CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Responsabile: dr. Elvira Reale

 

SOMMARIO

 

IL LAVORO DI CURA:

 PRIMO FATTORE DI RISCHIO NELLA DEPRESSIONE FEMMINILE

 

LA STORIA E LA CURA
 

IL CARICO FAMILIARE E ATTRIBUZIONE ALLA DONNA
 

CARICO FAMILIARE E DEPRESSIONE
 

TRE DOMANDE SUL RAPPORTO TRA STRESS DA CARICO FAMILIARE E DEPRESSIONE

 

I COLLEGAMENTI TRA I VARI FATTORI DI RISCHIO NELLA DEPRESSIONE

 

La storia e la cura

Il ruolo femminile è un ruolo culturalmente appreso fondato sulla differenza biologica  racchiusa nell'attività riproduttiva.

            La specificità  del ruolo femminile è l’attività di cura nei confronti dei figli che nella nostra cultura ha dato vita ad un insieme di  compiti e funzioni  rappresentati dal lavoro familiare.

Studi antropologici e sociologici hanno  mostrato come l’attività di cura non è necessariamente connessa alla attività riproduttiva, ma può essere da questa scissa.

Nella nostra organizzazione del lavoro questa attività è stata fortemente collegata alla riproduzione femminile e considerata come elemento intrinsecamente connesso ad essa.

Da questa connessione nasce l’attribuzione alla donna di tutto quanto si muove intorno all’allevamento dei figli: la cura della casa e della famiglia nel suo complesso. L’attività di cura è stata così  dilatata fino a coprire tutto l'insieme di compiti che nasce dalla centralità del rapporto con il bambino.

La donna si è così vista attribuire in questa società la cura dei figli, della casa, dei membri della famiglia, degli anziani e dei malati.

All'interno del rapporto di cura che origina dal rapporto con la prole si è inserito il rapporto con l’uomo come corollario della funzione riproduttiva e del lavoro specifico della donna all’interno della nostra società.

            Il  rapporto con l’uomo è stato stabilito secondo le regole di una rigida divisione dei ruoli: all’uomo compete il sociale, alla donna  la casa. Questa divisione ricorda un’altra divisione, quella tra lavoro materiale ed intellettuale, tra servo e padrone, e con esse condivide i principi dello sfruttamento di risorse a vantaggio di altri, e il nascondimento dello sfruttamento attraverso principi naturalistici e/o biologici.

Anche la divisione del lavoro tra lavoro familiare  e lavoro sociale  è fondato su due elementi di tipo naturalistico:

-         la naturalità della cura fondata sulla specifica funzione riproduttiva

-         la differenza biologica che vuole la donna debole per natura.

 

La donna è infatti rappresentata come debole ovvero carente da vari punti di vista:

-         sul piano fisico, per  la mancanza di forza;

-         sul piano sessuale, per la carenza di attività;

-         sul piano intellettuale, per le carenze delle funzioni logico-matematiche;

-         sul piano produttivo, per  la mancanza di resistenza al lavoro.

Per queste carenze la donna è rappresentata pertanto bisognosa di un tutor, di qualcuno che ne compensi le carenze.

All'uomo nel rapporto di coppia è delegato il ruolo di tutor (protezione sociale)  ed in cambio la donna deve all'uomo servizi ed attività di cura nella famiglia. 

Questi elementi creano una relazione complessa tra uomo e donna: costituiscono le radici sociali della dipendenza della donna. Le donne infatti hanno una minore coscienza del proprio valore (quella bassa autostima tanto favorevole allo svilupparsi di patologie depressive) e attribuiscono maggiore valore all’uomo. La separazione dall’uomo e l’essere sole rispetto ad un uomo, crea alla donna un problema in più che riguarda il sentirsi di minor peso nel mondo, con minor valore, esposte ad eventi minacciosi.

Le sensazioni e le percezioni delle donne che la vita è finita se un uomo va via, che senza un uomo non si riesce a vivere, sono relative a questo stato di dipendenza creato dal bisogno “socialmente indotto" di darsi valore attraverso un uomo, compensando il presunto minor valore personale (le carenze che le vengono attribuite).

 

       La  crisi della famiglia si mostra ogni volta che il patto tra uomo e donna  non viene rispettato:

-         la donna partecipa direttamente al sociale (tutta la storia emancipazionista, si muove in questa direzione), e non fruisce più della intermediazione maschile;

-         la donna che svolge esclusivamente il lavoro di cura in casa non trova nell’uomo quelle compensazioni  e soddisfazioni  implicite nel patto.

 

La storia attuale ci dice che:

-         le donne casalinghe e non casalinghe hanno mantenuto il ruolo principale  della cura all’interno della famiglia aumentando il carico complessivo di lavoro;

-         nel lavoro esterno la quota principale di lavoro domestico  impedisce alle donne  di partecipare in pieno alla vita professionale e sociale che sono così considerate ”esercito di riserva” ( a casa nei periodi di crisi, al lavoro in ruoli subordinati quando la crisi è passata) evidenziando sempre con più alti tassi di disoccupazione rispetto agli uomini ,  e minore presenza ( o assenza) nei luoghi decisionali;

-         nei confronti dell’uomo la donna  mantiene una coscienza soggettiva, condivisa dalla collettività , di un minor valore personale. Dall’uomo la donna si aspetta il “riscatto”, ovvero quella aggiunta di valore che la società le nega e che  le “manca come natura”.

 

Queste brevi note servono ad inquadrare il problema ancora attuale:

-          la specificità di condizione di vita che caratterizza la donna rispetto ad un uomo è ancora oggi l’attribuzione del carico di lavoro familiare in toto o in parte preponderante rispetto all'uomo;

-         la percezione di minor valore rispetto all’uomo ed il vissuto di  dipendenza indotto da questa percezione .

 

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Il carico di lavoro familiare e la sua attribuzione alla donna

 

Parlare del carico di lavoro familiare significa parlare di due elementi  che complessivamente costituiscono le condizioni di lavoro: le caratteristiche quali-quantitative  del lavoro  e  le caratteristiche  della persona chiamata a svolgere il lavoro.

 

A. Il lavoro familiare ha due risvolti: a. la cura come attenzione complessiva ai bisogni ed alle esigenze degli altri di cui ci si cura; b. l'insieme dei compiti e delle attività concrete sia materiali che di altro tipo (ad esempio psicologico).

Il lavoro familiare che comprende anche la cura è quindi  un’attività complessa che implica un insieme di compiti materiali ed esecutivi, compiti organizzativo-manageriali, compiti di conoscenza e di aggiornamento  tecnologico, compiti di supporto psicologico e di supporto relazionale.

I compiti che riguardano la cura sono molteplici e tendono ad essere infiniti: seguiamo la cura di un bambino nell’arco di una giornata come misura esemplificativa del compito di cura.

Attività di conoscenza: conoscere i bisogni del bambino, le tappe di sviluppo biologico, i sintomi di malattia e di disagio, conoscere e possedere strumenti per approcciare e risolvere i vari problemi ed eventi familiari.

Attività materiali e organizzative: preparare e somministrare cibo, preparare e fornire indumenti puliti, preparare e fornire un ambiente pulito, ecc.

Attività psicologiche: sorvegliare il bambino per evitare danni (situazioni pericolose per la salute e la vita),  entrare in relazione al bambino per aiutarlo a sviluppare un buon rapporto con l’ambiente: giocare, promuovere l’iniziativa, stimolare, ecc.

Estendiamo questi compiti ai componenti di una famiglia e avremo moltiplicato a dismisura la quantità  e la complessità dei compiti.

Se analizziamo poi queste attività da un punto di vista del metodo avremo che questa attività così esaminata  necessita delle seguenti condizioni:

-         attenzione e vigilanza,

-         stato continuo di  allerta,

-         controllo dello spazio fisico  e dell’ambiente emotivo.

Se infatti pensiamo sempre al bambino piccolo e guardiamo ad esempio al suo sonno disturbato, ai suoi primi passi in un giardino pubblico, sarà evidente per noi “che una madre non si può distrarre neanche un attimo”

Ma estendiamo poi questa vigilanza  anche ad altri componenti della famiglia, un anziano, un figlio grande, un marito: e avremo intensificato a dismisura queste caratteristiche e condizioni delle attività familiari di cura.

Ma ancora dobbiamo guardare ad un'altra caratteristica del lavoro di cura: ad esso compete anche l’armonizzare e far interagire le varie esigenze, i vari  bisogni di ciascun membro del nucleo, senza danneggiare alcuno e commettere disparità.

Oltre quindi l’attenzione, la conoscenza, è necessaria un’altra modalità: la capacità di mediazione e la capacità di far interagire i vari bisogni senza creare conflitti.

In sintesi il lavoro di cura nella famiglia richiede competenze diversificate:

B. se guardiamo al tipo di "lavoratore" adatto ad offrire questo tipo di cura non possiamo pensare ad una persona capace di ascoltare, silenziare i propri bisogni per fare spazio a quelli degli altri. Solo che se questa persona la vediamo coinvolta in una qualunque professione sociale, la consideriamo ingaggiata per un certo n7umero di ore al giorno; se pensiamo ad una madre la consideriamo ingaggiata in questa attività per 24 ore al giorno.


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Carico familiare e depressione

 

Oggi si parla della depressione come emergenza mondiale (OMS) e come patologia che tra altri 20 anni  si situerà al 2° posto nel mondo come principale causa e condizione di disabilità.[1] Oggi si parla della prevalenza della depressione femminile su quella maschile in un rapporto di 2:1.

 

Quali le spiegazioni più battute sul tema della prevalenza della depressione?

La medicina e la psichiatria in particolare è ricorsa più facilmente a:

-         spiegazioni biologiche/ormonali attribuendo alla specificità del ciclo biologico e alla variabilità degli ormoni la variabilità dell’umore

-         spiegazioni tipologiche di personalità che dovrebbero spiegate i caratteri di passività, dipendenza, bisogno di piacere agli altri ,più facilmente  connessi alla patologia depressiva.

D’altra parte teorie sullo stress e sugli eventi di vita, che avrebbero potuto meglio comprendere le ragioni della depressione con un collegamento con la vita quotidiana, sono rimaste sulla soglia del problema eziologico della depressione nelle donne: gli unici eventi di vita collegati con la depressione sono stati quelli affettivi (separazione, morte, abbandoni, ecc.), il lavoro ne è rimasto  pressoché escluso.

 

            Eppure è proprio il lavoro l’evento stressante cronico nella vita della donna che costituisce quel fattore di vulnerabilità che può meglio spiegare la prevalenza delle donne nell’area della patologia depressiva.

Ma le ricerche internazionali  hanno sempre preso in considerazione nella teoria dello stress e della pressione degli eventi esterni  il lavoro per il mercato e non quello familiare considerato non lavoro.

 

Le donne non si  sono  potute avvantaggiare nella patologia depressiva di una teoria che permetteva di dare risposte a partire dalla organizzazione della vita quotidiana e così sono rimaste  private di trattamenti adeguati e soprattutto di una prevenzione mirata.

Ma la teoria sullo stress, l’unica teoria che permette oggi di entrare nel terreno delle scienze mediche con un occhio rivolto  alle condizioni di vita, ha una importanza strategica per le donne: essa può  contribuire validamente alla costruzione di  una eziologia legata alla specificità della vita quotidiana  della donna ed aprire così la strada a pratiche di prevenzione credibili. Si potranno così superare, utilizzando concetti chiave della teoria stress,   concezioni  legate ad una improbabile diversità biologica che ha come unica paradossale  prospettiva l’abbattere le variabilità ormonali e biologiche nella donna!

Lo stress  si presenta nella ricerca, per consenso di molti  ricercatori, come   un importante  co-fattore in tante patologie: tumorali, cardio-vascolari, gastrointestinali, ecc.

Meno studiato tra tutti  è stato lo stress in relazione alla depressione: in questo campo in cui sono state sempre più rappresentate le donne si è guardato meno ai fattori di stress psico-sociale e maggiormente ai dati biologici e alla differenza sessuale sempre biologicamente intesa. Quando si sono presi in considerazione gli eventi di vita essi sono stai rappresentati come eventi affettivi ( abbandono, separazione, lutto) e non come eventi in cui si celava un aumento del carico di lavoro o una riduzione del potere sociale (il minor valore attribuito alla donna in assenza di un uomo).

Lo stress, rispetto ad altre eziologie, pone la questione della salute in termini di pressione ambientale e suggerisce ipotesi di alleggerimento della pressione come possibile uscita dal malessere o come prevenzione dal malessere. Le eziologie biologistiche e psicologistiche, tipiche delle teorie sulla depressione invece hanno una valenza individuale colpevolizzante e stigmatizzante.  Pensiamo appunto alla depressione femminile che viene associata ai tratti di personalità o alla variazione ormonale del ciclo biologico: attraverso questi orientamenti o attraverso l’indicazione di questi fattori di rischi, la donna vede messi in discussione aspetti su cui non ha alcun controllo diretto nè possibilità di incidere.

Lo stress invece può divenire, in controtendenza rispetto ad altre interpretazioni, la chiave giusta per entrare dentro il problema della maggiore morbilità femminile nella depressione così come già  succede per molte delle patologie ad alto tasso di incidenza nella popolazione maschile.

 

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Tre domande sul rapporto tra stress da carico familiare e depressione

 

Ragionando in termini di stress rispetto alla donna ci troviamo di fronte a tre possibili domande.

1° DOMANDA

 

 Può essere il lavoro familiare un potente  fattore di stress nella vita di una donna? Può anzi essere il più potente fattore di stress in grado di spiegare la maggiore morbilità delle donne e le attuali differenze epidemiologiche   tra uomini e donne?

 

Per il campo maschile è stato analizzato il lavoro per il mercato come principale fonte di stress, collegato soprattutto all’insorgenza delle patologie cardiovascolari; nel mercato sono state analizzate in dettaglio le modalità stressanti del carico e delle condizioni di lavoro (isolamento, ripetitività, mancanza di controllo e responsabilità del processo produttivo, mancanza di livelli adeguati di motivazione, autonomia, e partecipazione agli obiettivi, mancanza di soddisfazione, ecc.).

Non altrettanto estesamente è stato fatto per il lavoro familiare che compete  ancora in via principale alle donne o come lavoro esclusivo o come lavoro su cui eventualmente va ad aggiungersi quello per il mercato.

Dalle ricerche che solo negli ultimi anni hanno esaminato il carattere stressante del lavoro familiare, risulta sufficiente concordanza nell'affermare che il lavoro familiare per le sue caratteristiche si impone come fattore principale di stress per il genere femminile, determinando anche una maggiore vulnerabilità delle donne allo stress che si sviluppa nel  lavoro extra-familiare.  Mentre non è invece sempre vero il reciproco; ovvero: i carichi di impegno e responsabilità  legati al lavoro extra-familiare di una donna non sempre incrementano il valore stressante del suo lavoro familiare. Anzi, talora, e sotto questo specifico profilo, il lavoro extra-familiare può fungere, in determinate condizioni, addirittura da fattore protettivo rispetto al valore stressante del lavoro familiare.

Lo stress nel lavoro familiare che compete alle donne casalinghe e non casalinghe ha poi difficoltà ad essere messo in relazione con le principali patologie di cui le donne soffrono ed in particolare con la depressione.

Come lo stress è legato al lavoro familiare e colpisce ambedue le tipologie di donne, anche nell’ambito delle ricerche sulla depressione non vi sono evidenze che dimostrano che le donne con lavoro esterno si ammalano di più o di meno di quelle che non lavorano, ma al contrario i risultati di più ricerche indicano che le donne casalinghe e quelle con lavoro esterno hanno le stesse possibilità di ammalarsi di depressione.

A questa prima domanda in definitiva si può rispondere che: il lavoro familiare può costituire un potente fattore di stress nella vita delle donne, così come il lavoro esterno è considerato la principale fonte di stress per gli uomini.

Si può anche dire che lo stress del lavoro di cura ha particolarità non confrontabili con lo stress del lavoro per il mercato, visto che:

-         le donne vivono in peggiori condizioni di salute degli uomini,

-         nelle donne la vulnerabilità allo stress è maggiore nel lavoro familiare che non nel lavoro esterno,

-         gli uomini che lavorano all'esterno e che sono anche impiegati in lavori altamente stressanti, godono comunque degli effetti protettivi del lavoro di cura svolto dalle donne, effetti di cui le donne non godono comparendo sempre e solo nel ruolo di curanti.

 

 

2° DOMANDA

 

Una volta dato per riconosciuto il lavoro familiare come specifico stress nella vita della donna bisogna porsi la seconda domanda: può essere lo stress del lavoro familiare, presente in tutte le donne,   sia in quelle  che lavorano solo in casa  che in quelle che lavorano  anche fuori casa, a condurre la donna verso la depressione? Lo stress del lavoro familiare può cioè essere quel fattore di rischio specifico, nella vita della donna che conduce le donne più che gli uomini a soffrire maggiormente di disturbi depressivi ed in genere ad occupare maggiormente lo spazio delle patologie psichiche?

 

Una volta riconosciuto che lo stress nella donna è legato al lavoro familiare, rimane l’ostacolo presente in un pregiudizio della psichiatria che la depressione, caratterizzata da stati emotivi di disperazione, bassa autostima, senso di incapacità non abbia granchè a vedere con lo stress ed una specifica  pressione lavorativa.

Rimane quindi da dimostrare che all’interno del lavoro familiare si danno proprio quelle condizioni che portano alla percezione di non valere e alla disistima, tipiche della depressione, in modo da non dover ricorrere a teorie personalistiche, e biologistiche.

 

Due sono le componenti dello stress:

a.                  l’evento stressante lo stressor con le sue caratteristiche di intensità e durata dall’altro lato

b.                  la risposta dell’individuo con le caratteristiche soggettive e  inter-soggettive di: percezione dello stressor, motivazione personale al fronteggiamento dello stressor, comportamenti e  stili di risposta appresi, risorse disponibili, percezione del limite dello sforzo.

 

 Alla luce della teoria dello stress (stressors e risposte allo stress), riconsideriamo il lavoro di cura di cui abbiamo parlato come stressor principale nella vita della donna.

 

Questo lavoro di alta responsabilità e di alto  carico materiale e morale, si estende in tutte le 24 ore, non dismette nelle ore notturne, non ha pause , richiede una attenzione diffusa ed uno stato di allerta continuo. Questo lavoro è paragonabile a quelli che vengono definiti dagli studi come altamente stressanti (ad esempio i piloti di aereo) ed esso  può raggiungere livelli di stress caratterizzati da intensità e durata tale da superare molti di quelli connessi alla maggior parte  degli altri lavori.

Consideriamo ora in dettaglio tutte le caratteristiche del lavoro di cura familiare alla luce delle analisi dello stress lavorativo, per poi valutare quanto questo lavoro sia più o meno stressante di altri e soprattutto che tipo di risposta e stile comportamentale induce in chi lo pratica.

- Il lavoro di cura familiare come lavoro non condiviso impone il dovere al to care : la donna deve fronteggiare tutto e sempre, non può assentarsi, non può sottrarsi. Induce così lo sviluppo di sentimenti di indispensabilità, di onnipresenza;  esso è assimilabile al modello di lavoro di un dirigente di azienda con compiti  di direzione e coordinamento elevati ed accentrati.

- Il lavoro di cura, come lavoro socialmente non riconosciuto, non ricompensa la donna, non le dà riconoscimenti e gratificazioni da parte dei  mandanti (la società come azienda); esso non è retribuito e il più delle volte non procura apprezzamenti da parte dei fruitori, che vedono in quello che  viene fatto per  loro  solo l’espressione di un dovere. Esso quindi costituisce un lavoro gratuito e doveroso, senza scambio.

- Il lavoro di cura si basa principalmente sull’ascolto dei bisogni dell’altro e sulla interpretazione del bisogno, silenziando i propri: la donna impara ad essere passiva ed a silenziare i propri bisogni.

- Il lavoro di cura come lavoro totalizzante non consente o riduce la possibilità di altri spazi di realizzazione personale, la donna non impara a coltivare la dimensione del per sé

- Il lavoro di cura nella nostra società è isolato: esso insegna che stare nel sociale, fermarsi con gli altri è una perdita di tempo, è sottrazione di energie a compiti più importanti; esso riduce le occasioni di sviluppo di rapporti sociali.

- Il lavoro di cura è mirato alla  soddisfazione dei bisogni altrui, creando con ciò vincoli di dipendenza: solo il gradimento dell’altro è segno delle mie capacità e del mio valore. Questa dipendenza si definisce come dipendenza dai fini e dai bisogni altrui.

 

In definitiva tutte queste caratteristiche del lavoro di cura familiare fanno di esso non solo un  lavoro stressante, ma un lavoro stressante atipico, perchè solo in esso e non in altri si richiede come normale esercizio  l'attivazione della " cura degli altri" e la disattivazione della " cura di sè".

Nel lavoro familiare così come oggi è concepito e praticato la donna non solo  impara la cura degli altri, ma tende a disimparare la normale e naturale cura di sé; mette al centro i bisogni degli altri e accantona i propri; comprime le proprie reazioni per dare spazio a quelle degli altri; si passivizza e comprime l’iniziativa personale  per meglio ascoltare l’altro;  dipende  dal giudizio dell’altro come segno degli obiettivi raggiunti, e come termine e soddisfazione del lavoro svolto; quando l’altro (l’oggetto della cura) è violento, non si difende ma si colpevolizza pensando di aver sbagliato la propria funzione di cura, e pertanto è portata a tollerare anche la violenza attribuendosene la responsabilità.

Se gli interessi personali, le relazioni sono d’intralcio ai compiti di cura e al gradimento degli altri, essi andranno ridotti, eliminati; se i compiti di cura producono esaurimento di energie, la stanchezza non è accettata né riconosciuta come normale esaurimento di energie nel corso di esecuzione di un compito stressante.

 

In definitiva il lavoro di cura, tipico delle attività familiari, è rivolto solo alla soddisfazione dei bisogni altrui (la cura degli altri) e non comprende la soddisfazione personale (la cura di sé).

Per questa caratteristica esso non solo è un lavoro stressante ma un potente fattore di rischio specifico per la depressione.

In definitiva la risposta alla seconda domanda è che il lavoro di cura familiare non costituisce solo un fattore di vulnerabilità allo stress ed alle patologie connesse,  ma anche un fattore di rischio specifico per la depressione: esso stimola l'acquisizione di uno stile comportamentale contiguo all'esperienza depressiva.

 

 

 

3° DOMANDA

 

 Nella terza domanda ci chiediamo perché, se il lavoro familiare  contiene in sé un rischio depressivo, non tutte le donne si  ammalano oppure  si ammalano nello stesso modo e negli stessi tempi?

 

Il lavoro familiare con le sue caratteristiche stressanti generali può costituire il fattore  di vulnerabilità principale delle donne sostituendo così quello tradizionalmente attribuito alle donne e costituito dal ciclo biologico. Come fattore generale di stress spiega anche le peggiori condizioni di salute delle donne. Invece la maggiore longevità delle donne si spiega con a maggiore capacità di resistenza delle donne alle patologie ed allo stress nel corso della vita.

Più stress, più resistenza, più longevità, peggiori condizioni di salute: questa sembra essere la tetrade specifica che riguarda complessivamente le condizioni di vita delle donne.

Il lavoro familiare  posto da noi  come fattore generale di vulnerabilità non può spiegare le singole variazioni o gli specifici percorsi verso la depressione. E' la storia personale  ad indicarci come e perchè determinati eventi, carichi e responsabilità hanno determinato una riduzione complessiva di risorse, relazioni  ed interessi personali

Quando nella storia personale, in un determinato momento, in una determinata fase o tappa di vita, a seguito di un qualsiasi evento grande o piccolo, la cura degli altri avrà spazzato via la pratica ed il riconoscimento di valore ad un ultimo anche piccolissimo aspetto di  cura di sè, la donna incontrerà la depressione.

 

Nella depressione si constata niente altro che la realizzazione estrema della cura degli altri, dell'idea totalizzante della maternità. Si verifica cioè l'annullamento della cura di sè, il sacrificio dei propri interessi e bisogni, l'incapacità a distinguere il proprio bisogno ed interesse da quello degli altri, la dipendenza mortale dall'altro. Tutto ciò ha come effetto il depotenziamento e l'esaurimento delle risorse, la mancanza di ogni energia vitale, fisica e/o psichica, ovvero la mancanza di: motivazione personale, interesse, piacere, ecc. e la presenza di un senso di stanchezza mortale, incapacità all’azione, fine della vita.

 In questo senso la depressione  viene a configurarsi come la tappa finale di un processo di esaurimento di risorse, così come avviene ed è stato studiato nella fase di break-down  nel corso di una risposta ad un evento stressante.

 

 

Per capire questo percorso, seguiamo le principali tappe di ammalamento così come descritte dalla scienza medica e dalla psichiatria.

I rischi di depressione sono simili in donne ed uomini nella infanzia e nella vecchiaia.

Le differenze si apprezzano nella prima adolescenza e fino all’età adulta: in questo periodo le donne depresse sono circa il doppio degli uomini depressi.

La depressione nelle donne ha un andamento  in crescita fino all’età adulta, negli uomini dopo una lieve crescita nell’adolescenza il rischio di depressione si mantiene stabile.

Questa differenza di ciclo della depressione nelle donne e negli uomini ci indica che le donne incontrano progressivamente nella loro vita  più difficoltà ed  eventi che si trasformano in depressione. Lo stress degli uomini, che non vogliamo qui disconoscere né sottovalutare, si trasforma evidentemente e preferibilmente in altre patologie o comportamenti a rischio (abuso di alcool, dissocialità, ecc.)

La progressione nella crescita della depressione tra le donne, dall’adolescenza (circa all’epoca dello sviluppo puberale) fino all’età adulta, può essere ben spiegata con un incremento del lavoro di cura, che tocca il suo apice nell’età adulta con figli piccoli.

Questa spiegazione è senz’altro più soddisfacente e comprovata da ricerche più significative di quella  che tradizionalmente la psichiatria ha offerto a questo fenomeno: il ciclo biologico associato alla variabilità umorale della fase post-luteica.  Questa spiegazione ripetiamo infatti non ha trovato sostegno ed evidenze negli studi degli ultimi 15 anni.[2]

 In rapporto alla teoria dello stress e dei life-events invece si può ipotizzare che la donna, in determinati fasi della sua vita in connessione anche con gli eventi biologici,  segnalatori di una  possibile crescita del lavoro di cura, sperimenti un aumento del livello di intensità e di pressione  dei suoi compiti di ruolo.

Inoltre ciò che la psichiatria e la psicologia hanno finora scambiato per tratti di personalità biologicamente fondati, come la passività e la dipendenza, trovano una spiegazione più ampia e convincente se correlati alle necessità storiche del lavoro di cura e visti come condizioni soggettive di lavoro piuttosto che  come tratti  di  personalità ascrivibili alla natura biologica.

Il collegamento  tra gli stili di vita e gli atteggiamenti che il carico familiare induce e la depressione è bene rappresentato nello schema seguente che compara i valori della femminilità con i tratti che la psichiatria attribuisce alla personalità tendenzialmente depressiva. [3]

 

 

Modello  medico-psicologico

 

Modello della femminilità

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vi è un tipo di personalità associata alla depressione  che:

"ha necessità di piacere gli altri e di agire secondo le aspettative altrui, non ascolta i propri desideri, non conosce cosa significhi essere se  stesso. "

valori della femminilità socialmente condivisi:

"riferimento all'uomo, vita attraverso gli altri e per gli altri, proibizione di esprimere ed affermare se stessa, di essere aggressiva e di cercare posizioni di potere (ambizione)"

 

Fattori storici ed educazionali, più che fattori di personalità, possono meglio spiegare la progressione negli ultimi anni dell’incidenza della depressione, segnalata anche da un intervento recente del Direttore del WHO[4].

Se la depressione tra le donne è in aumento ciò vuol dire non solo che sulle donne è caricato il lavoro familiare, ma anche che il lavoro extra-familiare, in aumento tra le donne, non si pone come misura anti-stress o come misura di protezione dalla depressione.

 Il lavoro familiare crea maggiori rischi di depressione oggi più di ieri proprio perché il lavoro extra-familiare in aumento non  modifica le condizioni del lavoro familiare, la cui competenza rimane ancora per massima parte sulle spalle delle donne, come rimane alle donne essere oggetto  di un training socio-educativo che favorisce determinati stili comportamentali, naturali  alleati del lavoro di cura.

Nè d’altro lato le politiche che oggi cominciano a comparire come “equal opportunities in a family friendly working world” hanno avuto il tempo di affermarsi e possono essere valutate in termini di effetti  sulle condizioni di salute delle donne.

Ma nella depressione non si tratta di individuare solo un aumento quantitativo del lavoro, ad esso si accompagnano, in nome di una doverosità naturale, pressioni che hanno la connotazione di violenza fisica e psicologica. Richiamiamo qui anche i dati sulla violenza familiare che indicano come il 50% dei disturbi depressivi delle donne è stimato dalla World Bank  essere una conseguenza degli eventi di maltrattamento e violenza  familiare.[5]

Vogliamo sottolineare un’altra minaccia  importante per la vita della donna, che contribuisce alla crescita dei vissuti di depressione: la paura di essere abbandonata dall’uomo e di rimanere sola, sola con i figli, sola nel mondo, sola economicamente, sola sessualmente ed affettivamente.

Questa minaccia di rimanere sola non ha effetto solo sulle donne casalinghe senza lavoro esterno, o sulle donne della mezza età, ma è in crescita nella fascia delle donne giovani nella fase della post-adolescenza (20-24 anni ). Sempre più in contrasto con le attuali tendenze all’autoaffermazione, si va  sviluppando nelle donne, anche giovanissime, una perdita di “senso di sé” in relazione a rapporti di coppia non gratificanti o ad abbandoni affettivi.

I sintomi sono quelli di una totale disistima, incapacità ad avere altri pensieri ed interessi che non siano l’uomo che si sottrae al rapporto: una sorta di “patologia da dipendenza” o di “sindrome di astinenza” da interruzione brusca del rapporto.

 

Se il carico familiare è da considerare come il fattore di vulnerabilità generale, fattori scatenanti  sono gli  eventi ( di qualsiasi tipo, da quelli che segnalano un cambiamento, a quelli  più tipicamente caratterizzati come perdite affettive)  che si collegano  ad una richiesta /necessità di ampliare la propria sfera di competenza nel lavoro di cura, e per converso ad una richiesta/necessità  di ridurre le sfere di interesse soggettivo (hobbies, attività individuali o con gruppi extra-familiari, sviluppi lavorativi esterni, formazione professionale, relazioni extra-familiari, attività di tempo libero, tempo di riposo, ecc.).

Più tipici sono gli eventi che si collegano alle fasi della vita biologica della donna, come la gravidanza ed il parto, in occasione delle quali   si realizza, molto più facilmente, quell’aumento del lavoro di cura familiare e la riduzione di altri spazi di vita.

Aumento del lavoro, compressione degli spazi personali costituiscono la prima parte di un percorso che porta ad un deterioramento delle condizioni di vita e di salute della donna. Ma come è stato visto nella nostra ricerca[6] ed in altre ricerche l’aumento del lavoro da solo non spiega la risposta depressiva. Più facilmente l’aumento della sola pressione lavorativa  porterà la donna verso una patologia fisica ( tra cui in primo luogo l’ipertensione).

Il  break down psichico si caratterizza per la riduzione degli spazi ed interessi personali, la riduzione di relazioni e  di referenti esterni alla vita familiare (amici, gruppi, colleghi, ecc.), la caduta delle aspettative personali, di rapporti fiduciari, collegate all’aumento non giustificato del carico di lavoro  o ad un sovraccarico a lungo tollerato ed alla fine non ricompensato nè riconsociuto.

Altra caratteristica del break down psichico è data dalla completa inconsapevolezza del processo stressante da parte della donna che lo subisce; tale inconsapevolezza conduce la donna ad una percezione di incapacità soggettiva piuttosto che ad una critica della richiesta e ad un alleggerimento del carico.

In  definitiva la donna, nella situazione depressiva  sperimenta una improvvisa quanto inspiegabile incapacità al fronteggiamento degli eventi, caratterizzata da stanchezza, demotivazione, mancanza di interesse, e poi da sintomi fisici quali ad esempio: la perdita di appetito, l’insonnia, il pianto immotivato, l’ansia, l’irrequietezza; il tutto è poi percepito dalla donna come risultato di  una qualche  malattia che non ha collegamenti con la vita quotidiana, con il lavoro e con gli stili di risposta allo stress.

Lo stress quale prodotto del  lavoro di cura va considerato in genere come  fattore cronico ingravescente che progressivamente erode le energie e le risorse personali: esso quindi ha un ciclo di vita lungo prima di manifestarsi sottoforma di un disturbo fisico o psichico.

 In effetti l’allenamento al lavoro di cura sviluppa  nella donna maggiori capacità e risorse di base, sviluppa anche maggiori capacità di resistenza allo stress, che poi saranno quelle che non permetteranno al momento opportuno di riconoscere fattori di rischio ed intervenire precocemente su di essi.

Nella tabella seguente abbiamo unito insieme in una sequenza tutti i fattori collegati all’aumento del carico di lavoro familiare e/o del lavoro complessivo (lavoro familiare + lavoro extrafamiliare) che in determinate situazioni di vita (di tante donne ma non di tutte le donne) conducono alla depressione, come fase di esaurimento nel corso della risposta  di stress (di fronteggiamento dell’evento stressante).

In questo modo abbiamo introdotto una serie di altre variabili nel percorso di formazione della risposta di stress che riguarda più specificamente le donne, in modo da poter individuare sia i fattori generali che conducono la donna in condizioni di stress, sia le condizioni particolari che partendo dallo stress del lavoro di cura arrivano a quel completo azzeramento della cura di sè (interessi, progetti, punti di vista e spazi personali), che coincide, come si è detto, con la specifica esperienza depressiva[7].

 

Si è così risposto alla terza domanda che non tutte le donne, sebbene esposte allo stress del lavoro di cura, incorrono in un concreto rischio depressivo; perchè ciò accada è necessario che lo stress del lavoro di cura sia accompagnato da altri fattori   ad esso collegati, che segnalano la caduta delle aspettative personali.

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I collegamenti tra i vari fattori di rischio nella patologia depressiva


 

 

La risposta di stress  in un modello fattoriale multivariato

rappresentativo delle condizioni di vita femminili

e il suo esito depressivo

 

EVENTO/CAMBIAMENTO

Gli eventi di vita non hanno peso in sè: essi costituiscono l'occasione perchè si inneschino modifiche nella vita quotidiana che danno luogo ad un processo di  adattamento alla nuova situazione. Essi da soli non possono differenziare in modo significativo le risposte di stress. Nella vita di una donna più facilmente l’evento si connette ad una modifica  (incremento) del carico di lavoro familiare.

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RISPOSTA/ASSUNZIONE RICHIESTA

La richiesta di assunzione di un nuovo carico di lavoro e responsabilità, implicita o esplicita, che deriva dall'evento, viene assunta ed inserita nel contesto delle proprie competenze e risorse e determina una risposta di fronteggiamento. Hanno un peso rilevante i modelli di ruolo che selezionano il tipo di risposta. Le richieste connesse al carico familiare e all’attività di cura  sono molteplici e tutte connotate dal posporre i propri interessi  (tempi, spazi, ecc.) a quelli altrui.

Queste richieste “di farsi carico di qualcos’altro”, supportate dalla relazione affettiva,  non definiscono chiaramente  i termini dello scambio tra colui che chiede e colei che deve rispondere; molte volte il richiedente non ha bisogno neanche di chiedere: giocano a suo favore i modelli di ruolo ed i modelli sociali di subordinazione uomo-donna. Altre volte le richieste sono pressanti ed entrano in gioco comportamenti violenti, minacciosi e ricattatori.

La richiesta, in qualsiasi forma avanzata, se assunta dalla donna ( ed in genere è favorita dai modelli la risposta di assunzione e fronteggiamento: to cope) porta ad un aumento di lavoro,  ma non sempre comporta una compensazione ovvero  un  rientro delle risorse spese  in termini di gratificazione economica o emotiva, aumento del valore personale con maggior stima da parte del contesto.

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MODIFICA DEL CARICO DI LAVORO (aumento)

Il carico di lavoro, globalmente inteso, viene modificato in relazione all'evento; nel confronto tra lavoro familiare e lavoro per il mercato, il lavoro familiare è quello che è soggetto a maggiori dilatazioni ed ampliamenti perché maggiore è il ventaglio di eventi che possono incidere su di esso: esso si candida a principale fattore di rischio.

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MODIFICA DELLE RISORSE (depauperamento)

a.        motivazioni , progetti ed aspettative personali

La motivazione della persona nell’assunzione del carico (o di attività in generale) è correlata al proprio progetto di vita ( fare la madre, lavorare fuori, ecc.) ed alle aspettative connesse con la realizzazione del progetto o con le singole attività comprese nel progetto. La richiesta di "cura di altri" può ridurre ed azzerare questi progetti, oppure può ridurre ed azzerare le aspettative connesse con quel progetto ( aspettative di essere gratificata, amata in un progetto matrimoniale; oppure aspettative di essere gratificata in un impegno di studio o lavoro, in un progetto di inserimento sociale; ecc.)

b.        interessi personali, rete relazionale

Le risorse personali, individuate come interessi, rete relazionale, possono già essere assenti o minime, o possono ridursi in relazione alla necessità di fronteggiare la nuova richiesta; al contrario, possono essere mantenute e costituire un fattore di protezione.

 

c.         Percezione di sè: Autostima ed eterostima

La stima di sé può decrescere o azzerarsi  se vi è un decremento della qualità della prestazione, o se la prestazione viene criticata ed invalidata nel corso della risposta. La stima di sé è un elemento importante per sostenere l’azione e la risposta: se essa è supportata dall’interno o dall’esterno la resistenza all’evento stressante sarà maggiore.

 L’autostima  è in relazione con  quanto gli altri “mi stimano” soprattutto quando, come nel lavoro familiare, le azioni e le attività intraprese e condotte avanti sono finalizzate al benessere altrui. L’"altro" come fine della mia azione diviene anche unico giudice della bontà della mia azione.

 

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NON PERCEZIONE DEL LIMITE

La percezione di sé e del limite delle  proprie risorse, la percezione del carico di lavoro e la misura  della sua gravosità - in termini di sottrazione di risorse essenziali per il mantenimento di uno stato di salute personale - sono fattori importanti per spiegare il passaggio dalla condizione di esaurimento e di  stress a

quella di malattia.

 Una giusta valutazione delle risorse personali e dei loro campi di applicazione abbinata ad una  rappresentazione adeguata dello sforzo fisico e della fatica, con una capacità di riconoscimento dei limiti  soggettivi ed oggettivi, costituiscono fattori di protezione per varie patologie (sia fisiche che psichiche). 

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ESITO SFAVOREVOLE (break-down)

Il percorso della risposta di fronteggiamento (assunzione del carico di cura in risposta a un evento della vita quotidiana) con fattori elevati di stress rappresentati da:

- il  peso del carico (sovraccarico),

- dalla qualità del carico ( spostamento dell’attività  nella direzione  della cura degli altri ed abbandono della cura di sé);

- riduzione/azzeramento  dei fattori di protezione (interessi personali e rete relazionale, rapporti fiducicari);

- caduta del progetto o delle aspettative personali, ( in relazione alla mancata compensazione dello sforzo impiegato nella risposta di fronteggiamento);

- riduzione della stima di sé (come effetto di una percezione di sé come persona incapace, o senza più interessi e motivazioni),

- inconsapevolezza del processo di esaurimento delle risorse personali e della gravosità del carico;

- esperienza di un malessere psico-fisico  caratterizzato da sintomi depressivi: astenia, demotivazione, mancanza di piacere e di stimoli, incapacità a reagire, debolezza, ecc.

 

 

 

 


 


 


[1] WHO, The World Health Report 1999: Making a difference, Geneva.

[2] Piccinelli, M. and Gomez Homen, F. (1997), Gender Differences in the Epidemiology of Affective Disorders and Schizophrenia, WHO, Geneva

[3] Arieti, S.; Bemporad, J. (1981), La depressione grave e lieve, Milano, Feltrinelli.

   Corbeil, C. et al. (1983), L’intervention féministe, Montréal

[4] Gro Harlem Brundtland, Global Perspectives on Mental Health, Director WHO, Tampere, Finland, 13 0ctober 1999.

[5] Heise L. et al. (1994), Violence against Women: The Hidden Health Burden,  The  International Bank for Reconstruction and Development/ The World Bank, Washington, D.C.

[6] Reale, E. et al. (1998): "Stress e vita quotidiana della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia", CNR, Roma.

 

[7] L'azzeramento della cura di sè comprende anche l'esperienza della dipendenza infelice (se io non mi occupo di me, un altro si deve occupare di me, ma non lo fa), ovvero l'aver cercato la cura di sè nell'altro o negli altri come contropartita della cura data e nel non averla trovata.