Dall'autonomia alla dipendenza, dall'avere al dare:
il nodo dello sviluppo femminile
Relazione al convegno "Educare
ad essere donne e uomini "
Provincia di Grosseto, novembre 1996
il disegno è di Eleonora Chiti
1.
La dipendenza di cui parliamo oggi
Il problema della dipendenza[i],
di cui oggi parliamo ha estrema importanza nel lavoro clinico che svolgiamo con
le donne a Napoli , nel Servizio di Salute Mentale della ASL Napoli 1;
il nostro lavoro clinico, di noi gruppo di psicologhe,
inizia nel 1981 e si é rivolto a circa 4.000 donne, che hanno presentato
in questi anni disagi grandi e piccoli, situazioni di crisi e di cronicità. In
questo lavoro dunque e soprattutto nei percorsi terapeutici che abbiamo
delineato con le nostre pazienti, -
percorsi che consistono nel portare la donna fuori dal sintomo, dal disagio
come malattia, per affrontare i problemi del
suo quotidiano - abbiamo incontrato due nodi: la dipendenza dalla madre e la
dipendenza dall'uomo.
Non parleremo qui della dipendenza dalla madre,
perché é un tema che abbiamo
tante volte affrontato, in diversi sedi e dibattiti, ma vogliamo focalizzare il
discorso prima della dipendenza in generale e poi della dipendenza dall'uomo
come genere altro .
La dipendenza é un concetto ampio
che ha tanti significati storici, epistemologici, psicologici, filosofici,
noi tra questi abbiamo
considerato un significato collegato alla vita quotidiana. Abbiamo così
analizzato il meccanismo attuale, concreto attraverso cui si forma ogni giorno
la dipendenza di una persona dall'altra e l'abbiamo denominata strategia della
svalutazione e della svalorizzazione. La dipendenza cioé nasce da un processo
di inferiorizzazione che investe una persona, un genere nel complesso delle sue
funzioni, attività, capacità. La dipendenza può avere un fondamento reale o
"immaginario". E' reale se ad essa corrisponde un reale stato di minorità
socio-psico-fisica, é immaginario quando in
realtà questo stato non esiste.
Ma ecco che il riferimento in questi termini alla dipendenza
sottende un concetto negativo di dipendenza , una idea e pratica della
dipendenza che crea disagio e sofferenza: sentirsi
legati, essere bisognosi di legame e sperimentare in questo la svalutazione.
E di questi rapporti svalutanti troviamo tracce in tutte le
storie delle donne che vengono in
psicoterapia al nostro Servizio di
Salute Mentale: si tratta in genere di vissuti di disistima relativi ai rapporti
di dipendenza dalla madre e dall'uomo. Questi due vissuti e legami di dipendenza
abbiamo capito che hanno radici storiche
diverse. Come terapeute abbiamo
avuta molta difficoltà a individuare e sciogliere
i nodi della dipendenza nei percorsi di formazione del disagio e della
malattia delle donne che si sono rivolte a noi: ma il nodo più difficile é
stato ed é il nodo del rapporto di dipendenza dall'uomo.
Ci siamo interrogate a lungo su questa pratica della dipendenza e per
comprendere una serie di legami abbiamo dovuto suddividere il concetto di
dipendenza in più concetti, ciascuno con un proprio ambito di significato.
Il primo significato della dipendenza é quello di
una dipendenza bilaterale,
su cui si fonda lo sviluppo della società umana, la dipendenza positiva
dell'interscambio tra individui paritari portatori di competenze e risorse
diverse.
Un secondo significato della dipendenza é la dipendenza
unilaterale caratterizzata dall situazione seguente: vi é
uno che non ha o presume di non avere (capacità, risorse) e uno che ha o
dice di avere (capacità e risorse). In
questo secondo ambito si sviluppa
il concetto della dipendenza era e
propria: come rapporto tra individui diseguali che non hanno condizioni di parità
nello scambio.
2.
Il paradosso della donna sana e malata
Lasciamo per un momento
la dipendenza e passiamo al secondo ragionamento.
Vorrei portare la
vostra attenzione sul paradosso insito nei concetti di donna sana e malata
psichicamente. Il paradosso vuole che i medesimi aspetti e modalità di essere
della donna siano ora giudicati sani ora giudicati patologici dalla psichiatria.
A questo proposito vi leggo da Arieti (Manuale di psichiatria) una citazione
sulla depressione grave e lieve: "Un tipo che si associa alla
depressione é caratterizzato dalla necessità di piacere agli altri e di agire
secondo le aspettative altrui, é incapace di entrare in contatto con se stesso,
non ascolta i propri desideri, non conosce che cosa significhi essere se stesso,
quando una sensazione di infelicità, di mancanza di gioia tende a credere che
sia colpa degli altri".[ii]
Ecco a confronto vi presento un lucido che
rappresenta i contenuti del ruolo sessuale femminile
ovvero della normale estrinsecazione della identità
femminile nella maternità: "fare per altri come fare per sé;
con-fusione tra ciò che spetta agli altri e ciò che spetta a me; essere al
servizio degli altri; svalutare le proprie capacità; disconoscere le proprie
competenze, esse sono d'intralcio all'attendere alla soddisfazione delle
esigenze altrui; farsi carico di tutto con gioia, considerando stanchezza e noia
come illegittime" .
Come potete vedere i contenuti del ruolo femminile
si sovrappongono in gran parte a quegli aspetti della personalità umana che la
psichiatria associa alla patologia depressiva. Su questo paradosso bisogna
riflettere.
3.
La dipendenza unilaterale
Mentre riflettiamo passiamo ad un altro lucido
ancora sulla dipendenza, su quella dipendenza che abbiamo definito unilaterale,
e valutiamo i contenuti di questa dipendenza per la donna.
la
donna é rappresentata socialmente come carente sul piano fisico (la forza)
sessuale (la mancanza di un organo con capacità penetrativa), intellettuale
(carenza delle capacità di astrazione) sul piano produttivo (scarsamente
rappresentata nelle professioni e nelle carriere); al contrario é ricca di
emotività e di capacità di accogliere i bisogni degli
altri; per queste carenze ha bisogno di un tutor come mediatore del suo
rapporto con il sociale, per la sua ricchezza ha bisogno degli altri come
oggetti necessitati su cui riversare il suo bisogno emotivo.
Le carenze e la ricchezza
portano ugualmente la donna a sviluppare rapporti di dipendenza.
Di fronte a quest'altro paradosso abbiamo dovuto
ulteriormente dividere il concetto di dipendenza in due: una dipendenza da
carenza, o in termini economici da sottoproduzione ed una dipendenza da
ricchezza o sovraproduzione.
La
dipendenza da sovraproduzione é rappresentata
nel lavoro di cura. La donna nella cura é ricca di risorse , di
competenze é ricca di abilità; la vita quotidiana l'arricchisce di saperi.
Di che cosa é povera, carente però? di fini,
di finalità.
Il suo agire non é
rivolto a sé, le competenze di cui é ricca, paradossalmente non
l'arricchiscono perché sono rivolte ad altri. E' ricca di risorse quindi, ha la
proprietà delle risorse, ma non dei fini.
L'altra
dipendenza che la vuole invece priva di
risorse attiene al
mondo produttivo non a quello della cura.
Nel mondo produttivo la donna é rappresentata
debole, priva di risorse, bisognosa di tutela e protezione. Se guardiamo
alla storia delle donne nel sociale e nella produzione,
vediamo che le donne ci sono, sono presenti e
lavorano, sono produttive, ma non hanno le carte in regola: per loro ci
sarà sempre un uomo di cui aver bisogno che ha più competenza, capacità,
potere.
In questo secondo caso la dipendenza é dalle
risorse e competenze altrui (dall'uomo) e non dai fini altrui. il fine infatti
é la realizzazione di sé, ma lo strumento per realizzarlo non le
appartiene : é la cura (protezione, interesse, valore, ecc.) che può darle
l'uomo.
4.
Il chiarimento del paradosso
Se ora torniamo al discorso del
tipo di personalità che é
associato alla depressione (cfr.
Arieti) e alla normalità del ruolo femminile, possiamo finalmente capire cosa
in realtà significhi che le donne siano, con
il loro carattere dipendente, al tempo stesso sane e malate.
Quando la donna va dallo psichiatra, perché sta male denuncia la perdita
dell'autonomia, di non saper fare più le cose che faceva prima, dove le cose
che faceva prima erano in primo luogo attinenti al lavoro di cura con le sue
competenze, e in secondo luogo
attinenti anche al sociale (non ho voglia più
di stare con gli altri), al lavoro professionale (non mi piace più
andare a lavorare, mi stanca, ecc.) visti comunque come secondari e vissuti come
prolungamento ed appendice del primo.
La perdita di autonomia di cui la donna parla e che
la psichiatria giudica come patologica é l'autonomia nel lavoro di cura,
l'autonomia delle risorse e delle competenze; é quella che noi abbiamo chiamata
dipendenza dai fini altrui;
Questa autonomia é l'unica che interessa il
sociale e sui la scienza psichiatrica si é soffermata: essa é infatti utile
agli altri, regge l'istituzione familiare e fornisce un servizio.
Poco importa sapere che la donna perde questa
autonomia proprio perché é scollata dall'autonomia dei fini, proprio perché
definire il proprio lavoro sulla base dei bisogni altrui
significa non avere alcun potere di controllo su di esso ed in ultima
analisi essere soggetta ad un potente fattore di stress psico-fisico.[iii]
L'altro tipo di dipendenza (dipendenza dalle
risorse altrui) invece non viene
portato all'attenzione dello psichiatra; la
psichiatria tradizionale non presta
attenzione alla percezione della
donna di essere carente nel
sociale, e di dipendere dall'uomo
come da colui che protegge e media il rapporto con l'esterno.
Ecco che si saldano i discorsi ed i paradossi
trovano una spiegazione quando si va ad aprire
il concetto di dipendenza e si diversificano, concretizzandoli
alla luce della vita quotidiana,
i suoi vari significati.
5.
Il nodo della dipendenza dall'uomo
Se la donna non vi presta attenzione , se la psichiatria la considera
normale, noi abbiamo trovato
in questa pratica della dipendenza lo scoglio maggiore e più insidioso del
rapporto terapeutico con le donne.
Quando la donna si percepisce inautonoma e
impotente lo é perché non riesce più a svolgere il ruolo di chi soddisfa
i bisogni altrui; la donna in questa percezione
ha davanti a sé l'idea di poter fare tutto
correlata a un modello una madre potente da imitare o di
una madre a sua volta impotente da cui diversificarsi.
Il nodo di questa dipendenza e il rapporto
con una madre percepita come debole o forte é sotto gli occhi e più
facilmente viene affrontato e
risolto. Tra la figlia e la madre intercorrono storie parallele, destini simili, dipendenze
confrontabili.
Più insidioso é il rapporto con l'uomo, più
difficilmente denunciabile come rapporto patologico.
Dovremmo esplorare ora i vissuti delle donne
rispetto a questa rappresentazione sociale della loro debolezza.
Se la donna non ha proprietà del fine nel lavoro
di cura, ma mette le sue risorse al servizio del benessere altrui; ha un
progetto di ricambio che in qualche modo il sociale legittima attraverso l'idea
della protezione maschile: che un altro cioé ponga al centro delle sue azioni e
delle sue risorse la donna come
fine: questo altro é l'uomo.
La donna dice
a se stessa: "io curo i figli in quanto madre e in questo
realizzo un dovere compreso
nel mio ruolo naturale di madre; io curo l'uomo, per lui mi occupo della cura
quotidiana della casa, dei figli, non come fatto naturale ma per un implicito
patto: a lui
tocca dare in cambio protezione, cura e amore".
Nel percorso di formazione del disagio, quando la
donna rivolge una richiesta di aiuto, porta una storia di dedizione familiare,
di cura di altri, di sovraccarico, di un sistema fondato su una situazione di
stress personale a lungo tollerata che va in crisi solo quando a tutto ciò si
aggiunge lo scacco dell'idea di
scambio con l'uomo; solo quando cioé,
impatta con l'esperienza evidente di non essere stata ricambiata, di non
aver avuto le cure e l'amore di un uomo.
In questo punto si annida la crisi più sottile:
molte volte la donna tollera non solo il lavoro materiale, ma spesso anche le
percosse e le violenze, proprio perché questo patto
nella sua testa ha vigore e validità.
Ma il patto non
é scritto, non é assunto bilateralmente: la dipendenza non é
riconosciuta come bilaterale é attiene ad uno scambio tra cose poste
socialmente come diseguali.
Difficilmente
questo tipo di patto regge e sempre più difficilmente si realizza una
"dipendenza felice" .
Sono sempre di più le donne casalinghe e lavoratrici che
arrivano al servizio con l'esperienza dello scacco.
Questa esperienza é ancora più marcata quanto più la donna ha
sacrificato parti di sé nella cura degli altri (sovraccarico familiare); e
quanto più nella sua storia di vita si é iscritta una esperienza precedente di
cure familiari anche in epoca infantile ed adolescenziale[iv].
Una ulteriore esplicitazione dello scambio tra uomo e donna e del
suo carattere non paritario lo ritroviamo nell'analisi più dettagliata
dei valori sociali di quanto é
scambiato.
La donna nella cura familiare non controlla
direttamente l'azione che fa: svolge un compito, una funzione il cui fine
non implicito nel prodotto della sua azione ma é fuori dell'azione
produttiva: é il gradimento, il benessere di altri, in particolare di un altro,
l'uomo, che giudica e dà valore a quell'azione.
Al contrario, l'uomo che dovrebbe dare protezione
sociale alla donna non può essere giudicato dalla donna stessa: le
funzioni di protezione della donna ruolo di lavoratore. Le funzioni
connesse con il ruolo di lavoratore
sono giudicate altrove e non passano per il giudizio della donna che ne riceve
gli effetti solo in termini di risorse materiali.
L'uomo é dentro casa e giudica il processo
produttivo della donna (i tempi i luoghi ecc.)
e i suoi prodotti,
anzi di più, quel processo produttivo e quel prodotto hanno consistenza ed
apparenza solo se graditi; solo se graditi il lavoro di cura é stato svolto, se
sgraditi il lavoro di cura non solo é stato svolto male ma non ha avuto
alcuna consistenza. Solo il lavoro di cura,
comprende un duplice
criterio: quello dell'accudimento
materiale, del fare, del quanto si
fa ma anche ma anche del
come si fa, di quale attenzione e disponibilità si connette al fare.
La donna, con questa esperienza del lavoro di cura,
della connessione "tra fare
materiale e fare psicologico" tenderebbe a chiedere anche alla funzione
della protezione maschile un
contenuto psicologico: ad esempio 'le coccole, l'aiuto, la
comprensione". Su questo tema "delle coccole" rinvio al caso
emblematico di una donna di cui ho
parlato al seminario dell'UDI su
"Disagio, solitudine e pensiero della differenza", tenutosi
a Ferrara nell'89[v].
Questo tentativo, "di ottenere le coccole" rimane
sempre e solo una proiezione
della funzione femminile sulla funzione maschile, ed é in genere anch'essa
destinata allo scacco.
Un'altra differenza che rende lo scambio diseguale e non paritario é la
diversa modalità di dispendio di risorse tra uomo e donna. Nel lavoro di cura
la donna aliena da sé e spende le proprie risorse messe al servizio degli
altri senza ritorno economico (denaro) e senza ritorno affettivo e psicologico
(altri che le diano la cura). L'uomo al contrario in famiglia ha la
"cura", o comunque ha il diritto alla cura senza mettere in gioco
le risorse personali ; nel pubblico spende le risorse personali al tempo
stesso per portare avanti la
famiglia, e soddisfare così i suoi compiti di ruolo, ma anche per se stesso:
carriera, affermazione , potere economico ecc.
Quanto ciò corrisponda alla verità lo si può
desumere dagli atteggiamenti diversi di uomini e donne rispetto al salario: le
donne hanno difficoltà a spenderlo per sé; gli uomini ricomprendono nel
salario familiare prodotto da loro i loro bisogni, o in modo separato o
facendoli passare come bisogni del nucleo.
Tutto ciò crea
più frequentemente le premesse per uno scambio infelice e per una
dipendenza di tipo unilaterale.
Abbiamo
messo sul tappeto una serie di questioni per giungere alla comprensione di come
questo patto sia "infame " solo per la donna, e come
sia necessario per la donna, che vuole uscire dal malessere e
che ha fatto l'esperienza
dello scacco, invalidarlo.
Come si denuncia e si disfa il patto con l'uomo?
Semplicemente ritirando la propria adesione,
considerando che il patto é fallimentare e bugiardo perché promette alla donna
cose che poi non
dà , perché sovraccarica esclusivamente la donna e la porta a punti di
rottura psicologica con frequenti break down psichici.
Ritirare la propria adesione significa prendersi
cura di sé senza più delegarla agli altri e senza pretendere di
ottenerla da altri. Significa non attendere agli interessi altrui senza
veicolare anche il proprio interesse, significa
pensare se stessa prima e mentre si pensa ad altri, pesare
le richieste di cura che
provengono dagli altri riflettendo
che non vi saranno altri che scambieranno ,
se non lo facciamo noi, la cura di noi stesse.
6.
La cura di sè
Sulla cura di sé e sulla sua importanza ci dobbiamo soffermare
riandando con il pensiero al mondo greco e a Michel Foucault,
che negli ultimi scritti "L'uso dei piaceri" e "La cura di
sé"[vi]
lo ha riproposto alla nostra
attenzione. Amo ricordare Foucault
perché ha attuato un cambiamento
importante nella sua metodologia di storico: dal saggio "Storia della
follia"[vii]
in cui parlava dell'internamento manicomiale dei primi anni del secolo XIX,
senza differenziare la condizione femminile e maschile e occultando la realtà
di un internamento asilare che ha visto come protagonisti 8.OOO tra donne e
bambini; alla trilogia della Storia della sessualità in cui riflette sulla
necessità di differenziare metodologicamente
la storia degli uomini e delle
donne in modo da decifrare meglio
la realtà storica.
La cura é un concetto del mondo greco, esso
"si riferisce alle attività sociali , ovviamente maschili, delineandone il
risvolto soggettivo, l'interesse l'attenzione il desiderio che accompagnano
l'individuo nello svolgimento complessivo dei suoi compiti e delle sue
occupazioni".
la
cura rappresenta sia l'attenzione al mondo esterno, la cura degli altri, degli
ospiti, dei malati, degli dei, sia l'attenzione a se stesso, la cura di sé.
La
cura non é quindi un contenuto, un fatto, un compito legato al ruolo femminile
o maschile come nell'antica Grecia, é
un atteggiamento, un modo di essere nelle occupazioni e nei compiti verso gli
altri, e soprattutto verso di sé. La cura degli altri senza la cura di sé
diviene asservimento, servizio, non attiene all'uomo o alla donna libera
ma allo schiavo.
Nella condizione femminile la cura degli altri é
stata privata depauperata dalla cura di sé ed é divenuto servizio,
asservimento alle esigenze altrui.
Rimettere al centro delle proprie azioni la cura di
sé, occuparsi di sé, mentre si attende alle occupazioni quotidiane che
prevedono anche gli altri, é in qualche modo la chiave di uscita da
quella che abbiamo visto configurarsi come dipendenza infelice.
Ma abbiamo ancora due elementi da sottolineare che
possono costituire un rinforzo alla
donna sulla strada del ritiro della delega all'uomo ad occuparsi di lei.
La donna ha una competenza nella cura
che gli uomini non hanno. Questa competenza é
costituita non solo dal fare ma dal fare con amore, desiderio,
partecipazione, rispetto dell'altro. La cura é l'atteggiamento materno di chi
si occupa, mentre fa una cosa, dei suoi effetti, di chi tiene conto del processo
complessivo di un'azione, degli
strumenti e dei fini, dello 'stato di salute e di benessere'
sia dei fini che degli
strumenti, evitando danneggiamenti e sprechi.
Attraverso la cura la donna possiede un rapporto
privilegiato con il mondo: possiede un patrimonio di conoscenza e di saperi capace di astrazione e generalizzazione ma che
nel processo di astrazione non perde mai il rapporto con il concreto, con le
cose quotidiane. Ha capacità di conoscenza ma conosce anche con i cinque sensi
e non solo con il cervello; lega i processi affettivi con quelli conoscitivi e
ha padronanza degli uni e degli altri. Può riflettere in solitudine ma anche
nel mentre agisce, può fare molte cose ed attendere a più cose
contemporaneamente, portando a sintesi una molteplicità di input che le
provengono dal mondo esterno.
Di questa competenza c'é oggi grande necessità, basta guardare
al mercato e al perché é in crisi.
La crisi della produzione e la contraddizione che si é venuta a creare
tra produzione e malessere socio-ambientale rende difficile l'accesso al mercato
di prodotti che non siano in sintonia con le persone e con l'ambiente, che non
ne rispettino le esigenze , che al minimo coincidono
con quelle della sopravvivenza.
Oggi non é più sufficiente
produrre oggetti, bisogna creare una relazione tra l'oggetto e il fruitore, o
meglio bisogna produrre oggetti che siano in una relazione positiva con il
fruitore. Questa relazione positiva é a vari livelli: estetica di immagine, di
conforto e di utilità soggettiva, inserita
nell'ambiente circostante perché non si traduca in disconforto e danno,
tecnicamente adatta allo scopo, di costo contenuto, con un rapporto
costi- beneficio francamente spostato sull'asse benefici, con effetti
positivi a largo raggio.
Si assiste così nel mercato ad una nuova
ricerca : quella di forme di produzione sintoniche con l'ambiente che
propongano modelli non di sfruttamento delle risorse umane ma di potenziamento
di queste, che combattano gli sprechi delle risorse umane e naturali, che siano
anti- stress, e cioé evitino il crearsi di pesi e carichi per i lavoratori, che
siano innovative sul piano delle professionalità e dei modi di produzione; ecc.
A
nostro parere, assistiamo oggi, al
tentativo inconsapevole di reinserire nel lavoro di mercato, imprenditoriale, e
nel lavoro dei servizi il concetto di cura come antidoto allo spreco economico e
di risorse, allo sfruttamento intensivo di beni, al disastro e all'inquinamento
ambientale, ecc.
In
questo mutamento di prospettiva e si sviluppo del mercato ,la donna
si ritrova a essere portatrice
di un nuovo valore : la cura.
Ma perché questo
valore e competenza per tanti anni nelle
mani delle donne costituisca
anche una valorizzazione del mondo femminile, la donna deve poter inserire se
stessa nell'attività di cura porre se stessa come oggetto di una tale attività.
Il modello della cura che la donna possiede ha
finora escluso proprie le donne
dalla fruizione dell'attività di cura; la donna ha escluso se stessa, pensando
che occuparsi di se stessa, non fosse gratificante, e non avesse valore
simile al valore che ha occuparsi degli altri e che siano altri
ad occuparsi di lei.
7.
Dall'autonomia alla dipendenza, dall'avere al dare
Ed ora l'ultimo
ragionamento per svelare l'arcano della cura di sé, cura degli altri,
della dipendenza e dell'autonomia, e per ritornare proprio nell'ultima parte del
nostro discorso al titolo della relazione 'dall'autonomia alla dipendenza,
dall'avere al dare".
In effetti non ci si può occupare degli altri, se prima non ci si é
occupati di se stessi.
La strana dipendenza della donna: la dipendenza dai fini
ma non dalle risorse la dice lunga sul come le donne siano state
imbrogliate su se stesse e sulle loro capacità.
Quando all'inizio abbiamo parlato della dipendenza
unilaterale di quella dipendenza in cui non si hanno o si presume di non avere
risorse e capacità, volevamo sottolineare
che presumere non vuol dire non avere, ma vuol dire
anche ritenere erroneamente, o essere state tratte in errore. E le donne
sono state tratte in errore sulle
proprie capacità: la strana dipendenza che le vuole ricche di risorse ma povere
di fini, che le vuole attente alla cura degli altri ma incapaci della cura di sé,
bisognose nel sociale di un tutor, la dice lunga sull'imbroglio sociale che ci
coinvolge costantemente.
Ditemi come é possibile infine essere capaci di
occuparsi degli altri e non di se stessi? é impossibile sul piano logico che
fattuale!
E allora vuol dire che se le donne sanno occuparsi
degli altri é perché sono state prima allenate ad occuparsi di sé, perché
conoscono la cura di sé e poi evidentemente ne sono state espropriate o
l'hanno dovuta abbandonare.
Se ritroviamo che e donne sono anche capaci di occuparsi di sé perché
lo hanno già fatto, il ritorno
alla cura di sé, come antidoto al malessere, allo scacco, alla dipendenza
infelice non é una creazione ex novo, una incognita che può dare ansia e
angoscia, ma un qualcosa di già sperimentato e conosciuto.
Terminiamo quindi questo
lungo discorso a tappe, guardando indietro
all'infanzia della donna.
Le donne nella loro infanzia hanno
una storia comune di acquisizione precoce di autonomia e capacità che
riguardano l'attenzione su di sé le proprie funzioni, la capacità di
orientarsi nel mondo.
Alle bambine in genere viene offerta prima che ai
maschi la possibilità di occuparsi da sole di sé. Prima dei maschi parlano,
camminano, si orientano tra le cose pratiche del mondo, prima conoscono e fanno
esperienze. Le madri sono
orientate, in un rapporto fiduciario che si instaura con chi é simile e vicino,
a dare maggiore e più precoce autonomia alle figlie femmine, le orientano
precocemente alla cura di sé. Questo atteggiamento,
interpretato spesso come abbandonico da parte delle madri,
é messo sotto accusa come
responsabile di una serie di disagi psichici: la bambina
che non ha avuto sufficienti cure materne é in genere più vulnerabile
alla depressione. Studi sulle madri indicano che le bambine sono oggetto di
minor cure materne rispetto ai bambini e sono più precocemente avviate ad
esperienze di autonomia personale.
Se confrontiamo l'esperienza delle bambine avviate
più precocemente all'autonomia, senza caricare
questa esperienza di altri risvolti - che possono anche determinarsi come
violenza, maltrattamento, abbandono, ma che ovviamente non sono comprese
in questo concetto di avvio precoce all'autonomia personale -,
e le teorie
di Piaget e sullo sviluppo dell'intelligenza da Piaget a Vygotsky,
vediamo che l'intelligenza va di pari passo con l'esplorazione personale ed
autonoma del mondo esterno, con la motricità e la padronanza delle proprie
funzioni. Certo la madre dà autonomia alla figlia femmina piuttosto che al
maschio quando deve alleggerire il personale sovraccarico, ma questa operazione
non é di svantaggio per la bambina.
Accade invece dopo, nella seconda infanzia e alle
soglie dell'adolescenza, un altro fatto
che si ripete nella storia delle donne e che priva le bambine di questa
fondamentale, ricca e positiva esperienza di autonomia e cura di sé.
In questa seconda fase in genere succede che alla
bambina che intanto ha affinato le sue capacità, sa fare tante cose, é
responsabile di se stessa, si chieda di fare le cose che fa per sé anche per un
altro, un fratello ad esempio, o in genere per aiutare
altri nell'espletamento delle loro funzioni funzioni.
E' qui proprio che inizia il passaggio
dall'autonomia alla dipendenza, dalla libertà all'asservimento.
Nel fare per altri, la bambina perde il rapporto di
certezza con se stessa, subentra il conflitto tra il fare per sé ed il fare per
altri. La storia dell'adolescenza femminile, che qui non possiamo fare, é la
storia della perdita di una capacità femminile, quella della autonomia e della
cura di sé.
Questa
perdita é segnalata in tutte le teorie dello sviluppo femminile , ma ad esempio
se guardiano alla teoria freudiana la perdita é rappresentata come perdita dello "status maschile":
la rinuncia alla sessualità clitoridea infantile, attiva e maschile e
l'ingresso nella sessualità vaginale adulta, passiva e femminile.
Nel rapporto con i coetanei le bambine vivono
l'esperienza del sorpasso: vi sono ricerche condotte sull'apprendimento della matematica nelle
classi elementari e sulle differenze tra maschi e femmine che
ci possono illuminare sul valore della perdita dell'autonomia. I
ricercatori hanno rilevato che nelle prime classi elementari le femmine sono più
avanti nell'apprendimento matematico, ma nelle V classi la situazione si
capovolge ed i maschi diventano
più competenti e raggiungono
migliori risultati.
I bambini quindi ad un certo punto diventano più
competenti, come mai?
Le femmine subiscono intorno a questa età l'esperienza oserei dire della "soma" sono caricate di responsabilità che riguardano gli altri e da queste appesantite e rese più lente. Anzi potremo dire che le loro capacità acquisite per prime rispetto ai maschi da ora in poi saranno spese a favore dei percorsi di auto-affermazione degli altri, ed in particolare dei maschi. E con questo, penso che a tutti e a tutte risulti ora evidente come sia possibile che il soggetto donna, inizialmente ricco di capacità e di competenza all'autonomia, sia poi indirizzato a spendere il proprio patrimonio per gli altri, risultando alla fine povero, deprivato e bisognoso.
[i] Il tema della dipendenza è stato trattato al Congresso Nazionale della Società degli Psicologi Italiani, a San Marino, 1991 nella relazione di Elvira Reale: Modelli culturali e rappresentazioni soggettive della dipendenza: un nodo del processo trasformativo nella pratica terapeutica femminile.
[ii] 1 S. Arieti, j. Bemporad, La depressione grande e lieve, Milano, Feltrinelli, 1981.
[iii]1 Il nostro Dipartimento Salute Mentale della Donna, come Unità Operativa del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha svolto dal 1992 ad oggi, nell'ambito del Progetto Finalizzato 'Prevenzione e Cura dei Fattori di Malattia', una ricerca su: Stress e vita quotidiana femminile.
[iv] Queste cure in epoca adolescenziale sono aggravate dal fatto che in genere hanno come contenuto associato ad altri il supporto a una madre sofferente per la relazione con il marito-partner. Da questa funzione due sono gli esiti: un modello di relazione di coppia ancor più mitizzata ed idealizzata con un ipercarico della figura maschile; oppure una esperienza, mutuata dalle madri, in difficoltà nei loro rapporti coniugali, fondata sull'evitamento del rapporto con la figura maschile o di scontro, oppure sullo scontro pregiudiziale, e la tendenziale 'contenziosità'.
[v] 1 AA. VV., Disagio, solitudine, pensiero della differenza, UDi, Roma, Cooperativa Libera Stampa, 1990.
[vi] M. Foucault, La cura di sé, Milano, Feltrinelli 1985.
[vii] M. Foucault, Storia della follia, Milano, Rizzoli, 1963.
La
donna si prende cura degli
altri, si occupa di tutti gli aspetti materiali, morali ed intellettuali
della cura, ed acquista competenza nella vita quotidiana.
La
donna si sente competente, ricca di risorse, capace ma bisognosa degli
altri per quanto
riguarda la direzione da dare
alle sue azioni .
La
donna è dipendente perchè
le sue capacità e risorse sono rivolte alla soddisfazione dei bisogni
altrui.
La
donna sperpera il suo
patrimonio di risorse, lo esaurisce nella dimensione del lavoro familiare,
non lo assume come competenza personale autonoma e come tale non l'esporta
all'esterno.
La
donna sovraproduce attività
materne, che spesso non riescono ad essere assorbite nell'ambito familiare
creando circuiti patologici.
Dipendenza
nel rapporto con l'uomo
La
donna si percepisce come carente e bisognosa di supporto per affrontare il
mondo esterno.
La
donna in questo ambito percepisce l'autonomia del fine (una qualche
realizzazione di un interesse personale) ma al contrario percepisce la
dipendenza delle risorse (non so fare, non so agire, non so pensare da
sola).
La
donna potrebbe inserire la dimensione dello scambio e del rapporto di reciprocità tra ambito familiare ed
esterno.
Questa
operazione non riesce perchè all'esterno è
attribuito maggior
valore.
La
donna nel confronto dei due dare: "cura familiare" e
"protezione sociale" sente
se stessa in debito
e l'uomo in credito.
La
donna esaurisce nella cura tutte le sue risorse; l'uomo non spende risorse
ad hoc per la protezione.
La
donna alla fine del percorso si ritrova più povera, più bisognosa;
l'uomo più ricco perchè acquisisce crediti senza spendere risorse.
E'
una relazione tra individui basata sullo scambio di risorse.
Essa
presuppone individui liberi in grado di scambiare risorse, abilità,
capacità personali, oggetti e beni, adatti al raggiungimento dei propri
fini.
non
vi sono più due individui ma un unico individuo che mancando di risorse,
capacità e strumenti per realizzare i propri scopi li chiede ad un altro.
Le
risorse possono realmente mancare,
o l'individuo può essere indotto a credere, di non possederle, può
pensare di non poterle raggiungere da solo....
In
ogni caso si crea una relazione asimmetrica che dà luogo ad un rapporto
di dipendenza in cui un solo membro della relazione ha bisogno ( o ritiene
di aver bisogno) dell'altro per soddisfare le proprie esigenze (materiali,
psicologiche, sociali).