L'esperienza del Centro prevenzione Salute Mentale
in tema di violenza contro le donne
Introduzione ai Seminari di formazione degli operatori sanitari
di Elvira Reale
In questa introduzione, ho pensato di darvi un panorama di quello che si muove nel campo dell’antiviolenza. Questo campo apertosi circa venti anni fa è stato caratterizzato dalla lotta delle donne contro la violenza sessuale sul piano culturale, sociale e giuridico. In particolare sono nati in Italia, sulla scia di altre esperienze europee, i Centri contro la violenza alle donne, per offrire sostegno e solidarietà alle donne violentate e maltrattate. Uno dei primi Centri è stato Bologna; a Napoli, il Centro antiviolenza, nato dalla sinergia tra le Associazioni di donne e le istituzioni (Comune ed Azienda Sanitaria), è nato solo tre anni fa. L'iniziativa che ha condotto alla creazione di questi centri è sempre stata nelle mani delle donne; le istituzioni delle città le hanno appoggiate e finanziate. A queste donne che lavorano nei Centri si deve anche l'impegno nell'attività di formazione svolta nei confronti degli operatori ed operatrici dei servizi sociali e sanitari.
L'impegno diretto del mondo della sanità su questa tematica è recentissimo: si deve ad un intervento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l'indicazione che la violenza contro le donne è anche un problema di sanità pubblica che deve coinvolgere gli operatori sanitari nella prevenzione del fenomeno e nel trattamento delle conseguenze in termini di danni alla salute fisica e psichica.
Brevemente vorrei mostrarvi il cammino dell'Italia e soprattutto delle istituzioni sulla strada della consapevolezza dei diritti delle donne in termini di parità con gli uomini e di lotta alle diseguaglianze sessuali ( scheda 1).
il cammino delle istituzioni, per quanto riguarda l’Italia nasce con la IV Conferenza Mondiale sulle Donne a Pechino 4 – 5 settembre ’95, sotto la spinta d’urto di questo convegno, in cui veramente balza in primo piano la condizione femminile come questione importante per l'intera società globale, viene finalmente approvata, dopo un iter lunghissimo, la legge contro la violenza sessuale. Nel ’97, c’è una direttiva molto importante del governo Prodi che nell'obiettivo 9 parla di azioni efficaci per contrastare la violenza contro le donne. Abbiamo, su questa onda lunga di Pechino, due proposte di leggi, una elaborata dalla Commissione Giustizia del Senato e, proposta da Anna Finocchiaro, che è l’allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare, norma che arricchisce l’art. 282 del codice di procedura penale, che prevede “l'obbligo o divieto di dimora”[1]. Questa proposta è uno strumento importante nella lotta alla violenza perchè finora è sempre stata la donna ad essere allontanata o meglio ad allontanarsi a scopo cautelativo e di tutela dal proprio domicilio, e ciò è profondamente ingiusto. Molte delle difficoltà delle donne a denunciare finora si sono avute proprio nelle conseguenze temute tra cui quella di dover lasciare il proprio domicilio. Un'altra proposta di legge, su iniziativa della parlamentare Anna Serafini sviluppa il tema del finanziamento ai Centri per le donne maltrattate al fine di assicurarne la sopravvivenza ma anche l'autonomia gestionale. Infine l'Indagine ISTAT sulla violenza contro le donne, per la prima volta in Italia, dà un quadro preciso del nostro paese su questo versante, illuminando questa che è sempre stata una zona buia delle indagini statistiche. L’ISTAT , l’istituto nazionale di statistica, all’interno dell’indagine sulla sicurezza dei cittadini, apre un focus sul tema della violenza contro le donne: violenza sessuale, violenza fisica, molestie sessuali.
Scheda
1 - Il
cammino delle Istituzioni
ONU - IV Conferenza
Mondiale sulle donne - Pechino 4-15
settembre 1995
Direttiva del presidente del Consiglio
dei Ministri
Proposta di legge,
elaborata dalla Commissione Giustizia del Senato su:
Proposta di legge 7281 ( su iniziativa di
Anna Serafini):
Indagine Istat
sulla sicurezza dei cittadini "violenze e molestie sessuali",
Questo è il quadro generale in cui ci muoviamo oggi ed in cui nasce l'esperienza del Centro antiviolenza del Comune di Napoli.
Il Centro nasce nel 1997 dalla sinergia tra Associazioni (Onda Rosa, UDI e, Arcidonna), Comune di Napoli (Assessorato alla Dignità), ASL Napoli 1 (Centro prevenzione salute mentale della donna del Distretto 46 ed il consultorio del distretto 50).
In questo quadro inoltre si inscrive l'iniziativa del Ministero per le Pari Opportunità: il progetto pilota Rete Antiviolenza tra le città Urban - Italia di cui i Seminari di oggi fanno parte. Si tratta di un progetto europeo, finanziato coi fondi strutturali della Comunità Europea e promosso per l’iniziativa del Comune di Venezia; in esso sono coinvolte oltre la città di Napoli anche: Trieste, Venezia, Palermo Catania, Roma, Lecce, Bari. Al centro del Progetto c'è sia una ricerca qualitativa e quantitativa del fenomeno della violenza contro le donne, sia lo sviluppo di seminari per formare le reti locali di supporto ad una politica contro la violenza.
Questa iniziativa ha l'obiettivo di dare rilevanza in Europa al problema della violenza contro le donne ed alle sue conseguenze in campo sociale, economico e sanitario, campo quest'ultimo di cui si occupano specificamente i due seminari di oggi e domani.
Dalle indagini nazionali ed internazionali emerge che la violenza contro le donne è un fenomeno complesso; quando si parla di violenza contro le donne ci si riferisce a più tipi di violenza: dalla violenza sessuale (stupro, tentato stupro, molestie), alla violenza fisica, (botte, ferite, omicidio), a quella economica ( privazione di fondi e risorse), alla violenza psicologica e verbale (minacce, ricatti, denigrazioni, svalutazioni).
Le ricerche svolte negli ultimi anni mostrano che la violenza contro le donne è frequente. Nei paesi industrializzati, tra il 25 e il 30% delle donne subiscono, nel corso della loro vita adulta, violenze fisiche e/o sessuali da un partner o ex-partner; tra il 5% ed il 15% subiscono queste violenze nei 12 mesi precedenti la ricerca; la prevalenza delle violenze psicologiche è ancora più elevata (Gillioz et al., 1997; Romito e Crisma, 2000). La violenza domestica sembra essere altrettanto frequente in gravidanza (Ballard e Spinelli, 2000).
Negli Stati
Uniti, tra il 13% e il 20% delle donne subiscono uno stupro almeno una volta
nella vita (Kilpatrick et al., 1997); questa proporzione, sia pure meno elevata,
è alta anche in Italia (Sabbadini, 1998; Romito e Crisma, 2000). Tra il 20 e il
30% delle bambine e adolescenti subisce violenza sessuale, il più delle volte
da parte di un uomo o di un ragazzo che conosce bene (W.H.O., 1997; Romito e
Crisma, 2000). Queste violenze sembrano essere ancora più frequenti in paesi
meno industrializzati (WHO, 1997).
La violenza contro le donne ha come autori gli uomini ma nessuna ricerca
finora ha rilevato specifici fattori come indicatori di rischio
per quanto riguarda la tipologia del violento e del
maltrattattore: nè la etnia, nè l'età, nè lo status sociale e le
condizioni economiche e culturali; nè una specifica condizione
psico-patologica: in definitiva non
è possibile giungere ad un identikit; si tratta infatti di una situazione
trasversale che colpisce da un lato donne di ogni condizione
e dall'altro è perpetrata da uomini di ogni tipo e condizione. Ciò
significa, e questo è l'aspetto più inquietante della violenza contro le
donne, che essa non presenta quei
chiari confini che altri tipi di violenza hanno; essa infatti non è come altre
violenze (quella criminale ad esempio) individuabile e circoscrivibile in ben
precisi luoghi e contesti sociali, o addebitabile a ben precisi processi
socio-economici. A conferma di ciò le statistiche indicano l'ambito domestico e
le relazioni di coppia con partner ed ex partners quelle maggiormente a rischio
di violenza per le donne[2].
Distinguiamo nelle schede seguenti le caratteristiche dei due principali tipi di violenza: quella propriamente sessuale (stupro e molestie) e quella che chiamiamo domestica ovvero la violenza fisica, sessuale, psicologica che si svolge sulla scena dei rapporti familiari e soprattutto dei rapporti di coppia.
Scheda 2
La violenza sessuale
Quali donne sono a rischio: tutte
Dove:
la casa propria e di amici; l'auto; il luogo di lavoro; la strada
gli autori della violenza:
lo
sconosciuto (in genere per strada)
amici,
conoscenti, parenti (casa ed auto)
colleghi, superiori (il luogo di lavoro)
Le
violenze meno diffuse e più denunciate:
per strada, gli estranei
le
violenze più diffuse (83%):
inattese,
compiute in un rapporto
fiduciario;
da
amici, conoscenti partners ed ex partners.
Scheda 3
La
violenza domestica
E' agita all'interno di
un rapporto di coppia, ha come caratteristica
prevalente la violenza verbale e psicologica (denigrazione,
svalorizzazione) ma non solo, frequenti sono le botte, le minacce e
l'imposizione del rapporto sessuale.
Studi
condotti in tutto il mondo indicano che le donne sono più a rischio di
violenza nelle loro case.
Rispetto
alla violenza sessuale occasionale la violenza domestica è ripetuta e tende
alla cronicità.
Questa
è la violenza meno riconosciuta
dalla donna e dal contesto sociale.
Essa
crea gravi problemi di salute a medio e lungo termine.
I
coniugi maltrattanti non hanno particolari caratteristiche psicosociali
che li distinguono da altri uomini: non sono nè etilisti, nè
tossicodipendenti, nè malati di mente.
In sintesi queste le caratteristiche ed i dati principali della violenza contro le donne. Ma perchè dobbiamo parlare oggi di violenza contro le donne in un contesto specificamente sanitario? Come entrano gli operatori sanitari in una situazione che sembra essere squisitamente sociale?
Da alcuni anni (a partire dal 1995-96) l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha cominciato a lanciare l'allarme sulla violenza come fattore eziologico e di rischio in una serie di patologie di rilevanza per la popolazione femminile. In particolare sono stati condotti studi oltre che sulle patologie ginecologiche anche sulle patologie gastroenterologiche, sulle patologie mentali ed in particolare sulla depressione, sui disturbi alimentari (anoressia, bulimia), sui disturbi d'ansia. Molti di questi studi hanno evidenziato in donne con eventi di violenza, subiti sia nel corso della vita che negli ultimi anni, una connessione con una o più delle patologie menzionate.
Le schede successive mostrano l'ampio ventaglio delle patologie evidenziate dall'OMS che sono state riferite in numerose indagini come conseguenze delle violenze subite.
Scheda 4
Health Consequences of violence against women
Ø
Injury (from lacerations to fractures and
internal organs injury)
Ø
Permanent and non permanent
disabilities
Ø
Unwanted pregnancy
Ø
Gynaecological problems: inflammation of the
ovaries or uterus, urethiritis, vaginal infections, menstrual pain, pelvic
pain, irregularities of the menstrual cycle.
Ø
STDs including HIV
Ø
Chronic Headaches and chronic backaches
Ø
Gastrointestinal problems, irritable bowel
syndrome
Ø
Cardiovascular problems ( Hypertension, broken
heart)
Ø
Asthma
Ø
Self-injurious behaviours (smoking, alcohol
abuse, unprotected sex)
Source:
Women's Health Development, Family and Reproductive Health (1996), Violence
Against, in WHO Consultation, World
Health Organization, Geneva.
Ma una particolare attenzione è stata data dall'OMS alle patologie mentali ed alla depressione di cui le donne soffrono da due a tre volte più degli uomini. Su questo terreno il legame tra condizioni di salute e violenza è ancora più forte. Le patologie che secondo l'OMS sono da considerare in relazione con le situazioni di violenza sia fisica che sessuale e psicologica sono:
Scheda 5
Mental Health Consequences of violence against women |
||
-
Depression -
Suicidality -
Fear, feelings of shame & guilt -
Anxiety, panic attacks -
Low self-esteem |
-
Sexual disfunction -
Eating problems -
Obsessive-compulsive disorder -
Post traumatic stress disorder - abuse of medication, alcohol & drugs |
|
Source:
Family and Reproductive Health, Regional Office for Europe (1998)
Report of the First Technical meeting "European Strategies to combat
Violence against Women, Copenhagen.
Dai dati internazionali ed in particolare da ricerche negli Stati Uniti risulta che le donne maltrattate ricorrono a trattamenti psichiatrici con una frequenza 4 o 5 volte maggiore rispetto a donne non maltrattate (Stark& Flitcraft).
Si stima che il 10% delle vittime di violenza domestica tenti il suicidio. Per le donne vittime di violenza domestica i tentativi di suicidio sono 5 volte più frequenti rispetto alle donne non maltrattate. (Stark& Flitcraft).
Scheda
6
Disability-adjusted
life years (Daly’s lost) to women age 15 to 44
due
to conditions attributable to domestic violence and rape.
Relevant
conditions
|
Total
DALYs lost to women age 15 to 44 (millions) |
Share
attributable to domestic violence and rape |
Depression |
10.7 |
50
percent |
Alcohol
dependence |
0.9 |
10
percent |
Drug
dependence |
1.1 |
10
percent |
Post
Traumatic stress disorder |
2.1 |
60
percent |
Suicide |
5.5 |
30
percent |
Source: Heise L. et al. (1994), Violence against Women: The
Hidden Health Burden, The
International Bank for Reconstruction and Development/ The World Bank,
Washington, D.C.
Nello schema precedente, La World Bank di Washington stima la quota percentuale di anni di vita persi, combinati con gli anni vissuti in disabilità (Daly's lost), attribuibile alla violenza domestica ed allo stupro. Da questo calcolo si ricava che ben il 50% della patologia depressiva è attribuita ad una causa di violenza. Questo dato è di rilevante importanza perchè rende evidente un rapporto tra condizioni di salute psichica nella donna e violenza subita, rapporto che ancor oggi stenta a entrare nella coscienza del mondo medico.
Ed è proprio con l'obiettivo di far entrare i fatti di violenza nella pratica medica - quando si affrontano le patologie a più larga diffusione tra le donne - che a Napoli l'ottobre scorso si è tenuto un Convegno internazionale organizzato dall'OMS e dalla Associazione dei ginecologi[3].
Il Convegno ha messo in evidenza che il fenomeno della violenza è ancora sottovalutato in ambito sanitario e soprattutto sono sottovalutate le conseguenze e l'impatto che la violenza ha sulla salute delle donne.
Alcuni tra i fattori, evidenziati al convegno, che contribuiscono alla non visibilità del fenomeno sono:
· la mancanza della capacità di ascolto dei problemi delle donne;
· la mancanza di un modello medico capace di mettere a fuoco le specifiche condizioni di vita femminile;
·
la presenza di un modello medico che tende a riferire
costantemente la i malesseri ed i disagi
delle donne a problemi di tipo biologico che poco hanno a che vedere con
gli eventi di vita e le relazioni violente.
Sotto questo aspetto la medicina appare particolarmente miope nel decifrare le condizioni e le cause di malattia del mondo femminile: mancano per questo scopo ricerche attendibili orientate sulla differenza di genere e sulla raccolta di dati epidemiologici differenziati per sesso.
Il dibattito sulle strategie per far entrare nel mondo sanitario e nelle prassi mediche il problema della violenza è ampio ed ancora in corso.
Ci sembra
importante individuare all'inizio di questa giornata seminariale tre possibili
tappe del percorso sanitario finalizzato ad affrontare il fenomeno della
violenza contro le donne; tappe che possono costituire esplicitamente anche
gli obiettivi di formazione e
di connessione tra operatori ed operatrici in questo Seminario.
v La prima tappa è contrassegnata dalla conoscenza:
- conoscere l'estensione del fenomeno, sapere che una donna su quattro nell'arco della vita subisce violenza e che una donna su dieci subisce violenza nell'ultimo anno di vita.
- Conoscere il collegamento della violenza con i processi di formazione delle patologie. Ricerche in questa direzione sono state condotte a partire dalle donne che hanno subito violenza; scarse ancora sono le ricerche sulle patologie in donne che non hanno denunciato fatti di violenza. Ciò significa che il mondo medico non ha ancora mosso i propri passi in autonomia provvedendo a svolgere una indagine eziologica a tutto campo sulle patologie a più alto impatto tra la popolazione femminile, come ad esempio le patologie psichiche e da stress.
Per questo
motivo, data la scarsità di dati proveniente dal mondo sanitario, l'OMS ha
posto agli operatori sanitari l'obiettivo di trasformare le prassi
clinico-diagnostiche.
v La seconda tappa è quindi la trasformazione:
- trasformare l'attività diagnostica. Ciò deve significare inserire nelle pratiche cliniche la violenza come probabile co-fattore eziologico e di rischio; significa guardare al processo patologico non solo come un dato autonomo del bios ma anche come possibile conseguenza e prodotto di azioni esterne come la violenza in tutte i suoi aspetti, da quella fisica a quella psicologica;
-
trasformare la prassi clinica ed i suoi obiettivi di cura. La cura
nell'approccio alle conseguenze della violenza non può essere pensata e agita
come un atto puntiforme e schematico: dal sintomo psico-fisico al trattamento
chirurgico o farmacologico, accantonando il problema della causa. Mai come in
questo ambito la causa deve essere messa in primo piano e l'azione terapeutica
anche puntiforme non può non guardare ad essa. Ecco allora che all'operatore
sanitario si chiede di agire in sinergia con altri servizi per offrire un aiuto
complessivo alla donna in grado di cogliere tutti gli aspetti del problema della
violenza: da quello sanitario a quello sociale ed assistenziale.
v La terza tappa è la prevenzione:
-
la violenza denunciata spontaneamente dalla donna è la minima parte di
un fenomeno molto più ampio e sommerso. La donna non conosce gli effetti della
violenza sulla salute, non sa che tollerare la violenza ha costi elevati
sull'equilibrio psico-fisico: informare la donna diviene allora il compito
principale di ogni servizio sanitario che ha tra la sua utenza prevalente le
donne. L'informazione deve riguardare sia il rapporto violenza - malattia sia i
luoghi specifici (Servizi, Centri antiviolenza, ecc.) dove la donna può
discutere i suoi problemi e darvi opportuni inquadramenti prima che essi si
trasformino in percorsi di malattia.
Su questo percorso "conoscenza - trasformazione prassi sanitarie - prevenzione" vi è oggi un crescente consenso: il mondo sanitario è coinvolto nel fenomeno perchè chiamato ad agire sulle conseguenze della violenza. Ma per fare correttamente ciò deve non solo conoscere il fenomeno ma essere pronto a modificare i propri strumenti operativi. Sia la valutazione diagnostica che l'indagine sulla eziologia devono poter essere capace di accogliere il nuovo dato evidenziato: la violenza è in grado di sviluppare processi patogeni a vario livello. E' importante quindi da un lato diagnosticare la presenza del fattore violenza come causa principale o come concausa; ma è ancora più importante organizzare un trattamento che non sorvoli l'origine del processo morboso ma dopo averlo individuato sia in grado di operare dentro il problema. E' chiaro che non ci riferiamo qui ad un intervento chirurgico o ad una terapia farmacologica, anche se essi in determinati momenti e stadi del malessere potranno essere utili o necessari, ma è importante risolvere il problema restituendo alla persona la capacità psicofisica di fronteggiare la situazione e la contrattualità sociale per affrontare con successo le conseguenze della violenza.
Per fare questo il mondo sanitario deve entrare in rete con altri servizi non sanitari, comportandosi come parte di un tutto che coopera alla soluzione del caso. Nell'azione sulle conseguenze della violenza le parti in gioco sono molte: gli operatori sanitari, gli operatori sociali, della giustizia, il mondo dell'associazionismo delle donne che costituiscono il supporto più incisivo per offrire solidarietà alle altre donne.
In conclusione di questa presentazione vogliamo darvi, perchè siano
discussi nei working groups
pomeridiani, alcune sollecitazioni che riguardano riflessioni e linee guida sul
comportamento sanitario nell'approccio alla donna, sia quando sia stata
esplicitata una violenza subita sia quando essa non sia stata esplicitata.
Riassumiamo quindi e sintetizziamo le informazioni necessarie agli
operatori per entrare nel problema delle interconnessioni
tra violenza e percorsi patologici.
La conoscenza delle caratteristiche del ruolo e della vita quotidiana femminile come luoghi in cui più facilmente si annida il rischio di violenza:
- collegare la salute della donna alle sue condizioni di vita.
- considerare ogni donna a rischio di violenza.
- considerare la violenza quotidiana all’interno della famiglia come la più consueta e la più diffusa delle violenza contro la donna.
La conoscenza di tutti i possibili effetti che la violenza produce in termini di danno alla salute sia fisica che psichica:
- valutare i sintomi fisici e psichici nella donna come possibili conseguenze della violenza familiare e di coppia;
- inserire nelle procedure di accoglienza dell'utenza e di raccolta dati domande sulla violenza e sui maltrattamenti che riguardano gli aspetti più consueti (sessuale, fisico e psicologico), gli autori, gli effetti sulla salute e sulla vita quotidiana.
la conoscenza di percorsi istituzionali di supporto per l’uscita dalla violenza: centri anti-violenza, case alloggio, associazioni di donne e di volontariato, leggi di tutela dei diritti delle donne quant’altro deve entrare nel progetto di contrasto della violenza.
Sottolineiamo anche i più frequenti comportamenti inappropriati nel mondo sanitario. Essi riguardano la tendenza, che tutte le ricerche sul fenomeno hanno evidenziato, ad una impropria medicalizzazione, psicologizzazione, psichiatrizzazione della violenza subita dalle donne, e sono:
-
fornire, di fronte a una domanda di informazioni, di sostegno economico,
di protezione o di giustizia, una risposta che, buona o cattiva che sia, sposta
il problema sul versante delle ipotetiche difficoltà bio-psicologiche della
donna;
-
utilizzare nella comprensione del dato alcune categorie interpretative
(come la fragile costituzione, il masochismo o la passività e la debolezza
costituzionali), fortemente colpevolizzanti per la donna, ignorando invece altri
possibili approcci al problema.
I dati raccolti in una delle prime ricerche in Italia sulla violenza sessuale e sulla cultura degli operatori socio-sanitari rivelano che: il 58% degli operatori ritiene che siano i problemi psicologici delle donne a scatenare i comportamenti violenti nei maschi; il 32% che le donne subiscano perché masochiste; e il 68% è favorevole alla prescrizione di psicofarmaci[4].
La strada della psichiatrizzazione è frequentemente usata dai medici e dagli operatori sanitari. Secondo Stark, alcuni comportamenti delle donne (tentato suicidio, abuso di alcool o di psicofarmaci) sono riconducibili tanto ai maltrattamenti quanto alla conseguente psichiatrizzazione.
Dalla cultura dei Centri antiviolenza scaturiscono di contro alcune
indicazioni per gli atteggiamenti appropriati da assumere nel contesto
sanitario; indicazioni, principi, linee guida che è importante discutere e
valutare con attenzione in questa sede.
§ Assicurare alla donna un ruolo di “vittima”, ovvero di non responsabilità rispetto all’accaduto, puntare l'attenzione sulla violenza come ingiusta lesione di un diritto la cui responsabilità ricade interamente sull'autore della violenza.
§ Evitare interpretazioni psicologistiche e di mediazione che diano motivazioni e giustificazioni alla violenza maschile a partire dal comportamento della donna (modi di essere, di apparire, stili di vita, ecc.). Valutare e spiegare alla donna le reazioni alla violenza come tutte plausibili nella condizione di paura e di soggezione; non cedere alla tentazione (anche se indicata dalla stessa donna) di valutare come improprio il comportamento, addebitando in questo modo alla donna parte della responsabilità dell'accaduto.
§ Valutare il danno fisico e psichico attraverso il racconto della donna dando piena credibilità alla soggettività femminile e alla sua esperienza. Qualunque sia stato il comportamento della donna prima e dopo la violenza, anche nel caso di una violenza a lungo tollerata (ad esempio, violenza domestica), l'operatore deve tenere fermo il principio che la violenza non è mai giustificabile con il comportamento di chi la subisce.
In tutti gli altri campi questo principio è ben saldo e ha solide basi di certezza: nessuno ad esempio ha mai pensato di criticare un turista perchè viene a Napoli dove esiste un'alta probabilità di "essere scippato", ciò che viene censurato è il comportamento dello scippatore e delle forze dell'ordine che non hanno sufficientemente tutelato. In altra sede sarà poi possibile analizzare il fenomeno nella sua complessità e valutare, ai fini di una valida prevenzione, i problemi socioeconomici come l'alto tasso di disoccupazione che influisce nel determinare un alto tasso di criminalità nella città di Napoli: ma questo ambito di discussione non può interagire con il diritto leso della singola persona e ricadere come colpa su quest'ultima per un comportamento inadeguato ovvero "provocatorio" nei confronti dello scippatore.
§ Attestare il danno attraverso strumenti giuridicamente idonei: l’operatore socio-sanitario può indicare legittimamente la connessione temporale tra insorgenza del malessere/ sintomi riferiti dalla donna e l’inizio della situazione di violenza occasionale o cronicizzata.
§ Tenere presente nella definizione della gravità del malessere che la esposizione a lungo temine alla violenza si comporta come potente fattore di stress psico-fisico, in grado di spiegare la severità dei sintomi.
§ Registrare in una breve cronologia gli effetti della violenza in termini di modifiche della percezione di sè, dello stile comportamentale , della vita quotidiana:
- modifiche dello stile di vita e della percezione di sé (aumento di atteggiamenti di chiusura verso il mondo esterno, di insicurezza, di disistima, ecc.);
- modifica delle condizioni esterne quali la perdita di un lavoro, di un legame, di un progetto fino ad un certo momento raggiungibile e poi perso, ecc.
Ogni effetto deve essere ben visualizzato e correlato alla violenza subita, in modo che non sia possibile attribuirli alla donna come effetto delle caratteristiche di personalità preesistenti alla violenza.
§ Soffermarsi sul peso della violenza quale evento in sé stressante capace di provocare il danno, per evitare che si arrivi ad un ragionamento di co-causalità tra caratteristiche di personalità (fragilità, dipendenza, ecc.) ed evento violento.
§ Fornire informazioni e inviare la donna (attuando anche un primo collegamento per l'appuntamento iniziale) a servizi specifici anti-violenza collaborando con essi; costituire insieme ad altri servizi una rete di supporti finalizzata alla sicurezza della donna e alla riduzione dei rischi di esposizione e di contatto con fonti di violenza.
Referenze bibliografiche
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la gravidanza, in Romito, P (a cura di) Violenze alle donne e risposte delle
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65(5), 834-847.
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Sabbadini, L.L. (1998) La sicurezza dei cittadini. Molestie e violenze sessuali. Versione
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"private" event. In Fee, E. (ed.) Women and Health: The Politics of Sex in Medicine.
Baywood Pub., New York.
World Health Organization (1997) Violence
Against Women, Women's Health and Development Programme, W.H.O., Geneva.
[1] Questa proposta è divenuta legge nel marzo 2001.
[2]Anche
nella ricerca condotta a Napoli dall'ISERS (Istituto di ricerche sociali)
per conto del Progetto URBAN, si evidenzia che il 66,2% dei maltrattamenti
denunciati riguarda un partner maschile come autore, e che nel 78,8% il
luogo ove si manifesta la violenza è la casa.