Capitolo
9
VIOLENZA
E SALUTE:
LA
RICERCA SULLE PATOLOGIE GASTROENTEROLOGICHE*
Nadia Pallotta
Ph.D.
gastroenterologa, Dipartimento Scienze Cliniche, Policlinico "Umberto
I",
Università
" La Sapienza". Responsabile "Progetto Donna" ANEMGI, ONLUS
Negli
ultimi trenta anni si è reso sempre più evidente che la violenza fisica e sessuale esercitata contro le donne ed i
bambini è un problema di enormi proporzioni e che la più grave forma di
violenza è quella subita tra le mura domestiche, per le contraddizioni
laceranti ed insanabili che determina nelle vittime. L'interesse medico e
scientifico verso situazioni e traumi ambientali, ritenuti solitamente più
specificamente pertinenti al sistema legislativo e sociale che sanitario, è in
relazione ai danni a breve e a lungo termine che la violenza ed i maltrattamenti
in generale determinano sullo stato di salute.
Una
prima relazione tra violenza subita e stato di salute è conseguente al danno
fisico e psicologico conseguente ed è rilevabile in quella minoranza di vittime
che si rivolgono al Pronto Soccorso. Tipicamente i sintomi correlati si riducono
dopo le prime 2 settimane in seguito ad una fase di rifiuto dell’evento
subito, per poi ritornare, a volte più intensi, a distanza anche di diversi
mesi. Il ruolo del medico, nell’assistenza alle donne che chiedono aiuto come
vittime di violenza, non deve limitarsi solo al riconoscimento e alla cura delle
lesioni procurate, ma alla documentazione con effetti medico-legali delle
conseguenze fisiche e psichiche generate dai maltrattamenti subiti.
Più
complessa e meno palese, ma certamente più frequente è l’influenza che la
violenza può avere nell'alterare l’equilibrio tra soma e psiche della
vittima. Quest'ultima relazione non è solitamente manifesta ed è spesso
associata a condizioni di sofferenza cronica che, frequentemente sono a partenza
dai visceri, non hanno alcuna, o solo parziale giustificazione in riscontri
obiettivabili e non rispondono alle usuali terapie.
E'
verosimile che in presenza di un disturbo cronico, la violenza subita aggravi lo
stato di sofferenza psicologica con deterioramento dello stato psicologico e
sviluppo di un "alterato comportamento da malattia” inteso come l’insieme dei
comportamenti che derivano dalla percezione, interpretazione e reazione ad uno
stato di malessere indotto da una malattia.
L'evidenza che i maltrattamenti subiti possano modificare il
comportamento di un individuo fu inizialmente descritta nei pazienti, in larga
maggioranza donne, affetti da disordini della personalità, da somatizzazione e
dell'alimentazione e da depressione grave nei quali si rilevò una maggiore
prevalenza di violenza, soprattutto sessuale, subita durante l'infanzia.
Successivamente la stessa osservazione fu fatta da urologi, ginecologi e
gastroenterologi ai quali pervenivano richieste di intervento medico
specialistico soprattutto per dolore pelvico e addominale cronico, cefalea,
disturbi somatici aspecifici, per i quali solo raramente era possibile stabilire
una causa organica.
In ambito gastroenterologico studi effettuati in diversi
Paesi, indicano che nel 30-60% dei pazienti con disturbi gastrointestinali,
nella quasi totalità di sesso femminile, è rilevabile una storia di violenza
sessuale e/o fisica subita nell’infanzia e/o in età adulta e che
indipendentemente dalla diagnosi medica, tanto più grave è la violenza
subita tanto più gravi sono i sintomi, minore è la risposta alla terapia e
peggiore è la qualità della vita.
Se
tutte le evidenze dimostrano un'associazione tra violenza e disturbi
gastrointestinali la domanda alla quale attualmente si tenta di dare una
risposta è se esista una relazione causale tra violenza subita e sintomi
gastrointestinali. Da un punto di vista teorico è possibile che in presenza di
fattori genetici ed ambientali favorenti la manifestazione di disturbi
gastrointestinali, la violenza, come evento traumatico sia in grado di
modificare lo stato psicologico dell'individuo determinando sia un disturbo
psicologico (per es. ansia, depressione, somatizzazione) che l'incapacità a
sviluppare strumenti psicologici di protezione nei confronti di altri eventi
stressanti ambientali. La violenza potrebbe quindi mediare lo sviluppo
o l’esacerbarsi dei sintomi, agendo sia sulle funzioni fisiologiche
gastrointestinali, come l’attività motoria o la sensibilità viscerale, che
sul sistema nervoso centrale, sia modulando i processi psicodinamici.
D'altra
parte l'osservazione che non tutti i soggetti sottoposti a violenza sviluppano
successivamente sintomi fa presumere che l'impatto che quest'ultima può avere
sullo stato di salute dipenda dall’interazione con fattori individuali e
ambientali e da come questi ultimi interagiscono, a loro volta, con la funzione
e la sensibilità viscerale nel singolo individuo.
A prescindere dal tipo di relazione che lega la violenza
alla riduzione dello stato di salute, tutti gli studi finora effettuati su
popolazioni di pazienti dimostrano che un’allarmante percentuale di donne e
bambini sono sottoposti nel corso della propria vita a violenza fisica e/o
sessuale e che ciò può avere un notevole impatto sullo stato di benessere
generale.
Sulla base di queste osservazioni L'ANEMGI, si è resa
promotrice di un progetto di ricerca, "Progetto Donna", condotto in
collaborazione con alcuni Ricercatori dell'Università "La Sapienza"
di Roma e con le Operatrici di alcuni dei Centri Antiviolenza presenti in Italia
(Artemisia, Firenze; Casa delle Moire, Palermo; Differenza Donna, Roma) volto a
valutare la relazione tra storia di violenza subita nel corso della propria vita
e sintomi gastrointestinali nella popolazione italiana.
A
tale proposito è stato attivato un sito web consultabile all’indirizzo
www.anemgi.org.
Gli
scopi della ricerca intrapresa sono
stati quelli di valutare:
1.
la prevalenza di una subita violenza sia fisica che sessuale nei pazienti
afferenti agli ambulatori di
Gastroenterologia a cui si richiedeva di compilare un questionario. Quest'ultimo
era anonimo in un gruppo di pazienti e non-anonimo in un altro gruppo.
2.
la prevalenza di sintomi gastrointestinali in una popolazione di donne
sottoposte a gravi forme di violenza sia fisica, che sessuale che psicologica,
che ricevono rifugio ed aiuto dai Centri Antiviolenza e che non richiedendo
l'intervento sanitario per motivi di salute rappresentano una popolazione di
donne che non sono pazienti (non-pazienti) .
Evidenziamo
di seguito i risultati di questa ricerca.
1.
Nei Pazienti Con Disturbi Gastrointestinali
-
La prevalenza della violenza sessuale e/o fisica, riferita nei
questionari anonimi e non-anonimi, nei due gruppi simili per caratteristiche
demografiche e per diagnosi di malattia, è rispettivamente del 32% e del 15%
(p<0,005). L'utilizzo del questionario anonimo facilita quindi il rilevamento
del dato.
-
Nel 32% dei pazienti con disturbi digestivi, sia con patologia
organica che funzionale è
rilevabile una storia di maltrattamenti fisici e/o sessuali.
-
La violenza è esercitata esclusivamente su donne e bambini.
-
I pazienti che hanno subito violenza fisica e/o sessuale
riferiscono un numero maggiore di sintomi (gastrointestinali e riferibili agli
altri apparati) indipendentemente dal tipo di malattia da cui sono affetti
rispetto ai pazienti non maltrattati.
-
Il 59% ha subito maltrattamenti fisici e/o sessuali durante l’infanzia
(£
13 anni) ed il 41% durante l’età adulta (>13 anni).
-
L’84% ha subito violenza da parte di un familiare.
-
L’86% riferisce almeno due sintomi gastrointestinali.
-
E’ rilevabile un’alta prevalenza di sintomi gastroenterologici (7,8±4,3)
ugualmente distribuiti tra i vari tratti dell’apparato gastrointestinale.
-
Le donne che hanno subito violenza durante l’infanzia riferiscono un
maggior numero di sintomi (9,3±4,3)
rispetto alle donne che hanno subito violenza nell'età adulta (5,8±3,6;
p<0,05).
-
Il numero dei sintomi è correlato alla gravità della violenza
subita. Più grave è la violenza subita maggiore è il numero dei sintomi
riferiti.
Questi
che rappresentano i primi dati italiani sulla prevalenza dei maltrattamenti
fisici e sessuali nei pazienti e i
primi dati internazionali sulla prevalenza dei disturbi gastrointestinali in donne non pazienti sottoposte a violenza indicano che:
1.
la prevalenza in Italia dei maltrattamenti fisici e sessuali nei pazienti
con disturbi gastroenterologici non si discosta da quella rilevata in altri
paesi;
2.
i pazienti tendono a non riferire di aver subito una violenza;
3.
i pazienti che hanno subito violenza soffrono di più;
4.
nella maggioranza dei casi la violenza viene consumata nell'ambito della
famiglia e dell'entourage della vittima;
5.
la severità della violenza è correlata alla sintomatologia;
6.
la violenza subita nell'infanzia ha
effetti più gravi sullo stato di salute della vittima.
Data
la frequente associazione tra maltrattamenti subiti e disturbi cronici, appare
dunque essenziale nella gestione clinico-terapeutica di questi pazienti
considerare ed indagare in maniera corretta gli aspetti psicosociali.
E'
infatti evidente che se da una parte solo
una esigua minoranza di chi ha subito violenza, incluso lo stupro, lo riferisce
spontaneamente al proprio medico o alle autorità competenti, dall'altra
quand'anche questo aspetto venga affrontato è essenziale la modalità con cui
il medico si avvicina all'argomento.
Inoltre
dal momento che nella maggioranza dei casi la violenza è consumata nell'ambito
della famiglia e dell'entourage sociale della vittima, è importante poterla
rilevare attraverso segni indiretti fisici e comportamentali. Ciò vale anche e
soprattutto per i bambini. E' ormai chiara la necessità, di fronte a
determinati complessi sintomatologici fisici e psichiatrici, di indagare
sull'eventuale violenza subita dal paziente sia esso adulto che bambino.
La
comunità medica è quella che insieme con il sistema giudiziario più
frequentemente viene in contatto con le vittime, rappresentando quindi un primo
filtro nel riconoscimento e nella gestione del fenomeno. A tutt’oggi però a
fronte del ruolo che il medico può esercitare nella prevenzione e nel
trattamento delle conseguenze che la violenza ha sulla salute c’è una
rilevante carenza di informazione. Degno di nota è uno studio eseguito negli
Stati Uniti che alla revisione del materiale didattico per studenti in medicina
e per neo laureti ha rilevato una pressoché assente informazione sull'analisi
delle influenze che la violenza può avere sui pazienti e sulla modalità di
come interrogare gli stessi su questo argomento. Ne deriva la necessità di
informare e di insegnare ai medici specialisti, ma soprattutto ai medici di
base, a riconoscere i segni indiretti di subita violenza.
Ciò
ha implicazioni pratiche in quanto permette di indirizzare il paziente al
trattamento più appropriato, che in questi casi non è quasi mai di tipo
esclusivamente farmacologico, ma anche sociale perché aumentando l'attenzione
alle conseguenze che la violenza ha sulla vittima permette di rilevarne la
presenza in situazioni non apertamente denunciate.
Degno di nota è che dati recenti indicano una tendenza alla
riduzione della violenza esercitata sui minori nella America del Nord come
conseguenza di una serie di iniziative di tipo legislativo, ma soprattutto
dell’informazione dei pediatri e dei medici di base, della popolazione adulta
ed infantile.
Se
si considera che l'impatto che la violenza ha su un individuo dipende da
molteplici fattori ambientali e dalla vulnerabilità individuale funzione del
patrimonio genetico e dei fattori psicosociali, le azioni possibili devono
essere rivolte sia alla prevenzione del fenomeno che a rafforzare i fattori che
agiscono da protezione attraverso iniziative sociali, culturali e politiche.
La
mancata coscienza delle ripercussioni che la violenza ha sullo stato di salute
può avere rilevanti e negative conseguenze sia mediche che economico-sanitarie:
1.
il medico che limiti il suo intervento ai disturbi, ignorando la sfera
psico-sociale del paziente tenderà a richiedere più esami diagnostici e a
prescrivere più terapie e vedrà progressivamente diminuire la fiducia del
paziente nei suoi confronti;
2.
il paziente farà più frequentemente ricorso alle strutture sanitarie
senza veder diminuire il suo stato di sofferenza, ma anzi avrà un aumentato
rischio di danni iatrogenici e di perdita economica;
3. il sistema sanitario dovrà sopportare una maggiore spesa per visite, esami diagnostici, terapie e danni iatrogenici secondari.
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