CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Responsabile: dr. Elvira Reale

 

 

 

Le differenze di genere nella valutazione della depressione:

prevalenza, fattori eziologici e di rischio.

 

 

1. Analisi di due  studi del World Health Organization

 

2. Resoconti di due Conferenze internazionali, in Inghilterra ed Italia.

 


  1.

M. Piccinelli and f. Gomez Homen (1997), Gender differences in the Epidemiology of affective Disorders and Schizophrenia, Naion for Mental Helath, WHO, Geneva.

 

La ricerca epidemiologica nel campo della psichiatria ha mostrato come il genere sia una fondamentale variabile  che influenza la distribuzione e le caratteristiche dei disturbi mentali. Quindi, l’incorporare la prospettiva di genere nella ricerca psichiatrica può avere importanti implicazioni per la pratica clinica, per la politica della salute.

Nel campo della clinica poiché il genere viene  considerato una “variabile socio-demografica immutabile” che non può essere influenzata dalla malattia, sarebbe utile identificare i fattori specifici di genere che possono influenzare e predire i comportamenti sintomatici, la co-morbidità, il corso della malattia risultati e risposte al trattamento.

 

Dal punto di vista dei servizi pubblici, le differenze di genere comparate ai disturbi e alle loro caratteristiche possono essere di aiuto nel capire i bisogni di salute , le aspettative di trattamento della popolazione, nella preparazione di tecniche  di monitoraggio  della salute della popolazione,   nel programmare trattamenti e servizi pubblici, nell’allocare le risorse esistenti e nel cercare muove risorse.

Poiché il genere è un complesso di variabili psicosociali e biologiche molto può essere conosciuto sui fattori specifici eziologici e di rischio  che sottostanno  alle  associazioni, interazioni e processi  attraverso i quali  la vulnerabilità progredisce e diventa disturbo clinico.

 

            Il metodo usato è quello della consultazione del “data base Medline”, attraverso la ricerca di pubblicazioni comprese nel periodo che va dal 1985 al maggio 1996 usando le parole chiave: “affective disorder, depressive disorder, depression, mania, dysthymia” ed inoltre attraverso la consultazione  di riviste specializzate, nonché la consultazione delle referenze bibliografiche inserite  nelle pubblicazioni esaminate; infine sette esperti hanno rivisto e selezionati le pubblicazioni più significative ed importanti.

            Nella diagnosi e classificazione dei disturbi affettivi si è tenuto conto di molti criteri e metodi: infatti il termine depressione può essere riferito a un sintomo, uno stato, un tratto, un’alterazione dell’umore e a più correlati comportamentali, biologici o cognitivi.

            La ricerca in questo campo deve affrontare specifiche difficoltà metodologiche perché non è facile individuare campioni omogenei.

            Sebbene siano state investigate e descritte molte forme di disturbo affettivo, l’evidenza epidemiologica appartiene soprattutto a depressione maggiore e disturbo bipolare.

            Per comodità, Le altre forme che includono distimia, depressione intermittente e breve ricorrente, sono raggruppate in questo lavoro sotto l’unica denominazione di : “depressione persistente e ricorrente”.

            Poiché inoltre le differenze di genere nella infanzia e nella vecchiaia sono scarsamente rilevanti l’età presa in considerazione è quella che va dall’ adolescenza alla maturità (range 14- 45 anni)

 

1.                Studi di prevalenza della Depressione

 

 Presentiamo di seguito sei tabelle che raccolgono gli studi selezionati dal gruppo di lavoro  indicati come significativi per mostrare le differenze di genere negli studi sulla prevalenza della depressione tra la popolazione.

 

TABLE I - Current prevalence rates of major depression from general population studies

 

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male

Sex Ratio

 

Weissman & Myers(1978)*

 USA, 1975-76

 

511

 

26 and over

 

3.2

 

5.2

 

4.3

 

1.6:1

 

Regier et al. (1993)**

USA, 1980-83

 

18,571

 

 

18 and over

 

1.6

 

2.9

 

2.2

 

 

1.8:1

 

 

Blazer et al. (1994)** USA, 1990-92

 

8,098

 

 

15-54

 

3.8

 

5.9

 

 

4.9

 

 

1.6:1

 

 

Faravelli el al. (1990)*

ltaiy, 1984

 

1,000

 

15 and over

 

1.3

 

4.1

 

 

2.8

 

 

3.2:1

 

 

Hollifield ot al. (1990)** Leshoto,1986-1987

 

356

 

 

19-93

 

8.8

 

 

14.5

 

12.4

 

1.6:1

 

Stefansson et al. (1994)**

lceland, 1987-88

 

862

 

 

55-57

 

0.9a

 

2.9a

 

1.9a

 

3.2:1

0.5b

0.5b

0.5b

1.0:1

 

 

 

 

0.7c

 

1.7c

 

1.2c

 

2.4:1

 

 

 

*   Major depression present at interview

** 1-month prevalence rates for major depression

a  Major depressive episode  (total)

b  Major depression, single episode

c  Major depression, recurrent

            La tabella I mostra  i tassi di prevalenza della depressione nella popolazione generale, individuando la presenza della patologia allatto della indagine o riferita nel mese precedente all’intervista.

            Tutti i tassi di prevalenza sono superiori nella popolazione femminile per ogni tipo di disturbo depressivo indagato.

 

TABLE IIOne-month prevalence rates of depressive disorders according to PSE-ID-CATEGO and ICD-8

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male

Sex Ratio

 

Orley & Wing (1979)

Uganda, 1972

 

206

 

 

18-65

 

14.3a

 

22.6a

 

_

 

1.6:1

 

Henderson et al. (1979)

Australia, 1977

 

756

 

 

18 and over

 

2.6b

 

6.7b

 

_

 

 

2.6:1

 

 

Bebbington et al. (1981)

U.K., n.r.

 

310

 

 

18-64

 

4.8b

 

9.0b

 

 

7.0b

 

 

1.9:1

 

 

Mavreas et al. (1986)

Greece, n.r.

 

489

 

18-74

 

4.3b

 

10.1b

 

 

7.4b

 

 

2.1:1

 

 

Mavreas & Bebbington (1987)

U.K., n.r.

 

219

 

 

18-64

 

4.1b

 

 

7.0b

 

5.5b

 

1,7:1

 

Lethinen et al., (1990)

Finland, 1985-87

 

747

 

 

30-80

 

2.4b

 

6.5b

 

4.6b

 

2.7:1

 

 

*   Study conducted among Greek Cypriot immigrants in London

a   Depressive disorders not otherwise specified

b    Including ICD-8 categories 296.2 (mani-depressive psychosis, 

 depressed type) and 300.4 (depressive neurosis)

            n.r. = not reported

 

            La tabella II mostra i risultati degli studi che hanno investigato i tassi di depressione nella popolazione generale suddivisa per sesso, utilizzando il P.S.E. ( Present State Examination) che consiste in una intervista psichiatrica semistrutturata per individuare e misurare i sintomi psichchiatrici presenti nella popolazione nel mese precedente alla valutazione.

            Questo studio è separato dagli altri perché il PSE costituisce un criterio di individuazione di sintomi diverso e non sovrapponibile ai criteri diagnostici (DSM) abitualmente usati in questi studi.


 

TABLE IIISix-month prevalence rates of major depression from general population studies

 

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male

Sex Ratio

Canino et al., (1987)

Puerto Rico, 1984

 

1,513

18-64

2.4

3.3

3.0

1.3:1

Blend et al., (1988a)

3,258

18 and over

2.5

3.9

3.2

1.6:1

Oakley-Browne et al., (1989)

New Zeland, 1986

 

1,498

18-64

3.4

7.1

5.3

2.1:1

Lepine et al., (1989)

France,  n.r.

 

749

18 and over

1.5

3.6

_

2.4:1

Elliott et al., (1985)

SA,  1983

1,496

18-24

3.1*

8-0*

5.5*

2.6:1

Stefansson et al., (1994)

Iceland,  1987-88

 

862

55-57

1.1 a

3.6 a

2.3 a

3.3:1

0.9 b

0.7 b

0.8 b

0.8:1

0.7 c

1.7 c

1.2 c

2.4:1

Levev et al., (1993)

Israel, 1987-88

2,741

24-33

3.8 d

4.5 d

4.2 d

1.2:1

2.6 e

3.4 e

3.0 e

1.3:1

             

 

*  data derived from Weissmann et al. (1988)

a  Major depressive episode  (total)

b  Major depression, single episode

c  Major depression, recurrent

d  Either probable or definite level of diagnostic accuracy

e  Only definite level of diagnostic accuracy

 

n.r. = not reported

 

La tabella III  mostra , i tassi di prevalenza dei disturbi depressivi  in indagini  sullo stato di salute della popolazione generale,  riferito ai sei mesi precedenti alla valutazione.

            Tutti i dati dimostrano la prevalenza di depressione nei campioni femminili.

 

 

TABLE IVTwelve-month prevalence rates of major depression from general population studies

 

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male

Sex Ratio

 

Uhelnhuth et al., (1983)

USA, 1979

 

3,161

 

18-79

 

2.8

 

6.9

 

5.1

 

2.5:1

 

Robins & Regier (1981)

USA, 1980-83

 

18,571

 

18 and over

 

1.4

 

4.0

 

2.7

 

2.9:1

 

Faravelli et al.,  (1990)

Italy,  1984

 

1,000

 

15 and over

 

3.5

 

8.8

 

6.3

 

2.5:1

 

Ernst & Angst (1992)

Switzerland,  1979

 

591

 

20-21

 

4.8

 

10.8

 

_

 

2.3:1

 

Stefansson et al.,  (1994)

Iceland,  1987-88

 

862

 

55-57

1.8 a

4.0 a

2.9 a

2.2:1

0.9 b

1.0 b

0.9 b

1.1:1

0.9 c

1.9 c

1.4 c

2.1:1

 

Lepine et al.,  (1993)

France,  n.r.

 

1,746

 

18 and over

 

3.4

 

6.0

 

_

 

1.8:1

Kassler et al.,  (1994)

USA,  1990-92

 

8,098

 

15-54

 

7.7

 

12.9

 

10.3

 

1.7:1

 

a  Major depressive episode  (total)

b  Major depression, single episode

c  Major depression, recurrent

            n.r. = not reported

 

            La tabella IV  mostra , i tassi di prevalenza dei disturbi depressivi  in indagini  sullo stato di salute della popolazione generale,  riferito ai dodici mesi precedenti alla valutazione.

            I tassi di prevalenza a 12 mesi includono negli studi quei soggetti che corrispondevano ai criteri della diagnosi di “depressione maggiore” , e che quindi erano incorsi in un evento depressivo nell’arco dei 12 mesi precedenti alla valutazione oggetto dello studio.

            Tra tutti i soggetti che presentavano le caratteristiche indicate nello studio la prevalenza era delle femmine.

 


TABLE V  Lifetime prevalence rates of major depression from general population studies

 

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male Sex Ratio

Canino et al., (1987)

Puerto Rico,  (1984)

 

1,513

 

18-64

 

3.5

 

5.5

 

4.6

 

1.6:1

Bland et al.,  (1988b)

Canada,  1983-86

 

3,258

 

18 and over

 

5.9

 

11.4

 

8.6

 

1.9:1

Wells et al.,  (1989)

New Zeland,  1986

 

1,498

 

18-64

 

8.8

 

16.3

 

12.6

 

2.1:1

Robins & Regier  (1991)

USA,  1980-83

 

18,571

 

18 and over

 

2.6

 

7.0

 

4.9

 

2.6:1

Lepine et al.,  (1993)

France,  n.r.

 

749

 

18 and over

 

8.5

 

21.9

 

_

 

2.1:1

 

Stefansson et al.,  (1991)

Iceland,  1987-88

862

55-57

2.9 a

7.8 a

5.3 a

2.7:1

1.4 b

2.4 b

1.9 b

1.7:1

1.4 c

4.6 c

2.9 c

3.3:1

 

Hwu et al.,  (1989)

Taiwan,  1982-85

 

11,004

 

18 and over

7.3 d

10.2 d

8.8 d

1.4:1

9.6 e

24.7 e

16.8 e

2.6:1

6.1 f

14.1 f

9.7 f

2.3:1

 

Lee et al.,  (1992 a,b)

Korea,  n.r.

 

3,134

 

18-65

 

2.4 g

 

4.1. g

 

3.3 g

 

1.7:1

1,966

2.9 h

4.1 h

3.5 h

1.4:1

Witchen et al.,  (1982)

Germany,  1981

 

483

 

25-64

 

4.0

 

13.6

 

9.0

3.4:1

Chen et al.,  (1993)

Honk Kong,  1984-86

 

7,229

 

18-64

1.3 d

2.4 d

_

1.9:1

0.7 e

1.3 e

_

1.9:1

0.6 f

1.1 f

_

1.9.1

Weissman & Myers  (1978)

USA, 1975-76

 

511

 

26 and over

 

12.3

 

25.8

 

20.0

 

2.1.1

Kassler et al.,  (1994)

USA,  1990-92

 

8,098

 

15-54

 

12.7

 

21.3

 

17.1

 

1.6.1

 

a Major depressive episode  (total)                                           b  Major depression, single  episode

c  Major depression, recurrent                                             d Metropolitan Taipei

e Small town                                                                            f Rural villages

g Urban area                                                                            h Rural area    

                                                n.r. = not reported

 

            Nella tabella IV, tutti i dati riferiscono  tassi di prevalenza maggiore nelle donne rispetto ai vari disturbi depressivi presi in considerazione dallo studio nell’arco dell’intera vita (lifetime).

 

TABLE VILifetime prevalence rates of dystymia from general population studies

 

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male

Sex Ratio

 

Canino et al., (1987)

Puerto Rico, 1984

 

1,513

 

18-64

 

1.6

 

7.6

 

4.7

4.8:1

 

Bland et al., (1988b)

Canada,  1983-86

 

3,258

 

18 and over

 

2.2

 

5.2

 

3.7

 

2.4:1

Wells et al.,  (1989)

New Zeland,  1986

 

 

1,498

 

18-64

 

3.8

 

9.0

 

6.4

 

2.4:1

 

Lee et al., (1990a,b)

Korea,  n.r.

 

 

3,134

 

18-65

 

1,8 a

 

3.0 a

 

2.4 a

 

1.7:1

1,966

1.3 b

2.5 b

1.9 b

    1.9:1

Robins & Regier (1991)

USA,  1980-83

 

18,571

 

18 and over

 

2.2

 

4.1

 

3.2

 

1.9:1

Chen et al.,  (1993)

Honk Kong,  1984-86

 

7,229

 

1.1

 

2.8

 

_

 

2.6:1

 

 

Hwu et al., (1989)

Taiwna,  1982-85

 

11,004

 

18 and over

   6.9 c

11.4 c

9.2 c

1.7:1

14.1d

16.2 d

15.1 d

1.2:1

5.5 e

14.1 e

9.4 e

2.6:1

 

Stefansson et al.  (1991)

Iceland,  1987-88

 

862

 

55-57

 

2.3

 

10.7

 

6.4

 

4.7:1

Wittchen et al.,  (1992)

Germany,  1981

 

483

 

25-64

 

2.5

 

5.4

 

4.0

 

2.2:1

 

Kessler et al.,  (1994)

USA,  1990-92

 

8,098

 

15-54

 

4.8

 

8.0

 

 

 

6.4

 

1.7:1

 

a   urban area                               b  Rural area

c  Metropolitan Taipei              d  Small towns

e  Rural villages                                                            n.r. = not reported

 

            Tutti i dati riferiscono  tassi di prevalenza maggiore nelle donne per  la “distimia”, come condizione patologica  presa in considerazione nell’arco dell’intera vita (lifetime).

 

 

TABLE VII Lifetime prevalence rates of  bipolar disorder from general population studies

 

 

Author

Country, time

 

Sample

(N)

 

Age  range

(years)

 

Rates (%)

Males   Females   Total

 

Female-to Male

Sex Ratio

 

Canino et al., (1987)

Puerto Rico, 1984

 

1,513

 

18-64

 

0.7

 

0.4

 

0.5

 

0.6:1

 

Bland et al., (1988b)

Canada,  1983-86

 

3,258

 

18 and over

 

0.7

 

0.4

 

0.6

 

0.6:1

Wells et al.,  (1989)

New Zeland,  1986

 

 

1,498

 

18-64

 

0.5

 

0.9

 

0.7

 

1.8:1

 

Lee et al., (1990a,b)

Korea,  n.r.

 

 

3,134

 

18-65

 

0.6 a

 

0.3 a

 

0.4 a

 

0.5:1

1,966

0.8 b

0.1 b

0.4 b

    0.1:1

Robins & Regier (1991)

USA,  1980-83

 

18,571

 

18 and over

 

0.7

 

0.9

 

0.8

 

1.3:1

Chen et al.,  (1993)

Honk Kong,  1984-86

 

7,229

 

18-64

 

0.2

 

0.2

 

0.2

 

1.0:1

 

Hwu et al., (1989)

Taiwna,  1982-85

 

11,004

 

18 and over

   1.6 c

1.6 c

1.6 c

1.0:1

1.2d

0.0 d

0.7 d

--

1.2 e

0.7 e

1.0 e

0.6:1

 

Stefansson et al.  (1991)

Iceland,  1987-88

 

862

 

55-57

 

0.2

 

0.2

 

0.2

 

1.0:1

Wittchen et al.,  (1992)

Germany,  1981

 

483

 

25-64

 

0.0

 

0.5

 

0.2

 

--

Levav et al. (1993)

Israel, 1982-88

2,741

34-33

0.5*

0.8*

0.7*

1.6:1

0.2**

0.7**

0.5**

3.5:1

 

Kessler et al.,  (1994)

USA,  1990-92

 

8,098

 

15-54

 

1.6

 

1.7

 

1.6

 

1.1:1

 

a   urban area                               b  Rural area

c  Metropolitan Taipei              d  Small towns

e  Rural villages                                                            n.r. = not reported

 

Nei disordini bipolari le differenze di genere sono più sfumate e non sempre si evidenzia la prevalenza del  disturbo nella popolazione femminile

 

 

2.            Incidenza Depressione maggiore

 

Nonostante il tasso di incidenza vada considerato con prudenza per l’esiguità di campioni, si può affermare che le donne hanno una più elevata e significativa  incidenza di Depressione maggiore in tutte le fasce di età: Lo studio dell’incidenza della depressione tratto dai dati raccolti da Eaton  e altri (1989) in quattro luoghi ( Baltimora, Durham, St Luois, e Los Angeles) inseriti nell’area di studio “NIMH- Epidemiologic Catchment Area Study” mostra una  incidenza annuale maschile pari all’1.10%; e femminile pari all’1.98% .

            In questo studio si mostra come il rapporto tra età ed insorgenza della depressione sia significativo per le femmine e non per i maschi. I maschi infatti mostrano una curva di incidenza che decresce in modo costante dall’età giovanile alle età successive; per le donne invece  vi è un aumento di incidenza con un picco  all’età media (35-40 anni) e poi un costante decremento.

 

Usando il registro di Camberwell ( The Camberwell Psychiatric Case Register) degli anni 1970-1987 , altri autori ( Der e Bebbington, 1987)  hanno visto che , senza valutare la gravità, l’incidenza dei disturbi affettivi era maggiore nelle donne.

Inoltre, sempre in questo studio la differenza maggiore rispetto ai rispettivi tassi  si aveva poi soprattutto nella depressione moderata rispetto a quella severa e a quella non altrimenti specificata:

-    depressione moderata = 0.85% maschi VS 1.69% femmine

-  severa = 0.29% maschi VS 0.52% femmine

-  non  altrimenti specificata = 0.30% maschi VS 0.49% femmine.

 

 

3.            Differenze di genere nella maggiore morbilità femminile rispetto alla depressione.

 

            La differenza di genere è dovuta al fatto che la depressione nella donna cresce molto dall’adolescenza all’età adulta e poi declina in età avanzata.

Mentre nei maschi i tassi mostrano una piccola crescita all’inizio dell’età adulta con un andamento successivo stabile lungo tutto il corso  della vita ( Jorm 1987).

            Le differenze inoltre sono evidenziate in tutti i gruppi etnici e culturali.

 

Analizzeremo i diversi fattori  presi in esame nello studio per spiegare le differenze di genere

 

3.1   Fattori genetici

 

            Benchè vi sia una forzata evidenza per una influenza genetica che opera nella trasmissione dei disordini mentali, si conosce ben poco delle modalità di trasmissione di questi.

 

3.2            Fattori ormonali

            A            Pubertà

            Le differenze correlate al genere compaiono intorno ai 12-14 anni quando il rischio per le ragazze aumenta in modo più evidente  rispetto ai maschi.

            Poiché il cambiamento nel rischio di depressione avviene in coincidenza della pubertà si è assunto che i cambiamenti fisiologici della pubertà abbiano una influenza sulla patologia depressiva.

            Un modello interpretativo proposto  è che l’aumento di vulnerabilità alla depressione nelle ragazze dipenda da un complesso interrelato di fattori biologici e di ruolo sociale.

            Uno studio di Nolen_Hoeksema e Girgus (1994) include nei fattori  di rischio per le ragazze le caratteristiche di personalità ( dipendenza dagli altri per: la stima di sé,  la capacità di affermazione personale, la fiducia in se stesse) le sfide biologiche (alterazioni  ormonali, insoddisfazione corporea e le sue interazioni con gli eventi di vita negativi) e sfide sociali della prima adolescenza ( abusi sessuali, aspettative familiari e del gruppo dei pari, attitudini).

            Le differenze di genere nella personalità e negli stili comportamentali prima della prima adolescenza  costituiscono  fattori di rischio per le ragazze e interagiscono con l’aumento delle sfide e dei cambiamenti nelle condizioni di vita (trasformazioni per divenire adolescenti prima e poi donne adulte)  rendendole più incline alla depressione rispetto alla loro controparte maschile.

 

B             Ciclo mestruale

Il meccanismo  con cui  il cambiamento negli ormoni riproduttivi durante il ciclo mestruale possa influenzare in modo grave i cambiamenti di umore non é dimostrato.

In particolare  sebbene le donne abbiano più probabilità degli uomini di incorrere nell’arco della propria vita in un evento depressivo, tra quelle che hanno sperimentato un episodio di depressione maggiore  non compare un maggiore rischio - rispetto all’uomo  - di ricadute o ricomparse dell’evento; e ciò pertanto  contraddice una ipotesi di  correlazione tra depressione e ciclo ormonale.

 

C             Post partum

                        Il contributo di questo periodo all’insorgenza della depressione è limitato: secondo Kaplan e Sadock  ( 1991) il disturbo depressivo compare in 1 o 2 casi per 1000 donne che hanno partorito.

            Per questi due autori , sebbene l’improvvisa caduta del livello di estrogeni e progesterone immediatamente dopo il parto può contribuire all’abbassamento del tono dell’umore, il trattamento con questi ormoni non ha successo.

Per una altro autore, Pedersen (1993) vi è  una piccola evidenza di una causa diretta tra disforia e cambiamenti della adrenalina e tiroidei in gravidanza e nel puerperio.

 

D            Menopausa

Le differenze di genere tendono a diminuire in età più avanzata: queste evidenze suggeriscono che la menopausa non è associata con un incremento del rischio di depressione.

 

3.3            Modelli sociali

 

Il ruolo dei fattori sociali nell’insorgenza di episodi depressivi è ben conosciuto.

            Un modello esaustivo è rappresentato dai risultati di uno studio su un campione random di donne di un sobborgo di Londra ( Camberwell) e delle Outer  Ebridi, condotto da Brown e Prudo (1981). Il modello proposto individua tre tipi di fattori nell’insorgenza della depressione:

-                agenti provocanti costituiti da importanti eventi di vita , responsabili dello sviluppo di più casi di depressione;

-                fattori di vulnerabilità costituiti da tipologie ricorrenti di accadimenti della vita quotidiana: mancanza di confidenza con il partner, mancanza di supporto sociale, presenza di due o tre figli  con età inferiore a 14 anni, morte della madre prima dei 10 anni;

-                fattori che influenzano la formazione dei sintomi e che non aumentano il rischio di depressione ma solo la sua fenomenologia (durata, comorbidità con sintomi ansiosi, fobici,, ecc.)

 

Il ruolo degli eventi di vita è stato studiato da Paykel (1994); gli eventi sono stati raggruppati in un’unica serie di eventi indesiderabili e  minacciosi, comprendenti anche gli eventi di perdita considerati più specificamente associati con la depressione. Il risultato di questo studio è che un numero significativamente maggiore di eventi è associato con l’insorgenza della depressione. Inoltre in Paykel è stata studiata la mancanza di supporto sociale come fattore di rischio per la depressione.

            In questi studi vi è evidenza che le donne  sperimentano un numero maggiore di eventi indesiderati e minacciosi rispetto agli uomini (Kessler e McLeod, 1984; Bebbington et al., 1988) o danno un maggiore significato distruttivo all’evento  dopo averlo sperimentato ( Wilhelm e Parker, 1993) e questo in parte può spiegare l’aumento di vulnerabilità alla depressione.

Vi è evidenza  che il contesto familiare e culturale, con la specifica struttura dei ruoli sociali e le aspettative correlate può influenzare il numero di life events ed il rischio di depressione associato. Analisi di confronto  tra  campioni  di donne a Londra e nelle Ebridi mostra che i life-events   avvenivano molto meno frequentemente nei contesti rurali. Analisi presso ciascuna popolazione rivelò che  a Londra  le donne della working-class sviluppavano più facilmente depressione paragonate alle donne della middle-class perché sperimentavano maggiormente fattori provocanti e di vulnerabilità.

Presso la popolazione Ebrida, le donne meno connesse a ruoli tradizionali erano più a rischio di depressione  forse per i sentimenti di minor auto-stima legati a comportamenti meno convalidati dalla Comunità. ( Brown e Prudo, 1981).

            Pochi studi tentano di determinare l’aumento di rischio per lo sviluppo della depressione  associato con eventi stressanti. Il rischio nei sei mesi seguenti  l’evento è approssimativamente sei volte maggiore e decade rapidamente con il tempo dopo l’evento. (Paykel, 1978). Comunque, Cooke (1987) ha valutato  la proporzione di disturbi depressivi causati da eventi di vita  e fornisce un valore oscillante tra il 29% ed il 69%, con una media intorno al 40%. Queste scoperte suggeriscono che i life-events giocano un ruolo importante nella insorgenza della depressione insieme con altri fattori.

 

3.4            Modelli di sviluppo

 

In accordo con  la teoria psicoanalitica classica, le donne sono più inclini alla depressione dei maschi perché la struttura di personalità risulta dallo sviluppo psico-sessuale femminile e dalle principali relazioni d’amore narcisistiche, dal masochismo, dalla bassa autostima, dalla dipendenza e dalla inibizione della ostilità.

 

Ruble et altri ( 1993) hanno suggerito che agenti di socializzazione e stereotipi di genere possono influenzare la costruzione dell’identità. In generale i genitori  tendono a favorire comportamenti dipendenti e attitudini alla cura nelle ragazze e indipendenza e comportamenti attivi nei maschi. Questo atteggiamento conforme agli stereotipi culturali enfatizza la competenza e la fiducia nei maschi in opposizione alla passività, bisogno di sostegno e dipendenza nelle femmine. L’effetto degli agenti di socializzazione e degli stereotipi di genere insieme contribuiscono a che le ragazze  mostrino livelli maggiore di preoccupazione nella valutazione di sé. Queste preoccupazioni possono avere la funzioni di precursori o fattori di rischio per lo sviluppo futuro di una depressione. Infatti le preoccupazioni più elevate nelle ragazze di piacere agli altri fanno in modo da rendere più probabili le esperienze di fallimento nel corrispondere agli standards di comportamento e producono un più basso senso di padronanza e di controllo.

 

D’altro lato non compaiono differenze di personalità tra maschi e femmine nell’età adulta in una ricerca che ha riguardato pazienti ricoverati e che ha investigato i tratti di personalità con una scala di misurazione della “dipendenza interpersonale” e della “incapacità appresa”. Per maschi e femmine, i valori più alti nella dipendenza si sono mostrati nel gruppo dei pazienti rispetto al   gruppo di controllo. Nella incapacità appresa i valori più alti erano del gruppo delle pazienti femmine rispetto al gruppo di controllo, mentre non vi erano valori significativi nei maschi.  Le differenze tra  gruppo di pazienti e gruppo controllo erano simili per maschi e femmine, in contrasto con l’ipotesi che gli attributi della personalità femminile si accordino maggiormente  con una immagine di depressione.

      Nolen-Hoeksema (1987) ha suggerito che questo e solo un debole supporto per le differenze di genere nelle caratteristiche di personalità di assertività o passività, ma  che esse possono essere due modi diversi di rispondere alla depressione. Gli uomini tendono a reagire all’abbassamento del tono dell’umore, in modo attivovo e distraendosi dai motivi di depressione, le donne  sono meno attive e hanno un atteggiamento di “ruminazione” circa le cause e gli effetti della loro depressione. Ciò può anche amplificare e far durare più a lungo la loro depressione.

 

 

3.5            Modelli di ruolo sessuale

 

L’impatto dei ruoli sociali e delle aspettative può essere responsabile delle differenze di genere nei tassi di depressione. Specifica attenzione  è stata  data all’effetto del matrimonio sui tassi di depressione. L’essere sposati sembra avere un effetto protettivo per i maschi e un effetto dannoso per le donne, poiché in generale i più alti tassi di depressione delle donne sono spiegabili con i trassi più alti di depressione delle donne sposate (Weissman e Klerman,1977). Una evidenza indiretta è stata anche fornita dall’effetto dell’interruzione del matrimonio sulla depressione in maschi e femmine. Usando dati longitudinali  dal bacino di osservazione epidemiologica di New Haven (Epidemiologic Catchment Area Study), Livingston Bruce et altri (1992) hanno trovato che l’interruzione del matrimonio era associata con una più alta prevalenza di tassi di depressione sia nei maschi che nelle femmine, ma per i maschi il rischio più elevato riguardava  l’insorgenza per la prima volta di un disturbo depressivo.

            Ricerche sulla analogia coniugale nella insorgenza di disturbi psichici ha messo in rilievo che le donne hanno un maggior rischio degli uomini ad incorrere in un disturbo depressivo quando sono sposate con un partner malato.

            Un ulteriore aspetto è stato preso in considerazione: la cura dei figli. Brown (1975) ha preso in considerazione la relazione tra stress psico-sociale e conseguenti disturbi affettivi e ha trovato che le donne sposate della classe lavoratrice con tre o più figli sotto i 14 anni  avevano tassi più elevati di depressione.

            Altri autori (Gater et al., Manchester, England1989) hanno esaminato l’influenza di genere sull’incidenza delle psicosi affettive , e hanno trovato che le donne sposate con figli sono più a rischi degli uomini sposati mentre quelle senza figli hanno un rischio più basso.

Questi studi suggeriscono che la maggiore vulnerabilità delle donne sposate alla depressione possa essere associata al lavoro familiare come fonte di stress. Infatti, le donne sposate che non lavorano poggiano solo sull’identità di moglie e madre per l’autostima e che questo ruolo porta con sé molti elementi frustranti come routine, isolamento nessun guadagno economico ed inoltre è svalutato nella società moderna.

            D’altro lato, donne che entrano nel mercato del lavoro, fronteggiano discriminazioni ed iniquità, con relativi bassi livelli di controllo sul lavoro, bassa complessità, scarsa sicurezza, e  basso salario.

            Inoltre , poiché le donne  sentono come responsabilità primaria la cura dei figli e della casa, le donne lavoratrici  sperimentano  un sovraccarico di ruolo ed un conflitto di ruolo. Queste differenze di genere  nel tipo e nella struttura di occupazioni e ruoli creano aspettative che influenzano lo stato di salute mentale( Lennon 1995).

            Infatti, Meddin (1986) usando dati da una ricerca nazionale sulla qualità della vita negli Stai Uniti, ha fatto una comparazione tra  intervistati maschi e femmine sposati che rispondevano ai criteri della tradizionale divisione del lavoro, in cui il maschio lavora e la donna no,  e tra intervistati sposati che corrispondevano ai criteri della divisione del lavoro non tradizionale” nel quale ambedue i coniugi lavorano. Le donne hanno riportato più depressione dei maschi nelle due situazioni di lavoro esterno o di non lavoro.

            Comunque  le differenze di genere, nei punteggi medi di depressione, furono più piccoli per la situazione non tradizionale rispetto a quella tradizionale: questa riduzione di punteggio era dovuta insieme ad un aumento di punteggio dei maschi insieme che ad una diminuzione  dei punteggi delle donne. L’analisi , che includeva una serie rilevante di variabili ha mostrato che il genere femminile  era un significativo predittore di depressione solo nella condizione tradizionale, mentre la soddisfazione per il lavoro esterno o quello di casa, la salute e la famiglia avevano effetti significativi per entrambe le condizioni.

Le donne in definitiva sperimentano più depressioni dei maschi sia che lavorano sia che non lavorano

 

3.6            Conclusioni

 

            Le principali differenze di genere nei disordini affettivi possono essere riassunte come segue:

-         nonostante i tassi di prevalenza per la depressione maggiore e la distimia variano a seconda dei paesi,  una scoperta rilevante è che  i tassi sono più alti nelle donne che negli uomini, di circa, in media,  due volte. Le stesse scoperte vengono riportate per quanto riguarda la depressione intermittente e  quella breve ricorrente, benchè questi disordini siano stati studiati in campioni della  popolazione generale  in misura minore.  Le differenze di genere nei tassi di prevalenza per il disordine bipolare variano tra i diversi studi fatti e non sono riportabili ad alcun modello.

-         Pochi studi,  relativamente recenti,  offrono dati sull’incidenza della depressione, ma tutti mostrano in maniera convincente che i tassi sono più alti nelle donne che negli uomini. Non sono riportate rilevanti differenze di genere per i tassi sul disturbo bipolare.

 

            Le principali ipotesi eziologiche

            Sono state suggerite molte ipotesi sulla preponderanza delle donne rispetto ai tassi di depressione: fattori genetici, ormoni riproduttivi, monoamine e altri sistemi di neurotrasmittori, sistemi di regolazione endocrina, modelli di sviluppo, fattori ambientali (es. eventi di vita e supporto sociale), conflitti di ruolo sessuale e scoperte nella neuropsicologia.

-         I Fattori genetici: si conosce ben poco delle modalità di trasmissione di questi.

-         Fattori ormonali (ciclo mestruale, post-partum e menopausa): non vi sono evidenze sul collegamento tra questi fattori ed il maggior rischio di depressione.

-         Fattori sociali e di ruolo : vi sono evidenze nel ruolo giocato nell’insorgenza degli episodi depressivi. Le donne subiscono più eventi negativi e questi sono collegati con il loro ruolo e status sociale che le espone maggiormente ad eventi negativi (minore occupazione, maggiore povertà, maggiore violenza subita, ecc.).

-         Fattori specifici oggetto della ricerca come il matrimonio, la presenza di figli piccoli, la presenza di un lavoro esterno, che mostrano diversi e a volte contraddittori risultati, possono avere un significato solo se indagati in  modo interconnesso all’interno dell’analisi del lavoro (familiare ed extrafamiliare insieme) e delle condizioni di lavoro ( soddisfazione, gratificazione, riconoscimenti, autonomia,  competenze, ecc.).

-         Infine i fattori di personalità  hanno una loro capacità di spiegare in modo appropriato la prevalenza della depressione tra le donne  solo se considerati alla maniera  di Ruble  cioè  come derivati e prodotti storico-culturali.  Le tendenze nelle donne ad assumere stili comportamentali improntati a dipendenza e passività non sarebbero quindi strutture di personalità biologicamente determinate,  ma comportamenti appresi attraverso agenti di socializzazione e stereotipi di genere  che possono influenzare la costruzione dell’identità ed indirizzare le donne verso stili di risposta depressivi.

-         Sono stati infine poco analizzati i fattori di rischio collegati allo stress, utilizzati invece per le ricerche sulle malattie considerate a maggiore prevalenza maschile come quelle cardiovascolari.

 

 

 


2.

Michelle Gomel (1997), Focus on Women, WHO, Division of Mental Health,

 

            In questo studio si  esamina  la prevalenza di donne nei disturbi depressivi, ansiosi e nello stress psicologico. Nello studio inoltre si fa riferimento al fatto che  le donne ricevono più facilmente una diagnosi di disturbo compulsivo-ossessivo, di disturbo psico-somatico e di disturbo da panico.

            In contrasto gli uomini ricevono più facilmente una diagnosi di personalità anti-sociale e di abuso di alcool e sostanze. Ma è soprattutto nella depressione che la differenza di genere è più elevata. Il 30% dei disturbi neuropsichiatrici riguarda le donne contro il 12,6% degli uomini.

            Associata alla depressione viene rilevata l’alta frequenza della violenza domestica che colpisce le donne. Tre studi di popolazione riportati rivelano che in America le donne con una storia di abuso hanno tassi più elevati di disturbi psichici.

            In particolare gli effetti riscontrati nella violenza sono: depressione, ansia, stress post-traumatico, insonnia e abuso di alcool.

            La violenza sessuale, lo stupro (compreso lo stupro politico e di guerra) e la prostituzione forzata sono correlati a gravi problemi mentali tra cui: la depressione maggiore, il suicidio, l’ansia, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo-compulsivo, l’abuso di alcool.

 

La tabella seguente illustra la percentuale di eventi morbosi attribuita alla violenza domestica e sessuale estrapolati dai dati generali sulla morbilità e precoce mortalità femminile. In particolare  il 50% dei casi di depressione, il 30% dei casi di suicidio,   ed il 60% dei casi di Post-traumatic stress disorder vengono stimati come attribuibili alla violenza da uno studio condotto dalla World Bank.[1]

 

Disability-adjusted life years to women age 15 to 44

 due to conditions attributable to domestic violence and rape.

 

Relevant conditions

 

Total DALYs lost to women age 15 to 44 (millions)

 

Share attributable to domestic violence and rape

Depression

10.7

50 percent

Alcohol dependence

0.9

10 percent

Drug dependence

1.1

10 percent

Post Traumatic stress disorder

2.1

60 percent

Suicide

5.5

30 percent

 

 Infine lo studio del WHO  suggerisce una serie di misure da adottare per andare incontro ai bisogni delle donne e per sviluppare una adeguata prevenzione:

1.                  Sviluppare iniziative nel campo politico- legislativo per il superamento delle diseguaglianze di genere nella salute.

2.                  Sviluppare l’educazione e la formazione

3.                  Sviluppare l’approccio olistico nella “primary care” per individuare i problemi di salute mentale delle donne  e sviluppare la competenza dei medici di base in questo dominio della salute mentale

4.                  Sviluppare la formazione sul lavoro con programmi specifici di educazione alla salute mentale rivolti alle donne.

 


3. 

K. Abel e M. Buszewicz (1996), “Planning Community Mental Health Services for Women”,Routledge, London.

            Nel libro di K. Abel e M. Buszewicz, che nasce dallo sviluppo dei temi presentati alla III Conferenza Internazionale sulla Salute Mentale della Donna, tenutasi a Londra nel 1995,  sii fa riferimento alla situazione della salute mentale in  Gran Bretagna e si indicano  alcune strade per la prevenzione.

            Studi di prevalenza in Gran Bretagna confermano i dati internazionali: uno studio di popolazione in particolare del 1994 mostra la predominanza delle donne in tutte le categorie di disturbi nevrotici ( in particolare nel disturbo ansioso-depressivo). In questo studio il 24% delle donne di età compresa  tra i 20 ed i 54 anni presentavano disturbi contro il 12 % dei maschi. I disturbi alimentari nostrano una netta predominanza femminile: il 90% degli anoressici sono donne con la stima di un tasso di incidenza dello 0.1-1% tra le adolescenti ed un tasso del 7% in categorie a rischio come modelle e ballerine.

            La prevalenza di bulimia in adolescenti e giovani donne è intorno all’1% .

             

            Nello studio vengono anche poste sul tappeto alcune questioni che riguardano il rapporto tra prevalenza dei disturbi psichici nelle donne e l’atteggiamento dei medici.

            Secondo gli autori la prevalenza di donne nell’area di specifici disturbi psichici potrebbe essere determinata da pregiudizi dei medici o da bias del campo di ricerca:

1.      non vengono compresi nei disturbi mentali comportamenti che caratterizzano maggiormente  il ruolo maschile: l’acool e l’abuso di droghe, mentre le donne manifestano il loro disagio più frequentemente con sintomi depressivi.

2.      Vi è una maggiore tendenza dei clinici a sovrastimare la diagnosi di depressione nelle donne;

3.      Le donne cercano più frequentemente l’aiuto medico e da ciò ne consegue  una loro maggiore rappresentazione  nell’area di ricerca medica.

4.      Le donne tentano maggiormente il suicidio ma si suicidano di meno.

 

            Nello studio vengono anche analizzati le possibili cause psico-sociali che determinano una maggiore presenza delle donne nell’area dei disturbi psichici ed in particolare della depressione:

1.      gli stereotipi negativi ed il ruolo svantaggiato che accompagna la donna nella formazione della immagine di sé e nella costruzione della auto-stima;

2.      la condizione di maggiore carico delle donne sposate con figli che segnala la particolare gravosità del lavoro di cura, ancora di competenza delle donne;

3.      il lavoro esterno che non è sempre fattore di protezione, ma che a certe condizioni aumenta il rischio di depressione, associato ad uno stato sociale basso. Il lavoro esterno di caregiver ( più frequente nelle donne) è fattore di rischio; per le donne inoltre non è fattore di rischio la disoccupazione ma piuttosdto avere il marito disoccupato.

      Il lavoro allora è benefico (protettivo) per le donne se aumenta le fonti di autostima e potere e supporto; è dannoso se aumenta il numero di richieste che le sono rivolte.

4.       Un maggior rischio di malattia mentale è associato all’esperienza infantile di abuso sessuale più frequente nella storia delle bambine.

 

            Infine lo studio pone l’attenzione  sulla carenza di servizi orientati a cogliere i bisogni di salute mentale della popolazione femminile. Alla base  dello sviluppo di questi servizi non si pone la necessità di creare nuove strutture quanto la necessità di una formazione e conoscenza del medico di base e dello specialista di tutti i problemi e di tutti i fattori che portano le donne verso una prevalenza di disturbi depressivi e mentali. In particolare si pone l’attenzione sul fatto che i medici dovrebbero sapere che le donne non sono intrinsecamente vulnerabili per fattori bio-genetici, ma per precisi ruoli sociali ed esperienze.



  4.

E. Reale (a cura di) (1989), “Atti del 1° Seminario internazionale sul disagio psichico della donna” Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Roma.  

            Il libro riporta gli Atti di tre giornate di workshop sul tema della salute mentale della donna suddivise in sessioni sulla clinica e sulla ricerca .

            Il convegno ha riunito ricercatrici e operatrici di una gran parte dell’Europa e di alcuni paesi extra-Europei: Spagna, Francia, Yugoslavia,  Germania, Gran Bretagna, Belgio, Svizzera, Norvegia, Danimarca, Marocco, Canada, Cile, Argentina, Brasile.

            La situazione italiana è stata  rappresentata da  uno studio del Censis sugli utenti dei servizi psichiatrici in Italia, e da due studi  del Centro Ricerche  LABOS , sulla popolazione dei servizi psichiatrici territoriali ed ospedalieri e sui medici di base.

1.      il primo studio del Censis nel 1985 è stato condotto   su 7837 utenti dei servizi psichiatrici rappresentativi di tutte le aree geografiche e appartenenti a diversi tipi di servizi .

             Nel primo studio  che riguardava le caratteristiche socio-demografiche  dell’utenza dei servizi, il 48,2% della popolazione era femminile. L’incidenza percentuale  della componente femminile sulla popolazione psichiatrica è inferiore a quella che si registra  sulla popolazione femminile complessiva. Vale a dire che tra l’utenza psichiatrica nota vi è un relativo sotto-dimensionamento dell’elemento femminile.

            La distribuzione dei disturbi psichici mostrava che 39 donne su 100 soffrivano di disturbi depressivi ( per gli uomini la proporzione era di 21 su 100). Le donne erano in misura maggiore degli uomini in condizione coniugale, ed in misura minore occupate.

2.                  Il secondo studio è stato condotto nel 1986 dal Labos ed ha riguardato 1000 utenti rappresentativi di 4 realtà territoriali.

            In questa seconda indagine si analizza il rapporto con i servizi: le donne mantengono il rapporto con strutture ambulatoriali e gli uomini con presidi ospedalieri; le donne mostrano, nel loro curriculum, di far maggiormente ricorso agli specialisti privati.

            Le donne richiedono maggiormente prestazioni fondate sull’ascolto, il colloquio, il sostegno psicologico; il maschio ricerca e utilizza di più servizi orientati alla socializzazione, alla occupazione, al tempo libero.

3.         il terzo studio è stato condotto nel 1987 dal Labos  sui medici di base di alcune USL ( Unità Sanitarie Locali) romane. Da questa indagine è emerso che il soggetto a maggior rischio di disturbi psichici era di sesso femminile, di età adulta e di livello socio-culturale medio.

            Il dato di morbilità della popolazione assistita raccolto in questa indagine rivelava che su 9 tipi di disturbo codificato la componente femminile prevale  su quella maschile in un rapporto di 5:2. Solo su due tipi di disturbo ( sindromi psico-organiche e disturbi secondari a patologia organica) non si sono riscontrate differenze tra maschi e femmine. Queste sono marcatamente rappresentate, nell’ordine: tra i portatori di disturbi nevrotici ( tasso di prevalenza: 58,7%), psicosomatici (49,8%), disagio affettivo relazionale ( 41,1%), disturbi depressivi (40%). Infine anche per i disturbi   relativi al rapporto con la realtà (allucinazioni, deliri, senso di confusione ed estraneità,, ecc.) la donna è soggetta a maggior rischio: 26,0% di contro al 7,6% di parte maschile. Quest’ultima componente si caratterizza per il più acuto disagio indotto da cause socio-economiche (disoccupazione, precarietà economica, ecc.) e, soprattutto, manifestato attraverso il comportamento tossicomanico per il quale si nota in assoluto il più elevato tasso di prevalenza (66,5%).

 

            La situazione Europea ed Extraeuropea è stata rappresentata dalla delegata del WHO, Marianne Kastrup, che ha mostrato come la donna sia il soggetto più a rischio di depressione (2:1), come sia  la più alta consumatrice di psicofarmaci, e la più alta utilizzatrice  dei servizi psichiatrici sia pubblici che privati.

            Marianne  Kastrup ha mostrato come la maggiore vulnerabilità delle donne al disturbo psichico ed allo stress sia scarsamente influenzato da fattori costituzionali, e come subisca una maggiore e più incisiva influenza  da parte dei  fattori ambientali e sociali.

            Infine viene rilevato dal WHO come molte  donne non traggono benefici dai trattamenti psichiatrici, e viene mostrato come vi sia evidenza che i servizi di salute mentale non vadano incontro ai bisogni di salute delle donne.

            Tutte le ricercatrici presenti hanno confermato la prevalenza di donne nei propri nell’area dei servizi di salute mentale e la prevalenza dei disturbi depressivi tra la popolazione femminile.

              Nel Seminario Internazionale è emersa, come dato unificante sia della pratica clinica che della ricerca, la seguente acquisizione ed evidenza: il fattore che meglio si presta a spiegare le differenze di genere nell’area della salute mentale è il  lavoro  di cura familiare.  Il lavoro di cura si è mostrato infatti come quel fattore psico-sociale che ha caratteristiche di generalità sufficiente per comprendere la prevalenza delle donne nell’area dei disturbi psichici; è il denominatore comune della  condizione di vita delle donna che ancora oggi la differenzia   dagli uomini, nei paesi a basso reddito come in quelli ad alto reddito. Il lavoro di cura  favorisce stili comportamentali ed emotivi vicini al così detto stile depressivo ( passività, bassa autostima, ecc.), ma tali stili non sono tratti di personalità pre-costituiti ma effetto delle condizioni soggettive richieste dall’espletamento del lavoro stesso. E sono proprio queste condizioni soggettive che si sviluppano intorno al lavoro di cura (ascolto degli altri, passivizzazione, ricerca del piacere altrui, dipendenza dai bisogni altri, ecc.) ad essere ben correlate, per consenso di tutti, anche all’interno del mondo psichiatrico ufficiale, con le modalità di manifestazione del disagio femminile (depressione, dipendenza, passività, riduzione dell’ autostima ecc.).

            A partire dal lavoro di cura familiare trovano anche una migliore comprensione gli altri fattori come la povertà, la  mancanza di opportunità sociali, la minore valorizzazione nel mondo della risorsa femminile, ecc. 

            Questi fattori si aggiungono al primo fattore di rischio aggravandone il peso ed interagendo, non tanto con la qualità di disagio e la percezione di malattia, quanto con la estensione temporale del disagio stesso e la sua più facile cronicizzazione in rapporto alla maggiore difficoltà a trovare soluzioni nell’ambiente di vita.

            “La particolarità del lavoro materno e la sua centralità nella vita di una donna forniscono soddisfacenti spiegazioni all’instaurarsi di determinate condizioni di rischio per la salute mentale femminile. Consideriamo ad esempio la mancanza di supporti amicali, di relazioni di sostegno, fattori che sono stati messi in relazione con il disagio femminile: essi non sono da valutare eventi anomali della vita di una donna ma sono piuttosto condizioni che favoriscono il pieno svolgimento delle attività di cura (una attività socialmente intesa come dedizione ai bisogni degli altri).” Anche il rapporto di confidenza con il partner, quando le donne non hanno altri riferimenti e supporti diviene l’ago della bilancia nella definizione dello stato di salute della donna: la mancanza di questo rapporto di supporto e confidenza , in assenza di altri, crea una pericolosa situazione di esposizione al rischio di disagio.

“Un’altra caratteristica del lavoro materno è che esso viene percepito come stancante dalla maggioranza delle donne senza produrre adeguate reazioni di alleggerimento della fatica. La qualità della fatica e della stanchezza prodotta nel lavoro di cura è fortemente correlata con il disagio psichico. Spesso la donna uniformandosi al modello di una madre che ‘riesce sempre a farcela’ sopporta stanchezza e fatica al di là di quello che sarebbe giusto fare in un’ottica di tutela della propria salute psico-fisica.”

“ Il lavoro materno comporta sempre che si dia la possibilità concreta per l’instaurazione di un rapporto di servizio che ostacoli la realizzazione personale. Questo rapporto di servizio vale inoltre per le casalinghe a tempo pieno e per  quelle a tempo parziale  (con il lavoro esterno); sia per la casalinga che per la donna emancipata il lavoro di cura materno può creare condizioni di isolamento, compressione delle esigenze personali, mancanza di tempo ed energie per creare reti e supporti, ecc.

In definitiva l’analisi del lavoro materno e delle sue caratteristiche ( responsabilità, aspettative, modelli, mancanza di riconoscimento della fatica, dipendenza dall’ascolto e soddisfazione dei bisogni altrui, ecc.) può costituire la riflessione centrale sui fattori di rischio per le donne. Intorno a tale riflessione va poi riorganizzato l’analisi di ogni altro aspetto del ruolo, orientando anche intorno ad esso la ricerca sulle differenze culturali ed economiche tra donne.”

            Infine viene affrontato nel Seminario il tema della ricerca di servizi adeguati alle esigenze delle donne.

            Le partecipanti al Seminario sono state concordi nell’affermare che attualmente pur essendo le donne le più alte utilizzatrici dei servizi medici di base e specialistici, questi non corrispondono ai loro bisogni di benessere e privilegiano risposte medicalizzanti, e farmacologizzanti lontane dalla concretezza delle loro condizioni di vita.

            E tutte hanno segnalato la necessità che:

-         si sviluppino servizi per l’aiuto alle donne nelle condizioni di difficoltà tipiche della loro vita quotidiana (servizi di supporto nella violenza, per la ricerca dell’occupazione, per la formazione, ecc.);

-         si promuova una più ampia formazione dei medici di base , che per primi vengono a contatto con le manifestazioni di stress e disagio delle donne;

-         i servizi psichiatrici  forniscano alle donne interventi adeguati alle loro esigenze di  ascolto, di supporto, di  ricerca di una spiegazione della crisi e del cambiamento che il sintomo ha comportato nella loro vita , di modifica degli attuali e inappropriati equilibri psico-fisici a vantaggio di una prospettiva di uscita dal malessere  e di un potenziamento delle capacità e risorse personali.

 

 

 



[1] Heise L. et al. (1994), Violence against Women: The Hidden Health Burden,  The  International Bank for Reconstruction and Development/ The World Bank, Washington, D.C.