CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

 

 

 

1.     La medicina ed il pregiudizio sessuale  

2.         Lo sviluppo della scienza medica  

3.         La psichiatria come modello emblematico 

4.         La medicina e l’orientamento metodologico rispetto ai generi  

5.       Effetti conseguenti alla separazione tra mondo produttivo e mondo riproduttivo  

6.       La medicina e la critica alla scienza neutrale e universale  

7.         La salute e le tappe del percorso scientifico  

8.         La scienza di genere

9.                Quando le donne fanno ricerca   

Quando le donne fanno ricerca: l’ampliamento del campo, la trasformazione del metodo, le nuove prospettive ed esperienze

 

di

Elvira Reale

 

 

 

 

 

 

Conferenza Europea, Ancona, 25-26 giugno 1999

 

 


 

1.      La medicina ed il pregiudizio sessuale

 

Nel nostro lavoro clinico e di ricerca, condotto nell’area dei disturbi psichici, abbiamo individuato una serie di manchevolezze, carenze e distorsioni nell’approccio scientifico alle patologie quando esse si riferiscono alle donne.

 Abbiamo rilevato nella nostra pratica clinica un orientamento degli operatori sanitari che sottostima alcune patologie e ne sovrastima altre, contribuendo così ad elevare le probabilità dell’errore diagnostico e terapeutico quando la persona che sta male è di sesso femminile.

Nel nostro lavoro non ci siamo occupate solo di pratica clinica, ma abbiamo anche svolto l’attività di ricerca sulle cause e sui fattori di malattia: per questo ci siamo rese conto che molti pregiudizi sul genere femminile inficiano non solo la pratica clinica ma anche il corpus teorico della medicina influenzandone gli orientamenti scientifici e tecnico-metodologici.[1]

Le carenze che abbiamo individuato nel nostro lavoro sono presenti nel sistema sanitario e di ricerca in Italia, ma sono rintracciabili anche nei sistemi sanitari degli altri paesi europei.

Prima di entrare nella specifica analisi di queste carenze è opportuno procedere ad una riflessione più ampia sul modo di concepire e gestire la ricerca scientifica, ed in particolare sulla presenza di pregiudizi di genere che fanno della scienza medica una scienza parziale focalizzata sul punto di vista maschile.

essere parziale, così come avere un punto di vista, non è in sé in contraddizione con un metodo scientifico; non essere di ciò consapevole, non ammettere il punto di vista da cui si osserva un dato o un fenomeno, è invece una procedura a-scientifica, così come non è scientifico presentare un dato parziale come generale ed universale.

Rispetto ad una parzialità miope, ad una conoscenza che non declina il genere o il punto di vista da cui parte, che opera mascheramenti della realtà, che mistifica risultati e procedure contrabbandandoli come oggettivi e validi per tutti, esiste la possibilità di mettere in piedi una conoscenza che sia consapevole della propria parzialità.

E’ questa una scienza che declina il dato secondo il genere, che esplicita il punto di osservazione da cui parte, la direzione verso cui si muove con la sua osservazione ed esplorazione del nuovo; a questa scienza può essere attribuito il carattere aggiuntivo della generalità. Una scienza siffatta non pretende di possedere in sé l’oggettività e l’universalità, lascia spazio all’emergere di altri punti di vista e al procedere da altri angoli di osservazione, costruendo così il generale come risultato dell’articolazione e connessione di più punti di vista.

 Riteniamo quindi che solo dalla scomposizione di un unico punto di vista di tipo assolutistico e dall’emergere di più punti di vista rappresentativi di diverse condizioni di vita la scienza può aspirare ad avere quel valore aggiunto di generalità ed universalità che la rende fruibile da tutti in condizioni di parità.

Ma la scienza medica non è ancora oggi attraversata da questo pensiero e metodo della pluralità; riteniamo infatti che nella medicina non sia stato sufficientemente o adeguatamente rappresentato un punto di vista importante per la condizione umana: il punto di vista del genere femminile, ovvero la complessa condizione femminile articolata in aspetti biologici, psicologici e socioculturali.

Il mancato riferimento al genere femminile ed alle sue caratteristiche e specificità mostra una scienza medica che non coglie i suoi obiettivi, previsti per tutti, di miglioramento della salute e della qualità delle condizioni di vita.

Cosa vuol dire raggiungere obiettivi di salute validi per tutti? Perché oggi la scienza mostra incapacità a far ciò? Perché il mancato riferimento al genere femminile crea le basi per una scienza non rappresentativa e quindi scarsamente efficace? Da cosa vediamo che la scienza attuale non produce una medicina a misura di donna, ammesso che l’abbia realizzata a misura di uomo? Che ruolo ha il pregiudizio di genere, ed il mancato riferimento alla realtà concreta di vita della donna ? Quali sono stati i percorsi storici e culturali di questa scienza e della sua miopia in questioni di genere?

Non possiamo approfondire in questa sede tutte le domande che ci siamo poste, ma possiamo avviare una discussione a partire da annotazioni e riflessioni su alcuni dei problemi messi sul tappeto ed in particolare sull’impatto che ha il pregiudizio di genere nelle procedure e metodologie scientifiche, e sulla proiezione nelle teorie mediche della rappresentazione di un femminile la cui diversità è fondata esclusivamente sulla natura biologica.

          Una premessa storica sulla scienza moderna e la medicina agli inizi dell’800 può illuminare una zona oscura e contraddittoria della medicina alle soglie del terzo millennio che guarda ancora alla differenza sessuale in chiave sessista, ovvero definendo un femminile ontologicamente separato dal maschile e di fatto creando procedure di osservazione dei fenomeni di salute e malattia che in via pregiudiziale separano campi di indagine ed orientamenti nella ricerca.

L’impostazione della scienza medica a partire dall’800, sotto l’influenza del secolo dei lumi, costituisce una rivoluzione ed un affrancamento dalle concezioni teologiche e religiose precedenti. I progressi della biologia, fisica e chimica costituiscono le basi della nuova scienza medica e della nuova concezione dell’uomo, più legata a processi naturali e biologici e liberata dalle visioni teleologiche e spiritualistiche dei secoli precedenti dominati dal potere feudale e religioso.

Ma la vocazione universalista ed omologante della nuova scienza con i suoi presupposti di oggettività e neutralità, fondati sulla osservazione della natura, crea immediatamente degli ostacoli alla conoscenza del mondo umano: l’umano è l’uomo, la donna ne è una brutta copia. La conoscenza dell’uomo, del funzionamento del corpo e della mente, delle condizioni di salute e di malattia, deve raggiungere regole generali ma univoche attraverso un processo di omologazione e di negazione delle differenze che lo costituiscono. Al di sotto di questa conoscenza, con caratteri intrinseci di universalità e neutralità, ufficialmente riconosciuta come scientifica, si sviluppa, o meglio si mantiene, una conoscenza empirica sullo stato di salute e di malattia dei singoli individui uomini e donne.

Questa conoscenza che si sviluppa di fronte al letto del paziente (“letto del corpo” ma anche “letto della mente”), che ha l’obiettivo di curare persone che sono donne ed uomini, è costretta dalla realtà, che fuoriesce scandalosamente dalla omologazione e si mostra com’è nella pratica, a declinare la cura secondo i generi, e a dare alle malattie nomi che indicano eziologie legate ai due sessi.

Questa declinazione del genere solo di fronte al paziente che si ammala, più frequentemente solo se il paziente (anzi la paziente) si ammala di un organo che denuncia l’appartenenza di genere, non modifica i presupposti teorici ed i fondamenti condivisi della scienza e delle istituzioni ove si produce la conoscenza.

Si costituisce quindi una clinica separata dal corpo dottrinario delle conoscenze scientifiche che si rivolgono all’osservazione del funzionamento del corpo umano, della psiche, della formazione (eziologia) delle malattie, delle metodologie di trattamento (filosofia della cura).

Da una lato quindi vi sono scienziati che osservano in modo indistinto il corpo umano e ne traggono leggi generali di funzionamento; dall’altro vi sono i clinici, i curanti, che osservano la prevalenza di alcuni fenomeni e dati diversi nei due generi, ma che non avendo la possibilità di mettere mano alla ricerca sperimentale, ricorrono alle interpretazioni ed eziologie correnti fondate su stereotipi che risultano legati ad una rappresentazione della donna una volta dominata dagli umori (così definiti dalla medicina settecentesca), oggi dagli ormoni, secondo le concezioni più moderne.

 La conoscenza dei fenomeni, l’osservazione del dato, che è presente nel nuovo tessuto culturale e scientifico e che ha presieduto anche alla nascita della medicina, di fatto è tagliata fuori dal processo di costruzione della scienza stessa, quando si tratta di un dato che riguarda il genere, da quel processo cioè che fa della osservazione sistematica, controllata, quantificabile il suo punto di partenza, che sottopone a critica e verifica i suoi assunti e che giunge, se vi è esigenza di spiegare i fenomeni che fuoriescono dalla teoria già codificata, a modificare strumenti di indagine, campi di osservazione, procedure e quindi a formulare nuove ipotesi e teorie.

L’osservazione del dato secondo il genere è tagliata fuori dalla conoscenza scientifica ed è abbandonata al pregiudizio. Ed è pregiudizio, tutto racchiuso nella equazione totalizzante “donna = ciclo riproduttivo” che sussiste come base della ricerca nel campo della salute e che crea una vera e propria cortina fumogena sui processi di ammalamento delle donne e sulle condizioni di promozione della salute.


Nella tabella che segue è rappresentato in sintesi il sapere medico così come si configura in rapporto ai due generi.

 

La scienza medica indica il principale fattore di rischio per la salute femminile:

 il corpo con il ciclo ormonale e le tappe biologiche

ò 

La scienza medica trova che:

ò 

se le donne ammalano, bisogna guardare agli ormoni

(Charcot a metà 800 già diceva: all’ovaia bisogna guardare)

ò 

La scienza medica riflette sulla vita della donna e trae la conseguenza che: 

ò 

i parti, gli aborti, l’inizio e la perdita del ciclo, le vicende sentimentali, gli abbandoni e le perdite affettive fanno ammalare le donne.

 

 

La scienza medica indica il principale fattore di rischio per la salute maschile:

lavoro, ambizione, carriera

 ò 

La scienza medica trova che:

ò 

 se gli uomini ammalano, bisogna guardare alle condizioni produttive

(Charcot a metà 800 già diceva: l’isteria maschile trae origine dai traumatismi del lavoro)  

ò 

La scienza medica riflette sugli uomini

e sulle loro condizioni di salute

ò 

guardando all’ambiente, ai cicli produttivi, alle relazioni sociali

 

 

 

2.         Lo sviluppo della scienza medica

 

Se la scienza medica, sulla base dello studio naturale dell’uomo, aveva rappresentato un affrancamento da concezioni religiose e animistiche del corpo umano, il nuovo legame tra corpo e natura assume per la donna, più che per l’uomo, un carattere assoluto ed immodificabile sottratto al dominio della cultura e della storia. Supporto di questo assunto teorico è la maternità con il ciclo riproduttivo: esso diviene nella donna, e solo nella donna, modello interpretativo per ogni fenomeno di salute e di malattia sia fisica che psichica.

Sulla maternità biologicamente intesa, legata quindi al corpo fisico ed alla differenza dell’apparato biologico riproduttivo si ancora un sistema ideologico che individua nella donna una serie di mancanze, carenze, debolezze.

  Questo corpus ideologico viene trasferito tout court nel corpo dottrinario della medicina e grava come pre-giudizio sull’osservazione scientifica.

 Il quadro di riferimento dell’osservazione scientifica è contenuto nella rappresentazione del femminile ad opera dell’ideologia maschile: quest’ultima attraversa anche le “menti femminili “ ed incide sulla percezione che le donne hanno di sé.

La donna che la medicina rappresenta ed a cui si riferisce è la donna carente sotto molti punti di vista ma ricca in un solo aspetto, quello legato al mondo degli affetti e della cura (il così detto materno).

La donna è carente di:

-         forza, piano fisico

-         attività, piano sessuale

-         logica, piano intellettuale

-         resistenza, piano produttivo.

La donna è ricca di:

-         espressività, affettività, curatività.

Le carenze   rappresentano la donna sulla scena sociale come dipendente e bisognosa di un tutor, di un mediatore con l'esterno, di un ”protettore” rispetto a tutti i campi in cui mostra di essere deficitaria.

La ricchezza rappresenta la donna come bisognosa di rapporti (figli, marito, ecc.) su cui riversare affettività, cure ed emozioni che altrimenti rischierebbero di creare ingorghi e cortocircuiti psico-fisiologici.

Le carenze indicate hanno gravato a lungo e gravano sulla donna nel giudizio sociale, nella storia, nell’economia, ecc., dandole il ruolo sussidiario di comparsa, di esercito di riserva. L’affermazione della presenza delle donne nei luoghi pubblici non è mai stata pacifica ma è sempre stata terreno di battaglie e di scontri.

La ricchezza attribuitale nel campo affettivo ha fornito ulteriori ragioni all’emarginazione delle donne dalla vita pubblica ed alla loro destinazione nei confini ghettizzati della vita familiare, identificata con l’ambito affettivo.

I due aspetti della carenza e della ricchezza costituiscono le due facce di una medaglia unica che, sui due versanti, per ragioni apparentemente opposte (carenza e ricchezza) rappresenta la debolezza femminile.

Per la sua debolezza costituzionale il genere femminile sarà campo di osservazione della medicina: le debolezze costituzionali trasferite nella eziologia delle patologie saranno alleate, dall’800 in poi, nel candidare la donna ad oggetto preferenziale della medicina.

Ma non solo le donne avranno nel carattere della debolezza un valore aggiunto per la nuova scienza medica; nella debolezza costituzionale femminile la medicina scoprirà un’unica macro-eziologia che riverserà in ogni ambito della ricerca.

Questa macro-eziologia farà sì che la ricerca medica in modo ripetitivo si orienti ad individuare i rischi di patologia della donna nella sua costituzione naturale e biologica: ovvero nella presunta carenza degli aspetti intellettuali e sociali e nella ricchezza della vita affettiva fondata sulla funzione riproduttiva.

Se osserviamo i vari campi della medicina possiamo facilmente distinguere un’eziologia a prevalenza maschile da un’altra a prevalenza femminile: l’una mostra una maggiore tendenza verso la spiegazione dei fenomeni di malattia di tipo esogeno, l’altra una tendenza di tipo endogeno.[2]

 

3.         La psichiatria come modello emblematico di una medicina fondata sul pregiudizio di genere

 

Dato che lo specifico campo di lavoro e studio di cui ci occupiamo da 20 anni è costituito dall’area dei disturbi psichici, vorrei sottolineare alcuni aspetti storici della psichiatria al suo esordio come scienza, in modo da rappresentare in concreto, in uno specifico settore, come il pregiudizio di genere abbia accompagnato il processo di formazione della scienza medica. Possiamo quindi considerare questo processo emblematico del modo di costruzione della scienza medica.

 

    La prima tappa della psichiatria

 

La follia come disordine morale

(prima metà 800)

ò

 

  La follia come malattia

(seconda metà dell’800)

        

   

 Le passioni accese ed incontrollate, le condizioni di vita alla base del disordine

 

 

 

ò

 

Le donne al centro dell’osservazione perché hanno passioni più accese e vivono condizioni più a rischio.

 

Con lesione organica: la paralisi generale come prototipo di malattia mentale

 ò

Si guarda al cervello e a cause endogene

 ò

 

Le donne al centro dell’osservazione per il cervello più primitivo e meno sviluppato nelle aree logico-formali.

Senza lesione organica: l’isteria come prototipo di malattia mentale

 ò

Si guarda al corpo biologico come sostrato del comportamento psichico

ò 

 

Le donne al centro dell’osservazione medica con il ciclo biologico/ormonale.

La teoria della follia come disordine morale è presente all’inizio dell’800 con Esquirol, Pinel, ecc.; essa si basa sulla eziologia delle passioni e individua un rischio di ammalamento delle donne più elevato degli uomini: “ le donne ammalano di più degli uomini perché - a causa della costituzione più debole - hanno passioni più accese ed incontrollate”[3].

La follia come malattia (seconda metà dell’800) ha due orientamenti.

In presenza di lesione organica ha come modello la paralisi generale (sifilide) e guarda a cause endogene ed al cervello. Lo studio del cervello porta ad individuare nella donna maggiore primitività, minore organizzazione e specializzazione delle aree cerebrali ed in questo ambito tende a rappresentare i maggiori rischi di malattia per le donne.

La follia come malattia senza alcuna lesione organica ha nella teoria dell’isteria il suo modello. Si guarda al corpo biologico: le donne sono sempre al centro dell’osservazione medica per il ciclo biologico-ormonale che scorre in parallelo con i grandi “attacchi “ isterici.

I diari di cura dei medici dell’epoca contengono riferimenti giornalieri al ciclo mestruale che è connesso con le variazioni dello stato psichico della paziente. L’eziologia psichiatrica è in questa fase connessa direttamente alla qualità e quantità del ciclo mestruale ed alla valutazione delle condizioni di salute dell’”utero”.

La psichiatria moderna, epurata dai riferimenti al femminile, parla in modo neutro ma fa affiorare il pregiudizio di genere nella definizione dei disturbi psichici delle donne, ancora oggi connessi alle vicende del ciclo biologico, ed alla presunta costituzione bio-psicologica di maggiore fragilità. Per questo secondo aspetto, senza chiamare in causa una lettura di Freud, per altro molto visitato dalla critica del punto di vista di genere, è sufficiente riferirsi ad un fattore di rischio individuato da Arieti nel suo esaustivo trattato sulla Depressione, e metterlo a confronto con i valori della femminilità socialmente condivisi:

 

 

Modello della depressione

ò 

Vi è un tipo di personalità

associata alla depressione che:

ò 

“ha necessità di piacere agli altri e di agire secondo le aspettative altrui, non ascolta i propri desideri, non conosce cosa significa essere se stessi”.[4]

 

Modello della femminilità

ò 

Valori della femminilità

socialmente condivisi:

 ò

“riferimento all’uomo, vita attraverso altri e per altri, proibizione di esprimere ed affermare se stessa, di essere aggressiva e di cercare posizioni di potere (ambizione)”.[5]

 

Nella tabella si può vedere come l’eziologia della depressione si sovrapponga al modello della femminilità definendo come fattore di rischio l’avere una personalità coincidente di fatto con i carattere del “femminile”.

Possiamo segnalare in questo modo un prototipo di ragionamento scientifico: le donne incorrono maggiormente nella depressione in quanto donne: ovvero essere donne significa incorrere biologicamente e psicologicamente in più rischi di malattia.

            Affermazioni di questo tipo proliferano nella medicina e non solo nella psichiatria: se fossero sistematicamente sottoposte al vaglio di un pensiero critico e da un punto di vista di genere (che non concorda con la posizione che l’essere donna sia di per sé fonte di malattia) sarebbero riconosciute come tautologiche (in quanto causa ed effetto coincidono) e segnalate come prive di scientificità.

 

4.         La medicina e l’orientamento metodologico rispetto ai generi

 

Da questa rappresentazione del modo di procedere della scienza medica rispetto al genere femminile nasce anche l’orientamento prevalente della ricerca sulle cause dei fenomeni patologici e sulle strategie di cura e prevenzione.

La medicina assume, fin dal suo costituirsi come scienza, il carattere della parzialità e del pregiudizio di genere costruendo due modi separati di intendere la salute nell’uomo e nella donna, due campi di osservazione in-comunicanti. I due mondi e campi separati rendono difficile il confronto tra metodologie e tecniche, e la critica all’interno dello stesso mondo scientifico: queste differenze sono più spesso avvistate e denunciate dai movimenti delle donne che sperimentano direttamente approcci inadeguati ed inefficaci ai loro problemi di salute.[6]

Se la medicina da un lato separa i campi di osservazione, dall’altro lato è aliena, in virtù del mal inteso principio di imparzialità e neutralità, a riunire il campo di osservazione e ad introdurre, questa volta sì, “a campo unificato” il metodo della differenza di genere.  La metodologia della differenza di genere prevede, all’interno di un medesimo campo di indagine e non in due campi separati, la scomposizione di ciascun fenomeno in due e la successiva articolazione dell’unità dell’osservazione mediante la definizione di un sistema di conoscenza integrato che non escluda al suo interno la presenza di sotto-sistemi, aventi pari valore nella definizione del campo scientifico e della conoscenza complessiva del fenomeno.

 

Nella tabella seguente è rappresentato l’approccio della scienza medica ai due sistemi socio-bio-psichici su cui si fondano il maschile ed il femminile.

 

 

Il maschile ed il femminile nella rappresentazione scientifica

 

 

 

Il mondo della produzione                         Il mondo della riproduzione

campo della realtà maschile                      campo della realtà femminile

 

 

 Due campi separati e in-comunicanti,

che danno luogo a concezioni della salute opposte

e a strategie di cura e prevenzione non confrontabili.

.

Una volta definiti come separati i campi di applicazione dell’attività maschile e di quella femminile non si potrà che procedere nella costruzione separata di due medicine: l’una con un riferimento eziologico alla produzione, e l’altra alla riproduzione.

Vi è da dire che in questo modo per ciascun individuo uomo o donna vi è la preclusione di accesso all’altro campo, e che quindi, anche per l’uomo si potrà successivamente ragionare degli effetti di questa impostazione della ricerca medica in termini di pregiudizio e scarsa rappresentatività dei processi eziologici.

Per ora gli effetti nocivi di questa divisione manichea dei campi di indagine sono ben identificabili a partire dalle condizioni di salute delle donne: le statistiche dell’OMS[7] indicano che le donne hanno condizioni di salute più scadenti degli uomini, si sottopongono maggiormente a cure mediche, consumano più farmaci, costituiscono la popolazione prevalente in molte patologie diagnosticate; inoltre si rintracciano più patologie ad esclusivo impatto sulla popolazione femminile.

 

La scienza si trova di fronte, dopo averli fondati, due mondi separati: 

ò          ò

produttivo                                                     riproduttivo

Per  il mondo della produzione                     Per il mondo della riproduzione campo della realtà maschile                         campo della realtà femminile

  ò           ò

costruisce diagnosi, eziologie,                     costruisce diagnosi, eziologie,

trattamenti in sintonia con gli                         trattamenti in sintonia con gli

interessi ed il punto di vista                            interessi ed il punto di vista

della produzione                                                  della riproduzione    

 

 

5.       Effetti conseguenti alla separazione tra mondo produttivo e mondo riproduttivo

 

Questa separazione del campo di osservazione conseguente al pregiudizio di genere ha un doppio effetto:

-         le donne sono escluse dalle indagini che riguardano o che chiamano in causa i processi di malattia ad opera di mutate condizioni sociali, storiche ed ambientali;

-         le donne sono confinate in uno spazio di osservazione ristretto che coincide con il campo della salute riproduttiva e che ha meno contatto con la storia delle trasformazioni sociali.

Questo modello scientifico culturale separante, imperniato intorno alla iper-valutazione del corpo riproduttivo e alla sottovalutazione di tutto il resto è ben presente e lo vediamo agire nella nostra organizzazione sanitaria che considera come specifico terreno di prevenzione e cura il corpo biologico-riproduttivo e allestisce per la donna una medicina centrata essenzialmente su una ginecologia medicalizzante e sulle tecnologie della riproduzione.

La medicina quindi rispecchia al suo interno e anzi offre il supporto scientifico alla validazione di un concetto di donna funzionale alle discriminazioni di sesso della nostra società e molto lontano da concetti di “pari opportunità”.

Possiamo vedere alcuni esempi pratici degli effetti - sui due versanti della iper-valutazione e della sotto-valutazione - di questa separazione dei campi di indagine.

-          La ginecologia diviene la medicina di elezione delle donne: occupa tutto il campo della vita riproduttiva della donna e trasforma in patologia le fasi di uno sviluppo fisiologico che per più di 2000 anni è stato in mano alle donne. La scienza poteva fornire allo sviluppo fisiologico della donna il supporto della conoscenza: ha operato invece per trasformare ogni momento della vita biologica della donna in rischio di malattia e/o in patologia conclamata.

Da anni le donne si battono contro l’espropriazione del corpo e della sessualità, contro la medicalizzazione e l’invasione delle tecnologie nella vita riproduttiva. Gli effetti di questa medicalizzazione, che sono a nostro parere anche un effetto della iper-valutazione della vita riproduttiva nell’ambito della valutazione generale della salute femminile, sono evidenti ed eccone alcuni esempi: l’intervento tecnologico nel parto con l’aumento, soprattutto in Italia, del parto chirurgico, ed ultimo arrivato, l’intervento massiccio della medicina nella tappa biologica della menopausa presentata come ultima e più virulenta minaccia alla salute della donna.

-          Insieme alla ginecologia, spostata sul versante della iper-valutazione del corpo biologico e della medicalizzazione dello stesso, abbiamo la salute mentale e la psichiatria, che in parte come abbiamo già visto, ripercorrono dal punto di vista psicologico l’iter dei rischi che la ginecologia individua nelle tappe biologiche contribuendo con le sue cure alla medicalizzazione della vita delle donne. Vale come esempio per tutti, la cura ed il trattamento con i “sali di litio” che sono considerati eccellenti nella prevenzione dei disturbi depressivi perché regolano le variazioni dell’umore considerate più frequenti nelle donne, a causa del ciclo ormonale.

-          Oltre che alla ginecologia e alla psichiatria, possiamo riferirci alle patologie tumorali dell’apparato riproduttivo, ad esempio il carcinoma mammario in aumento tra le donne, che in qualche modo vengono sottratte ad approcci multi-fattoriali e ad indagine a tutto campo: dall’impatto ambientale, come avviene per altri tumori a maggiore diffusione tra la popolazione maschile con l’analisi dei fattori di rischio connessi con i luoghi di lavoro e di vita, alla influenza di nuove abitudini di vita, agli effetti della stessa medicalizzazione del corpo biologico.

-          Oltre, e per tutte le altre patologie che colpiscono donne ed uomini, dove non vi è un riferimento certo ad un’eziologia biologica di genere, c’è il buio, l’impossibilità a valutare l’incidenza di specifici fattori patogeni tra le donne, sia per la mancanza di strumenti differenziati all’interno di un campo univoco, sia per l’incapacità di pensare che sulla salute delle donne possano gravare fattori di rischio non direttamente collegati alla biologia riproduttiva.

 

6.       La medicina e la critica alla scienza neutrale e universale

La scienza medica da un lato rimane ancorata ad una concezione positivistica della realtà ed ai criteri di universalità ed oggettività; dall’altro manca di raggiungere gli obiettivi concreti di miglioramento della salute delle persone, di uomini e di donne.

Mentre la scienza è attraversata da movimenti e teorie che mettono in crisi il principio di universalità e neutralità, la medicina rimane ferma e fedele ai principi che l’hanno fondata come scienza .

L’ideale baconiano della scienza nuova, funzionale all’abbattimento della ideologia teologico-religiosa, nelle ulteriori modifiche della prospettiva scientifica è messo sotto accusa e considerato un mito.[8] Il metodo induttivo che prevede da un lato un oggetto di indagine casuale e dall’altro un osservatore privo di pregiudizi e quindi irrealisticamente privo di idee sul mondo è esso stesso un mito. Un mito la cui credenza fa erroneamente credere di essere oggettivi, neutrali liberi da giudizi pre-formati, liberi da ideologie, liberi da posizione di classe, di genere, di razza. Un mito che impedirà, avendo negato la presenza di pre-giudizi, la possibilità di individuarli, di farci i conti, di metterli in bilancio nel processo conoscitivo, e quindi, se il caso, di superarli.

Se quindi osservatori neutri non esistono nella ricerca scientifica, nella ricerca medica sui due generi è necessario che i pregiudizi sulla natura maschile e femminile siano esplicitati perché essi tendono ad orientare la ricerca e portano a risultati molto lontani dagli obiettivi reali di salute delle persone ed in particolare delle donne[9].

La scienza procede da una rivoluzione all’altra, attraverso rotture epistemologiche e di significato: secondo Kuhn [10]  un nuovo modello scientifico si attua quando emerge un nuovo punto di vista che permette di dare significato e corpo ad alcune osservazioni più che ad altre. E’ l’assunzione di un nuovo punto di vista che crea un nuovo campo di ricerca o nuove soluzioni ed orientamenti nella ricerca.

 Per Kuhn una nuova conoscenza può esistere solo se  compare sulla scena  un nuovo punto di vista, esso stesso incarnato in un nuovo osservatore che porta con sé , per dirla con Popper: “motivazioni soggettive che riflettono aspettative e problemi concreti, di individui e di gruppi”.

La critica alla scienza  condotta da vari versanti sia specialistici che filosofico-politici  ha messo in dubbio i  principi, affermati al suo nascere, di universalità e neutralità,  e ha dato  alla conoscenza una prospettiva di cambiamento come effetto di possibili e sempre attuabili ampliamenti  di orizzonti ed inserimenti di nuovi punti di vista.

 Dentro questa scienza il punto di vista di genere  può entrare come nuovo punto di vista, nuovo angolo di osservazione che contribuisce ad ampliare il campo dell’osservazione scientifica mutando regole e procedure[11] fin qui considerate legittime e valide, ma che se vengono osservate da un’altra prospettiva, quella del genere,  mostrano di essere miopi, selettive, non in grado di dar conto di tutti i fenomeni emergenti dal campo di osservazione specifico.

 

Se confrontiamo la medicina con questa spinta critica all’interno della scienza generale vediamo come poco essa sia stata attraversata da nuovi punti di vista, come la sua struttura riproponga in tutto l’organizzazione e le aspirazioni della scienza positivistica, e come allontani da sé nuovi punti di vista.

Nella scienza medica, dove l’obiettivo è raggiungere il miglioramento delle condizioni di salute delle persone, il riferirsi a donne ed uomini dovrebbe essere un requisito scientifico essenziale.

Osserviamo invece che nei settori della medicina dove la salute riguarda tutti  (tutti i settori non impegnati nella cura degli specifici organi riproduttivi) il punto di vista di genere rimane uno scandalo, una parola da non pronunciare,[12] un punto di vista da lasciare ai margini, considerato a-scientifico perché rompe il monolite della scienza universale.

 Al contrario osserviamo, là dove la salute riguarda la differenza biologica, un fiorire di interessi scientifici connessi con interessi commerciali, un moltiplicarsi delle tecnologie in nome di una mal intesa salute delle donne.

            Quando la ricerca sulla salute della donna è limitata da pregiudizi, quando il punto di vista di genere, inteso come nuovo punto di osservazione di un fenomeno, non è legittimato e quindi è assente nell’indagine e nella impostazione metodologica si verificano una serie di effetti che portano i ricercatori lontano dagli obiettivi che si sono proposti:

1.                  una medicalizzazione eccessiva ed esplicita del corpo biologico e dei fenomeni della riproduzione e delle tappe del ciclo biologico; un controllo tecnico pressante del corpo della donna che viene tenuto sotto stretta osservazione  e su cui si interviene a proposito e a sproposito modificando cicli naturali, che non sempre sarebbe opportuno modificare;[13]

2.                  un appiattimento delle malattie psichiche sul corpo riproduttivo, con una conseguente medicalizzazione del medesimo tipo, centrata cioè sulla regolazione ormonale della vita della donna;[14]

3.                  una sottovalutazione di patologie per le quali non si ipotizza un collegamento con il corpo riproduttivo;[15]

4.                  la tendenza a scoprire, in ogni campo in cui si profila un avanzamento della patologia per le donne, il collegamento con il corpo riproduttivo, escludendo altri collegamenti e soprattutto la connessione con la dimensione lavorativa e ambientale;[16]

5.                  la tendenza, quando si  parla di ambiente esterno e di fattori di rischio psico-sociali, a ipotizzare ambiente e fattori legati principalmente alla vita affettiva, alle relazioni coniugali, alla maternità esperita, desiderata, mancata[17].

 

L’orientamento attuale della scienza medica mantiene quindi una divaricazione tra pratica e teoria, una  separatezza dei campi di osservazione che propugna come modello scientifico di riferimento la generalità connessa alla neutralità e alla omologazione del femminile al maschile.

Questo orientamento può essere definito del doppio binario:

a.       da un lato, separazione e parzializzazione dei campi di indagine per gli uomini e le donne,

b.      dall’altro, omologazione del maschile e femminile in teorie indifferenziate e neutralistiche.

A questo orientamento corrisponde  un doppio ostacolo sulla strada della conoscenza scientifica:

-          la negazione ed il rifiuto ad assumere esplicitamente  il punto di vista di genere   nella metodologia e nell’orientamento  della ricerca in nome dei principi della neutralità ed imparzialità;

-          l’affermazione dell’esistenza di differenze strutturali tra uomini e donne che giustificano la selezione pregiudiziale di campi ed oggetti di indagine in relazione ad ipotesi pre-formate sulla diversità del genere femminile.

Vediamo nella tabella seguente di approfondire questa contraddizione tutta interna alla medicina: tra pregiudizio di genere ed aspirazione alla neutralità.

La scienza medica

 

 

Guarda in modo indifferenziato  e non introduce nella propria riflessione teorica e generale  sulla salute complessiva degli esseri umani il punto di vista di genere.

La teoria scientifica parla di unità ed indifferenziazione dei processi di ammalamento.

Però:

1.              quando si trova di fronte un fenomeno al maschile introduce nella osservazione strumenti di rilevazione integrati in grado di avvicinarsi  alla realtà maschile intesa come realtà non solo biologica;

2.           quando si trova di fronte un fenomeno femminile,  o non  lo rileva o lo  rileva con l’unico strumento della costituzione biologica e del suo riferimento alla riproduzione. 

 

 

La realtà riproduttiva fa velo alla scienza e crea una barriera per una conoscenza a tutto campo dei fenomeni di salute e malattia nelle donne.

 

 

La conoscenza che ne deriva della salute e della malattia, non  fondata all’interno di un unico campo di osservazione penetrato da punti  di vista differenziati, condurrà ad una visione parziale della salute secondo l’appartenenza di genere.

 

 

Come conseguenza, la scienza medica avrà molte probabilità di non cogliere gli obiettivi di miglioramento della salute e della qualità della vita che pur dice di prefiggersi.

 

 

Alla fine la scienza medica rivela, dal punto di vista della critica di genere, un’arretratezza complessiva delle sue impostazioni che  sono scarsamente affidabili e poco fruibili dai soggetti cui  si indirizza.


7.         La salute e le tappe del percorso scientifico

 

Valutiamo ora nella tabella seguente le tappe di formazione di un percorso scientifico valido per raggiungere gli obiettivi di conoscenza di un fenomeno collegato al rischio di salute per l’individuo.

 

La salute e le tappe del percorso scientifico

 

 

Individuare la presenza di un problema:

osservare una rilevanza quantitativa e qualitativa

del fenomeno  per la salute umana,

ascoltare gli utenti, i pazienti, i cittadini  e le loro rappresentanze.

 

 

Approfondire la rilevanza del problema:

individuare i contesti specifici umani ed ambientali in cui il fenomeno compare (epidemiologia e mappe di diffusione);

approfondire le caratteristiche del fenomeno (diagnostica).

 

 

Avere come obiettivi:

l’eziologia del fenomeno, ovvero conoscerne le cause,

il trattamento, il come fare per  risolverlo,

 la prevenzione, cosa fare per non incorrervi.

Rispetto a questi obiettivi la mancanza dell’inserimento del punto di vista di genere crea una serie di intralci al percorso della conoscenza scientifica tali da renderla spesso irraggiungibile.

Il mancato presupposto scientifico di coniugare secondo il genere ogni fenomeno ha una serie di conseguenze tutte importanti. Valutiamo i vari campi in cui risaltano la presenza di carenze e di scorretta impostazione della ricerca in campo sanitario.

          I fenomeni di salute e malattia  non sono sistematicamente rilevati disaggregando i dati per sesso; le mappe di incidenza della patologia non portano il segno della distinzione dei sessi.

Mancano a questo proposito:

Ø      Procedimenti codificati e condivisi di raccolta dati che includano la differenza di genere in ogni ambito ed in ogni campo della ricerca e della osservazione mirata alla individuazione dei fattori di morbilità, mortalità e rischio sulla popolazione generale.

Ø      Procedimenti codificati  a valenza di genere per la sperimentazione di tecniche e metodologie di intervento.

Ø      Procedimenti codificati a valenza di genere per la sperimentazione di farmaci.

 

Queste carenze di impostazione metodologica nella ricerca sanitaria hanno determinato le seguenti anomalie nei risultati che riguardano il genere femminile:

1.                  mancano statistiche e mappe epidemiologiche che in ogni campo della ricerca e della pratica clinica e sanitaria ci illustrino il livello e la qualità di salute della donna;

2.                  mancano, nelle varie aree di ricerca sulle patologie, mappe di incidenza dei fenomeni patologici per le donne;

3.                  mancano mappe che indicano i fattori di rischio nella popolazione femminile;

4.                  mancano indicazioni sugli effetti indesiderati,  sulla efficacia e sugli effetti paradossi dei farmaci sulle donne.

Per converso in un campo di ricerca in cui i dati non vengono differenziati abbiamo a titolo di esemplificazione alcuni  effetti paradossali.

-          La sperimentazione degli psicofarmaci. In questo campo attualmente la gestione delle procedure prevede l’arruolamento di un  campione misto che non ha procedure che prevedano una rappresentatività dei due generi (ad esempio al 50% maschile e al 50 % femminile) ma che è in prevalenza maschile per il principio pratico che è più facile sul mercato trovare maschi per la sperimentazione.

Questa diversa composizione del campione potrebbe comunque essere recuperata se l’elaborazione dei dati venisse condotta con sistemi di separazione e confronto dei campioni maschili e femminili , in  modo da avere alla fine un risultato complessivo in cui è anche possibile valutare il peso del genere nei vari obiettivi della sperimentazione: efficacia, tollerabilità, presenza di effetti indesiderati.

Effetto della mancanza di questa procedura della sperimentazione è allo stato attuale una sfasatura tra conoscenza nella  pratica clinica e mondo della ricerca, perché nella clinica è ben visibile che gli psicofarmaci hanno nelle donne più effetti collaterali indesiderati, meno tollerabilità a dosaggi  indicati come ottimali, minore efficacia.

Ulteriore effetto paradossale è che la sperimentazione non raggiunge l’obiettivo di misurare la validità terapeutica di un farmaco  sulle donne, proprio quando sono le donne  ad essere indicate come le più alte consumatrici di psicofarmaci.

-          La diagnostica ed il trattamento dei disturbi cardiovascolari e dell’infarto.

In conseguenza di un ampio movimento dell’opinione pubblica femminile sulla ricerca cardiologica, si è cominciato a valutare l’attendibilità delle procedure diagnostiche sulle donne ( ad esempio  la “prova da sforzo” utilizzata in prevalenza con gli uomini non costituiva un valido test per le donne), e dei trattamenti in caso di infarto  da occlusione delle coronarie.

Terapie, procedure diagnostiche, fattori di rischio devono essere misurati sempre su uomini e donne riuscendo a cogliere di ognuno le specificità che non sono solo biologiche ma che sono anche di condizioni di vita.

Questi solo i due esempi di come procedure, sperimentazione di farmaci e tecnologie non codificate secondo criteri rigorosi di rappresentatività ed evidenza dei due generi, creano prodotti scientifici monchi se non dannosi o inefficaci e quindi impotenti a risolvere i problemi di salute delle donne.

 

8.         La scienza di genere

             

            Fin qui i problemi che riguardano la procedura da adottare nella raccolta, elaborazione dei dati e nella sperimentazione di nuovi farmaci e tecnologie.

Ma esiste un altro problema del campo di ricerca: la capacità di rilevare un fenomeno con la sua incidenza nella popolazione femminile, e di definirne correttamente l’eziologia.

Da questo punto di vista, in opposizione ad un campo di ricerca che separa aprioristicamente ciò che attiene al maschile e ciò che attiene al femminile, la scienza medica deve proporsi un riattraversamento di tutti i fenomeni di salute e di malattia, e solo all’interno del campo integrato e complessivo deve introdurre quelle necessarie lenti di lettura per poter rilevare  il problema   secondo il punto di vista di genere.

Questa impostazione metodologica  ha un’importanza strategica perché amplia il campo della salute delle donne e vi inserisce tutti i fattori di analisi finora rimasti all’ombra della realtà riproduttiva.

Non ripensare la salute come un sistema complesso in cui entrano gli stessi fattori per gli uomini e donne, da leggere con diverse angolazioni  e punti di vista, significa, come succede spesso, andare incontro a errori di interpretazione che si pagano in termini di salute.

Pensiamo infatti che oltre a vivere condizioni di vita più difficili le donne nel rapporto con la salute scontano anche il problema della miopia del sistema sanitario nei suoi vari aspetti della ricerca e della clinica.

L’errore diagnostico ed eziologico è un fenomeno non quantificato da alcuna ricerca, ma di cui si ha conoscenza empirica, e dalla nostra esperienza possiamo dire che colpisce più le donne che gli uomini: quante volte ad una donna che va con un dolore toracico al pronto soccorso o con altro problema si diagnostica un disturbo di ansia e depressione e la si rimanda a casa con una terapia ansiolitica? Se quel disturbo è accusato da un uomo e per di più in carriera non è molto più probabile che sarà sottoposto ad un accertamento cardiologico?

Quante volte in genere i disturbi delle donne, di qualsiasi natura e tipo, vengono sottovalutati o diagnosticati come disturbi d’ansia “disturbi inesistenti” e non sottoposti ad accurate indagini?

Quante volte i medici (psichiatri o non) si informeranno delle condizioni di lavoro delle donne per stabilire una corretta diagnosi, quante volte oltre che stabilire se una donna ha partorito da poco chiederanno alla donna se  riesce a dormire, se mangia regolarmente, se ha del tempo non impegnato nella cura degli altri?

Tutto ciò oggi è fuori dalla prospettiva medica, ed è fuori proprio perché non si guarda alla salute della donna nella sua complessità e non si tengono presenti gli stessi fattori  coniugandoli al maschile e femminile. Un esempio per tutti: il lavoro preso come fattore di rischio complessivo per uomini e donne, se coniugato al maschile significherà lavoro unico o principalmente lavoro produttivo, se al femminile significherà doppio lavoro, o principalmente lavoro di cura.

 

Le due tabelle successive gettano uno sguardo prospettico su come deve essere articolata una scienza che si definisca di genere ovvero che faccia suo il concetto di generalità ma lo sappia coniugare con un punto di vista specifico.

 

La scienza attuale

 ò

Individua la rilevanza di un fenomeno per le donne solo se appare un collegamento con il campo di attività femminili.

 ò

Definisce l’eziologia delle principali patologie separando  gli ambiti produttivo  e riproduttivo e attribuendone i rispettivi rischi separatamente a uomini e donne.

 ò

Stabilisce regole per la prevenzione differenziate per donne ed uomini: alle une dà consigli sui rischi biologici, agli altri sulla gestione del lavoro.

 ò

  Usa strumenti e metodi non confrontabili che leggono separatamente le due realtà: essi non hanno carattere di generalità.  

La scienza di genere

 ò

Individua la rilevanza di un fenomeno per le donne  indipendentemente  dal collegamento con il campo di attività femminili.

 ò

Definisce l’eziologia delle principali patologie  indipendentemente da ciò che è attribuito per ruolo a donne ed uomini: la riproduzione e la produzione.

ò 

Stabilisce regole univoche per la prevenzione nell’attuale società, miranti ad un riequilibrio del carico di lavoro e dell’attività di cura.

 ò

  Costruisce strumenti in grado di leggere le due realtà a confronto: essi hanno carattere  scientifico di generalità.

 
Il processo di formazione della scienza di genere:
 

 

disconoscere le differenze psicologiche e sociali tra i sessi

come prodotto della  natura biologica;

 

riconoscere nella scienza la presenza di punti di vista parziali

legati ad un solo genere  e rappresentati come globali;

 

individuare il punto di vista sessista sul genere femminile

 nel suo legame esclusivo con la riproduzione e nella sua esclusione dalla produzione;

 

 

integrare nel campo della ricerca  i due mondi separati: produttivo e riproduttivo;

 

 

 

fare attenzione  e mettere in luce nella indagine complessiva

 il punto di vista   nascosto o non rappresentato.  

          Il punto di vista di genere, che questa scienza rappresenta, è un punto di vista critico del mero biologismo, esso guarda alle diversità naturali collocandole nell'ambito della storia dei due generi. Ed inoltre il punto di vista di genere  guarda al maschile ed al femminile senza collocarli in una scala gerarchica biologicamente fondata.

            Sul piano della riflessione scientifica il punto di vista di genere ridefinisce il campo di indagine, inserendo in esso strumenti in grado di dare conto delle due parzialità (maschile e femminile), e persegue come sintesi  una teoria complessiva che, senza azzerare le diversità  sia in grado di spiegare e con-prendere tanto il maschile quanto il femminile senza rappresentarli in un rapporto di sovra-posizione dell’uno rispetto all’altro. 

E veniamo ad osservare in concreto il processo di formazione di un’indagine che mette al centro la differenza di genere: analizzeremo alcuni passi e presupposti che hanno guidato le scelte metodologiche fatte dal nostro gruppo di ricerca  all’interno del Progetto Finalizzato CNR “Prevenzione e Fattori di Malattia” per indagare il collegamento tra stress e tre patologie ad alto impatto tra la popolazione femminile (depressione psichica, carcinoma mammario, ipertensione arteriosa).[18]

 

9.                  Quando le donne fanno ricerca: l’ampliamento del campo, la trasformazione del metodo, le nuove prospettive ed esperienze

 

Quando abbiamo iniziato a lavorare sullo stress per trovare un collegamento  con le patologie ad alto rischio tra le donne (carcinoma mammario, depressione psichica  ed ipertensione arteriosa), ci siamo rese conto che il campo di ricerca andava bonificato dal pregiudizio di genere che creava delle evidenti disparità di trattamento tra donne ed uomini con risultati insoddisfacenti soprattutto  rispetto alla individuazione dei fattori di rischio per le donne.

L’interesse alla ricerca sullo stress, non è stato un cedimento alla moda del momento, ma la valutazione che  questo studio si colloca nella intersezione tra normalità e patologia: lo stress rappresenta il rapporto tra individuo ed ambiente - la pressione cioè dell'ambiente e la risposta dell'individuo - che può portare in luce nella vita quotidiana  gli intrecci ed i nodi da cui si dipartono le vie di formazione delle varie patologie, in primis quelle psichiche. 

La risposta da stress non è di per sé patologica essa  indica un'attività normale di superamento/adattamento ad una situazione esterna caratterizzata da cambiamenti e/o richieste. Essa si trasforma in patologia (fisica o psichica) quando la risposta di fronteggiamento non è adeguata sul piano oggettivo (a risolvere il problema) o sul piano soggettivo (lo sforzo di adattamento è troppo  elevato e/o prolungato, la motivazione interna carente, ecc.).

            La ricerca sullo stress ha quindi un’importanza strategica per la prevenzione: essa illumina  le condizioni di ammalamento di una persona,  viste nella organizzazione complessiva della  vita quotidiana, prima che siano trasformate in patologia. Nello stesso modo l'indagine sullo stress può orientare l'individuo e la comunità verso la trasformazione di condizioni di vita che si dimostrano a ragione patogene.

            Il campo stesso della ricerca stress, dai dati presenti in letteratura, indicava che questo settore era poco abitato dal genere femminile: poche le indagini e scarsi i dati sul collegamento tra patologie femminili e stress. In sintesi la teoria sullo stress sembrava indicare una correlazione di genere forte a vantaggio degli uomini: erano gli uomini più a rischio di stress. Ma non solo questo, vi erano anche patologie per le quali la connessione con lo stress era significativa, come le patologie cardiovascolari (guarda caso, anche queste a prevalenza maschile)  ed altre per le quali era molto più difficile individuare un collegamento con lo stress, come la depressione ed il tumore al seno (ambedue a prevalenza femminile) per le quali si ipotizzavano eziologie di  tipo prevalentemente endogeno.

Ai nostri occhi queste differenze ci sono apparse come chiara separazione pregiudiziale di un campo di indagine: da un lato  donne, eziologia endogena, depressione e tumore al seno; dall’altro uomini, stress, patologie cardiovascolari.

Le due tabelle seguenti rappresentano i due campi di indagine così come ci sono apparsi all’inizio della ricerca.

 

Studi sul genere e stress

 

 

Genere    maschile

 

 

          Numerosi dati epidemiologici. Ricerche e studi centrati sulla sfera del lavoro produttivo.

          Correlazioni significative tra tipo di organizzazioni comportamentali attive ed aggressive ed insorgenza di specifiche malattie.

 

Genere      femminile

            Pochi dati epidemiologici. Scarsa rappresentatività degli studi sul rapporto stress e lavoro.

           Scarse e non significative correlazioni tra determinati comportamenti (individuati come rischiosi tra la popolazione maschile) e specifiche patologie. Prevalenza di comportamenti rinunciatari, opposti a quelli maschili.

 

            Le patologie da stress in qualche modo ripropongono le differenziazioni già esistenti nel campo della epidemiologia psichiatrica tra i due generi: le patologie considerate a maggiore diffusione tra la popolazione maschile sono viste in collegamento con cause derivate dal mondo sociale e produttivo; le patologie a più alto impatto tra la popolazione femminile sono rappresentate collegate agli eventi affettivi e alla vita riproduttiva. 

 

Studi sul genere e  la malattia mentale

 

 

Genere    maschile

 

 

    Studi epidemiologici che indicano correlazioni tra condizioni socioeconomiche e malattia.

    Maggiore incidenza di psicosi schizofreniche ed organiche.

 

Genere       femminile

 

    Studi epidemiologici che indicano correlazioni tra tappe di vita biologiche, eventi di vita affettiva e malattia.

    Prevalenza di depressioni e psicosi affettive.

 

Un altro effetto di questa separazione di campo nella ricerca stress è che nel rapporto tra individuo ed ambiente si è visto in pratica, al di là della teoria neutralistica, uno spostamento del ruolo dei due attori inseriti nella dinamica stress, ovvero l’individuo con le sue motivazioni e l’ambiente.

            Il rapporto individuo-ambiente, rappresentato dalla teoria sullo stress tendenzialmente con un carattere circolare senza una prevalenza dell’uno sull’altro, ha avuto di fatto due linee interpretative:

-         una maggiore valutazione dell’evento esterno in rapporto a patologie maschili 

-         una maggiore valutazione dei fattori costituzionali individuali, in rapporto a patologie femminili.

            Anche quindi nella teoria sullo stress la costituzione biologica è entrata a differenziare i comportamenti tra uomini e donne.

Questo si è reso visibile proprio nel trattamento dei dati maschili e femminili: per le donne l’indagine propendeva a valutare fattori costituzionali, negli uomini a valutare il peso dell’evento.

La valutazione dell’evento di vita ci è apparso chiaramente come il primo dato da rivisitare alla luce di un punto di vista di genere per riequilibrare le posizioni teoriche preconcette su uomini e donne.

             Si è quindi inserito come correttivo dell’impostazione corrente della ricerca sullo stress un criterio di ponderazione nella misura dell’evento in termini di maggiore o minore gravità. Questa misurazione ponderata dell’evento è  consistita nel valutare l’evento non in sé ma in rapporto alla storia precedente della persona e alle conseguenze  rappresentabili in termini concreti di  sovraccarico di lavoro e di riduzione delle  risorse personali.

L’analisi successiva ha preso in considerazione gli studi sullo stress in rapporto alle tre patologie oggetto della nostra indagine.

v      

            Tra le patologie da stress quella cardiovascolare è  considerata più significativa  ed ha maggiormente occupato il campo della ricerca. Questa patologia è vista in stretto collegamento con lo stress lavorativo, intendendo per esso esclusivamente il lavoro produttivo extra-familiare. In coerenza con questa interpretazione il fattore di protezione dal rischio cardiovascolare  è stato considerato il  sesso femminile con le specifiche caratteristiche psico-sociali (tabella successiva).

 

Studi su stress e malattie cardiovascolari)

 

 

Life events

è

 

 

eccesso di carico di lavoro e responsabilità.

Perdita di prestigio, fallimento, difficoltà finanziarie, impedimenti alla carriera.

 

Tipo di personalità

è

di tipo A:

Type A Behaviour Pattern (urgenza e fretta);

Sindrome ORA (ostilità, rabbia, ansia).

 

 

Fattori di protezione

è

 

sesso femminile, comportamento di tipo B, supporti sociali, carenza di eventi negativi nella sfera lavorativa.

 

            Questi fattori di rischio si sovrappongono alle condizioni di vita degli uomini e sono in genere tratti dall’esplorazione delle condizioni di lavoro extra-familiare, escludendo ogni possibilità di rappresentare le  condizioni di vita delle donne.

E’ apparso chiaro che per quanto riguarda le patologie cardiovascolari e lo stress il campo della ricerca era attraversato da una concezione parziale del lavoro frutto di un pregiudizio sulle attività familiari,  che non vengono considerate lavoro e  che non sono oggetto di indagini quantitative oltre che qualitative.

            E poiché il collegamento tra stress, lavoro e patologie, è un collegamento importante per definire eziologie e strategie di prevenzione, abbiamo operato nella direzione di un recupero di questo rapporto, anche per le donne, inserendovi una necessaria correzione di prospettiva..

            La correzione  operata ha riguardato, rispetto alle ricerche fino ad allora condotte, l’ampliamento del concetto di lavoro: andava definito un nuovo concetto di lavoro totale dato dalla sommatoria del lavoro familiare e di quello extra-familiare e andavano costruiti nuovi strumenti per la sua misurazione. 

Un’altra difficoltà riscontrata in questo campo era la connessione, stabilita dai ricercatori, tra comportamenti di tipo A, meno rappresentati nelle donne, e stress

La distinzione tra maschile e femminile rispetto a questi comportamenti e la connessione con lo stress era frutto di un campo di ricerca già pregiudizialmente occupato dai maschi e dalle loro caratteristiche di genere.

In effetti dalla nostra esperienza di lavoro clinico, sapevamo che lo stress era leggibile anche nelle donne come comportamenti caratterizzati da fretta ed urgenza del tempo: bastava analizzarli nel campo più appropriato che è quello del lavoro familiare, e non quello “manageriale” che, oltre ad essere meno rappresentativo dell’universo femminile, è anche il luogo in cui le donne appaiono addirittura più rilassate degli uomini ( rispetto al lavoro familiare)!

            Nella ricerca abbiamo misurato la percezione di sé ed il giudizio degli altri relativamente ad aspetti quali, l’aggressività, l’impazienza, la fretta, ecc.: per tutte le donne  del campione patologico questi valori venivano rappresentati  - nell’anno precedente all’insorgenza della patologia  - in netto aumento.

v      

Passando al campo del collegamento tra stress e patologia depressiva vediamo la sovra-rappresentazione delle donne nella depressione e vediamo anche come il campo della ricerca sullo stress, in relazione all'indagine sulle cause della patologia depressiva (patologia a maggiore rappresentatività femminile), si modifichi: non sono più in primo piano i carichi di lavoro e la vita sociale ma, come sempre da quando la scienza medica si è occupata delle donne, gli eventi affettivi e biologici.

Nella tabella seguente vediamo questo improvviso cambiamento di panorama dell’indagine: i fattori di stress mutano, se prima il collegamento con il lavoro era un collegamento forte con la vita quotidiana (e le donne ne erano state impropriamente escluse), ora vi sono solo eventi negativi a valenza affettiva a ricordarci la presenza della vita quotidiana e l’immancabile riferimento ad una personalità rinunciataria, passiva, attribuita tipicamente per pregiudizio sessuale alle donne.


Studi su stress e depressione

 

 

Life events

è

 

 

 

 

eventi indesiderati  e "a scarso potere di controllo" correlati a:

fattori di perdita affettiva e separazione.

 

Tipo di personalità

è

 

 

 

passivo, dipendente, auto-punitivo.

 

Stile di risposta

è

 

 

rinunciatario.

 

Fattori di protezione

è

 

sesso maschile, alta autostima,

supporti sociali, lavoro esterno.

 

v      

Infine un altro campo di ricerca dello stress che riguarda la patologia neoplastica è  quello relativo al carcinoma mammario per la sua altissima  - ed in progressivo aumento - incidenza tra la popolazione femminile (i dati dell'OMS indicano il tumore al seno una delle prime cause di morte nella popolazione femminile).

Come si potrà vedere nella tabella successiva il profilo della tipologia di fattori stressanti - eventi, caratteristiche di personalità e stili di risposta -   è pressoché sovrapponibile al profilo dei fattori stressanti nella depressione. La letteratura sull'argomento pone molte volte esplicitamente la depressione come fattore di rischio principale per le neoplasie.

Studi su stress e carcinoma mammario

 

 

Life events:

è

 

 

 

 

 

di alto contenuto emotivo, di grave intensità

correlati a fattori di perdita affettiva.

 

Tipo di personalità:

è

 

 

depressivo, rinunciatario,

minori caratteristiche di tipo A;

personalità di tipo C - Cancer - Prone Personality.

 

 

Fattori protettivi:

è

 

alta autostima,

espressività degli stati emozionali.

 

v      

           

In definitiva il campo sulla ricerca tra stress e patologie mostra: sovrapposizioni di costrutti e pregiudizi legati alle differenze di sesso. Vediamo il prevalere dei pregiudizi sulle esigenze di un allestimento corretto del campo di ricerca: se in una patologia risulta maggiormente implicato il sesso maschile la ricerca sullo stress avrà  uno specifico campo di indagine e tralascerà altri campi, e viceversa per le patologie a maggiore implicazione del sesso femminile.

Nella tabella seguente sono illustrati i pregiudizi sessuali che hanno gravato finora  sul campo di indagine. In particolare l'attività lavorativa, intesa esclusivamente come lavoro produttivo è in realtà parziale e non esaustiva, eppure  è sempre stata rappresentata come universale, vale a dire come valore unico della produzione.

            La personalità femminile è stata vista in omaggio alla funzione sessuale- biologica della riproduzione solo come ricezione, passività, fusività: sono stati espunti tutti gli altri aspetti di aggressività, competizione, attività, produttività che sono presenti nella donna e nella  stessa funzione riproduttiva se analizzata in modo scevro da pregiudizi. 

            Gli eventi che colpiscono gli uomini sono diversi da quelli che colpiscono le donne: gli uomini sono rappresentati rivolti alla cura degli affari e le donne alla cura degli affetti, nonostante che l'esperienza indichi che gli eventi di un tipo o dell'altro possono colpire in eguale misura i due sessi.

 

Pregiudizi legati al sesso nel riconoscimento dello stress

 

Attività:

ò

  lavorativa è            

non lavorativa è

 

 

  produttiva, extra-familiare, per il mercato (maschile

      riproduttiva, familiare, di cura (femminile).

Personalità

ò

          tipo A è

          tipo B è

 

 

 

 

attivo, aggressivo, competitivo (maschile)

      passivo, dipendente, rinunciatario (femminile).

Eventi

ò

 economici è

   affettivi è

 

 

 

 

perdita di prestigio e fallimenti (maschili)

 

perdita di legami, perdite emotive, delusioni e separazioni affettive (femminili).

 

             L’osservazione fin qui condotta, sullo stato della ricerca e sulla presenza di pregiudizi, indica che il primo compito di un ricercatore è la critica dal punto di vista di genere.

E con questo punto di vista siamo passate: dall'individuazione dei limiti e dei pregiudizi della ricerca, alle scelte correttive da operare sul piano sia dei contenuti sia delle metodologie per allestire un nuovo campo d’indagine.[19]

            Nella prospettiva prima definita dell'inserimento del punto di vista di genere nel campo d’indagine dello stress abbiamo riformulato ipotesi e assunti di partenza, riattrezzato il campo d’indagine con strumenti confrontabili, capaci di rilevare le fonti di stress per ambedue i generi.

            Nella tabella successiva sono rappresentati gli elementi essenziali del processo di modifica del campo d’indagine:

-          la riconsiderazione del peso dell’evento stressante; la valutazione della gravità degli eventi in rapporto a modifiche e cambiamenti nel quotidiano. Ad esempio abbiamo verificato che lutti gravi (madre, marito) sostengono una depressione, definita patologica, solo nel caso che quella perdita s’inserisca in un cambiamento della vita quotidiana caratterizzato da: aggravio di lavoro e responsabilità, diminuzione di supporti, o azzeramento della rete sociale e relazionale.

         l'inserimento della variabile "lavoro" anche per la valutazione del collegamento tra stress ed ogni tipo di patologia, comprese quelle ad ampia diffusione tra la popolazione femminile;

         l'ampliamento della variabile "lavoro", con l'inserimento del lavoro familiare, giungendo ad una definizione del lavoro come attività complessiva   data dalla sommatoria del lavoro familiare e di quello per il mercato;

-          la revisione delle tipologie di personalità (tipo A e B) e la valutazione differenziale degli stili di risposta in rapporto a motivazioni diverse: la personalità di tipo non solo presente negli uomini e quella di tipo B non solo nelle donne.

 

Ampliamento del campo di indagine

 

 

Lavoro

è

 

 

 

complessivo:

familiare + extra-familiare.

 

Gravità eventi

è

 

 

correlati a cambiamenti di: carico di lavoro, progetti, stima di sè.

 

Stili di risposta

è

è

 

 

attivo e aggressivo sostenuto da una motivazione auto-fondata  (forte rappresentazione di interesse personale);

 

passivo e rinunciatario correlato ad una motivazione etero-fondata (scarsa rappresentazione di un interesse personale).

Da questa diversa e nuova impostazione del campo di ricerca, che non separa pregiudizialmente i contenuti della vita delle persone in base al sesso, ma che è attenta a tenere insieme gli elementi di specificità di ciascuna condizione, si colgono tre effetti generali:

¨      1° Effetto generale: la depressione esce dal campo delle patologie correlate quasi esclusivamente a fattori biologico-riproduttivo ed entra a pieno titolo nel campo delle patologie da stress per il ruolo centrale svolto dalla pressione del carico di lavoro familiare. A questa si aggiungono elevate quote di insoddisfazione e percezione di sovraccarico, in connessione con altri fattori quali: la riduzione delle risorse personali con conseguente abbassamento della stima di sé, e la riduzione di supporti esterni.

¨        Effetto generale: anche per il carcinoma, il carico di lavoro svolge un ruolo importante; il lavoro familiare e quello esterno pesano qualitativamente e percettivamente, sono infatti   vissuti come insoddisfacenti, non rispondenti alle motivazioni personali e producono senso di sovraccarico e di fatica. L’associazione con la depressione come principale fattore di rischio è sconfermato: questo gruppo infatti evidenzia la migliore auto-stima ed etero-stima ed ha i maggiori supporti ed aiuti.

¨      3° Effetto generale: l’ipertensione ed i disturbi cardiovascolari insieme si correlano per le donne, così come già emerso per gli uomini, al sovraccarico di lavoro e responsabilità considerato però come qualità di lavoro totale (lavoro familiare + lavoro extra-familiare). Queste patologie escono così dalla generale sottovalutazione in cui erano state relegate per la mancanza di indagini a tutto campo sulla dimensione lavorativa. Questo risultato è importante anche per la valutazione del rischio cardiovascolare in età menopausale: la caduta dello scudo protettivo ormonale nella donna deve indurre i ricercatori ad una maggiore e più attenta valutazione dei fattori di rischio collegati al carico di lavoro familiare ed extra-familiare che possono, in questa fase di minore difesa biologica, svolgere il ruolo di fattori scatenanti la patologia.

 



[1] Dal 1981 abbiamo creato  un servizio di salute mentale rivolto alla donne, oggi questo Servizio si è trasformato in un Centro di prevenzione per la salute mentale della donna e dell’adolescente presso la Azienda Sanitaria Napoli 1.

L’attività di ricerca che abbiamo condotto, in parallelo con l’attività clinica (costituendo per 15 anni una Unità Operativa di ricerca all’interno di tre Progetti Finalizzati del Consiglio Nazionale delle Ricerche) è stata rivolta all’analisi e alla  valutazione di nuovi strumenti di lettura del disagio femminile, di nuove prassi di intervento adottate in via sperimentale ed alla individuazione di fattori di rischio legati alla condizione complessiva di vita della donna.

Confronta per l’intreccio tra lavoro clinico e ricerca i seguenti testi:

Reale, E. et al. (1982),  Malattia mentale e ruolo della donna, Il Pensiero Scientifico, Roma.

Reale, E. (1985), Il posto della donna nella storia della psichiatria,  in  Devianza ed Emarginazione,  anno IV n. 8,  Editiemme, Milano.

Reale, E.  et al. (1988),  Manuale di intervento sul Disagio Psichico della Donna,  CNR, Roma.

Reale, E. (1991), “Disagio psichico della donna: principi metodologici e aspetti dell'intervento di salute mentale", in Arcidiacono C. (a cura di), Identità, genere, differenza, F. Angeli, Milano.

Reale, E. et al. (1998),   Stress e vita quotidiana  della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia, CNR, Roma.

[2] Come esogena intendiamo una eziologia che ricerca le cause nel contesto ambientale: per gli uomini e le patologie di maggiore interesse maschile vediamo i ricercatori impegnati a trovare nell’ambiente e nel lavoro le cause delle malattie; come endogena intendiamo una eziologia che ricerca le cause all’interno dell’individuo e prima di tutto nel suo corpo biologico e psicologico: vediamo infatti che le patologie a maggiore incidenza tra le donne si accompagnano quasi sempre ad eziologie di tipo endogeno.

[3] Descuret J.B.F. (1859), La medicina delle passioni, Firenze.

[4] Arieti, S.; Bemporad, J. (1981), La depressione grave e lieve, Milano, Feltrinelli.

[5] Corbeil, C. et al. (1983), L’intervention féministe, Montréal.

[6] Il movimento delle donne per la salute ha una storia complessa, che non possiamo richiamare in questa sede; esso ha lottato ed ancora lotta in tutti  i settori contro la medicalizzazione impropria e contro tutte le forme di discriminazione delle donne all’interno delle nuove tecnologie.

[7] OMS (1995), Highlights on Women’s Health in Europe, Regional Office for Europe Sexuality and Family Planning Health of Women and Children.

[8] Popper, K.  (1969), Scienza e filosofia, Einaudi, Torino, p.138.

[9] La scienza positivistica è stata attraversata dalla critica su vari versanti: dalla critica all’economia di  Karl Marx, alla teoria fisica della relatività di Einstein, al principio di indeterminazione di Heisemberg.

[10] Kuhn, S.  (1962), La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino.

[11] Cini, M ; Mazzonis, D.  (1981), Il gioco delle regole, Feltrinelli, Milano.

[12] Voglio solo ricordare che quando nel 1978 si parlava di una questione femminile e di genere nella psichiatria, gli psichiatri democratici insorsero contro l’idea di una ricerca sulle condizione di malessere e sugli strumenti di intervento che tenesse conto del genere.

[13] Si pensi: alle tecniche messe in atto per pilotare i parti e adeguarli alle esigenze dell’organizzazione sanitaria o a quelle del mercato; alle ricerche tecnologica sulla procreazione assistita; alla terapia ormonale sostitutiva in menopausa, ecc.

[14] Si pensi alla diagnostica ed eziologia psichiatrica che trova le connessione tra i disturbi delle donne ed ogni fase del ciclo biologico: depressioni e psicosi si declinano per le donne nel modo seguente: catameniali, pre-mestruali gravidiche, post-partum, menopausali.

[15] Per anni si è avuta una sottovalutazione del rischio cardio-vascolare nelle donne, dovuta alle ricerche che hanno ipotizzato come fattore di rischio principale lo stress nel lavoro ed un tipo di personalità attivo/aggressiva, considerate antitetiche, secondo il pregiudizio sessuale, alla natura e alla realtà femminile.

[16] Quando negli ultimi anni, sotto la pressione del movimento delle donne in America, i cardiologi hanno preso atto che vi era anche tra le donne una emergenza di disturbi cardio-vascolari, si è fatto ricorso solo a teorie collegate con il ciclo (la perdita dello scudo ormonale protettivo  in menopausa) escludendo l’interpretazione dello stress lavorativo che era stato considerato fattore di rischio princeps per gli uomini.

[17] Nel Seminario Internazionale su:”Il disagio psichico della donna”, organizzato dal nostro gruppo di ricerca, presso il CNR a Roma nel 1988, molte ricercatrici mostrarono come le ipotesi correnti sul disagio psichico della donna, in contrasto con statistiche e dati, volevano che la donna non sposata e/o  senza figli, o nel periodo menopausale (in coincidenza della perdita della sua “femminilità”) andasse incontro più facilmente ad episodi depressivi. Dal convegno e alla luce di indagini condotte con un punto di vista scevro da pregiudizi sessuali emerse con chiarezza che le donne (casalinghe o lavoratrici poco importa) nel matrimonio e con figli piccoli incorrono nei maggiori rischi di depressione.

[18] Reale, E. et al. (1998),   Stress e vita quotidiana  della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia, CNR, Roma.

[19] Reale, E., Sardelli, V. (1992), Stress e condizione femminile: ampliamenti del campo di ricerca, in La Rosa G  (a cura di) Stress e lavoro, Il Mulino, Bologna.