Giovanna:
lo stress,
la
tolleranza alla violenza, la depressione
D - Quanto tempo è durato l'intervento?
R - Più di un anno, circa 16-18 mesi.
D - Prima di arrivare al Servizio quale era il suo
problema?
R - Mi trascinavo dentro una vecchia situazione:
abitavo da sette anni ad A. e negli ultimi anni ho convissuto con mia suocera e
con una cognata non sposata. Vi ho messa tanta volontà, eppure non ci sono
riuscita a sopportare la situazione. E non ho avuto la forza neanche di reagire,
eppure io da ragazza avevo un carattere aggressivo, però lì non ce la facevo a
parlare, mi ero rassegnata. Le cose mi avevano fatta cadere in una depressione,
in uno stato proprio deprimente. E neanche l'aiuto di mio marito potevo avere
perché in quel periodo era troppo legato alla mamma.
D - Quindi lei riteneva che il suo star male
dipendesse da questa situazione familiare?
R - In un primo momento lo pensavo, poi questo é
stato avvalorato ancor di più dai medici. Infatti allora caddi in uno stato
quasi "morboso": ero cosciente di tutto quello che succedeva, di tutto
quello che facevo, ma il corpo cominciò ad avere delle reazioni.
I medici mi dicevano "Lei deve andar via di qua, noi non possiamo
darle nessun farmaco perché sul piano fisico sta benissimo ma ugualmente si sta
consumando come una candela"
D - Cosa si sentiva, Signora?
R - Non avevo niente e avevo tutto: mentre stavo
tranquilla in piedi, cadevo; però senza mai perdere coscienza; diciamo
svenimenti ma non lo erano perché non c 'era perdita di coscienza. Venivo meno e
poi mi prendeva un tremito convulso, e questo tremito mi ha accompagnata anche
dopo il trasferimento a Napoli.
D - I medici davano quindi una spiegazione
ambientale?
R - Si, ambientale. E poi finalmente sono riuscita a
venire via! Dopo un ennesimo litigio, mio marito si é deciso, ma è dovuta
intervenire la scuola: il direttore e il segretario, le colleghe della scuola
dove insegnavo. A un certo punto mi dissero: " Ora basta! Non possiamo
assistere a tutto ciò, é un omicidio! Tu devi fare la domanda di trasferimento
oggi stesso! Te ne devi andare! " Ecco ricordo di aver pianto dodici ore di
fila, ma é stato un pianto liberatorio. Chiamarono mio marito a scuola e gli
spiegarono cosa pensavano della situazione. Io non speravo che la mia vita
cambiasse così senza che io facessi niente, per questo mi ero rassegnata! E
questo al contrario di come é il mio temperamento, per questo reagivo nel
fisico. Poi sono venuta a Napoli, e anche se l'atmosfera era serena, quello che
c 'era ormai c'era: io fisicamente ero a pezzi, e mi dovetti mettere in
aspettativa con la scuola. Poi venne il medico fiscale a casa per il controllo e
mi consigliò di venire al Centro per poter essere meglio aiutata. Ho seguito il
consiglio e mi sono trovata
benissimo.
D - Prima che cominciassero i problemi che ci ha
descritto, ci può dire come si svolgeva la sua giornata?
R - Io ho tre bambini avuti l'uno dietro l'altro e
avevo un gran da fare e soprattutto
la notte non la trascorrevo bene, ero spesso in piedi, mi alzavo continuamente,
poi la sveglia era alle sette del mattino per andare a scuola mentre una donna
mi guardava i bambini
D - Ma lei non stava in casa con sua suocera?
R - Solo gli ultimi due anni su sette della mia vita
ad A. Comunque anche a casa di mia suocera la vita si svolgeva allo stesso modo.
Avevo sempre una donna che si occupava dei bambini quando io stavo a scuola e in
più c'era mia suocera che mi assillava. Mi sentivo un ospite in quella casa, a
scuola invece stavo a mio agio, quello era il mio mondo! Lì mi sentivo sicura,
e infatti mezz'ora prima che terminasse il mio turno mi prendeva il batticuore
perché dovevo andar via di là e tornare a casa. A casa mangiavo con i bambini
e iniziava la mia vita di mamma.
Con tre di loro sempre appresso, poi stavano sempre male, si ammalava uno e
subito dopo gli altri! Non avevo neanche la gioia che almeno i miei figli lì
stavano bene.
D - Aveva delle relazioni sociali?
R - Non potevo frequentare nessuno. Facevo casa -
scuola e scuola - casa. Il pomeriggio non potevo muovermi, neanche per la spesa
perché non avevo nessuno a cui lasciare i bambini, e quindi anche se mi sarebbe
piaciuto uscire non potevo e mio marito faceva lui la spesa prima di rientrare a
casa. Poi la sera preparavo la cena e via a dormire. Però anche qui c'erano dei
doveri ed io in quel periodo mio marito non lo sopportavo proprio! Però stavo
zitta e passiva.
D - Quindi in quel periodo lei faceva cose che non le
andavano, le faceva solo per dovere?
R - Si, cose che dovevo fare. Tra le cose invece che
avrei voluto fare e che ho dovuto smettere c'era il mio essere cattolica
praticante: ecco allora non avevo neanche il tempo di andare a messa la domenica
D - Signora, in quel periodo si riteneva responsabile
della situazione?
R - Mi ritenevo responsabile solo per il fatto che
non riuscivo a reagire. Io sapevo di poter cambiare la mia vita però avrei
dovuto fare qualcosa di grosso: ecco lasciare mio marito e andarmene! Un colpo
di testa.
D - Non se la sentiva ?
R - No, perché poi vagliavo altre possibilità: vado
a casa - mi dicevo - con tre bambini e con la scuola come faccio? Non ho il
diritto di togliere il papà a questi bambini, poi avrei dovuto addossare delle
responsabilità a mio padre anziano. Non me la sentivo.
D - Quando ha cominciato a sentirsi male, pensava di
essere malata?
R - No, io non mi sono mai sentita una persona
malata. Perché dentro di me sapevo che lo stress cui mi sottoponevo era enorme.
E poi per sottrarmi a quella situazione mi tuffavo nel lavoro e questo mi
stancava ancora di più.
D - Cercava quindi di essere sempre in attività?
R - Si, dovevo reagire in qualche modo. Dovevo fare
qualcosa per mantenermi bene psichicamente. La mia paura era quella: infatti
quella mattina che c' é stato un ennesimo litigio, é stata la prima volta che
ho reagito però in maniera negativa gridando contro mia suocera e mia cognata
D - Lei prima non aveva mai gridato?
R - Non avevo mai gridato. Qualche volta avevo
cercato di esporre le mie idee, ma non avevo mai litigato con loro, loro
litigavano io no; ma quella mattina sono esplosa. Prima di tutto chiamai mio
padre e gli dissi: "Se non mi vieni a prendere mi butto dalla
finestra" E loro cominciarono a dire " Se non la smetti ti picchiamo e
ti cacciamo da casa". Poi tutta un'altra serie di cose e alla fine non ce
la feci più e cominciai a gridare, gridare, gridare, e a darmi con la testa nel
muro. Però io capivo quello che stavo facendo, ma è come se mi fossi
sdoppiata; non sentivo nessun dolore eppure battevo forte, poi vedevo i bambini
piangere e volevo fermarmi perché quelli avevano paura, ma non ci riuscivo più;
era come se ci fossero due persone dentro di me. Nel momento però in cui mia
cognata disse: " mamma chiama il 113, così la interniamo e ce la togliamo
una volta per tutte davanti", mi calmai di colpo perché vidi
immediatamente la mia situazione: ecco adesso vengono, vedono che batto la testa
contro il muro, che sto facendo la pazza in questo momento e allora credono alle
parole di mia suocera che sono pazza da rinchiudere in manicomio. Intanto era
accorsa altra gente del vicinato e questo mi aiutò a ristabilirmi. Mia suocera
continuava però a dire:" avete visto che guaio abbiamo passato, vedete in
che stato si é ridotta, povera figlia, povera figlia, é impazzita
proprio". Poi la scuola fece il resto, mi aiutarono ad andare via. Da sola
non ce l'avrei fatta, anche se il comportamento di mia suocera quella mattina
era stato per me non più tollerabile.
D - Lei quindi si considerava incapace di uscire da
quella situazione?
R - C' é anche un altro fatto. Mio marito in quegli
anni ha avuto una trombosi, la situazione si presentò molto grave si pensava ad
un tumore al cervello per cui feci una promessa al Signore: "Signore, mio
prenditi in cambio della vita di mio marito questa mia sofferenza, io non
chiederò più di andare via da questo luogo". Così non si trattava
di una incapacità ma di una vera e propria barriera. Non potevo neanche
più rifugiarmi, nella preghiera perché avevo fatto un patto col Signore. Ormai
dovevo stare lì, finire lì i miei giorni , ecco come ero caduta in
depressione.
D - Per il fatto che non aveva più speranze?
R - Non c'era più speranza per me. Per cui dovevo
tacere se mia suocera gridava, se mia cognata mi martirizzava. Dicevano per
esempio che io ero uno "zero", che come insegnante non valevo niente.
Tutta la famiglia di mio marito non mi valorizzava: io per loro non valevo
niente.
D - Ma proprio perché queste persone la trattavano
in questo modo lei non si é sentita qualche volta uno "zero"?
R - No, non mi sono mai sentita cosi.
D - E in qualche altro modo simile?
R - Si, avevo bassa stima di me, ma perché non
reagivo, non per quello che dicevano loro.
D - Quindi il suo giudizio non concordava con il
loro?
R - Solo che a un certo punto cominciai a
meravigliarmi un pò: é possibile - mi dicevo - che tu non sia capace di
reagire? Ma dove sta quella ragazza battagliera? Io mi facevo questo esame
interno, solo che perdevo terreno giorno dopo giorno. Non arrivavo alla loro
disistima totale perché mi conoscevo; però lo stesso provavo qualcosa del
genere, per un motivo
diverso, però ugualmente stavo per arrivare a non stimarmi più. Però la
carica mi veniva dalla scuola e quindi rientravo in me stessa.
D - Torniamo ora ai problemi che l'hanno condotta
qui. Si diceva che é successo dopo il suo arrivo a Napoli.
R - Si sono venuta per dei malesseri fisici. Avevo
una stanchezza totale, dovevo stare solo sul letto, se mi alzavo mi venivano dei
capogiri, mi sentivo proprio male. Eppure sul piano emotivo, avevo ritrovato la
serenità venendo a Napoli, per cui non riuscivo più a spiegarmi questi
malesseri.
D - Quando lei é venuta a Napoli ha riacquistato la
tranquillità?
R - Si, tornata a casa, sentivo di nuovo l 'amore,
quello che mi mancava ad A.; avevo di nuovo l'affetto di tutte le persone care,
anche degli amici. Infatti io da ragazza ero attivista nella politica e come
sono tornata a Napoli tutti gli amici facevano a gara nel venirmi a trovare. In
un attimo tutto quel vuoto che avevo prima si era riempito. Solo che rimaneva
questo stato fisico, e questo mi faceva star male anche psicologicamente.
D - Quindi lei si é ritrovata con un benessere
psichico ed un malessere fisico, per cui ha pensato che non dipendesse da lei la
situazione attuale ma che era necessario rivolgersi ad un tecnico?
R - Si, però me lo ha consigliato il medico.
D - Però lei concordava con il medico?
R - Si, pensavo di stare bene sugli altri piani e che
quindi avevo solo bisogno di un aiuto sul piano fisico.
D - Però è venuta ad un Servizio di salute mentale?
R - Sapevo che c'erano persone che curavano la
psiche, però pensavo che qui mi si potesse aiutare perché io reagivo
fisicamente ad ogni emozione anche la più banale, quindi ritenevo poi che anche
dopo aver raggiunto la serenità di cui ho parlato prima, ci dovesse essere
qualche altra cosa che io non riuscivo proprio a individuare e capire. Così
venendo qui mi sono trovata bene. Mi piaceva questo rapporto con la dottoressa
perché riusciva a farmi leggere dentro, non in maniera superficiale. Quando
tornavo a casa però mi é capitato di stare male perché scoprivo cose che non
pensavo di avere dentro di me. Ecco io credevo di aver raggiunto tutta questa
serenità, e invece c'era ancora tanto da tirare fuori!
D - Che cosa per esempio?
R - Ecco io reagivo fisicamente ad ogni piccolo contrattempo, per esempio il rapporto con mia sorella. Io sono di natura altruista, mi piace dare, con gioia, e davo, davo, davo; però al momento del mio bisogno non trovavo poi la stessa disponibilità e lo stesso aiuto che io avevo dato, e ciò mi faceva stare molto male. Allora con la dottoressa sono arrivata a questo punto: o non faccio nulla per gli altri cosi poi non rimango male, o se lo faccio devo aver presente che non é detto che debba avere dei riconoscimenti o degli aiuti nel momento in cui li chiedo. Ecco questo é un esempio. Certo quando mi si metteva di fronte a certe cose io stavo in crisi per due giorni rispetto alle mie convinzioni di prima, poi vedevo le cose con più obiettività e stavo più serena.
D - Prima di venire al Servizio riteneva che certi
compiti e certe mansioni fossero indispensabili? C'é stato dopo qualche
cambiamento?
R - Prima di venire qui avevo un grande spirito
materno verso tutto e tutti. Poi discutendo qui é venuta fuori la negatività
di quello che io ritenevo una mia caratteristica positiva. Venuta a Napoli avevo
sulle spalle mio marito che intanto faceva il pendolare, ma che dopo la trombosi
aveva bisogno di cure, mio padre che era anziano
e dispotico, perché eravamo andati a stare in casa con lui, i miei figli
ed io facevo la mamma a tutti quanti. La mamma anche delle sorelle e dei
fratelli, dei ragazzini a scuola e la mamma
delle stesse mamme dei ragazzini. Con la dottoressa ad esempio si è
visto che anche il mio rapporto con i ragazzini mi richiedeva uno sforzo enorme.
Così ho capito che non dovevo essere la mamma dei miei alunni, che non dovevo
dare principalmente affetto, che questo lo ricevevano già dalle loro mamme e a
casa loro, che dovevo invece occuparmi di
altro con loro. Così ho smesso con loro di fare la mamma che allaccia la
scarpetta, che li accompagna in bagno, che li imbocca ecc.
D - Questo era un suo atteggiamento abituale?
R - Si, poi mano a mano l'ho eliminato.
D - E come é avvenuta questa trasformazione?
R - Glielo ho detto: io andavo in crisi sempre con la
riflessione. A volte ci vedevamo anche due volte alla settimana, poi
ogni settimana, poi ogni 15 giorni, mano a mano, però ad ogni colloquio
io lo dicevo alla dottoressa che non avrei dormito per una o due notti. Perché
avviene così in questi colloqui ci si trova a parlare
senza rendersene conto e scopri cose nuove di te, cose a cui non avevi
mai pensato, o cose che non avevi mai visto in quel modo; ad esempio abbiamo
rivisto anche fatti della mia storia più antica riuscendo a vedere le cose che
non andavano.
D - durante l'intervento cambiava l'atteggiamento dei
suoi familiari?
R - Si arrabbiavano perché mi vedevano più
aggressiva; ormai avevo smesso l'aria di pecorella smarrita. Mio marito ogni
volta che dovevo venire dalla dottoressa era nervoso come se pensasse "Ora
questa torna e se la piglia con me". Infatti lui mi aizzava, mi stuzzicava;
ecco perché c'erano delle cose sbagliate in mio padre, c'erano delle cose
sbagliate in mio marito, i nostri rapporti erano per me soffocanti. Io con loro
avevo soffocato delle parti di me. Ecco questo senso di protezione e di amore
materno che avevo nei loro confronti, e che loro mi richiedevano, faceva stare
male me e non aiutava loro che diventavano sempre più egoisti, più prepotenti
nei miei confronti. Addirittura si verificavano quasi delle scene di gelosie di
mio padre verso mio marito, tensioni tra di loro, ed io stavo sempre in mezzo a
cercare di smussare e di attutire gli attriti.
D - A casa suo marito le dava una mano?
R - Mio marito mi ha sempre dato una mano, non posso
accusarlo di questo, ma una mano sbagliata, anche adesso mi ci arrabbio, ad
esempio quando torno dalla scuola e lui dice: "Ti ho messo la lavatrice in
funzione" ecco questo "ti ho messo" mi da fastidio. Invece prima
lo ringraziavo ed ero anche riconoscente. Che
significa infatti "mi hai messo la lavatrice in funzione"? La casa é
di tutti e ognuno deve fare delle cose. Queste cose io le ho sempre sapute solo
che dovevo essere buona, e mi sobbarcavo io tutti i compiti senza
protestare o senza pretendere dagli altri la loro giusta parte.
D - Cosa diceva suo marito di questo cambiamento?
R - Mio marito aveva capito che il mio vero carattere
usciva fuori allora e diceva: "Tu vuoi mettermi sotto le tue gonne, io che
ho fatto tanto per sottrarmi a mia madre". Ed io a volte quando facevo la
dura, mi sentivo in colpa, ero sempre molto combattuta. Mio padre poi
tiranneggiava nel vero senso della parola, pretendeva sempre mi che fossi vicino
a lui trascurando anche i miei figli ed io su questa cosa mi disperavo e
piangevo. La dottoressa mi spronava a sottrarmi alle sue richieste: e non sempre
ci sono riuscita. Quando si é verificata una situazione insostenibile
discutemmo qui la possibilità che mio padre andasse a stare con un altro
figlio. Noi infatti abitiamo tutti nello stesso palazzo e non sarebbe stata
oggettivamente una cosa impraticabile. Ma mio padre era morbosamente legato a me
e penso che lo avrei fatto morire di dolore. Così me lo sono tenuto in casa
anche contro il parere della dottoressa, e mi sono trovata bene dopo. Lui
infatti é morto dopo alcuni mesi e io non ho portato nessun scrupolo sulla
coscienza. Però questo significa che io non pendevo dalle labbra della
dottoressa, come a volte mi accusavano i miei familiari
D - Lei ha detto che era arrivata al punto in cui non
si riconosceva né come persona mite e sottomessa, né come persona aggressiva e
impositiva. Poi cosa ancora é cambiato, come é uscita da questa
contraddizione?
R - Poi ho avuto altre batoste. Però ho reagito in
maniera diversa. Da giugno non sono più venuta al Servizio. Poi sono venuta a
marzo dell'anno dopo, quando é morto mio padre per avere una certificazione che
mi consentiva di stare a casa per una quindicina di giorni. In quei giorni là
aspettavo la mestruazione che tardava e venire e pensavo di essere in menopausa,
invece ero incinta. Mi disperai moltissimo perché mi sembrava un ulteriore
carico di lavoro che non avrei potuto sopportare, e poi era morto mio padre da
poco e non mi sentivo nello stato d'animo adatto. D'altra parte per me era anche
impossibile abortire, per i miei
principi morali e religiosi. Così ritornai di nuovo dalla dottoressa per
discutere il problema di questa scelta. La dottoressa mi confermò i miei timori
circa la difficoltà che implicava la scelta di fare il figlio. Discutemmo anche
la possibilità di abortire, ma la cosa mi terrorizzava. La dottoressa vedeva
non drammaticamente la scelta di abortire; per me invece era proprio una cosa
impossibile da superare. Lei mi consigliò comunque di andare dal ginecologo del
consultorio per discutere dei problemi della gravidanza. Andai tremando dal
ginecologo, non sapendo ancora cosa dovevo fare, però quando lui mi chiese se
il bambino lo volevo dissi si
che lo volevo ma che lo volevo nelle condizioni fisiche migliori. Il ginecologo
mi rispose che non c'erano problemi dal punto di vista fisico e che lo potevo
fare con tranquillità senza preoccuparmi dell'età. Cosi portai avanti la
gravidanza con tutto l 'orgoglio di una donna che a 45 anni é incinta. Al terzo
mese però abortii cadendo dalle scale di casa per accorrere giù perché mio
figlio si era fatto male. La reazione che ebbi fu di disperazione, poi ho
immediatamente reagito; questo é successo a maggio scorso, da poco. Poi mi sono
ripresa e la cosa incredibile é che non ho perso il peso acquistato nei tre
mesi! Questo mi fa piacere perché sono sempre stata
sotto peso.
D - Ancor prima di cominciare a stare male aveva un
modello preciso cui fare riferimento?
R - No, un modello di donna no, io volevo solo con
tutte le mie forze vivere quello che avevo vissuto fino a poco prima del
matrimonio. Ero cioé una ragazza spensierata, con amicizie, rapporti sociali
abbastanza scorrevoli, cose che con il matrimonio, paft!, sono cambiate, come se
si fosse alzata una improvvisa barriera. Modelli non me ne mettevo davanti,
volevo solo essere me stessa con quelle cose che mi mancavano in quel periodo.
Ecco io non ritrovavo una parte di me stessa: una ragazza spensierata, amicona,
che usciva, andava al cinema, teatro, magari qualche volta a sciare; questo lo
avevo sempre fatto e non pensavo che con il matrimonio tutto ciò si sarebbe
potuto interrompere. Quindi prima dell'esaurimento diciamo che c'era stato tutto
questo che mi faceva soffrire
D - Quindi lei prima del matrimonio si sentiva una
persona realizzata?
R - Si. Però mi sento più realizzata oggi che
allora.
D - Perché?
R - Perché allora pensavo alla maternità come
esperienza che volevo assolutamente vivere. Per cui mi ero fatta il progetto che
se non avessi trovato l'uomo giusto da sposare, un figlio l'avrei fatto lo
stesso.
D - Quindi il suo modello era quello di una donna
libera, con relazioni sociali, amicizie, ma anche mamma. E pensa di averlo
realizzato?
R - Si, anche se tra mille difficoltà e comunque
oggi, che mi sento bene, più di ieri quando mi sentivo presa in trappola nel
matrimonio. Io voglio bene a mio marito ma alcune volte lo "sparerei",
però penso che questo capita in tutti i rapporti di coppia. Poi a differenza di
quando stavo ad A. oggi mi sento libera frequentare le mie amicizie, di ricevere
a casa i miei amici. Poi oggi mi sono liberata anche da un'altra cosa: prima ero
pazza per la pulizia, volevo a tutti costi far brillare la casa.
D - questo è successo durante l'intervento,?
R - lo ero ancora durante l'intervento, poi a mano a
mano mi ritrovo ora che dico: "Basta! Quello che riesco a fare,
faccio", poi è successo anche che ho dato un ruolo maggiore agli altri, ho
distribuito i compiti che facevo solo io.
D - Quindi c'é stato un cambiamento rispetto al suo
modo di svolgere le mansioni domestiche?
R - Si, sicuramente. E sono cambiata anche come mamma
soprattutto nei confronti di mia figlia. La dottoressa ha curato la bambina
attraverso di me, rivedendo con me il mio ruolo di madre
D - Qual' era il problema di sua figlia?
Il problema di mia figlia (9 anni) era che perdeva le
feci continuamente e poi quando mi avvicinavo si parava per paura delle botte.
Non é che io gliele dessi sempre, solo ogni tanto qualche sculaccione, ma lei
mi temeva, forse perché il viso che facevo era molto severo. La dottoressa mi
ha fatto vedere molte cose di questo rapporto che
non funzionavano. Io ero legatissima a questa figlia: se i due maschi si
allontanavano, a me non importava, se rimaneva mia figlia con me; se andava via
lei mi sentivo svuotata. Pur volendola sempre con me, per ogni cosa me la
prendevo con lei, ogni cosa la pretendevo da lei, non l'ho mai reputata come una
bambina della sua età, ma sempre più
grande, molto responsabile, molto precoce, matura. Con la dottoressa ho visto
quanto c'era di sbagliato nel mio atteggiamento, e man mano che cambiavo
diminuiva la reazione di mia figlia. Adesso e quasi del tutto scomparsa la
perdita di feci , solo raramente capita qualche volta.
D - E' cambiato allora il suo rapporto con la
bambina?
R - Adesso suddivido i compiti tra tutti e tre i
bambini, non pretendo che sia lei a fare i letti dei fratelli. Prima c'era stato
anche il fatto che il ragazzo più grande (13 anni) da piccolo é stato molto
malato e quindi lo abbiamo iperprotetto a svantaggio degli altri
e soprattutto della femmina. Oggi mia figlia non si fa più imporre le
cose e se sono io che qualche volte derogo e le chiedo di fare dei servizi al
posto dei maschi é lei che dice: "No mamma, non é giusto che lo
faccio", ed io questa volta non mi arrabbio e lascio perdere, lascio che se
la vedano tra loro. Mi ha aiutato anche il fatto che io oggi do meno valore alla
pulizia per cui non mi arrabbio più come in passato per i letti non fatti al
momento giusto. Certo il mio cambiamento é stato graduale. Ora, parlando con
voi e facendo questo resoconto della mia vita mi rendo maggiormente conto che ho raggiunto dei traguardi importanti.
D - Signora, le volevo chiedere un'altra cosa: prima
di stare cosi male ad A., le é mai capitato di stare male anche in precedenza?
R.- No, no.
D - E' sempre stata bene?
R - Stata sempre bene perché sono stata sempre me
stessa. Il mio temperamento era questo: estroversa, e quindi non c'era niente
che mi impediva di essere quello che ero.
D - Non è mai stata in contraddizione con se stessa?
E quindi non si é mai sentita diversa da quello che avrebbe desiderato essere?
R - Si, in contraddizione con me stessa lo sono stata
e penso che lo siamo un pò tutti. Ecco per esempio io ero in contraddizione con
miei principi morali e religiosi: cercavo di essere perfetta, di essere buona,
onesta, volevo essere così ma non sempre ci riuscivo. Era una lotta con me
stessa per essere più buona, più disponibile con gli altri.
D - Quando non ci riusciva a cosa o a chi attribuiva
il fallimento?
R - Alla mia debolezza. Perché gli altri - mi dicevo
- ci riescono ed io no? Poi mi ricaricavo di nuovo da sola. Quindi anche se
c'era questa lotta, pure se a volte ero delusa di me stessa, sempre però
riuscivo a ricaricarmi e ad avere fiducia di farcela.
D - Il suo progetto di vita, quello di sposarsi e di
lavorare era condiviso dai suoi familiari?
R - Si.
Mia madre é morta desiderando che io mi sposassi. Eppure qui ci sarebbero da
dire tante cose che la dottoressa conosce bene! Mamma dopo 15 mesi che io ero
nata rimase paralizzata dall'artrosi deformante, é stata poi per 27 anni su una
sedia a rotelle. Lei soffriva terribilmente ed io ero terrorizzata da quella sua
malattia perché gridava notte e giorno ed io avevo paura che morisse. Questa
figura di mia madre mi ha proprio coperta tutta: io la vedevo così sofferente
eppure forte. Quando ho passato quel periodo ad A. e mi sentivo così debole,
così incapace di reagire, io mi vergognavo anche nei confronti di mia madre
morta perché mi confrontavo con lei e con il fatto che lei pur con quelle
sofferenze, pur stando su una sedia, non se la faceva fare da nessuno, metteva
anzi paura sia a noi familiari che le altre persone. Lei aveva proprio una
personalità molto forte ed una
volontà di ferro, primeggiava in famiglia e anche fuori.
D - Qualche volta non ha provato senso di colpa nei
confronti di una madre cosi malata?
R - Il senso di colpa io non l'ho avuto nei confronti
di mia madre, ma di mia sorella, e questa è un'altra cosa ancora. Mia madre
prima che si ammalasse, prima che io nascessi, aveva già questa forma di
artrite, aveva un solo bambino e i medici le avevano sconsigliato un'altra
maternità, cosi mamma adottò una bambina. Poi dopo cinque
anni rimase incinta e i medici volevano assolutamente che lei abortisse,
ma lei che per motivi religiosi era contraria all'aborto, preferì portare
avanti la gravidanza pur sapendo quello a cui andava incontro. Molte volte
quando la vedevo soffrire pensavo:" Ah se non fossi nata..!" Lei
comunque mi ha sempre detto:" Figlia mia con te ho avuto più gioie che dolori e se dovessi ricominciare lo farei di
nuovo".
D - Si é portata un bel peso!
R - Si,si. Comunque il senso di colpa non l'ho avuto
verso mia madre, ma verso mia sorella. Quando mia madre si ammalò io avevo
quindici mesi e lei sette anni, era l'unica donna in casa, mio padre lavorava
all'esattoria comunale, e a lei é toccato occuparsi di mia madre. Faceva tutto
lei, non é andata a scuola, se lei mancava anche per cinque minuti mia madre
stava male. In casa si sono avute donne di servizio ma non andavano d'accordo
con mia madre, poi rubavano in casa per cui poi non è più venuto nessuno e si
é occupata di tutto mia sorella. Gli altri l'hanno sempre vista come la
servetta di casa, e questo mi
faceva soffrire molto. Poi il senso di colpa l'hanno ingigantito gli altri:
" E si capisce tu sei la figlia, quella che ha studiato!" invece
l'altra agli occhi degli altri non era la figlia perché stava in casa,
analfabeta, vicino a mia madre. Poi dicevano: "Certo tu sei libera, puoi
uscire, andare di qua e di là e tua sorella invece sta sempre in casa". Mi
hanno massacrata con questi discorsi con questi confronti, e ancora oggi li
fanno. Mia sorella , un anno fa, dopo essersi sposata tardi, ha perso il marito,
e la gente:" Sempre la sfortuna perseguita questa poveretta". E che c'é
voluto di lavoro con la dottoressa per liberarmi di questo senso di colpa.
D - Come è successo?
R - La
dottoressa mi ha fatto vedere come stavano realmente le cose. Io non avevo colpa
di niente, avevo quindici mesi, e poi quando sono cresciuta ho trovato questa
situazione già bell'e fatta. Mia
madre e mia sorella avevano tra loro un grosso legame di complicità, c'era una
unione in cui non facevano entrare gli altri. Loro decisero che io dovevo
studiare e andare a lavorare (facevo le due cose contemporaneamente).
Non certo, o non solo per avvantaggiare me ma per mettere da parte i
soldi. Quando mi ammalai e mi ritirai da scuola ricamavo e vendevo i ricami, mia
sorella diceva: "Tu non devi fare i servizi in casa, a questi ci penso io,
- e infatti non mi permetteva di toccare neanche uno spillo in casa - tu devi
ricamare, ricamando guadagni, guadagnando tu, papà può costruire una casa e
così un domani io avrò la casa mia". La gente vedeva invece solo il fatto
che io uscivo di casa. Ma io uscivo solo per guadagnare. Prima uscivo per
imparare il ricamo, poi per consegnare il ricamo.
Mia madre e mia sorella mi impedivano letteralmente di occuparmi della
casa perché sottraevo il tempo al ricamo. Poi dopo ho voluto riprendere
a studiare e mi sono diplomata, ma ho dovuto sempre lavorare e quindi facevo il
doposcuola a casa, lezioni private, e lezioni presso una scuola privata e in più
anche il ricamo. Poi ciò che guadagnavo lo amministrava mia sorella a cui
consegnavo tutto e loro mi davano quello di cui avevo bisogno (sempre molto
poco). Certo loro avevano delle premure per me: avevo la fetta di carne, la
frutta, le cose migliori, mentre loro preferivano fare economie perché dovevo
costruire la casa, io invece che dovevo tirare avanti il carro ero trattata
bene. La dottoressa mi ha fatto vedere la situazione: prima io pensavo di essere
una privilegiata, vedevo le cose con gli occhi della gente dopo ho capito,
rianalizzando la situazione, che loro avevano un progetto su di me: quello di
farmi lavorare. In effetti io ero
tenuta sempre all'oscuro dei loro piani, la gestione dei soldi non l'avevo io,
in effetti mia sorella godeva maggiormente della fiducia di mia madre: era una
sua complice.
D - E adesso il problema con sua sorella é risolto?
R - Si, si é risolto. Oggi le sono vicina senza
più strafare per compensarla di qualcosa. Oggi riesco a vedere
chiaramente come stanno le cose. Solo quando sono più stanca o più stressata
capita che mi assale il senso di colpa, però poi riacquisto subito la mia
obiettività e continuo ricaricata
per la mia strada.