METIS
- Medicina Memoria
Centro
Internazionale di Studi e ricerche
per la salute delle donne
CONVEGNO
Milano,
ottobre 1998
Corpi
soggetto.
Pratiche
e saperi di donne per la salute
De-medicalizzare la mente femminile
di
Elvira Reale
Premessa di
Maddalena Gasparini
L'attività e l'elaborazione teorica di Elvira Reale
e del suo gruppo presenta un interesse che va al di là sia della specifica
esperienza napoletana, sia del settore di competenza, la cura del disagio
psichico femminile nelle strutture pubbliche. L'esperienza del Dipartimento di
Salute Mentale di una ASL che ora coincide con l'intera città di Napoli è
stata infatti la prima (e per molto tempo l'unica) dove solo donne, operatrici
di tutte le qualifiche, si rivolgono a un'utenza solo femminile delineando così
una socialità fra donne e una pratica politica in continuo movimento, sia pure
nel costante riferimento a una necessità e a una relazione terapeutica.
Io non sono una psichiatra e nemmeno psicologa o
psicanalista, lavoro come neurologa, nella medicina specialistica ambulatoriale;
dovrei dunque occuparmi delle malattie del sistema nervoso, cioè del cervello e
affini. Ma poiché il senso comune ha difficoltà a pensare psiche e cervello
come elementi separati, mostrando più lungimiranza delle accademie
scientifiche, mi capita spesso di ascoltare donne, il cui malessere ha radici
(spesso riconosciute autonomamente) e espressioni del corpo manifestamente
congiunte all'appartenenza di sesso. Anche a partire dunque dalla mia esperienza
professionale, propongo alcune riflessioni sollecitate dalla lettura di questa
esperienza e del pensiero politico che essa ha prodotto.
Le donne sono state (e continuano a essere) oggetto privilegiato di una
psichiatria normalizzante che si limita a dare un nome al disagio e una terapia
che (non sempre) rimuove il sintomo, imponendo così un doppio silenziamento:
alla parola e al corpo; operando "un processo di riduzione della mente a
corpo biologico" [i].
Partendo dall'idea che "il sintomo psichiatrico
rappresenta il segnale di una situazione di insostenibilità... non l'asse
portante dell'azione diagnostica" e che "il corpo diventa segno e sede
di quella insostenibilità" piuttosto che "indice del livello di
malattia o sanità" il gruppo
di Napoli ha elaborato una modalità operativa
che intreccia la narrazione della vita reale delle donne con le tappe di
vita sessuale e riproduttiva. Se il "metodo della concretezza" (la
puntualizzazione cioè dei carichi di lavoro domestico e extradomestico
richiesto e prestato) offre una sponda certa alla relazione terapeutica
permettendo di individuare nel sovraccarico di lavoro e
responsabilità, non percepito come tale, il "fattore di
rischio" per eccellenza della
malattia psichica femminile, la messa in relazione con le fasi della vita
sessuale restituisce corpo e soggettività alla ricostruzione del percorso
dell'ammalarsi, del passaggio "dall'insofferenza alla sofferenza". Nessuna analisi o cura o prevenzione del disagio
psichico femminile
anche nelle sue forme più gravi, può infatti prescindere dagli eventi
clamorosi che scandiscono la vita femminile e segnano la nostra soggettività
non meno del nostro corpo biologico: il menarca, l'inizio della vita sessuale e
potenzialmente riproduttiva, la gravidanza, il parto, l'accudimento, la
menopausa. Eventi descritti e codificati da una lingua che raramente è stata la
nostra, tanto che fino a non molto tempo fa di queste cose le donne non
parlavano; mentre proprio sul corpo femminile si costruivano i saperi saldamente
in mani maschili, la medicina fra questi. L'esperienza femminile del corpo, col
suo andamento ciclico, la sua teatralità, il suo legame con le origini
attraverso la potenzialità generativa trova senso - e tollerabilità -
inscrivendosi dentro una storia e una cultura. Diventa allora difficile dire
dove finisce il linguaggio del corpo biologico
e dove iniziano i sogni o le paure che su di esso si sono depositati;
cogliere un sapere femminile già dato dentro una tradizione che ci ha voluto (e
visto) subordinate. Esperienza del corpo e carico di lavoro si legano agli
affetti, all'amore, in un groviglio che rende faticoso non tanto - mi pare -
prendere coscienza dell'oppressione, quanto trovare la strada per una
soggettività femminile autonoma.
E' su questo percorso che può accadere che il
malessere diventi disagio quando non malattia mentale. Ed è qui che può essere
di aiuto o di necessità l'accompagnamento di donne che da tempo stanno
camminando su questa strada.
Intervento di
Elvira Reale
L'idea centrale del mio intervento nasce dal bisogno di rappresentare il
destino storico della donna non solo attraverso la medicalizzazione del corpo,
ma anche attraverso la meno riconosciuta medicalizzazione della mente e della
psiche. Il nuovo corso di oggi viene fuori dall'esigenza di una svolta del
lavoro clinico, che in più di 15 anni ci ha messo in contatto con circa 5000
donne, e che è stato per tutti questi anni la base della riflessione e della
ricerca sulle cause e sui percorsi del disagio femminile. Ma questo lavoro ci
appare oggi del tutto insufficiente se si pensa alle moltissime donne in cura
presso psichiatri e servizi di psichiatria, e se si pensa che ancora oggi è
dominante l'approccio medicalizzante e farmacologizzante al disagio psichico. Le
donne stesse preferiscono o sono indirizzate dai mass media e dal mercato a
preferire "scorciatoie" quali l'assunzione di farmaci miracolosi per
risolvere i problemi di disagio, interpretati prevalentemente come "altro e
diverso" rispetto ai problemi della vita quotidiana.
I dati diffusi dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) parlano
ancora di netta prevalenza delle donne nel consumo di psicofarmaci e di presenza
delle donne nel circuito dell'assistenza psichiatrica privata e pubblica da due
a tre volte maggiore degli uomini.
L'esigenza di oggi è allora riuscire a "passare il testimone",
a trasmettere cioè una esperienza fruttuosa e a costruire più articolate reti
di relazioni tra gli/le esperti/e finalizzate allo sviluppo di un sapere più
generale capace di contenere le ragioni del benessere delle donne.
Ma non solo questo: un'altra forte esigenza di oggi è puntare
alla prevenzione, a mettere in primo piano, a spingere cioè l'attenzione su
quello che c'è prima della malattia e dei sintomi; in definitiva a evidenziare
quei fattori di rischio specifici legati a determinate condizioni di esistenza.
Una
prevenzione indirizzata prima di tutto alle donne stesse perché
le donne prendano efficacemente su di sé idee, conoscenze, punti di
vista in grado di dialettizzare il disagio e di viverlo senza entrare nei
circuiti della malattia e della psichiatria, tuttora campo del sapere maschile.
Se di errori ed orrori abbiamo sentito parlare, come conseguenza di una
pratica e di una teoria tradizionale della medicina del corpo, possiamo
ben immaginare quali errori ed orrori possono essere stati fatti dalla medicina
dell'anima sulle donne.
E così, se dal rapporto mente-anima le donne erano state già escluse e
poste in situazione di inferiorità (l'anima era un attributo maschile) nel
rapporto mente-corpo del periodo post-illuministico le donne vedono il loro
cervello con il suo prodotto (il pensiero) spiegato in termini di cicli
biologici legati alla funzione riproduttiva.
Questo nuovo e più moderno legame della mente con il corpo non fu per le
donne promotore di una maggiore emancipazione rispetto al precedente legame;
ancora una volta una trasformazione culturale si palesò come conferma di una
posizione di dipendenza ed inferiorità rispetto all'universo maschile: il
cervello della donna, la sua
mente ed il suo pensiero vennero concepiti e trattati come
"assoggettati" al suo apparato riproduttivo e sessuale e come tali
considerati meno nobili e meno capaci di raziocinio.
Questa impostazione di fondo, nonostante altre trasformazioni e
modernizzazioni si siano attuate negli anni, rimane inalterata: la medicina
studia tuttora con grande attenzione i fenomeni della salute e della malattia
della donna avendo come riferimento concettuale e linea-guida lo sviluppo
ormonale e le tappe della vita riproduttiva.
La psichiatria, dal canto suo, esplora tuttora la mente della donna
ponendo al centro dell'osservazione gli stati emotivi femminili collegati alle
ansie ed ai turbamenti catameniali e menopausali, alle paure della gravidanza ed
alle angosce del post-partum.
Gli
effetti di tale impostazione sono presenti ancora oggi in una serie di
segnali che abbiamo anche in parte menzionato prima:
-
le donne sono soggette maggiormente alla cura della medicina della mente
(la psichiatria);
-
la diagnosi più diffusa in cui incorrono le donne è quella di
depressione;
-
l'eziologia che in prevalenza viene indicata è quella ormonale con il
riferimento alle
tappe di vita biologica (menarca, gravidanza-parto, menopausa);
-
le cure dispensate sono quelle farmacologiche.
Nelle
modalità di approccio della medicina nei confronti della mente della donna
assistiamo ad un duplice processo di riduzionismo biologico:
-
un primo processo è la riduzione della mente a corpo biologico;
-
un secondo processo è la riduzione del corpo biologico a corpo ormonale
e
riproduttivo.
Questo
processo riduzionistico infine ha carattere totalizzante: quando la mente della
donna "si ammala" si cercherà di individuare sempre l'evento
biologico del suo ciclo riproduttivo (una gravidanza, la menopausa, ecc.) che
giustifichi e spieghi i suoi malesseri. Questa eziologia fondata sulla,
"endocrinologia riproduttiva" permea di sé la scienza medica in
generale dando vita a consolidati pregiudizi sul funzionamento del corpo e della
mente femminile.
Vedremo in maniera circostanziata in alcune tappe storiche come si sia
attuato nell'universo femminile (questo processo è presente ovviamente anche
nell'universo maschile ma con presupposti ed esiti diversi sia sul piano
qualitativo che quantitativo),
questo processo di riduzione dei fenomeni di disagio al biologico
Prima di addentrarci nella storia della medicina e della psichiatria, è
importante avere bene in vista un punto di arrivo nell'attualità: possiamo
riferirci quindi in modo esemplificativo al Convegno di Napoli sulla psichiatria
biologica, organizzato quest'anno dalla Società Italiana di Psichiatria.
In questo Convegno, centrato su una patologia tutta femminile,
l'anoressia mentale, il messaggio di fondo è stato quello secondo cui tutto si
collega e può essere incorporato nella psichiatria biologica: la psicoterapia,
la psicoanalisi, l'approccio psico-sociale; tutto serve ed è utile, ma alla
fine di tutto il nocciolo duro del disagio, la malattia vera e propria, la
depressione grave, l'anoressia, non possono che avere una spiegazione somatica o
biologica e sono affrontabili solo in ultima analisi con terapie
medicofarmacologiche.
Il punto di partenza della relazione è anche per noi il corpo biologico:
esso non solo è corpo espropriato alle donne, come si è visto nel rapporto con
la medicina, ma è anche corpo biologico che fa da velo, che crea cioè una
cortina fumogena sul corpo psichico della donna rendendolo estraneo ed
incomprensibile alla donna stessa.
La medicalizzazione della psiche femminile poggia infatti
sulla specificità riproduttiva del corpo che, in ultima analisi, è chiamata a
spiegare ogni cambiamento. La capacità biologica riproduttiva della donna
diviene la notte - di hegeliana memoria - in cui tutte le vacche sono grigie:
non permette infatti di distinguere più gli eventi della vita quotidiana, i
percorsi storici, le relazioni di potere, le attribuzioni sociali di norme e
ruoli, le assunzioni di comportamenti di ruolo codificati, le possibili e varie
strutturazioni del sé.
Tornando indietro in un percorso storico - che faremo per tappe,
rappresentative dei cambiamenti sociali e scientifici - troviamo, come primo
riferimento della medicina delle donne, Trotula de Ruggiero.
Con Trotula e la scuola di Salerno inizia la cura specifica
dei disturbi femminili in un discorso dalle donne alle donne.
Le donne occupano nel XII secolo e fino all'inizio della rivoluzione
industriale il campo della cura della salute a contatto con i saperi naturali e
con quel mondo della natura, che il potere dominante dell'epoca, feudale e
religioso, poneva ai margini della riflessione e dell'attenzione delle classi
colte.
A distanza di quattro secoli il panorama storico muta, le donne per le
loro abilità di cura dei malanni e di tutrici della salute vengono messe al
bando ed emarginate: prima dell'avvento del nuovo potere borghese che organizzerà
i saperi in strutture istituzionali chiuse alle donne, il vecchio potere avrà
già spazzato via molte delle conoscenze femminili attraverso le accuse di
stregoneria e le condanne al rogo.
Di questa persecuzione è testimone il Malleus Maleficarum (Martello
delle streghe). Le donne sono perseguitate come incarnazioni del demonio. Sotto
queste accuse sono cadute molte delle donne che praticavano l'arte medica e che
vengono, per tale competenza, additate come espressione del demonio.
Il Martello delle streghe è un'opera dovuta a due inquisitori
dell'epoca, Sprenger e Kraemer, opera in cui vengono identificate e descritte
tutte le tipologie di streghe (una sorta di DSM - Diagnostic
Statistical Manual - ante litteram) nonché gli specifici trattamenti per
estirpare il demonio (un prototipo di trattamento psichiatrico!).
Già
in questa epoca, identificata dagli storici successivi come primo luogo di
formazione della follia - assimilata alla possessione del demonio - il
palcoscenico è occupato dalle donne, che subirono la maggioranza delle accuse
di stregoneria e di connubi con i diavoli, e pagarono il massimo tributo alla
pena del rogo.
Chiusa l'epoca delle streghe e avviata la trasformazione scientifica
all'alba della rivoluzione industriale, incontriamo nuovamente le donne al
centro del "grande internamento" di cui parla anche Foucault nella sua
Storia della follia [ii].
All'epoca della prima industrializzazione, al centro del processo di
emarginazione troviamo le donne.
Gutton parla delle vedove come della condizione più disgraziata[iii];
Michelet parla della condizione dell'operaia come della condizione di
estrema mortificazione per il genere femminile[iv].
E dietro questa condizione, definita da vari storici dell'epoca come più
svantaggiata, troviamo la causa economica ed il minor valore attribuito al
lavoro femminile: le donne erano pagate meno degli uomini e ciò non consentiva
loro la sopravvivenza minima. Da qui, la necessità di integrazione del salario
con il ricorso alla prostituzione: ed ecco perché, come altro fenomeno legato
alla svalorizzazione del lavoro femminile e alla pauperizzazione, troviamo
all'inizio dei 1800 a Parigi quello che è stato definito da Evelyne Sullerot un
vero e proprio esercito di prostitute provenienti dai mestieri più poveri e mal
pagati[v].
In definitiva, l'industrializzazione con il cambiamento del modo di
produzione - da individuale/familiare a sociale, con lo spostamento del luogo di
produzione - dalla campagna alla città, con la valutazione di mercato di una
forza lavoro libera, in quanto nella piena disponibilità dei suo possessore -
senza vincoli di servaggi, (mentre alle donne rimanevano altri vincoli come
quelli della prole) crea per le donne una condizione di vita certamente peggiore
rispetto a quella precedente, uniformemente individuata dai vari storici nella
situazione della donna sola, senza protezione maschile.
E sono le donne, maggioranza tra i diseredati e gli esclusi, a riempire
gli asili per mendichi alla fine del '700.
Da questa popolazione asilare, seguendo il discorso di Foucault sulla
origine e storia delle follia, si formerà la popolazione oggetto della
osservazione della prima psichiatria.
Nel percorso di formazione della psichiatria attraverso la trasformazione
dei luoghi di osservazione della emarginazione prima (gli asili per la mendicità)
e della malattia mentale dopo (gli ospedali per gli alienati), troviamo ancora
una volta le donne in primo piano. La
Salpétrière, nel 1600 antica fabbrica di polveri trasformata in asilo per
mendichi, ospita all'inizio dell'800, secondo De Grootes, circa 8.000 tra donne
e bambini.[vi]
La Salpétrière è il luogo in cui si forma la prima psichiatria umanistica di
Pinel ed Esquirol, e sarà il successivo campo di osservazione per la formazione
della psichiatria moderna da Charcot, a Breuer, a Freud.
La storia della psichiatria si intreccia con la storia della
emarginazione sociale ed economica delle donne generando confusione sulla
nascita di un fenomeno: la ipotizzata fragilità mentale delle donne ed il loro
ingresso massiccio nei circuiti della nuova scienza psichiatrica.
Abbiamo visto la strada sociale ed economica che conduceva al
"ricovero": la marginalizzazione del lavoro, la povertà, la mancanza
di protezione, la prostituzione. E, di conseguenza, la tipologia della
popolazione ospitata alla Salpétrière, futura fucina della nuova scienza
psichiatrica: donne sole, abbandonate, vedove e prostitute (un ventesimo della
popolazione della Salpétrière era costituito da prostitute, secondo le
statistiche dell'epoca riportate in Descuret [vii].
Questi elementi che caratterizzarono il ricorso al ricovero massiccio
delle donne, ancora leggibili nella fase di transizione e trasformazione dalla
realtà asilare a quella ospedaliera, andranno poi a perdersi man mano che
avanzerà l'osservazione medico/scientifica che farà tabula rasa delle storie
di vita e guarderà le donne a partire da un corpo biologico da conoscere con
gli strumenti nuovi del
l'anatomia, della fisiologia e della chimica.
La
psichiatria di Pinel ed Esquirol manterrà ancora il legame con le storie di
vita e cercherà nella intensità delle passioni quel criterio
"scientifico" capace di spiegare la diversità della patologia
tra donne ed uomini.
E così all'esordio della scienza psichiatrica prevale la teoria del
disordine morale come causa della follia, ed in prima posizione vi sono le donne
che ammalano di più perché hanno passioni più accese e meno controllate dalla
ragione.
La follia come malattia apre invece la strada alla psichiatria come
scienza positivistica che si dibatte nell'alternativa di una malattia in
presenza di una lesione organica o meno. L'ipotesi della lesione organica, che
solo nella paralisi progressiva o generale (causata dal bacillo della sifilide)
trova il suo campo dimostrativo, si salda con gli studi anatomici del cervello.
La malattia senza lesione organica troverà invece nell'isteria il suo
campo applicativo. Ed anche nell'isteria le donne si trovano al centro
dell'osservazione psichiatrica; le isterie maschili sono solo un 20% del totale
ed hanno una diversa eziologia: sono riferite infatti ai traumatismi da lavoro.
Psichiatria morale e psichiatria scientifica pur nella loro diversa
impostazione mantengono punti di vista simili sulla differenza eziologica della
malattia tra uomini e donne: le donne ammalano per amore o per cause legate alla
vita riproduttiva (maternità e fasi del ciclo biologico/ormonale); gli uomini
per ambizione o per cause legate alla vita produttiva (lavoro).
Da Charcot in poi, i due modelli della psichiatria moderna validi a
tutt'oggi - pur nella loro diversità di impostazione teorica e metodologica -
individuano la centralità femminile e la maggiore implicazione delle donne
nell'area della patologia.
Per ambedue i modelli è la sessualità femminile, la biologia
riproduttiva che candida la donna al rischio maggiore di ammalarsi.
Da
questo breve excursus storico possiamo trarre le prime conclusioni:
-
la scienza psichiatrica sembra ereditare più di altre scienze le
concezioni sulla
inferiorità e/o negatività del genere femminile ed
in questo si pone, rispetto alle
altre scienze, come prosecuzione della vecchia ideologia
teologico-religiosa;
-
la psichiatria dà veste scientifica, corporea e terrena, alle teorie
sulla diversità tra i sessi; troviamo in questo modo i vecchi giudizi sulla
donna rivestiti di nuovi parametri scientifici che si collegano soprattutto alla
biologia e alla anatomia.
Con la psichiatria si passa dalle concezioni teologico-filosofiche, che
ipotizzavano una mancanza/carenza di "anima, logos, ragione"
nella donna con conseguenti limitazioni delle capacità di controllo
delle emozioni e della sensibilità, alla teoria di un "bios"
femminile destinato
all'incontrollabilità e quindi portatore di maggiori sventure e specifiche
malattie per le donne.
La psichiatria guarderà il comportamento femminile come incomprensibile
ed incontrollabile e ad esso darà una serie di etichette
scientifiche che ne sanciscono il carattere patologico.
La verità scientifica, adombrata in ogni discorso eziologico, ha
come postulato che le donne ammalano perché sono donne. Questa chiara affermazione tautologica, in contrasto con i criteri
affermatisi con la scienza moderna,
ricollega direttamente la psichiatria alle
precedenti dottrine di tipo metafisico.
Dalla sovrapposizione dei caratteri legati alla depressione (la patologia
più diffusa tra le donne a prescindere da una serie di varianti
e specificazioni) con i caratteri della identità femminile socialmente condivisa, si può valutare direttamente quanto il discorso
psichiatrico sulla eziologia della malattia nella donna sia fondato su
pregiudizi più che su criteri scientifici.
Ma il problema non è solo eziologico: questa impostazione
pseudoscientifica, questa confusione tra caratteri della patologia e caratteri
della femminilità, ha come ripercussione ben più grave la impossibilità per
la psichiatria di muoversi in una ottica di prevenzione.
Quale
prevenzione può essere paradossalmente ipotizzabile se
non quella di un intervento che riduca nelle donne i caratteri
costitutivi della loro femminilità?
Il corpo biologico ed in particolare il ciclo riproduttivo costituiscono
un velo calato sui problemi di salute della donna: la donna
avrà maggiori probabilità dell'uomo di incorrere in una diagnosi sbagliata sia sul piano fisico che psichico proprio perché i
clinici ed i ricercatori non
affrontano i problemi di salute delle donne da altri
punti di vista, oppure mettendo insieme più punti di vista.
In
particolare sono messi in ombra, nel ricorrere costantemente alla endocrinologia
e alla ginecologia per spiegare atteggiamenti psichici e comportamenti delle
donne, il lavoro produttivo e riproduttivo, ovvero il concreto dispendio
energetico nella vita quotidiana; le relazioni di potere con il sesso maschile
che è rappresentato come mezzo necessario per la realizzazione di sé (la
protezione maschile necessaria a compensare il minor valore della forza lavoro
femminile).
Da questa miopia e monotematicità del campo di indagine derivano
parzialissimi studi e ricerche in campo sanitario.
Alcuni
esempi della parzialità di questi studi, tratti da una nostra recentissima
ricerca sullo Stress e le differenze di genere[viii]:
-
sottovalutano lo stress da lavoro (inteso complessivamente) nelle donne;
-
non vedono il lavoro familiare come causa ed eziologia prevalente nella
depressione;
-
sottovalutano il rischio coronarico nelle donne, e cominciano a valutarlo
solo in menopausa come causato unicamente dalla mancata protezione dello scudo
ormonale;
-
al contrario, negli uomini mettono in primo piano lo stress da lavoro;
-
in generale per gli uomini, in una serie di patologie sia psichiche che
cardio-vascolari, o altre ancora, (così come nell'800 si parlava di isteria
maschile nei traumatismi di tipo lavorativo) si guarda maggiormente alla sfera
lavorativa, alle relazioni sociali, alla carriera, ai progetti di realizzazione
personale (ambizione), ai fallimenti economici.
Dalla articolazione attuale dei campi di ricerca, suddivisi in base alle
presunte differenze di sesso, deriva un grave danno per le donne e la loro
salute: la scienza le confina in uno spazio di osservazione ristretto, hanno
infatti accesso solo a determinati campi di indagine in relazione con la loro
vita riproduttiva mentre da molti altri sono escluse.
Le donne, come si è detto, sono ampiamente rappresentate nelle indagini
sulla depressione, ma di ciò non si giovano: racchiuse dalla scienza medica nel
loro ciclo biologico non hanno modo di sentire parlare di prevenzione e fattori
di rischio legati alla vita quotidiana e ai carichi di lavoro.
Sono al contrario sottorappresentate ed ignorate nelle patologie cardiovascolari.
Questa patologia è attribuita essenzialmente agli uomini ed
è connessa principalmente con lo
stress del lavoro. Al lavoro femminile, principalmente domestico, è negato il
valore di stress.
Questo modello scientifico-culturale imperniato intorno alla
ipervalutazione del corpo riproduttivo e alla sottovalutazione di tutto il
resto, in linea come abbiamo visto con i secoli precedenti e con le ideologie
pre-illuministiche, è ben presente anche nella nostra
organizzazione sanitaria che considera come specifico terreno di
prevenzione e cura il corpo biologico/riproduttivo e allestisce per la donna una
medicina ed una psichiatria di stampo "bio-ginecologico".
In questa organizzazione sanitaria è necessario affermare il diritto
delle donne alla parità di trattamento nell'ambito della cura e della ricerca
scientifica, facendosi riconoscere a pieno titolo come soggetti
la cui salute è un bene complesso correlato non solo con il corpo
biologico ma anche con il corpo psichico e sociale che si esprime e si
manifesta in tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Da
questa diversa impostazione e da una nuova visione della salute della donna, che
prescinda da steccati e barriere costituiti dai pregiudizi sulla natura e sulla
costituzione bio-psicologica della donna, possono derivare criteri e metodologie
scientifiche in grado di abbattere i miti costruiti dalla medicina della mente e
di cogliere le concrete ragioni del malessere femminile.
Se
la strada da percorrere, per affrontare le eziologie ed i fattori di rischio di
alcune patologie nelle donne, non è quella della medicina né quella della
psichiatria, il riferimento alla vita quotidiana e alla relazione di potere tra
i sessi, può sicuramente offrire una terza via
per comprendere e fronteggiare il disagio femminile.
Se lo sguardo retrospettivo ci ha indicato la scarsa scientificità di
una teoria fondata sulla costituzionalità di tratti femminili, uno sguardo
prospettico potrà allora concretamente individuare i percorsi di uscita dal
malessere orientandoli verso:
-
il riconoscere e far riconoscere alla donna i caratteri generali della
soggettività umana;
-
il modificare percezioni e
vissuti di incontrollabilità delle emozioni, e di dipendenza affettiva;
-
il ritirare le attribuzioni indebite di referenzialità al genere
maschile.
[i] Tutte le espressioni fra virgolette sono citate da testi di Elvira Reale.
[ii] M. Foucault, Storia della follia, Milano, Rizzoli, 1972.
[iii] J. Gutton, La società ed i poveri, Milano, Mondadori, 1977
[iv] J. Michelet, La donna, Napoli, Liguori, 1977.
[v] E. Sullerot, La donna ed il lavoro, Milano, Bompiani, 1977.
[vi] M.R. De Groote, La follia attraverso i secoli, Roma, Tattilo, 1973.
[vii] J.B.F. Descuret, La medicina delle passioni, Firenze, 1859.
[viii] E. Reale et al., Stress e vita quotidiana della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia, Roma, CNR, 1998