Capitolo 7
LA SPECIFICITÀ DI GENERE
NELLA CONDUZIONE DI RICERCHE CLINICHE
Adriana Ceci
Responsabile
'Centro per la Farmacovigilanza e la Farmacoeconomia'
Dipartimento
di Farmacologia, Università di Bari
1.
premessa
La
terapia farmacologica ha segnato una grande evoluzione negli ultimi 30 anni.
Questa evoluzione è caratterizzata dall'acquisizione di una sempre maggiore
sicurezza nell'impiego di nuovi prodotti farmaceutici, dall'affermarsi di linee
terapeutiche innovative (prodotti biotecnologici, terapia genica, terapia
cellulare) e, soprattutto, dall'acquisizione di un complesso di norme
regolatorie che hanno imposto in tutti i paesi l'obbligo di ogni sostanza
destinata a diventare un farmaco di corrispondere alle tre caratteristiche
fondamentali e cioè: efficacia, sicurezza e qualità.
Col
progredire delle conoscenze si è anche constatato però che tali
caratteristiche sono intimamente connesse alle caratteristiche specifiche degli
organismi su cui tali sostanze vengono applicate il che implica che nel tempo la
terapia farmacologica guarderà sempre più al singolo individuo come
destinatario finale della cura piuttosto che all'intera popolazione.
Purtroppo
nonostante questa evoluzione sia perfettamente in linea con le conoscenze
scientifiche disponibili ancora permangano irrisolti i problemi legati alla
individuazione di alcune specificità legate a caratteristiche principali, prima
tra tutte la specificità di genere.
La
donna non è uguale all'uomo, sotto il profilo fisiologico e patologico, ma alle
donne non è stata fino ad oggi dedicata la stessa attenzione nel programmare e
condurre ricerche in grado di rispondere positivamente ai più importanti
problemi di salute.
Il
prototipo dei soggetti destinatari della ricerca clinica è tuttora
rappresentato dal soggetto maschio e adulto per motivi non connessi ad una
logica scientifica ma esclusivamente di 'economia nella gestione degli studi'.
Ciò
implica che alle donne non viene, di norma, assicurato lo stesso diritto di
accesso ad una terapia 'efficace e sicura ' come le norme nazionali ed europee
in linea di principio, intendono garantire.
2.
obiettivi
1)
Promozione di studi clinici che assumano la diversità di genere come
impostazione culturale e scientifica.
2)
Individuazione e rimozione degli ostacoli all’inclusione delle donne nei trials
clinici nelle situazioni clinicamente rilevanti.
3)
Miglioramento delle condizioni di sicurezza di impiego dei farmaci nelle donne,
comprese le donne fertili e quelle in gravidanza.
3.
stato dell’arte
Storicamente
per lo sviluppo di studi clinici di primo impiego di nuovi farmaci vengono
reclutati soggetti adulti di sesso maschile. Ciò è stato a lungo giustificato
con le seguenti argomentazioni:
a)
difficoltà nel reclutamento e nel mantenimento di donne nei trias
clinici;
b)
preoccupazioni circa le interferenze indotte dalle variazioni ormonali
fisiologiche femminili sull’effetto delle sostanze farmacologiche;
c)
desiderio di non esporre a rischi di tossicità donne potenzialmente
fertili;
d)
timore di apportare danni a tessuti fetali.
In
particolare per effetto degli ultimi due punti le donne in età fertile e le
donne in gravidanza sono state sistematicamente escluse dalla inclusione in
studi clinici.
Sfortunatamente
se un farmaco non è espressamente testato nelle donne non esiste modo di
conoscere quali saranno le reali condizioni di efficacia e di sicurezza nelle
donne.
Infatti
la efficacia e la sicurezza di una sostanza farmacologicamente attiva si
misurano a partire da parametri di farmacocinetica, farmacometabolismo,
distribuzione, escrezione, specifità tissutale, ecc che sono fortemente
correlati ad alcuni fattori noti tra cui risultano importanti: l’età. Il
sesso, le caratteristiche di composizione dei tessuti (adiposo, muscolare,
ecc.), la presenza di tossicità d’organo (renale, epatica).
Alcune
di queste variazioni sono associate in maniera specifica alle caratteristiche
biologiche di genere, ad esempio ormoni endogeni ed esogeni, o alla prevalenza
nei due sessi di particolari caratteristiche (corporatura, abitudini e stili di
vita, concomitanza con altre affezioni più frequenti in uno dei due generi,
ecc.).
A
partire da questa constatazione per primo il National
Institute of Health (NIH) nel 1986 ha adottato misure per favorire
l’inclusione delle donne negli studi clinici.
In
due successive occasioni (1983 e 1989) l’FDA
(Food and Drug Administration) ha condotto una revisione relativa alla
composizione delle popolazioni reclutate in studi clinici. I risultati più
importanti di tali indagini sono stati:
1)
le donne sono sufficientemente reclutate solo in studi clinici di fase 2
o 3 e solo relativamente a trattamenti diretti nei confronti di malattie che
interessano in maniera specifica le donne;
2)
anche quando il reclutamento delle donne è significativo o addirittura
prevalente i dati degli studi non vengono esaminati scorporando le popolazioni
per sesso.
A
seguito di queste prime valutazioni l’FDA ha emesso nel 1993 una Linea guida
relativa a ‘Studi e valutazione della differenza di genere nella conduzione di
sperimentazioni cliniche’ a cui si è associata la disposizione che
l’Agenzia può rifiutare di autorizzare una application
nel caso in cui vi sia ‘una inadeguata valutazione dell’efficacia e della
sicurezza del farmaco per la popolazione, incluse le sottopopolazioni
pertinenti, quali quelle definite dal sesso, l’età o la razza’.
Ciononostante
esistono recenti evidenze che l’esclusione di donne dalla conduzione di studi
clinici orientati alla differenza di genere agisca ancora in maniera fortemente
negativa nei confronti della popolazione femminile. Due esempi possono essere
utilizzati:
1)
le donne sono rimaste escluse dal più ampio studio di popolazione mai
condotto, l’Aspirin-study disegnato
per valutare l’impatto dell’aspirina sulle malattie cardiovascolari;
2)
i farmaci ipocolesterolemizzanti, una volta immessi sul mercato, hanno
dimostrato una efficacia nei confronti della popolazione femminile
drammaticamente inferiore di quella documentata negli studi clinici e nella
popolazione maschile. Ciò a causa del fatto che la popolazione sperimentale non
corrispondeva alle caratteristiche delle donne affette dalla patologia sensibile
a tale trattamento.
Infine
nel 1998 sempre l’FDA ha finalizzato una nuova Lineaguida richiedendo che:
i soggetti inseriti in studi clinici vengano
caratterizzati ogni volta in base al sesso;
vengano possibilmente esaminati separatamente i
dati;
gli studi differenziati per genere comprendano tutte le fasi dello sviluppo di un nuovo farmaco compresi gli studi di farmacocinetica, farmacometabolismo e biodisponibilità.
L’Unione
Europea, da cui discendono le disposizioni relative alle norme da seguire per le
sperimentazioni cliniche e lo sviluppo di nuovi farmaci in Italia non presenta
analoghi interventi volti a ridurre questo particolare tipo di esclusione. In
particolare si nota l’assenza di una specifica normativa o Linea guida diretta
alla ‘Differenza di genere nello svolgimento di sperimentazioni cliniche’
laddove analoghe iniziative sono state prodotte per ridurre le disparità
riferite all’età (esistenza di
due lineeguida per gli studi in età pediatrica e nell’anziano).
6.
il problema della donna fertile e della donna in gravidanza
Nel
1993 l’FDA ha abolito il divieto di includere donne in età fertile nei trias
clinici lasciando ogni decisione al riguardo alle donne stesse (consenso
informato), ai ricercatori e ai Comitati Etici.
La
nuova Linea guida dell’FDA richiama l’attenzione sulla necessità di
assumere particolari precauzioni riguardanti:
a)
i rischi di infertilità;
b)
i rischi per la prole (carcinogenicità, genotossicità).
A
questi rischi si dovrebbe ovviare assicurando l’esecuzione di tutti i noti e
previsti tests di valutazione
preclinica compresi gli studi sugli animali.
Purtroppo
pur essendo le metodologie relative disponibili non esiste un obbligo di
esecuzione di tali prove:
a)
in farmaci già sul mercato, approvati in epoche in cui i tests preclinici di riferimento non erano richiesti;
b)
in tutti i casi in cui ‘sarebbe’ opportuno includere donne, anche in
gravidanza, in trials clinici entro
tempi che consentano l’inserimento di donne anche in gravidanza negli studi
clinici.
Questa
carenza lascia aperta la duplice questione a) del possibile impiego, per scelta
terapeutica operata in presenza di patologie gravi e life-treathining,
di farmaci dagli effetti genotossici o causa di infertilità non conosciuta e b)
della persistenza di un gap scientifico nei confronti di una problematica
complessa e di grande impatto etico e sociale.
7.
studi disponibili in relazione a farmaci antitumorali
Ad
esemplificazione di quanto su esposto riportiamo i dati relativi ad una ricerca
personale condotta nel 1999 relativamente alla sussistenza di test preclinica di
embriotossicità, tossicità riproduttiva, genotossicità.
Il campione esaminato è stato costituito dal totale dei farmaci ad uso
antitumorale commercializzati in Italia, suddivisi per anno di approvazione e
tipo di sostanza. Per ogni prodotto attraverso la scheda tecnica di approvazione
si è risaliti alla presenza di studi e osservazioni indicative di tossicità
riproduttiva o genotossicità e teratogenicità.
Come
risulta dalla tabella acclusa in 27 casi non era stato eseguito alcuno studio di
valutazione preclinica negli ambiti indagati, in 55 alcuni studi erano presenti
ma non esaustivi né indicativi di un accorto comportamento clinico.
NESSUNO STUDIO
CITATO |
STUDI SU
ANIMALI |
STUDI
SU
DONNE
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27 |
55 |
1 |
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(Ceci A. Terapia antitumorale nell’infanzia e funzione riproduttiva, Bari 20 Novembre 1999)
Nell’ambito della Organizzazione Mondiale della Sanità queste problematiche sono state discusse ed è stata proposta una categorizzazione del rischio sulla fertilità e/o geno-teratotossicità assecondo delle caratteristiche precliniche dei farmaci. Da parte delle Agenzie Regolatorie europee e nazionale non risulta adottata però alcuna decisione al riguardo.
8.
proposta operativa
1)
Inserimento degli aspetti relativi alla differenza di genere e alla sua
influenza sulle procedure di sviluppo dei farmaci negli insegnamenti di
Farmacologia Clinica (Facoltà di Medicina, Farmacia, Biologia, ecc.).
2)
Istituzione presso il Consiglio Superiore di Sanità o il Dipartimento
Farmaci di un ‘Osservatorio della tossicità da farmaci correlato alla mancata
evidenza clinica di efficacia nel genere femminile’ che raccolga le
segnalazioni di Farmacovigilanza (sporadiche e Report obbligatori) e le analizzi
sotto questo profilo.
3)
Proposta da avanzare all'EMEA per una Linea guida specifica per la
valutazione delle differenze di genere nella conduzione di studi clinici.
4)
Elaborazione, da parte di un gruppo tecnico, di una proposta per
classificare i farmaci in base al rischio di infertilità e danni alla prole.