CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Responsabile: dr. Elvira Reale

 

 

COMUNE DI NAPOLI

Assessorato alla Dignità

 

Progetto della Commissione Europea

delle Pari Opportunità  tra Uomo e Donna

 

 " Costituzione della Rete Italiana : le donne nei luoghi decisionali".

 

 

SOTTOGRUPPO SALUTE MENTALE

"Materiali di  analisi e prospettive"

   Elvira Reale,  Vittoria Sardelli,  Paola Bovo,  Anna Castellano

 

 

In conformità agli obiettivi generali del Progetto Europeo il Gruppo Salute Mentale,  nell'ambito del gruppo di lavoro istituito presso l'Assessorato alla Dignità del Comune di Napoli, ha individuato i seguenti punti di analisi e proposte:

 1.                Individuazione delle motivazioni soggettive e sociali che ostacolano-impediscono alle donne l'accesso ai percorsi di carriera (doppio carico di lavoro, conformità ai modelli della passività, dipendenza, non aggressività, basso livello di autostima)                                                                                                    

 2.           Proposta di interventi formativi ed informativi mirati ad offrire strumenti cognitivi alle donne per la individuazione dei percorsi di disagio (stress e depressione) nell'ambito della vita quotidiana

3.            Proposta di interventi preventivi (coinvolgenti i vari livelli istituzionali: scuole, consultori, famiglie, ecc.) mirati al cambiamento dei modelli culturali centrati sulla rigida divisione dei ruoli maschili e femminili.                           

4.            Proposta di riorganizzazione dei servizi sanitari:  recupero e sviluppo del modello di lavoro proprio delle donne ( la rete, il supporto, la cura, lo scambio, la trasversalità, ecc.),  valorizzazione delle capacità femminili e  miglioramento della qualità dell'assistenza.

5.                Reperimento dati sulla presenza di donne nei ruoli dirigenziali e promozione della dirigenza al femminile nei servizi per la salute mentale. 

 

 

1.

             Individuazione delle motivazioni soggettive e sociali che ostacolano-impediscono alle donne l'accesso ai percorsi di carriera (doppio carico di lavoro, conformità ai modelli della passività, dipendenza, non aggressività, basso livello di autostima)

Vittoria Sardelli

 

                Le ricerche attuali che individuano nello stress un fattore ostacolante l'accesso ai percorsi di carriera escludono dall'analisi del problema il sovraccarico di lavoro e responsabilità  compreso nel lavoro di cura familiare.

                 La vita quotidiana femminile è infatti caratterizzata da eventi di particolare valore oppressivo (richieste del contesto di un surplus di lavoro in funzione del  benessere altrui, con scarsa rappresentatività del benessere personale).

La donna così affronta il lavoro esterno portando con sè un carico di lavoro familiare,  della cui  entità  e del cui valore   nè la donna nè l'istituzione lavorativa sono consapevoli. 

                E' necessario quindi proporre in questo ambito di ricerca, cui oggi viene data ampia rilevanza per i risvolti applicativi in ambito di prevenzione sanitaria (malattie cardiovascolari, depressione, ecc.: tipiche patologie da stress), studi adeguati che tengano conto dell'analisi dei modelli di ruolo nella valutazione degli eventi stressanti e e nella valutazione degli stili di risposta allo stress.

                Altro ostacolo  all'inserimento dell'analisi della vita quotidiana femminile negli studi sullo stress è stato finora dato dal presupposto che la donna non arriva a "stressarsi" perchè mancano quelle condizioni di base, che sottendono i percorsi lavorativi stressanti in quanto "ad alta responsabilità"    riconosciuti in genere come appannaggio   specifico delle attività  del ruolo maschile  .

                Queste condizioni  soggettive  riconosciute all'uomo e  che improntano di sè percorsi di carriera e di stress sono: la competitività, l'aggressività, l'autonomia decisionale, la stima di sè , il riconoscimento delle proprie risorse, l'individualismo come capacità di separare e coltivare i propri interessi da quelli altrui, il controllo dell'emotività.

                Queste condizioni in realtà sono anche presenti nella donna come soggetto sociale e psicologico, essendovi una sostanziale parità tra uomo e donna nei meccanismi di formazione della    personalità e   del mondo interno.

                Quello che manca, nell'universo femminile, è il riconoscimento di questa realtà  e la sua giusta attribuzione.

                Il non riconoscimento di sè come persona capace di autonomia , ecc.  passa, attraverso i modelli culturali e la rappresentazione sociale, nella coscienza femminile in modo che alla fine di questo percorso (culturale, educativo, formativo) la donna tende a riprodurre nella  rappresentazione soggettiva di se stessa il modo come gli altri la vivono e la rappresentano: incapace di autonomia, non competitiva, passiva , ecc.  Tutte queste carenze hanno un denominatore comune: la donna si rappresenta globalmente come "mancante  di" e come tale bisognosa di appoggio e pertanto "dipendente da".

                La percezione di una propria dipendenza è  quindi il riflesso soggettivo della rappresentazione sociale della dipendenza femminile: è proprio questa rappresentazione sociale veicolata dalla cultura, che impedisce alla donna di dare   valore ai segni concreti, che la vita quotidiana le rimanda,  attestanti al contrario autonomia,  capacità, forza, decisionalità, responsabilità, controllo, ecc.

                I modelli culturali prevalenti, nonostante recenti cambiamenti, attribuiscono alla donna una difficoltà "innata" all'affermazione di sè nel sociale e al contrario una attitudine "innata" al protagonismo nel campo degli affetti e della cura.

                A questa rappresentazione sociale corrisponde quindi un vissuto della donna di scarsa autostima in determinati settori lavorativi ad altissima prestazione e di incapacità ad assumersi responsabilità relative al comando e alla dirigenza, con relativa preferenza ad impersonare ruoli di subordinazione e dipendenza, considerati come gli unici compatibili con il mondo degli affetti.

                E' chiaro quindi che ogni progetto di ampliamento della presenza femminile all'interno dei luoghi direttivi non può non tenere conto di questo vissuto.

                Ma al tempo stesso è chiaro che ogni progetto trasformativo dell'esistente non può prescindere da una concezione storicistica di questo vissuto: l'ipotesi innatistica di per sè preclude alle donne la  possibilità di viversi in modo diverso ed in particolare come soggetti capaci di rivestire ruoli di comando e di dirigenza.

                Occorre quindi proporre nei luoghi  istituzionali deputati alla ricerca, alla formazione e all'educazione   ipotesi, modelli, criteri, regole   che includano  e rendano visibile - in primo luogo alle donne stesse - che anche per le donne esiste ed è attingibile fatti alla mano, la possibilità di viversi in tutti i campi del sociale  come soggetti capaci di autonomia, autoaffermazione e attitudine al comando.

 

2

 Proposta di interventi  informativi mirati ad offrire strumenti cognitivi alle donne per la individuazione dei percorsi di disagio (stress e depressione) nell'ambito della vita quotidiana

 

Elvira Reale

 

                 La psichiatria vecchia e nuova ha sulle donne una serie di pregiudizi tutti culminanti in una generale affermazione di mancanza di valore e capacità del genere femminile. In effetti la psichiatria ripropone al suo interno quella pratica discriminatoria contro le donne che   è ancora presente nella società.

                L'atteggiamento di svalutazione del disagio femminile, che connota  la psichiatria   come scienza di parte,   è  presente  nella interpretazione dominante del malessere stesso. Questo è messo in relazione sempre   con vicende di tipo biologico/ormonale che ripropongono quella immagine della donna così "uterina" e priva "di cervello" che la psichiatria, sin dalla sua  prima comparsa come scienza,   aveva  proposto. 

                Se pure  la psichiatria aveva fatto e fa  ancora riferimento allo specifico femminile, lo  riduce a qualcosa di biologico ed ormonale: i cicli dolorosi, le gravidanze, i parti, per non parlare della menopausa che, contro ogni evidenza statistica, viene considerata il momento di maggiore impatto della malattia psichica nelle donne.

                Le donne poi, secondo le statistiche internazionali , ammalano di più degli uomini,  consumano psicofarmaci tre volte più degli uomini, e sono quelle più colpite  dalla depressione senza distinzioni particolari tra  classi socioeconomiche diverse.

                Nello stesso tempo le donne sono meno considerate nelle ricerche sulle patologie da stress, di solito attribuite alle condizioni di vita maschile e alla pressione dei lavori sociali più impegnativi e di responsabilità.

                Nell'ambito quindi della psichiatria e delle patologie da stress vi è un "questione femminile" che si evidenzia in una sovrarappresentazione delle cause biologiche nella determinazione della depressione in particolare ed in una sottorappresentazione delle condizioni di stress nella determinazione di patologie sia fisiche che psichiche.

                E' ben visibile nella medicina in genere, e non solo nella psichiatria, così come nell'organizzazione sanitaria la presenza di una serie di stereotipi quali : la maggiore emotività e fragilità,, mancanza di controllo  delle donne, che fa sì che esse siano considerate pazienti " meno affidabili"

                Il nostro interesse  deve essere quello di rendere più chiara e visibile la relazione tra donna, maternità e disagio psichico, superando quello che finora le teorie psichiatriche vecchie e nuove  vanno dicendo  sulle  cause delle malattie femminili, e attuando sul piano operativo una separazione  dal tradizionale contesto  della cura medica.

Questa relazione va dunque rivista in termini più concreti  tali da rendere praticabile per la donna la strada di una modifica dei carichi di lavoro e degli stili di vita maggiormente connessi con stress e disagio psichico.

Su tre elementi, che di seguito indichiamo,   centrali nella relazione tra  stress, disagio e vita quotidiana riteniamo debbano essere strutturati dei seminari e corsi di informazione e formazione per le donne:

1.             Il lavoro familiare (la cura per altri) non riconosciuto come lavoro:  quando la donna svolge mansioni collegate al suo ruolo di donna e di madre, fa fatica, si stanca ma, non  attribuendo l'idea di lavoro alle mansioni di cura, tende a ritenere patologica le sensazioni di fatica e di stanchezza connesse; 

2.             la mutilazione della  progettualità femminile: i progetti di realizzazione personali sono in genere  ostacolati o impediti dal contesto attraverso le armi della delegittimazione e svalorizzazione delle capacità e risorse personali; la svalutazione, funzionale a indirizzare la donna sulla strada della realizzazione di  progetti e desideri altrui,  si traduce spesso in senso di incapacità e in ostacolo al raggiungimento degli obiettivi desiderati;

3.               la  percezione  di incapacità che la donna riferisce  come costante dei propri vissuti prima dell'inizio del percorso di malattia, e in molte situazioni di sovraccarico:  la donna spesso sente un senso di impotenza rispetto ai compiti del suo ruolo vissuti come legittimi e non derogabili, se non a prezzo di profondi sensi di colpa.

 

3

  Proposta di interventi preventivi (coinvolgenti i vari livelli istituzionali: scuole, consultori, famiglie, ecc.) mirati al cambiamento dei modelli culturali centrati sulla rigida divisione dei ruoli maschili e femminili.

Paola Bovo

1. Motivazioni soggettive che ostacolano l'accesso  delle donne a posizioni di potere ed ai vertici delle organizzazioni.

L'educazione che normalmente viene impartita alle bambine in contesti familiari (ed extrafamiliari) impone un comportamento "composto", impedisce che le bambine si "sfrenino" troppo, che facciano giochi troppo da maschi, troppo movimentati, rumorosi, di forza. Tutto questo provoca gravi inibizioni della personalità, impedendo che da grandi le bambine sappiano facilmente proporsi, lanciarsi, adoperare in pieno la forza, smuovere ostacoli, usare la capacità di sostenere con pieno vigore le proprie idee, sentire pienamente l'autostima.

2. Motivazioni sociali.

                D'altra parte è radicata culturalmente e socialmente l'idea di una rigida e stereotipata differenziazione del ruolo maschile da quello femminile, attribuendo a quest'ultimo carattere di fragilità, passività, tranquillità, attraverso una rigida differenziazione dei giochi, dei giocattoli, delle cose permesse e della libertà concessa agli uni e alle altre.

3. Specificità femminile.

                Tutto ciò produce quindi notevoli difficoltà nelle donne ad utilizzare in pieno tutte le proprie capacità di movimento, forza, espressività, coraggio, consistenza interna, e non nel senso di sopraffazione ed autoritarismo, di aggressività sttereotipata, tipici del mondo maschile (anch'esso deprivato nell'infanzia di esperienze  fondamentali quali  tenerezza, fragilità, dolcezza, capacità di accudimento), ma in modo specificamente femminile.

4. Proposte di interventi preventivi su tali tematiche

                - Campagna generale di informazione sui mass media per la modificazione della mentalità e delle modalità educative stereotipate nei confronti delle bambine.

                - Gruppi di formazione su tali tematiche per operatori dell'infanzia (insegnati, operatori consultori, ecc.) tenuti da esperti di questo settore specifico.

                - Gruppi di sostegno per genitori su tali tematiche.

 

 

4

 Proposta di riorganizzazione dei servizi sanitari articolata sul recupero e sviluppo del modello di lavoro proprio delle donne.

 

Elvira Reale

               

                Nella  elaborazione di un progetto che porti le donne nei luoghi decisionali il posto centrale deve essere occupato dalla riflessione  sulla questione della competenza femminile e sull' inserimento di questa competenza nell'attuale organizzazione del lavoro.

                I luoghi decisionali saranno sempre ostili alle donne  , fino a quando i valori che regolano  il mondo del lavoro non cambieranno, anzi fino a quando non sarà evidente che   l'economia della produzione, se vuole mantenersi in "buona salute", deve assumere un modello organizzativo e normativo (di valori) che ricomprenda al suo interno la competenza femminile. 

 

La competenza femminile.

 

 La  specifica competenza femminile è  riconosciuta  nelle attività della cura.

La cura  viene intesa come attività svolta per il benessere dell'altro in un concorso di attività pratiche,  (la cura materiale) ed attività sentimentali (il calore, l'amore, l'interesse) attività intellettuali ( quali la comprensione, l'individuazione del bisogno dell'altro, la rappresentazione  del bene e del fine per l'altro).

 Questo concetto della cura presente nel mondo greco (pre-capitalistico) veniva riferito alle attività sociali (ovviamente esclusivamente maschili) delineandone il risvolto soggettivo e cioè: : l'interesse, l'attenzione, il desiderio,  che accompagnano l'individuo  nello svolgimento complessivo dei suoi compiti e delle sue occupazioni. Questo concetto della cura  si riferiva sia all'esterno (gli altri: gli ospiti, malati, gli dei, ecc.) sia a se stesso.

Nell'attuale società la cura diviene attività femminile relegata all'ambito familiare ed escludente il concetto di occupazione ed interesse per sè.

L a cura inoltre esportata nel mondo esterno, ed in prevalenza nei lavori generalmente attribuiti alle donne e quindi femminilizzati (lavoro di servizio) oppure nei luoghi di lavoro  occupati da donne, mantiene le stesse caratteristiche della cura familiare: diviene cioè: essere al servizio del desiderio altrui, fare da madri essere disponibili all'accudimento.

                 Nell'attuale organizzazione  dei servizi sanitari, così come in tutto il  mondo del lavoro di mercato,   si richiede  alla donna, che lavora in ruoli non di comando, un qualcosa in più  che è un atteggiamento di disponibilità e di attenzione verso l'oggetto delle proprie mansioni, derivato dalla sua naturale propensione a prendersi cura degli altri e dei loro problemi. Alle poche donne che hanno ruoli di comando si riconosce valore solo in quanto manifestano ed ostentano le  tipiche capacità maschili.  Tutto ciò costituisce un pesante sovraccarico per la donna: sia per la donna costretta alla femminilizzazione lavorativa, a cui non viene corrisposto  un adeguato riconoscimento  sociale di valore, sia per quella costretta alla maschilizzazione,  a cui vengono imposti   elevati costi emotivi e personali ( le ricerche sulle condizioni di stress della donna che lavora indicano che la donna paga costi più alti in termini di salute e in particolare di salute psicologica).

                Le donne  , infatti, cui si chiede di espletare à cotè di funzioni e compiti definiti anche  atteggiamenti di cura e attenzione generalizzati sono poi quelle più penalizzate e considerate lavoratrici di serie B. E le donne cui si chiede di essere come maschi devono il più delle volte contenere emozioni e sentimenti, punti di vista diversi, attuando a volte una coartazione del proprio mondo interno, o modo di vedere. 

Sottovalutazione, sovraccarico, e omologazione violenta sono lo scotto della partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

                Risultato è che la competenza generalmente riconosciuta alle donne, la cura degli altri, viene ampiamente utilizzata  e richiesta anche al di fuori del suo ambito familiare, senza che ad essa venga attribuito un valore.  Il mondo del lavoro ha bisogno  di fatto di tutte quelle  che sono le caratteristiche implicite nel concetto della cura (l'attenzione, la pre-occupazione, l'attendere alle mansioni ed ai compiti con partecipazione, ecc.) ma non  è  in grado di riconoscerne il valore ( o non lo vuole riconoscere per utilizzarlo in modo gratuito).   L'economia della produzione, (mondo maschile) ritiene quindi fallacemente che la cura  sia  un sottoprodotto attinente all'economia dei sentimenti (mondo femminile).

 

Il dibattito nel movimento delle donne

Il movimento delle donne ha portato allo scoperto la prima contraddizione: curare, prendersi cura è lavoro, lavoro sociale, va riconosciuto da tutti   come lavoro  con uguale dignità di altri .

Ora il problema che si pone ancora oggi nel dibattito tra donne è il seguente:

Questo lavoro, appannaggio delle donne per secoli  deve essere considerato una ricchezza o una limitazione? Qualcosa da rivendicare o da cui fuggire? E' fonte di malessere o di benessere per le donne? Ed ancora, quando la cura si presenta nel sociale (ad esempio nel mondo dei servizi e della sanità), come va affrontata, a cosa bisogna far riferimento come modello di lavoro?

                E ancora un altro tema al centro del dibattito: se esistono competenze diverse  nell'uomo e nella donna è giusto battersi per una loro integrazione, lasciando all'uomo la produzione e alla donna la cura? Oppure è giusto promuovere un mescolamento delle competenze a secondo di esigenze e capacità soggettive svincolate dai ruoli,  in un nuovo ambito di parità e di riconoscimenti reciproci?

                Due diverse posizioni si fronteggiano oggi nel dibattito:

-  Il lavoro di cura familiare non prevede  una competenza naturale della donna:  in questo caso si  opera una distinzione storico-culturale tra la maternità, il procreare attribuito alla donna per natura e le  attività successive di cura, di accudimento della prole che  sono competenze acquisibili non solo dalle donne, ma da ogni individuo che ha una relazione con la prole; in sintesi non solo la donna può essere competente della cura ma anche l'uomo; 

 - nella cura familiare e quindi nella cura in genere è competente la donna come nel lavoro produttivo è competente l'uomo. Bisogna dare il giusto riconoscimento ad ambedue le attività che, pur separate, possono essere integrate nella vita sociale. 

 Oltre il concetto di cura  competenza esclusiva del lavoro nella famiglia

                Noi  non pensiamo che il lavoro di cura sia propriamente un lavoro e tanto meno pensiamo che questo lavoro si fondi su competenze specifiche femminili, se non per il fatto che storicamente se ne è occupata la donna e su questo ha costruito  esperienza, capacità, competenza.

                Costruire una competenza non significa precludersene altre, soprattutto non significa divenire dipendenti dal genere maschile per tutte le altre competenze al di fuori di quelle della cura.  Non si può certo aderire a posizioni che individuano nella donna alcune carenze  costituzionali che inibiscono lo svolgimento di determinati compiti per così dire "maschili".   

                In definitiva possiamo dire:

a. la donna ha la competenza nell'attività di cura sia sul piano familiare che su quello esterno dove vengono affidati a lei i compiti di cura.

b. Questa competenza non è naturale ma acquisita, e come tale acquisibile da tutti;

c. l'attività di cura è impropriamente definita un lavoro ma può essere più efficacemente considerata un metodo, un modo di lavorare e come tale può essere applicato a tutti i lavori ( riprendendo in questo il concetto del mondo greco).

d. l'attività di cura, assunta come metodo non è di dominio esclusivo delle donne ma acquisibile da tutti in ogni ambito dell'attività umana.

La cura, vista in senso metodologico e non contenutistico (come attributo e non come sostanza) può essere  applicata con vantaggio per tutti sia alle attività e alle occupazioni familiari che a quelle  extrafamiliari definendosi più propriamente come specifica relazione tra produttore di un bene o servizio, prodotto ed utilizzatore (utente).

 

L'assenza del concetto di cura dalla nostra società.

                Finora il concetto di cura è stato assente dalla dimensione del lavoro, anche da quei lavori che sul piano dei contenuti si occupano della cura delle persone (scuole, servizi sociali e sanitari, ecc.). Il lavoro sociale e produttivo ha rappresentato l'attività anti-cura per eccellenza: ciascuno si occupa di un piccolo pezzo di un percorso (vedi la catena di montaggio presente anche nel lavoro di servizio), a ciascuno vengono date funzioni separate e parcellari che non prevedono un adeguato esercizio di autonomia e responsabilità.

 Nel lavoro di mercato la regola è data dalla  dipendenza:  ognuno dipende da un altro, e tutti da uno solo, a capo di una scala gerarchica, che impone ritmi e modelli di funzionamento e produttività.

                Anche i servizi di cura paradossalmente hanno risentito di questo tipo di mentalità ed organizzazione cui è estraneo il principio della cura.

                Mancanza di responsabilità ed autonomia nelle funzioni svolte, distacco dall'utente, incapacità e indisponibilità all'ascolto dei bisogni, mancanza di interesse ed attenzione ai problemi concreti del percorso "produttivo"  burocratizzazione dei comportamenti, disorganizzazione, mancanza di materiali e risorse di prima necessità, incuria, sprechi ecc. Non valutazione degli effetti delle azioni sulle persone e sull'ambiente.

Tutto ciò in linea con  l'idea che il lavoro produttivo   ha come base  lo sfruttamento delle risorse umane e naturali con la finalità di una appropriazione dei prodotti strettamente individuale o di piccoli gruppi .

                Ma lo sfruttamento delle risorse sia materiali, naturali, che umane, ha portato a gravi danni  per l'ambiente, ad una cattiva gestione della cosa pubblica.

Il lavoro di mercato infatti  ha avuto questi presupposti: trasformare la natura, usare la forza lavoro, produrre merci , far circolare danaro  e non occuparsi di altro.

 

                Oggi il mercato è in crisi. La crisi della produzione e la contraddizione che si è venuta a creare tra produzione e malessere socio-ambientale rende difficile l'accesso al mercato di prodotti che non siano in sintonia con le persone e con l'ambiente, che non ne rispettino le esigenze , che al minimo  coincidono con quelle della sopravvivenza.

 Oggi non  è più sufficiente produrre oggetti, bisogna creare una relazione tra l'oggetto e il fruitore, o meglio bisogna produrre oggetti che siano in una relazione positiva con il fruitore. Questa relazione positiva è a vari livelli: estetica di immagine, di conforto e di utilità soggettiva, inserita  nell'ambiente circostante perchè non si traduca in disconforto e danno, tecnicamente adatta allo scopo, di costo contenuto, con un rapporto  costi- beneficio francamente spostato sull'asse benefici, con effetti positivi a largo raggio.

Si assiste così nel mercato ad una nuova   ricerca : quella di forme di produzione sintoniche con l'ambiente che propongano modelli non di sfruttamento delle risorse umane ma di potenziamento di queste, che combattano gli sprechi delle risorse umane e naturali, che siano anti- stress, e cioè evitino il crearsi di pesi e carichi per i lavoratori, che siano innovative sul piano delle professionalità e dei modi di produzione; ecc.

 

                A nostro parere, assistiamo oggi,  al tentativo inconsapevole di reinserire nel lavoro di mercato, imprenditoriale, e nel lavoro dei servizi il concetto di cura come antidoto allo spreco economico e di risorse, allo sfruttamento intensivo di beni, al disastro e all'inquinamento ambientale, ecc.

La donna come portatrice di un nuovo valore : la cura

                La donna si ritrova in questo momento ad avere una competenza storica che è quella della cura: il processo di trasformazione del modo di lavorare nel sociale passa per lei.

                La proposta che le donne possono fare oggi quella di passare dalla cura come lavoro di servizio alla cura come metodo e modello di lavoro applicabile ad ogni attività umana, sia quella  emotiva/affettiva/familiare, sia quella produttiva/di mercato/razionale.

                Questo modello di lavoro permette di:

- dare libertà di espressione a tutte le esigenze e capacità femminili al di là di quelle definite dal ruolo sociale; allo stesso tempo può liberare  anche nell'uomo capacità non vincolate ai modelli del suo ruolo;

- liberare in generale capacità individuali senza distinzioni e preclusioni definite dall'appartenenza ad un sesso con evidente  arricchimento  sociale ;

- definire un percorso lavorativo unitario che comprenda compiti riproduttivi e produttivi, senza discriminazioni tra lavoratori e lavoratrici e senza spreco o accantonamento di risorse umane in ogni campo.

La cura come metodo e nuovo modello di lavoro nella società post-industriale

1. La cura unisce le parti di un processo che l'industrializzazione ha voluto separato. Integra competenze diverse dando a ciascun soggetto la possibilità di avere il controllo, l'autonomia per intervenire in ogni parte del processo senza rischiare interruzioni del circuito produttivo dannose per l'utente, o per il prodotto.

2.             La cura impone che ciascuno sia consapevole del processo di formazione o di produzione di un servizio dalla fase di progettazione  alla organizzazione, fino al conseguimento dei risultati o del prodotto, e al loro inserimento sociale .

3.             Il lavoro di cura  in prima ed ultima analisi si rivolge agli uomini e alle donne, a tutte le persone  quindi di cui deve raccogliere le esigenze, e a cui deve ritornare per misurare gli effetti dell'azione. Esso si fonda sull'ascolto e sulla disponibilità ed interesse all'ascolto.

4.             Scopo principale del lavoro di cura il benessere della persona oggetto dell'azione, attraverso una dimensione che è il cardine del lavoro di cura: l'accrescimento di autonomia e padronanza nel mondo attraverso la rimozione degli ostacoli.

5.             La cura non dimentica la cura di sè che è la spia della corretta applicazione del metodo della cura agli altri. Scopo principale della cura è la cura di sè, anche attraverso la cura di altri.

La cura di sè significa che nel lavoro non mi alieno, non mi perdo negli altri e nell'oggetto del lavoro: significa che costruisco la soddisfazione personale che passa attraverso l'autonomia, la padronanza e il controllo diretto di quanto faccio, il riconoscimento di quanto fatto , la responsabilità degli errori e la possibilità di correggerli ,  la riflessione e la ricerca continua di tecniche innovative più consone al compito e agli scopi, la partecipazione ai progetti e alla definizione degli scopi; l'affinamento delle competenze; la relazione affettiva con gli altri, la condivisione di strumenti e fini.

6.             La cura prevede che io eserciti una serie di attività che, fatta salva la competenza tecnica specifica, posso dispiegare nel corso di tutto il processo produttivo.

In questo senso vi sarà un allargamento dell'attenzione, che coinvolgerà tutto lo spazio che l'azione (dall'inizio alla fine)  occupa   e che tenderà ad abbracciare sempre quattro direzioni : a. lo spazio fisico, ovvero la cura dell'estetica; b. lo spazio emotivo, ovvero la cura dei sentimenti; c. lo spazio mentale, ovvero la cura della ragione, dei pensieri; d. lo spazio ambientale, ovvero la cura dell'impatto della mia azione sull'ambiente sociale e naturale circostante.

7.             La cura prevede che tipi di attività abitualmente divise nella produzione, siano unite e interdipendenti: le attività manuali e  quelle intellettuali ed emotive. La donna è abituata nel suo lavoro familiare ed extrafamiliare a tenere insieme aspetti diversificati dell'azione umana: in questo modo mantiene sempre un rapporto con la realtà totale e con i problemi concreti del quotidiano.

8.             La cura si fonda su un saldo rapporto con la vita quotidiana, ne rappresenta le esigenze, i desideri di superamento di certi limiti, ne misura lo stato di salute.

9.             La cura è pratica sociale: non è isolamento e chiusura individuale; è circolazione di idee, esperienze, competenze, supporti, aiuti, la cura è rete.

Perciò la cura ha bisogno di tempi e spazi unitari:

- il tempo deve essere previsto e quantificato, non rubato o ricavato a ridosso di altro; il tempo non va diviso tra competenze diverse ma sommato e redistribuito in modo che vi sia contiguità di tempi e spazi tra le persone che ne faciliti scambi, cooperazione, sinergie;

- lo spazio deve essere polifunzionale aperto a tutti, con visibilità dei processi che vi si attuano e unitarietà dell'azione produttiva; ma  anche fruibile  per azioni individuali, adatte allo scopo finale.

10.           La competenza alla cura si forma con:

                a.  il rapporto con gli utenti o fruitori mediante l'ascolto diretto  dei                 bisogni del fruitore;

                b. il rapporto con la propria esperienza   e storia personale e  con                 l'esperienza del proprio gruppo di referenti;              

                c.  il rapporto con l'esperienza e la storia generale e cioè con la                 riflessione e rivisitazione  di tecniche e teorie.

Essa  è la risultante di queste tre linee di indirizzo e come tale è elaborazione e ricerca personale.

11.           La cura prevede la capacità di scelta tra interessi contrastanti o solo apparentemente consonanti; la cura è attendere al lavoro individuando gli interessi minoritari socialmente sottorappresentati rispetto a interessi di altri sovrarappresentati che rischiano di creare squilibri nei rapporti sociali, nella crescita  di gruppi e quindi anche nel mercato.

 

 

5

 La promozione della dirigenza al femminile nei servizi di salute mentale

 

Anna Castellano

 

1. Una immagine positiva di Dirigente-donna, fra analisi dei cambiamenti e delle resistenze nell'organizzazione del lavoro.

 

                Scarso è in Campania il numero di donne - medico dirigenti nel campo della salute mentale: le donne "primario di ruolo"  sono in numero di tre su un totale di 61 Servizi di salute mentale con  un numero equivalente di posti di dirigenti; le donne assistenti e aiuto psichiatra sono in media nella misura di 1 a 4 rispetto ai colleghi maschi.

                E' quindi necessario promuovere la presenza di un maggior numero di donne alla Dirigenza affinchè si possano determinare cambiamenti significativi nell'organizzazione del lavoro: i cambiamenti di cui diremo dopo  si danno in particolar modo laddove vi è coscienza della "differenza sessuale", perchè in caso contrario si tende di più verso la riproposizione dei modelli maschili.

Ma come promuovere la dirigenza al femminile?

 

Lo si può fare lavorando a due livelli, uno più generale (o preventivo) ed uno più specifico che concerne l'analisi della dirigenza stessa. Vediamoli:

 

A. Livello generale (o preventivo)

                Comprende:

                                a. l'individuazione dei fattori generali che ostacolano l'accesso delle donne ai percorsi di carriera (doppio carico di lavoro, dipendenza, basso livello di autostima, ecc.).

                                b. le azioni di prevenzione, di educazione, ecc., che discendono dal punto a., mirati al cambiamento dei modelli culturali centrati sulla rigida divisione dei ruoli maschili e femminili.

 

B. Livello specifico (o di analisi della dirigenza femminile).

                Esso comprende:

                                a. analisi delle influenze che può esercitare una dirigenza femminile sulla organizzazione del lavoro: nuova operatività e modelli.

                                b. analisi delle resistenze che tale dirigenza incontra e possibilità di un loro superamento.

 

                Attraverso i due punti sopra esposti si dovrebbe andare a delineare un'immagine   concreta e "positiva" di dirigente-donna, individuata come detentrice di un potere finalizzato a possibilità di nuova operatività; le donne possono così avere un modello di identificazione in grado, fra l'altro, di motivarle all' "accesso alla carriera". A tutt'oggi invece l'unica immagine di dirigente è ancorata al modello maschile e ad essa viene collegato il discorso di un "potere" slegato da ogni operatività.

 

2. analisi delle influenze che può esercitare una dirigenza femminile sulla organizzazione del lavoro: nuova operatività e modelli.

   

Quali sono dunque le influenze che può produrre una dirigenza al femminile sulla organizzazione del lavoro?

 

Anzitutto una donna dirigente ha il  "potere"  di far diventare dominante nel Servizio un modello di lavoro che si basa su modalità prevalenti della storia del 'femminile', quali:

                creazione di rete, cioè di collegamenti che funzionino fra i vari setting del servizio, fra operatori, fra utenti e fra operatori ed utenti, ecc.; la rete è fondamentale per la "tenuta" dei pazienti e per l'accoglienza degli utenti;

             lavoro di gruppo, d'èquipe, quindi stile di collaborazione, ecc.;

                attenzione all'utenza e alle modalità dell'accoglienza;

                attenzione e "cura" alla risorsa umana (la gestione del personale) e quindi anche cura agli aspetti di prevenzione del burn- out.

                Inoltre una donna-dirigente può dare spazio a quello che possiamo definire il "femminile" dei servizi, che è la parte più in ombra, più trascurata, quella che ha meno voce e potere. Mi riferisco alle patologie di cui occuparsi maggiormente, agli utenti più a rischio, alle attività da sviluppare, alle tecniche e alle metodologie di lavoro da scegliere: ad esempio si può dare spazio a ciò che è minoritario in ogni settore, come la riabilitazione (il femminile) rispetto all'intervento farmacologico (il maschile); il lavoro d'èquipe rispetto a quello duale , medico-paziente, ecc. In tal modo la parte più trascurata,  può quanto meno avere "pari opportunità".

Ma che differenze ci sono tra l'occupare la dirigenza e lo stare in un punto qualsiasi dell'organizzazione di un Servizio?

                Occupando la Dirigenza, quindi in una situazione di maggior potere, si può avere influenza su tutta l'organizzazione e quindi incidere maggiormente; stando invece in un punto, si può riuscire a ritagliarsi uno spazio e a dar voce a delle problematiche, ma incidendo meno complessivamente.

3. analisi delle resistenze che la Dirigenza femminile incontra e le possibilità di un loro superamento.

Ma quali ostacoli  e resistenze incontra una Dirigenza al femminile?

Le resistenze che si incontrano sono fondamentalmente due, di ordine interno ed esterno. E' necessario conoscerle, per poterle affrontare ed almeno in parte superare. Vediamole:

- resistenze interne.

                Sono espresse per lo più dagli operatori (uomini e donne di un servizio) che per motivi vari, di formazione professionale, di maggior impegno lavorativo, ecc. ostacolano tali nuove modalità. Bisogna fare un lavoro di coinvolgimento continuo, di formazione, di sensibilizzazione, ecc.;

- resistenze esterne.

                Sono quelle legate all'ambiente esterno, istituzionale, politico, che, essendo organizzato secondo logiche differenti, non tollera modelli quali quello proposto. In tal caso possono darsi due possibilità:

                a. l'esperienza riesce per motivi vari (forte coesione interna del gruppo, possibilità di essere tutto sommato tollerata, ecc.) a mantenersi, ma resta isolata, non si generalizza e perde pertanto la sua carica "innovativa"; modello tipo "isola felice";

                b. l'esperienza non riesce a mantenersi, per cui si ritorna a modelli maschili o scompare del tutto;  entrambi i casi si possono dare se fra l'altro il gruppo al suo interno non è coeso, ecc.

                Quindi in conclusione perchè una Dirigenza al femminile possa produrre cambiamenti significativi, è necessario che non resti una esperienza isolata, che si creino altre situazioni all'intorno che la sostengano, che si creino legami e collegamenti.

                Da questa breve disamina emerge quindi complessivamente l'immagine positiva di una Dirigente-donna che ha potere e che è in grado di utilizzarlo per produrre cambiamenti significativi nell'organizzazione del lavoro. Si incontrano resistenze legate alle novità organizzative proposte, resistenze che è importante conoscere per allenarsi anche a superarle, man mano che si presentano.