
sanitari nei loro interventi sia diagnostici,
trattamentali che preventivi lo stress come elemento tipico e specifico della
vita della donna. E' infatti il
lavoro familiare con la caratteristica della funzione di cura (la cura dei
bisogni altrui, contrapposta alla cura di sè) a costituire quel potente fattore
di rischio per la salute complessiva della donna.
Il
grafico illustra i risultati della ricerca in rapporto alle differenze
statisticamente significative di carico familiare evidenziate con l'asterisco (p-level
inferiore allo 0.01).
La
complessità del lavoro di cura è stata più volte analizzata sia dal gruppo di
ricerca di Napoli (Centro Prevenzione Salute Mentale Donna) sia da altri gruppi.
Due sono gli elementi del lavoro familiare che vogliamo sottolineare :
·
Si tratta di un lavoro svolto per gli altri, indirizzato al
soddisfacimento dei bisogni altrui, esso difficilmente ha un ritorno nella
economia psichica personale in termini di arricchimento e/o
reintegrazione delle risorse spese. Difficilmente ad esempio la donna che
svolge la funzione di cura potrà contare su comportamenti di scambio e
reciprocità della cura stessa.
·
E' un lavoro che mette in campo, a livello di aspettative di chi lo
eroga, complesse dinamiche psicologiche e sociali: costruisce la tendenza di un
soggetto a sviluppare la competenza nella cura di altri, ma al tempo stesso
tende a bloccare e rendere impraticabile la cura di sè. Paradossalmente chi è
competente nell'attendere ai bisogni altrui diviene incapace nell'attendere ai
propri: la funzione di cura a cui la donna viene allenata fin dalla sua
adolescenza è una funzione che non prevede l'investimento auto-diretto.
E
così in un circolo vizioso, la donna, pur essendo esperta e capace in questa
attività, richiede a qualcun
altro, anzi si aspetta che qualcun altro si prenda cura di lei, come lei ha già
fatto. La vita della donna, nella nostra esperienza clinica, diviene un farsi
carico (to cope) di tutto e di tutti
in attesa che un altro si prenda cura
di lei.
3.
I
tempi di lavoro delle donne e degli uomini
Fin
qui si è fatto riferimento al lavoro familiare e alla sua combinazione con il
lavoro extra-familiare come fattore di rischio per la salute della donna, a
questo punto è bene anche quantificare l’impegno in queste due categorie di
lavoro. Nell’indagine “L’uso del Tempo in Italia”, svolta tra il 1988 e
il 1989 su un campione di oltre 38.000 persone, l’Istituto Nazionale di
Statistica (ISTAT, 1993) distingue le “attività produttive” in tre
categorie: istruzione e formazione; lavoro retribuito, che comprende tutte le
attività effettuate per il mercato; lavoro non retribuito che comprende il
complesso delle attività lavorative non svolte per il mercato, ma per uso
familiare: attività domestiche, attività di cura familiare e acquisto di beni
e servizi (esclusi i servizi per il tempo libero).
Come
osservato altrove, la produzione di beni e servizi per il consumo familiare
include servizi che vanno ben oltre il lavoro domestico propriamente detto
(pulire, lavare, stirare, fare la spesa, cucinare, ecc.), ma comprende anche le
attività per la cura, l’educazione e la socializzazione dei figli, le attività
burocratiche necessarie per l’utilizzo dei servizi pubblici, le attività di
assistenza ai membri malati, anziani, disabili della famiglia e della parentela
e la produzione di beni per il consumo familiare.[2]
Numerose indagini sociologiche, inoltre, hanno sottolineato l’entità del
lavoro svolto nella famiglia, in primo luogo dalla donna, per la cura e la
conservazione della salute dei suoi membri e gli svariati ambiti in cui si
esplica: dalla responsabilità primaria per i comportamenti igienico-preventivi,
alla scelta della dieta, all’autocura dei primi sintomi di malattia e della
maggior parte delle affezioni croniche, all’assistenza al malato in casa e in
ospedale[3].
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto che l’autocura
non è un fenomeno marginale, ma costituisce in tutte le società il principale
comportamento sanitario (K. Dean, 1984).
L’indagine
ISTAT ha mostrato una netta differenza tra i due sessi nel tempo dedicato al
complesso delle attività produttive: per esempio, gli uomini occupati nelle
classi centrali di età dedicano in media circa sei ore al “lavoro
retribuito” e meno di un’ora al lavoro non retribuito (attività domestiche,
cure familiari e acquisto di beni e servizi); le donne occupate nelle stesse
classi di età svolgono quasi cinque ore di lavoro retribuito e altrettante ore
di lavoro non retribuito. Per le donne non occupate il lavoro non retribuito
raggiunge in media otto ore giornaliere (vedi la tabella 1).
Tabella 1:
Durata media in ore, delle attività svolte dalla popolazione di 14 anni
e più, per sesso, età, condizione e tipo di attività: giorno medio
settimanale
MASCHI |
FEMMINE |
Classi
di età |
14-24 |
25-44 |
45-64 |
65
e + |
Totale |
14-24 |
25-44 |
45-64 |
65
e + |
totale |
OCCUPATI
Lavoro
retrib.to Att.domestiche+
Cure fam. Acquisti
beni/ser.
|
4,8
|
6,2 |
6,4 |
6,3 |
4,5 |
6,3 |
5,3 |
4,6 |
4,8 |
4,1 |
0,4 |
0,9 |
0,8 |
0,9 |
0,8 |
1,6 |
4,2 |
4,3 |
2,9 |
3,8 |
|
0,5 |
0,1 |
0,2 |
0,2 |
0,2 |
0,2 |
0,3 |
0,5 |
0,5 |
0,4 |
NON OCCUPATI
Lavoro
retrib.to Att.domestiche+
Cure fam. Acquisti
beni/ser.
|
0,2
0,8
2,4
1,0
0,6
0.9
0,3
0,3
0,2
0,1 0,3
0,8
2,0
1,7
1,2
2,4
7,1
6,6
4,7
5,4 0,1
0,3
0,6
0,5
0,4
0,3
0,8
0,9
0,5
0,6 |
Fonte:
Istat, Indagine Multiscopo sulle Famiglie, Anni 1987-91, 4 L’uso del tempo in
Italia
Linda
Laura Sabbadini e Rossella Palomba (1993) hanno effettuato una originale
elaborazione dei dati ISTAT relativi al tempo di lavoro per la famiglia[4]
analizzando, in particolare, l’uso del tempo di uomini e donne secondo tre
diverse tipologie familiari: coppie con figli, coppie senza figli e madri sole.
Come appare dalla tabella 2, i tempi degli uomini non variano in modo
significativo a seconda del tipo di famiglia in cui vivono, mentre quelli delle
donne sono notevolmente influenzati dalla presenza in famiglia di bambini e
dello stesso partner. Tutte le donne dedicano una parte consistente della loro
giornata al lavoro per la famiglia, ma il carico maggiore si riscontra per le
donne che vivono in coppia con figli: esse dedicano a tali attività mediamente
più di 7 ore (5 ore e mezzo di più degli uomini con la stessa tipologia
familiare). Gli uomini, con o senza figli, dedicano mediamente un’ora di più
delle donne al lavoro retribuito (circa 7 ore e mezzo contro 6 ore e mezzo) e al
tempo libero (quasi 5 ore indipendentemente dalla presenza o assenza di figli).
Il tempo libero per le donne risulta invece residuale soprattutto se si tratta
di madri sole.
In
merito alla diversa distribuzione all’interno della coppia del lavoro
familiare, le autrici osservano che la partecipazione degli uomini al lavoro
domestico e alla cura dei figli è così marginale che la loro assenza nel
nucleo familiare riduce anziché aumentare l’entità del lavoro domestico
svolto dalle donne, in quanto viene loro risparmiato il lavoro di cura nei
confronti del partner:
“Comincia a configurarsi chiaramente la
collocazione maschile e femminile in rapporto al lavoro familiare. L’uomo
dedica una parte marginale del suo tempo al lavoro di servizio e di cura per la
famiglia, la donna una parte centrale. Conseguentemente, l’uomo si avvantaggia
della presenza della partner donna, la donna si avvantaggia dell’assenza del
partner uomo”[5].
Analoga osservazione è stata fatta più
recentemente dalla sociologa Marina Piazza, attuale presidente della Commissione
Nazionale Pari Opportunità, la quale ha anche ricordato la quantità di ore di
lavoro globale che ancora oggi svolgono le donne italiane:
“… tra lavoro familiare e lavoro per
il mercato più della metà lavorano 60 ore alla settimana, più di un terzo 70
ore, mentre solo un terzo degli uomini lavora 60 o più ore alla settimana”[6].
Tabella 2: Tempo dedicato ad alcune attività secondo la tipologia
familiare e il sesso.
Durata media specifica.
______________________________________________________________________
Uso
Coppie con figli
Coppie senza figli
Madri
del
______________ _______________
sole
Tempo
Donne Uomini
Donne Uomini
______________________________________________________________________
- Attività per la
famiglia
7h18’
1h48’
5h06’
1h24’ 5h00’
- Lavoro
6h24’
7h36’
6h30’
7h36’
6h00’
- Tempo libero
3h30’
4h42’
4h12’
4h42’
3h18’
______________________________________________________________________
Fonte: Sabbadini - Palomba, 1993, elaborazione di dati ISTAT.
Anche una ricerca condotta in tre città delle Marche (Giovanna Vicarelli,
1994) ha dato la misura dell’impegno delle donne nel lavoro per la famiglia.
Essa ha dimostrato infatti che le donne occupate, con figli che frequentano la
scuola media, dedicano mediamente 3-4 ore al giorno ai figli e 4-5 ore al giorno
ai lavori domestici; ad esse si aggiungono 6-8 ore di lavoro per il mercato. La
metà di queste donne, poi, utilizza per le faccende domestiche le ore della
sera e della notte e l’80% il sabato e i giorni festivi.
Analizzati questi dati, appare evidente il sovraccarico di lavoro e
responsabilità cui sono sottoposte le donne nella fatica quotidiana di
conciliare vita lavorativa e vita familiare, non deve stupire, quindi, che –
come si è visto nei paragrafi precedenti – tale sovraccarico costituisca un
chiaro fattore di rischio per la salute della donna, in particolare per quanto
riguarda la depressione e le patologie da stress.
E’ bene ricordare, infine, che il lavoro domestico presenta anche
qualche rischio per l’incolumità fisica della persona. Secondo una stima
dell’ISTAT nel corso del 1999 si sarebbero verificati nel nostro paese 3
milioni e 672 mila incidenti domestici (ISTAT 2001); il 79% di essi riguardano
donne e il 76,5% degli incidenti accaduti a donne adulte (cadute, tagli, ustioni
ecc.) sono capitati durante lo svolgimento dei lavori domestici, le attività di
cucina e l’utilizzo di utensili (coltelli, pentole, forni e fornelli,
elettrodomestici ecc.).
REFERENZE
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Family Stress, in An. Psychologist 42: 130-136, Febbraio.
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do for
themselves”, in S.
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La Rosa G. (a cura di) "Stress e Lavoro", Progetto Finalizzato CNR:
Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia (FATMA), Sottoprogetto Stress,
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Issue: Work and Family: Theory, Research and Applications. Journal of Social
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Stora,
B. (1987) Le stress des dirigeants en
France en 1985. Les Cahiers de Recherche, Chambre de Commerce et d'Industrie
de Paris.
[1] Reale E. et al. (1998) Stress e vita quotidiana della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia. Progetto Finalizzato CNR: Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia (FATMA), Sottoprogetto Stress, Roma.
[2] Vedi in proposito: Paola Vinay (1983) “Famiglia, divisione del lavoro ed economia informale”, in P. David e G. Vicarelli (a cura di) L’azienda famiglia una società a responsabilità illimitata, Laterza, Bari, e bibliografia ivi citata; vedi anche: Paola Vinay (1994), “Mutamento e continuità: i caratteri di una regione”, in G. Vicarelli (a cura di), Famiglia Mirabilis. Ruoli femmnili e reti familiari nelle Marche degli anni novanta, TranseuropA/Saggi, Ancona.
[3] Vedi: P. Vinay (1988), “Sulla nuova consapevolezza sociale: una ricerca nelle Marche”, in M. Rossanda e I. Peretti (a cura di) Il bene salute tra politica e società. Il popolo della riforma ne discute. Materiali e Atti n° 12, supplemento al n° 6 di Democrazia e Diritto, novembre-dicembre, Roma, e bibliografia ivi citata.
[4]
Nella loro elaborazione il lavoro per la famiglia comprende: le attività
domestiche, le cure familiari prestate a componenti della famiglia, la spesa
quotidiana e le spese in generale, l’utilizzo di servizi di banca, uffici
postali ecc., le code e le attese per l’utilizzo di beni e servizi e le
prestazioni di aiuti non retribuiti a persone non conviventi.
[5]
L.L. Sabbadini e R. Palomba (1993) “Differenze di genere e uso del tempo
nella vita quotidiana”, in M. Paci (a cura di) Le
dimensioni della disuguaglianza, Il Mulino, Bologna, p. 224.
[6]
Marina Piazza (1999), “Le buone pratiche europee: i padri nelle
organizzazioni”, relazione al convegno Padri e Relazione di Cura Vita Quotidiana e Organizzazioni, Venezia
19-20 novembre.