1. La
medicina ed il pregiudizio sessuale 2.
Lo sviluppo della scienza medica 3. La psichiatria come modello emblematico 4.
La medicina e l’orientamento metodologico rispetto ai generi 5.
Effetti conseguenti alla separazione tra mondo produttivo e mondo
riproduttivo 6.
La
medicina e la critica alla scienza neutrale e universale |
Quando
le donne fanno ricerca: l’ampliamento del campo, la trasformazione del metodo,
le nuove prospettive ed esperienze di
Elvira
Reale Conferenza
Europea, Ancona, 25-26 giugno 1999 1.
La
medicina ed il pregiudizio sessuale Nel nostro lavoro clinico e di ricerca, condotto nell’area
dei disturbi psichici, abbiamo individuato una serie di manchevolezze, carenze e
distorsioni nell’approccio scientifico alle patologie quando esse si
riferiscono alle donne. Abbiamo rilevato
nella nostra pratica clinica un orientamento degli operatori sanitari che
sottostima alcune patologie e ne sovrastima altre, contribuendo così ad elevare
le probabilità dell’errore diagnostico e terapeutico quando la persona che
sta male è di sesso femminile. Nel nostro lavoro non ci siamo occupate solo di pratica
clinica, ma abbiamo anche svolto l’attività di ricerca sulle cause e sui
fattori di malattia: per questo ci siamo rese conto che molti pregiudizi sul
genere femminile inficiano non solo la pratica clinica ma anche il corpus
teorico della medicina influenzandone gli orientamenti scientifici e
tecnico-metodologici.[1] Le carenze che abbiamo individuato nel nostro
lavoro sono presenti nel sistema sanitario e di ricerca in Italia, ma sono
rintracciabili anche nei sistemi sanitari degli altri paesi europei. Prima di entrare nella specifica analisi di queste
carenze è opportuno procedere ad una riflessione più ampia sul modo di
concepire e gestire la ricerca scientifica, ed in particolare sulla presenza di
pregiudizi di genere che fanno della scienza medica una scienza parziale
focalizzata sul punto di vista maschile. essere parziale, così come avere un punto di vista, non è
in sé in contraddizione con un metodo scientifico; non essere di ciò
consapevole, non ammettere il punto di vista da cui si osserva un dato o un
fenomeno, è invece una procedura a-scientifica, così come non è scientifico
presentare un dato parziale come generale ed universale. Rispetto ad una parzialità miope, ad una conoscenza che non
declina il genere o il punto di vista da cui parte, che opera mascheramenti
della realtà, che mistifica risultati e procedure contrabbandandoli come
oggettivi e validi per tutti, esiste la possibilità di mettere in piedi una
conoscenza che sia consapevole della propria parzialità. E’ questa una scienza che declina il dato secondo il
genere, che esplicita il punto di osservazione da cui parte, la direzione verso
cui si muove con la sua osservazione ed esplorazione del nuovo; a questa scienza
può essere attribuito il carattere aggiuntivo della generalità. Una scienza
siffatta non pretende di possedere in sé l’oggettività e l’universalità,
lascia spazio all’emergere di altri punti di vista e al procedere da altri
angoli di osservazione, costruendo così il generale come risultato
dell’articolazione e connessione di più punti di vista. Riteniamo quindi
che solo dalla scomposizione di un unico punto di vista di tipo assolutistico e
dall’emergere di più punti di vista rappresentativi di diverse condizioni di
vita la scienza può aspirare ad avere quel valore aggiunto di generalità ed
universalità che la rende fruibile da tutti in condizioni di parità. Ma la scienza medica non è ancora oggi attraversata da
questo pensiero e metodo della pluralità; riteniamo infatti che nella medicina
non sia stato sufficientemente o adeguatamente rappresentato un punto di vista
importante per la condizione umana: il punto di vista del genere femminile,
ovvero la complessa condizione femminile articolata in aspetti biologici,
psicologici e socioculturali. Il mancato riferimento al genere femminile ed alle sue
caratteristiche e specificità mostra una scienza medica che non coglie i suoi
obiettivi, previsti per tutti, di miglioramento della salute e della qualità
delle condizioni di vita. Cosa vuol dire raggiungere obiettivi di salute
validi per tutti? Perché oggi la scienza mostra incapacità a far ciò? Perché
il mancato riferimento al genere femminile crea le basi per una scienza non
rappresentativa e quindi scarsamente efficace? Da cosa vediamo che la scienza
attuale non produce una medicina a misura di donna, ammesso che l’abbia
realizzata a misura di uomo? Che ruolo ha il pregiudizio di genere, ed il
mancato riferimento alla realtà concreta di vita della donna ? Quali sono stati
i percorsi storici e culturali di questa scienza e della sua miopia in questioni
di genere? Non possiamo
approfondire in questa sede tutte le domande che ci siamo poste, ma possiamo
avviare una discussione a partire da annotazioni e riflessioni su alcuni dei
problemi messi sul tappeto ed in particolare sull’impatto che ha il
pregiudizio di genere nelle procedure e metodologie scientifiche, e sulla
proiezione nelle teorie mediche della rappresentazione di un femminile la cui
diversità è fondata esclusivamente sulla natura biologica.
Una premessa storica sulla scienza moderna e la medicina agli inizi
dell’800 può illuminare una zona oscura e contraddittoria della medicina alle
soglie del terzo millennio che guarda ancora alla differenza sessuale in chiave
sessista, ovvero definendo un femminile ontologicamente separato dal maschile e
di fatto creando procedure di osservazione dei fenomeni di salute e malattia che
in via pregiudiziale separano campi di indagine ed orientamenti nella ricerca. L’impostazione della scienza medica a partire dall’800,
sotto l’influenza del secolo dei lumi, costituisce una rivoluzione ed un
affrancamento dalle concezioni teologiche e religiose precedenti. I progressi
della biologia, fisica e chimica costituiscono le basi della nuova scienza
medica e della nuova concezione dell’uomo, più legata a processi naturali e
biologici e liberata dalle visioni teleologiche e spiritualistiche dei secoli
precedenti dominati dal potere feudale e religioso. Ma la vocazione universalista ed omologante della nuova
scienza con i suoi presupposti di oggettività e neutralità, fondati sulla
osservazione della natura, crea immediatamente degli ostacoli alla conoscenza
del mondo umano: l’umano è l’uomo, la donna ne è una brutta copia. La
conoscenza dell’uomo, del funzionamento del corpo e della mente, delle
condizioni di salute e di malattia, deve raggiungere regole generali ma univoche
attraverso un processo di omologazione e di negazione delle differenze che lo
costituiscono. Al di sotto di questa conoscenza, con caratteri intrinseci di
universalità e neutralità, ufficialmente riconosciuta come scientifica, si
sviluppa, o meglio si mantiene, una conoscenza empirica sullo stato di salute e
di malattia dei singoli individui uomini e donne. Questa conoscenza che si sviluppa di fronte al letto del
paziente (“letto del corpo” ma anche “letto della mente”), che ha
l’obiettivo di curare persone che sono donne ed uomini, è costretta dalla
realtà, che fuoriesce scandalosamente dalla omologazione e si mostra com’è
nella pratica, a declinare la cura secondo i generi, e a dare alle malattie nomi
che indicano eziologie legate ai due sessi. Questa declinazione del genere solo di fronte al paziente che
si ammala, più frequentemente solo se il paziente (anzi la paziente) si ammala
di un organo che denuncia l’appartenenza di genere, non modifica i presupposti
teorici ed i fondamenti condivisi della scienza e delle istituzioni ove si
produce la conoscenza. Si costituisce quindi una clinica separata dal corpo
dottrinario delle conoscenze scientifiche che si rivolgono all’osservazione
del funzionamento del corpo umano, della psiche, della formazione (eziologia)
delle malattie, delle metodologie di trattamento (filosofia della cura). Da una lato quindi vi sono scienziati che osservano in modo
indistinto il corpo umano e ne traggono leggi generali di funzionamento;
dall’altro vi sono i clinici, i curanti, che osservano la prevalenza di alcuni
fenomeni e dati diversi nei due generi, ma che non avendo la possibilità di
mettere mano alla ricerca sperimentale, ricorrono alle interpretazioni ed
eziologie correnti fondate su stereotipi che risultano legati ad una
rappresentazione della donna una volta dominata dagli umori (così definiti
dalla medicina settecentesca), oggi dagli ormoni, secondo le concezioni più
moderne. La conoscenza
dei fenomeni, l’osservazione del dato, che è presente nel nuovo tessuto
culturale e scientifico e che ha presieduto anche alla nascita della medicina,
di fatto è tagliata fuori dal processo di costruzione della scienza stessa,
quando si tratta di un dato che riguarda il genere, da quel processo cioè che
fa della osservazione sistematica, controllata, quantificabile il suo punto di
partenza, che sottopone a critica e verifica i suoi assunti e che giunge, se vi
è esigenza di spiegare i fenomeni che fuoriescono dalla teoria già codificata,
a modificare strumenti di indagine, campi di osservazione, procedure e quindi a
formulare nuove ipotesi e teorie. L’osservazione del dato secondo il genere è tagliata fuori
dalla conoscenza scientifica ed è abbandonata al pregiudizio. Ed è
pregiudizio, tutto racchiuso nella equazione totalizzante “donna = ciclo
riproduttivo” che sussiste come base della ricerca nel campo della salute e
che crea una vera e propria cortina fumogena sui processi di ammalamento delle
donne e sulle condizioni di promozione della salute. Nella tabella che segue è rappresentato in sintesi il sapere
medico così come si configura in rapporto ai due generi.
2.
Lo sviluppo della scienza medica Se la scienza medica, sulla base dello studio naturale
dell’uomo, aveva rappresentato un affrancamento da concezioni religiose e
animistiche del corpo umano, il nuovo legame tra corpo e natura assume per la
donna, più che per l’uomo, un carattere assoluto ed immodificabile sottratto
al dominio della cultura e della storia. Supporto di questo assunto teorico è
la maternità con il ciclo riproduttivo: esso diviene nella donna, e solo nella
donna, modello interpretativo per ogni fenomeno di salute e di malattia sia
fisica che psichica. Sulla maternità biologicamente intesa, legata quindi al
corpo fisico ed alla differenza dell’apparato biologico riproduttivo si ancora
un sistema ideologico che individua nella donna una serie di mancanze, carenze,
debolezze. Questo corpus
ideologico viene trasferito tout court
nel corpo dottrinario della medicina e grava come pre-giudizio
sull’osservazione scientifica. Il
quadro di riferimento dell’osservazione scientifica è contenuto nella
rappresentazione del femminile ad opera dell’ideologia maschile:
quest’ultima attraversa anche le “menti femminili “ ed incide sulla
percezione che le donne hanno di sé. La donna che la medicina rappresenta ed a cui si riferisce è
la donna carente sotto molti punti di vista ma ricca in un solo aspetto, quello
legato al mondo degli affetti e della cura (il così detto materno). La donna è carente di: -
forza, piano fisico -
attività, piano sessuale -
logica, piano intellettuale -
resistenza, piano produttivo. La donna è ricca di: -
espressività, affettività, curatività. Le carenze rappresentano
la donna sulla scena sociale come dipendente e bisognosa di un tutor,
di un mediatore con l'esterno, di un ”protettore” rispetto a tutti i campi
in cui mostra di essere deficitaria. La ricchezza rappresenta la donna come bisognosa di rapporti
(figli, marito, ecc.) su cui riversare affettività, cure ed emozioni che
altrimenti rischierebbero di creare ingorghi e cortocircuiti psico-fisiologici. Le carenze indicate hanno gravato a lungo e gravano sulla
donna nel giudizio sociale, nella storia, nell’economia, ecc., dandole il
ruolo sussidiario di comparsa, di esercito di riserva. L’affermazione della
presenza delle donne nei luoghi pubblici non è mai stata pacifica ma è sempre
stata terreno di battaglie e di scontri. La ricchezza attribuitale nel campo affettivo ha fornito
ulteriori ragioni all’emarginazione delle donne dalla vita pubblica ed alla
loro destinazione nei confini ghettizzati della vita familiare, identificata con
l’ambito affettivo. I due aspetti della carenza e della ricchezza costituiscono
le due facce di una medaglia unica che, sui due versanti, per ragioni
apparentemente opposte (carenza e ricchezza) rappresenta la debolezza femminile. Per la sua debolezza costituzionale il genere femminile sarà
campo di osservazione della medicina: le debolezze costituzionali trasferite
nella eziologia delle patologie saranno alleate, dall’800 in poi, nel
candidare la donna ad oggetto preferenziale della medicina. Ma non solo le donne avranno nel carattere della debolezza un
valore aggiunto per la nuova scienza medica; nella debolezza costituzionale
femminile la medicina scoprirà un’unica macro-eziologia che riverserà in
ogni ambito della ricerca. Questa macro-eziologia farà sì che la ricerca medica in
modo ripetitivo si orienti ad individuare i rischi di patologia della donna
nella sua costituzione naturale e biologica: ovvero nella presunta carenza degli
aspetti intellettuali e sociali e nella ricchezza della vita affettiva fondata
sulla funzione riproduttiva. Se osserviamo i vari campi della medicina
possiamo facilmente distinguere un’eziologia a prevalenza maschile da
un’altra a prevalenza femminile: l’una mostra una maggiore tendenza verso la
spiegazione dei fenomeni di malattia di tipo esogeno, l’altra una tendenza di
tipo endogeno.[2] 3.
La psichiatria come modello emblematico di una medicina fondata sul
pregiudizio di genere Dato
che lo specifico campo di lavoro e studio di cui ci occupiamo da 20 anni è
costituito dall’area dei disturbi psichici, vorrei sottolineare alcuni aspetti
storici della psichiatria al suo esordio come scienza, in modo da rappresentare
in concreto, in uno specifico settore, come il pregiudizio di genere abbia
accompagnato il processo di formazione della scienza medica. Possiamo quindi
considerare questo processo emblematico del modo di costruzione della scienza
medica. La
prima tappa della psichiatria
La teoria della follia come disordine morale è presente
all’inizio dell’800 con Esquirol, Pinel, ecc.; essa si basa sulla eziologia
delle passioni e individua un rischio di ammalamento delle donne più elevato
degli uomini: “ le donne ammalano di più degli uomini perché - a causa della
costituzione più debole - hanno passioni più accese ed incontrollate”[3]. La follia come malattia (seconda metà dell’800) ha due
orientamenti. In
presenza di lesione organica ha come modello la paralisi generale (sifilide) e
guarda a cause endogene ed al cervello. Lo studio del cervello porta ad
individuare nella donna maggiore primitività, minore organizzazione e
specializzazione delle aree cerebrali ed in questo ambito tende a rappresentare
i maggiori rischi di malattia per le donne. La follia come malattia senza alcuna lesione organica ha
nella teoria dell’isteria il suo modello. Si guarda al corpo biologico: le
donne sono sempre al centro dell’osservazione medica per il ciclo
biologico-ormonale che scorre in parallelo con i grandi “attacchi “
isterici. I diari di cura dei medici dell’epoca contengono
riferimenti giornalieri al ciclo mestruale che è connesso con le variazioni
dello stato psichico della paziente. L’eziologia psichiatrica è in questa
fase connessa direttamente alla qualità e quantità del ciclo mestruale ed alla
valutazione delle condizioni di salute dell’”utero”. La psichiatria moderna, epurata dai riferimenti
al femminile, parla in modo neutro ma fa affiorare il pregiudizio di genere
nella definizione dei disturbi psichici delle donne, ancora oggi connessi alle
vicende del ciclo biologico, ed alla presunta costituzione bio-psicologica di
maggiore fragilità. Per questo secondo aspetto, senza chiamare in causa una
lettura di Freud, per altro molto visitato dalla critica del punto di vista di
genere, è sufficiente riferirsi ad un fattore di rischio individuato da Arieti
nel suo esaustivo trattato sulla Depressione, e metterlo a confronto con i
valori della femminilità socialmente condivisi:
Nella tabella si può vedere come l’eziologia della
depressione si sovrapponga al modello della femminilità definendo come fattore
di rischio l’avere una personalità coincidente di fatto con i carattere del
“femminile”. Possiamo segnalare in questo modo un prototipo di
ragionamento scientifico: le donne incorrono maggiormente nella depressione in
quanto donne: ovvero essere donne significa incorrere biologicamente e
psicologicamente in più rischi di malattia.
Affermazioni di questo tipo proliferano nella medicina e non solo nella
psichiatria: se fossero sistematicamente sottoposte al vaglio di un pensiero
critico e da un punto di vista di genere (che non concorda con la posizione che
l’essere donna sia di per sé fonte
di malattia) sarebbero riconosciute come tautologiche (in quanto causa ed
effetto coincidono) e segnalate come prive di scientificità. 4.
La medicina e l’orientamento metodologico rispetto ai generi Da questa rappresentazione del modo di procedere della
scienza medica rispetto al genere femminile nasce anche l’orientamento
prevalente della ricerca sulle cause dei fenomeni patologici e sulle strategie
di cura e prevenzione. La medicina assume, fin dal suo costituirsi come scienza, il
carattere della parzialità e del pregiudizio di genere costruendo due modi
separati di intendere la salute nell’uomo e nella donna, due campi di
osservazione in-comunicanti. I due mondi e campi separati rendono difficile il
confronto tra metodologie e tecniche, e la critica all’interno dello stesso
mondo scientifico: queste differenze sono più spesso avvistate e denunciate dai
movimenti delle donne che sperimentano direttamente approcci inadeguati ed
inefficaci ai loro problemi di salute.[6]
Se la medicina da un lato separa i campi di osservazione,
dall’altro lato è aliena, in virtù del mal inteso principio di imparzialità
e neutralità, a riunire il campo di osservazione e ad introdurre, questa volta
sì, “a campo unificato” il metodo della differenza di genere.
La metodologia della differenza di genere prevede, all’interno di un
medesimo campo di indagine e non in due campi separati, la scomposizione di
ciascun fenomeno in due e la successiva articolazione dell’unità
dell’osservazione mediante la definizione di un sistema di conoscenza
integrato che non escluda al suo interno la presenza di sotto-sistemi, aventi
pari valore nella definizione del campo scientifico e della conoscenza
complessiva del fenomeno. Nella tabella
seguente è rappresentato l’approccio della scienza medica ai due sistemi
socio-bio-psichici su cui si fondano il maschile ed il femminile. Il maschile ed
il femminile nella rappresentazione scientifica
Il
mondo della produzione
Il mondo della riproduzione campo
della realtà maschile campo della realtà femminile Due
campi separati e in-comunicanti, che danno luogo a concezioni della salute opposte
e a strategie di cura e prevenzione non
confrontabili. . Una volta definiti come separati i campi di applicazione
dell’attività maschile e di quella femminile non si potrà che procedere
nella costruzione separata di due medicine: l’una con un riferimento
eziologico alla produzione, e l’altra alla riproduzione. Vi è da dire che in questo modo per ciascun individuo uomo o
donna vi è la preclusione di accesso all’altro campo, e che quindi, anche per
l’uomo si potrà successivamente ragionare degli effetti di questa
impostazione della ricerca medica in termini di pregiudizio e scarsa
rappresentatività dei processi eziologici. Per ora gli effetti nocivi di questa divisione manichea dei
campi di indagine sono ben identificabili a partire dalle condizioni di salute
delle donne: le statistiche dell’OMS[7]
indicano che le donne hanno condizioni di salute più scadenti degli uomini, si
sottopongono maggiormente a cure mediche, consumano più farmaci, costituiscono
la popolazione prevalente in molte patologie diagnosticate; inoltre si
rintracciano più patologie ad esclusivo impatto sulla popolazione femminile. La scienza si trova di fronte, dopo averli fondati, due mondi separati: ò
ò produttivo riproduttivo Per
il mondo della produzione Per il mondo della riproduzione ò ò costruisce
diagnosi, eziologie, costruisce diagnosi, eziologie, trattamenti
in sintonia con gli
trattamenti in sintonia con gli interessi
ed il punto di vista
interessi ed il punto di vista della
produzione
della riproduzione
5.
Effetti conseguenti alla separazione tra mondo produttivo e mondo
riproduttivo Questa separazione del campo di osservazione conseguente al
pregiudizio di genere ha un doppio effetto: -
le donne sono escluse dalle indagini che
riguardano o che chiamano in causa i processi di malattia ad opera di mutate
condizioni sociali, storiche ed ambientali; -
le donne sono confinate in uno spazio di
osservazione ristretto che coincide con il campo della salute riproduttiva e che
ha meno contatto con la storia delle trasformazioni sociali. Questo modello scientifico culturale separante, imperniato
intorno alla iper-valutazione del corpo riproduttivo e alla sottovalutazione di
tutto il resto è ben presente e lo vediamo agire nella nostra organizzazione
sanitaria che considera come specifico terreno di prevenzione e cura il corpo
biologico-riproduttivo e allestisce per la donna una medicina centrata
essenzialmente su una ginecologia medicalizzante e sulle tecnologie della
riproduzione. La medicina quindi rispecchia al suo interno e anzi offre il
supporto scientifico alla validazione di un concetto di donna funzionale alle
discriminazioni di sesso della nostra società e molto lontano da concetti di
“pari opportunità”. Possiamo vedere alcuni esempi pratici degli effetti - sui due
versanti della iper-valutazione e della sotto-valutazione - di questa
separazione dei campi di indagine. -
La ginecologia diviene la medicina di elezione delle donne: occupa tutto
il campo della vita riproduttiva della donna e trasforma in patologia le fasi di
uno sviluppo fisiologico che per più di 2000 anni è stato in mano alle donne.
La scienza poteva fornire allo sviluppo fisiologico della donna il supporto
della conoscenza: ha operato invece per trasformare ogni momento della vita
biologica della donna in rischio di malattia e/o in patologia conclamata. Da anni le donne si battono contro l’espropriazione del
corpo e della sessualità, contro la medicalizzazione e l’invasione delle
tecnologie nella vita riproduttiva. Gli effetti di questa medicalizzazione, che
sono a nostro parere anche un effetto della iper-valutazione della vita
riproduttiva nell’ambito della valutazione generale della salute femminile,
sono evidenti ed eccone alcuni esempi: l’intervento tecnologico nel parto con
l’aumento, soprattutto in Italia, del parto chirurgico, ed ultimo arrivato,
l’intervento massiccio della medicina nella tappa biologica della menopausa
presentata come ultima e più virulenta minaccia alla salute della donna. -
Insieme alla ginecologia, spostata sul versante della iper-valutazione
del corpo biologico e della medicalizzazione dello stesso, abbiamo la salute
mentale e la psichiatria, che in parte come abbiamo già visto, ripercorrono dal
punto di vista psicologico l’iter
dei rischi che la ginecologia individua nelle tappe biologiche contribuendo con
le sue cure alla medicalizzazione della vita delle donne. Vale come esempio per
tutti, la cura ed il trattamento con i “sali di litio” che sono considerati
eccellenti nella prevenzione dei disturbi depressivi perché regolano le
variazioni dell’umore considerate più frequenti nelle donne, a causa del
ciclo ormonale. -
Oltre che alla ginecologia e alla psichiatria, possiamo riferirci alle
patologie tumorali dell’apparato riproduttivo, ad esempio il carcinoma
mammario in aumento tra le donne, che in qualche modo vengono sottratte ad
approcci multi-fattoriali e ad indagine a tutto campo: dall’impatto
ambientale, come avviene per altri tumori a maggiore diffusione tra la
popolazione maschile con l’analisi dei fattori di rischio connessi con i
luoghi di lavoro e di vita, alla influenza di nuove abitudini di vita, agli
effetti della stessa medicalizzazione del corpo biologico. -
Oltre, e per tutte le altre patologie che colpiscono donne ed uomini,
dove non vi è un riferimento certo ad un’eziologia biologica di genere, c’è
il buio, l’impossibilità a valutare l’incidenza di specifici fattori
patogeni tra le donne, sia per la mancanza di strumenti differenziati
all’interno di un campo univoco, sia per l’incapacità di pensare che sulla
salute delle donne possano gravare fattori di rischio non direttamente collegati
alla biologia riproduttiva.
6.
La
medicina e la critica alla scienza neutrale e universale La scienza medica da un lato rimane ancorata ad una
concezione positivistica della realtà ed ai criteri di universalità ed
oggettività; dall’altro manca di raggiungere gli obiettivi concreti di
miglioramento della salute delle persone, di uomini e di donne. Mentre la scienza è attraversata da movimenti e teorie che
mettono in crisi il principio di universalità e neutralità, la medicina rimane
ferma e fedele ai principi che l’hanno fondata come scienza . L’ideale baconiano della scienza nuova, funzionale
all’abbattimento della ideologia teologico-religiosa, nelle ulteriori
modifiche della prospettiva scientifica è messo sotto accusa e considerato un
mito.[8]
Il metodo induttivo che prevede da un lato un oggetto di indagine casuale e
dall’altro un osservatore privo di pregiudizi e quindi irrealisticamente privo
di idee sul mondo è esso stesso un mito. Un mito la cui credenza fa
erroneamente credere di essere oggettivi, neutrali liberi da giudizi
pre-formati, liberi da ideologie, liberi da posizione di classe, di genere, di
razza. Un mito che impedirà, avendo negato la presenza di pre-giudizi, la
possibilità di individuarli, di farci i conti, di metterli in bilancio nel
processo conoscitivo, e quindi, se il caso, di superarli. Se quindi osservatori neutri non esistono nella ricerca
scientifica, nella ricerca medica sui due generi è necessario che i pregiudizi
sulla natura maschile e femminile siano esplicitati perché essi tendono ad
orientare la ricerca e portano a risultati molto lontani dagli obiettivi reali
di salute delle persone ed in particolare delle donne[9]. La scienza procede da una rivoluzione all’altra, attraverso
rotture epistemologiche e di significato: secondo Kuhn [10]
un nuovo modello scientifico si attua quando emerge un nuovo punto di
vista che permette di dare significato e corpo ad alcune osservazioni più che
ad altre. E’ l’assunzione di un nuovo punto di vista che crea un nuovo campo
di ricerca o nuove soluzioni ed orientamenti nella ricerca. Per Kuhn una
nuova conoscenza può esistere solo se compare
sulla scena un nuovo punto di
vista, esso stesso incarnato in un nuovo osservatore che porta con sé , per
dirla con Popper: “motivazioni soggettive che riflettono aspettative e
problemi concreti, di individui e di gruppi”. La critica alla scienza
condotta da vari versanti sia specialistici che filosofico-politici
ha messo in dubbio i principi,
affermati al suo nascere, di universalità e neutralità,
e ha dato alla conoscenza
una prospettiva di cambiamento come effetto di possibili e sempre attuabili
ampliamenti di orizzonti ed
inserimenti di nuovi punti di vista. Dentro questa
scienza il punto di vista di genere può
entrare come nuovo punto di vista, nuovo angolo di osservazione che contribuisce
ad ampliare il campo dell’osservazione scientifica mutando regole e procedure[11] fin qui considerate
legittime e valide, ma che se vengono osservate da un’altra prospettiva,
quella del genere, mostrano di
essere miopi, selettive, non in grado di dar conto di tutti i fenomeni emergenti
dal campo di osservazione specifico. Se confrontiamo
la medicina con questa spinta critica all’interno della scienza generale
vediamo come poco essa sia stata attraversata da nuovi punti di vista, come la
sua struttura riproponga in tutto l’organizzazione e le aspirazioni della
scienza positivistica, e come allontani da sé nuovi punti di vista. Nella scienza medica, dove l’obiettivo è raggiungere il
miglioramento delle condizioni di salute delle persone, il riferirsi a donne ed
uomini dovrebbe essere un requisito scientifico essenziale. Osserviamo invece che nei settori della medicina dove la
salute riguarda tutti (tutti i
settori non impegnati nella cura degli specifici organi riproduttivi) il punto
di vista di genere rimane uno scandalo, una parola da non pronunciare,[12]
un punto di vista da lasciare ai margini, considerato a-scientifico perché
rompe il monolite della scienza universale. Al contrario
osserviamo, là dove la salute riguarda la differenza biologica, un fiorire di
interessi scientifici connessi con interessi commerciali, un moltiplicarsi delle
tecnologie in nome di una mal intesa salute delle donne.
Quando la ricerca sulla salute della donna è limitata da pregiudizi,
quando il punto di vista di genere, inteso come nuovo punto di osservazione di
un fenomeno, non è legittimato e quindi è assente nell’indagine e nella
impostazione metodologica si verificano una serie di effetti che portano i
ricercatori lontano dagli obiettivi che si sono proposti: 1.
una medicalizzazione eccessiva ed esplicita del
corpo biologico e dei fenomeni della riproduzione e delle tappe del ciclo
biologico; un controllo tecnico pressante del corpo della donna che viene tenuto
sotto stretta osservazione e su cui
si interviene a proposito e a sproposito modificando cicli naturali, che non
sempre sarebbe opportuno modificare;[13] 2.
un appiattimento delle malattie psichiche sul
corpo riproduttivo, con una conseguente medicalizzazione del medesimo tipo,
centrata cioè sulla regolazione ormonale della vita della donna;[14] 3.
una sottovalutazione di patologie per le quali
non si ipotizza un collegamento con il corpo riproduttivo;[15] 4.
la tendenza a scoprire, in ogni campo in cui si
profila un avanzamento della patologia per le donne, il collegamento con il
corpo riproduttivo, escludendo altri collegamenti e soprattutto la connessione
con la dimensione lavorativa e ambientale;[16]
5.
la tendenza, quando si parla
di ambiente esterno e di fattori di rischio psico-sociali, a ipotizzare ambiente
e fattori legati principalmente alla vita affettiva, alle relazioni coniugali,
alla maternità esperita, desiderata, mancata[17]. L’orientamento attuale della scienza medica mantiene quindi
una divaricazione tra pratica e teoria, una
separatezza dei campi di osservazione che propugna come modello
scientifico di riferimento la generalità connessa alla neutralità e alla
omologazione del femminile al maschile. Questo orientamento può essere definito del doppio binario: a.
da un lato, separazione e parzializzazione dei campi di indagine per gli
uomini e le donne, b.
dall’altro, omologazione del maschile e femminile in teorie
indifferenziate e neutralistiche. A questo orientamento corrisponde un doppio ostacolo sulla strada della conoscenza scientifica: -
la negazione ed il rifiuto ad assumere esplicitamente
il punto di vista di genere nella
metodologia e nell’orientamento della
ricerca in nome dei principi della neutralità ed imparzialità; -
l’affermazione dell’esistenza di differenze strutturali tra uomini e
donne che giustificano la selezione pregiudiziale di campi ed oggetti di
indagine in relazione ad ipotesi pre-formate sulla diversità del genere
femminile. Vediamo nella tabella seguente di approfondire questa
contraddizione tutta interna alla medicina: tra pregiudizio di genere ed
aspirazione alla neutralità. La scienza
medica
Guarda in modo
indifferenziato e non introduce
nella propria riflessione teorica e generale
sulla salute complessiva degli esseri umani il punto di vista di
genere. La teoria
scientifica parla di unità ed indifferenziazione dei processi di ammalamento. Però: 1. quando si trova di fronte un fenomeno al maschile introduce nella
osservazione strumenti di rilevazione integrati in grado di avvicinarsi
alla realtà maschile intesa come realtà non solo biologica; 2.
quando si trova di fronte un fenomeno femminile,
o non lo rileva o lo rileva con l’unico strumento della costituzione biologica e del
suo riferimento alla riproduzione. La realtà riproduttiva
fa velo alla scienza e crea una barriera per una conoscenza La conoscenza che ne
deriva della salute e della malattia, non
fondata all’interno di un unico campo di osservazione penetrato da
punti di vista differenziati,
condurrà ad una visione parziale della salute secondo l’appartenenza di
genere. Come conseguenza, la
scienza medica avrà molte probabilità di non cogliere gli obiettivi di
miglioramento della salute e della qualità della vita che pur dice di
prefiggersi.
Alla fine la scienza medica rivela, dal punto di vista della
critica di genere, un’arretratezza complessiva delle sue impostazioni che
sono scarsamente affidabili e poco fruibili dai soggetti cui
si indirizza. 7.
La salute e le tappe del percorso scientifico Valutiamo ora nella tabella seguente le tappe di
formazione di un percorso scientifico valido per raggiungere gli obiettivi di
conoscenza di un fenomeno collegato al rischio di salute per l’individuo. La salute e le tappe del percorso scientifico
Individuare la presenza di un problema: osservare
una rilevanza quantitativa e qualitativa del
fenomeno per la salute umana, ascoltare
gli utenti, i pazienti, i cittadini e
le loro rappresentanze.
Approfondire la rilevanza del problema: individuare
i contesti specifici umani ed ambientali in cui il fenomeno compare
(epidemiologia e mappe di diffusione); approfondire le caratteristiche del fenomeno
(diagnostica). Avere
come obiettivi: l’eziologia
del fenomeno, ovvero conoscerne le cause, il
trattamento, il come fare per risolverlo, la
prevenzione, cosa fare per non incorrervi. Rispetto a questi obiettivi la mancanza dell’inserimento
del punto di vista di genere crea una serie di intralci al percorso della
conoscenza scientifica tali da renderla spesso irraggiungibile. Il mancato presupposto scientifico di coniugare secondo il
genere ogni fenomeno ha una serie di conseguenze tutte importanti. Valutiamo i
vari campi in cui risaltano la presenza di carenze e di scorretta impostazione
della ricerca in campo sanitario. Mancano
a questo proposito: Ø
Procedimenti codificati e condivisi di raccolta
dati che includano la differenza di genere in ogni ambito ed in ogni campo della
ricerca e della osservazione mirata alla individuazione dei fattori di morbilità,
mortalità e rischio sulla popolazione generale. Ø
Procedimenti codificati
a valenza di genere per la sperimentazione di tecniche e metodologie di
intervento. Ø
Procedimenti codificati a valenza di genere per
la sperimentazione di farmaci. Queste
carenze di impostazione metodologica nella ricerca sanitaria hanno determinato
le seguenti anomalie nei risultati che riguardano il genere femminile: 1.
mancano statistiche e mappe epidemiologiche che
in ogni campo della ricerca e della pratica clinica e sanitaria ci illustrino il
livello e la qualità di salute della donna; 2.
mancano, nelle varie aree di ricerca sulle
patologie, mappe di incidenza dei fenomeni patologici per le donne; 3.
mancano mappe che indicano i fattori di rischio
nella popolazione femminile; 4.
mancano indicazioni sugli effetti indesiderati,
sulla efficacia e sugli effetti paradossi dei farmaci sulle donne. Per converso in un campo di ricerca in cui i dati non vengono
differenziati abbiamo a titolo di esemplificazione alcuni
effetti paradossali. -
La sperimentazione degli psicofarmaci. In questo campo attualmente la
gestione delle procedure prevede l’arruolamento di un
campione misto che non ha procedure che prevedano una rappresentatività
dei due generi (ad esempio al 50% maschile e al 50 % femminile) ma che è in
prevalenza maschile per il principio pratico che è più facile sul mercato
trovare maschi per la sperimentazione. Questa diversa composizione del campione potrebbe comunque
essere recuperata se l’elaborazione dei dati venisse condotta con sistemi di
separazione e confronto dei campioni maschili e femminili , in
modo da avere alla fine un risultato complessivo in cui è anche
possibile valutare il peso del genere nei vari obiettivi della sperimentazione:
efficacia, tollerabilità, presenza di effetti indesiderati. Effetto della mancanza di questa procedura della
sperimentazione è allo stato attuale una sfasatura tra conoscenza nella
pratica clinica e mondo della ricerca, perché nella clinica è ben
visibile che gli psicofarmaci hanno nelle donne più effetti collaterali
indesiderati, meno tollerabilità a dosaggi
indicati come ottimali, minore efficacia. Ulteriore effetto paradossale è che la sperimentazione non
raggiunge l’obiettivo di misurare la validità terapeutica di un farmaco
sulle donne, proprio quando sono le donne
ad essere indicate come le più alte consumatrici di psicofarmaci. -
La diagnostica ed il trattamento dei disturbi cardiovascolari e
dell’infarto. In
conseguenza di un ampio movimento dell’opinione pubblica femminile sulla
ricerca cardiologica, si è cominciato a valutare l’attendibilità delle
procedure diagnostiche sulle donne ( ad esempio la “prova da sforzo” utilizzata in prevalenza con gli
uomini non costituiva un valido test
per le donne), e dei trattamenti in caso di infarto
da occlusione delle coronarie. Terapie, procedure diagnostiche, fattori di rischio devono
essere misurati sempre su uomini e donne riuscendo a cogliere di ognuno le
specificità che non sono solo biologiche ma che sono anche di condizioni di
vita. Questi solo i due esempi di come procedure, sperimentazione
di farmaci e tecnologie non codificate secondo criteri rigorosi di
rappresentatività ed evidenza dei due generi, creano prodotti scientifici
monchi se non dannosi o inefficaci e quindi impotenti a risolvere i problemi di
salute delle donne.
Fin qui i problemi che riguardano la
procedura da adottare nella raccolta, elaborazione dei dati e nella
sperimentazione di nuovi farmaci e tecnologie. Ma esiste un altro problema del campo di ricerca: la capacità
di rilevare un fenomeno con la sua incidenza nella popolazione femminile, e di
definirne correttamente l’eziologia. Da questo punto di vista, in opposizione ad un campo di
ricerca che separa aprioristicamente ciò che attiene al maschile e ciò che
attiene al femminile, la scienza medica deve proporsi un riattraversamento di
tutti i fenomeni di salute e di malattia, e solo all’interno del campo
integrato e complessivo deve introdurre quelle necessarie lenti di lettura per
poter rilevare il problema
secondo il punto di vista di genere. Questa impostazione metodologica ha un’importanza strategica perché amplia il campo della
salute delle donne e vi inserisce tutti i fattori di analisi finora rimasti
all’ombra della realtà riproduttiva. Non ripensare la salute come un sistema complesso in cui
entrano gli stessi fattori per gli uomini e donne, da leggere con diverse
angolazioni e punti di vista,
significa, come succede spesso, andare incontro a errori di interpretazione che
si pagano in termini di salute. Pensiamo infatti che oltre a vivere condizioni di vita più
difficili le donne nel rapporto con la salute scontano anche il problema della
miopia del sistema sanitario nei suoi vari aspetti della ricerca e della
clinica. L’errore diagnostico ed eziologico è un fenomeno non
quantificato da alcuna ricerca, ma di cui si ha conoscenza empirica, e dalla
nostra esperienza possiamo dire che colpisce più le donne che gli uomini:
quante volte ad una donna che va con un dolore toracico al pronto soccorso o con
altro problema si diagnostica un disturbo di ansia e depressione e la si rimanda
a casa con una terapia ansiolitica? Se quel disturbo è accusato da un uomo e
per di più in carriera non è molto più probabile che sarà sottoposto ad un
accertamento cardiologico? Quante volte in genere i disturbi delle donne, di qualsiasi
natura e tipo, vengono sottovalutati o diagnosticati come disturbi d’ansia
“disturbi inesistenti” e non sottoposti ad accurate indagini? Quante volte i medici (psichiatri o non) si informeranno
delle condizioni di lavoro delle donne per stabilire una corretta diagnosi,
quante volte oltre che stabilire se una donna ha partorito da poco chiederanno
alla donna se riesce a dormire, se
mangia regolarmente, se ha del tempo non impegnato nella cura degli altri? Tutto ciò oggi è fuori dalla prospettiva medica, ed è
fuori proprio perché non si guarda alla salute della donna nella sua complessità
e non si tengono presenti gli stessi fattori
coniugandoli al maschile e femminile. Un esempio per tutti: il lavoro
preso come fattore di rischio complessivo per uomini e donne, se coniugato al
maschile significherà lavoro unico o principalmente lavoro produttivo, se al
femminile significherà doppio lavoro, o principalmente lavoro di cura. Le due tabelle successive gettano uno sguardo prospettico su
come deve essere articolata una scienza che si definisca di genere ovvero che
faccia suo il concetto di generalità ma lo sappia coniugare con un punto di
vista specifico.
Il processo di formazione della scienza di genere:
disconoscere
le differenze psicologiche e sociali tra i sessi come
prodotto della natura biologica; riconoscere nella scienza la presenza di punti di
vista parziali legati ad un solo genere
e rappresentati come globali; individuare
il punto di vista sessista sul genere femminile nel
suo legame esclusivo con la riproduzione e nella sua esclusione dalla
produzione; integrare
nel campo della ricerca i due
mondi separati: produttivo e riproduttivo;
fare
attenzione e mettere in luce nella indagine complessiva il
punto di vista nascosto o non rappresentato.
Il
punto di vista di genere, che questa scienza rappresenta, è un punto di vista
critico del mero biologismo, esso guarda alle diversità naturali collocandole
nell'ambito della storia dei due generi. Ed inoltre il punto di vista di genere
guarda al maschile ed al femminile senza collocarli in una scala
gerarchica biologicamente fondata. Sul
piano della riflessione scientifica il punto di vista di genere ridefinisce il
campo di indagine, inserendo in esso strumenti in grado di dare conto delle due
parzialità (maschile e femminile), e persegue come sintesi
una teoria complessiva che, senza azzerare le diversità
sia in grado di spiegare e con-prendere tanto il maschile quanto il
femminile senza rappresentarli in un rapporto di sovra-posizione dell’uno
rispetto all’altro. E veniamo ad osservare in concreto il processo di formazione
di un’indagine che mette al centro la differenza di genere: analizzeremo
alcuni passi e presupposti che hanno guidato le scelte metodologiche fatte dal
nostro gruppo di ricerca all’interno
del Progetto Finalizzato CNR “Prevenzione e Fattori di Malattia” per
indagare il collegamento tra stress e tre patologie ad alto impatto tra la
popolazione femminile (depressione psichica, carcinoma mammario, ipertensione
arteriosa).[18]
9.
Quando
le donne fanno ricerca: l’ampliamento del campo, la trasformazione del metodo,
le nuove prospettive ed esperienze Quando
abbiamo iniziato a lavorare sullo stress per trovare un collegamento
con le patologie ad alto rischio tra le donne (carcinoma mammario,
depressione psichica ed ipertensione arteriosa), ci siamo rese conto che il campo
di ricerca andava bonificato dal pregiudizio di genere che creava delle evidenti
disparità di trattamento tra donne ed uomini con risultati insoddisfacenti
soprattutto rispetto alla
individuazione dei fattori di rischio per le donne. L’interesse
alla ricerca sullo stress, non è stato un cedimento alla moda del momento, ma
la valutazione che questo studio si
colloca nella intersezione tra normalità e patologia: lo stress rappresenta il
rapporto tra individuo ed ambiente - la pressione cioè dell'ambiente e la
risposta dell'individuo - che può portare in luce nella vita quotidiana
gli intrecci ed i nodi da cui si dipartono le vie di formazione delle
varie patologie, in primis quelle
psichiche. La risposta da
stress non è di per sé patologica essa indica
un'attività normale di superamento/adattamento ad una situazione esterna
caratterizzata da cambiamenti e/o richieste. Essa si trasforma in patologia
(fisica o psichica) quando la risposta di fronteggiamento non è adeguata sul
piano oggettivo (a risolvere il problema) o sul piano soggettivo (lo sforzo di
adattamento è troppo elevato e/o
prolungato, la motivazione interna carente, ecc.).
La ricerca sullo stress ha quindi un’importanza strategica per la
prevenzione: essa illumina le
condizioni di ammalamento di una persona, viste
nella organizzazione complessiva della vita
quotidiana, prima che siano trasformate in patologia. Nello stesso modo
l'indagine sullo stress può orientare l'individuo e la comunità verso la
trasformazione di condizioni di vita che si dimostrano a ragione patogene.
Il campo stesso della ricerca stress, dai dati
presenti in letteratura, indicava che questo settore era poco abitato dal genere
femminile: poche le indagini e scarsi i dati sul collegamento tra patologie
femminili e stress. In sintesi la teoria sullo stress sembrava indicare una
correlazione di genere forte a vantaggio degli uomini: erano gli uomini più a
rischio di stress. Ma non solo questo, vi erano anche patologie per le quali la
connessione con lo stress era significativa, come le patologie cardiovascolari
(guarda caso, anche queste a prevalenza maschile) ed altre per le quali era molto più difficile individuare un
collegamento con lo stress, come la depressione ed il tumore al seno (ambedue a
prevalenza femminile) per le quali si ipotizzavano eziologie di
tipo prevalentemente endogeno. Ai
nostri occhi queste differenze ci sono apparse come chiara separazione
pregiudiziale di un campo di indagine: da un lato donne, eziologia endogena, depressione e tumore al seno;
dall’altro uomini, stress, patologie cardiovascolari. Le
due tabelle seguenti rappresentano i due campi di indagine così come ci sono
apparsi all’inizio della ricerca.
Le
patologie da stress in qualche modo ripropongono le differenziazioni già
esistenti nel campo della epidemiologia psichiatrica tra i due generi: le
patologie considerate a maggiore diffusione tra la popolazione maschile sono
viste in collegamento con cause derivate dal mondo sociale e produttivo; le
patologie a più alto impatto tra la popolazione femminile sono rappresentate
collegate agli eventi affettivi e alla vita riproduttiva.
Un altro
effetto di questa separazione di campo nella ricerca stress è che nel rapporto
tra individuo ed ambiente si è visto in pratica, al di là della teoria
neutralistica, uno spostamento del ruolo dei due attori inseriti nella dinamica
stress, ovvero l’individuo con le sue motivazioni e l’ambiente. Il
rapporto individuo-ambiente, rappresentato dalla teoria sullo stress
tendenzialmente con un carattere circolare senza una prevalenza dell’uno
sull’altro, ha avuto di fatto due linee interpretative: -
una maggiore valutazione dell’evento esterno in rapporto a patologie
maschili -
una maggiore valutazione dei fattori costituzionali individuali, in
rapporto a patologie femminili. Anche
quindi nella teoria sullo stress la costituzione biologica è entrata a
differenziare i comportamenti tra uomini e donne. Questo si è
reso visibile proprio nel trattamento dei dati maschili e femminili: per le
donne l’indagine propendeva a valutare fattori costituzionali, negli uomini a
valutare il peso dell’evento. La valutazione
dell’evento di vita ci è apparso chiaramente come il primo dato da rivisitare
alla luce di un punto di vista di genere per riequilibrare le posizioni teoriche
preconcette su uomini e donne. Si
è quindi inserito come correttivo dell’impostazione corrente della ricerca
sullo stress un criterio di ponderazione nella misura dell’evento in termini
di maggiore o minore gravità. Questa misurazione ponderata dell’evento è
consistita nel valutare l’evento non in sé ma in rapporto alla storia
precedente della persona e alle conseguenze
rappresentabili in termini concreti di
sovraccarico di lavoro e di riduzione delle
risorse personali. L’analisi
successiva ha preso in considerazione gli studi sullo stress in rapporto alle
tre patologie oggetto della nostra indagine. v
Tra
le patologie da stress quella cardiovascolare è
considerata più significativa ed
ha maggiormente occupato il campo della ricerca. Questa patologia è vista in
stretto collegamento con lo stress lavorativo, intendendo per esso
esclusivamente il lavoro produttivo extra-familiare. In coerenza con questa
interpretazione il fattore di protezione dal rischio cardiovascolare
è stato considerato il sesso
femminile con le specifiche caratteristiche psico-sociali (tabella successiva).
Questi
fattori di rischio si sovrappongono alle condizioni di vita degli uomini e sono
in genere tratti dall’esplorazione delle condizioni di lavoro extra-familiare,
escludendo ogni possibilità di rappresentare le
condizioni di vita delle donne. E’ apparso
chiaro che per quanto riguarda le patologie cardiovascolari e lo stress il campo
della ricerca era attraversato da una concezione parziale del lavoro frutto di
un pregiudizio sulle attività familiari, che non vengono considerate lavoro e che non sono oggetto di indagini quantitative oltre che
qualitative.
E poiché il collegamento tra stress, lavoro e patologie, è un
collegamento importante per definire eziologie e strategie di prevenzione,
abbiamo operato nella direzione di un recupero di questo rapporto, anche per le
donne, inserendovi una necessaria correzione di prospettiva.. La
correzione operata ha riguardato,
rispetto alle ricerche fino ad allora condotte, l’ampliamento del concetto di
lavoro: andava definito un nuovo concetto di lavoro
totale dato dalla sommatoria del lavoro familiare e di quello
extra-familiare e andavano costruiti nuovi strumenti per la sua misurazione.
Un’altra
difficoltà riscontrata in questo campo era la connessione, stabilita dai
ricercatori, tra comportamenti di tipo A, meno rappresentati nelle donne, e
stress La distinzione
tra maschile e femminile rispetto a questi comportamenti e la connessione con lo
stress era frutto di un campo di ricerca già pregiudizialmente occupato dai
maschi e dalle loro caratteristiche di genere. In effetti
dalla nostra esperienza di lavoro clinico, sapevamo che lo stress era leggibile
anche nelle donne come comportamenti caratterizzati da fretta ed urgenza del
tempo: bastava analizzarli nel campo più appropriato che è quello del lavoro
familiare, e non quello “manageriale” che, oltre ad essere meno
rappresentativo dell’universo femminile, è anche il luogo in cui le donne
appaiono addirittura più rilassate degli uomini ( rispetto al lavoro
familiare)! Nella
ricerca abbiamo misurato la percezione di sé ed il giudizio degli altri
relativamente ad aspetti quali, l’aggressività, l’impazienza, la fretta,
ecc.: per tutte le donne del campione patologico questi valori venivano rappresentati
- nell’anno precedente all’insorgenza della patologia
- in netto aumento. v
Passando al
campo del collegamento tra stress e patologia depressiva vediamo la
sovra-rappresentazione delle donne nella depressione e vediamo anche come il
campo della ricerca sullo stress, in relazione all'indagine sulle cause della
patologia depressiva (patologia a maggiore rappresentatività femminile), si
modifichi: non sono più in primo piano i carichi di lavoro e la vita sociale
ma, come sempre da quando la scienza medica si è occupata delle donne, gli
eventi affettivi e biologici. Nella tabella
seguente vediamo questo improvviso cambiamento di panorama dell’indagine: i
fattori di stress mutano, se prima il collegamento con il lavoro era un
collegamento forte con la vita quotidiana (e le donne ne erano state
impropriamente escluse), ora vi sono solo eventi negativi a valenza affettiva a
ricordarci la presenza della vita quotidiana e l’immancabile riferimento ad
una personalità rinunciataria, passiva, attribuita tipicamente per pregiudizio
sessuale alle donne.
v
Infine
un altro campo di ricerca dello stress che riguarda la patologia neoplastica è
quello relativo al carcinoma mammario per la sua altissima
- ed in progressivo aumento - incidenza tra la popolazione femminile (i
dati dell'OMS indicano il tumore al seno una delle prime cause di morte nella
popolazione femminile). Come
si potrà vedere nella tabella successiva il profilo della tipologia di fattori
stressanti - eventi, caratteristiche di personalità e stili di risposta - è pressoché sovrapponibile al profilo dei fattori
stressanti nella depressione. La letteratura sull'argomento pone molte volte
esplicitamente la depressione come fattore di rischio principale per le
neoplasie.
v
In definitiva
il campo sulla ricerca tra stress e patologie mostra: sovrapposizioni di
costrutti e pregiudizi legati alle differenze di sesso. Vediamo il prevalere dei
pregiudizi sulle esigenze di un allestimento corretto del campo di ricerca: se
in una patologia risulta maggiormente implicato il sesso maschile la ricerca
sullo stress avrà uno specifico
campo di indagine e tralascerà altri campi, e viceversa per le patologie a
maggiore implicazione del sesso femminile. Nella tabella
seguente sono illustrati i pregiudizi sessuali che hanno gravato finora
sul campo di indagine. In particolare l'attività lavorativa, intesa
esclusivamente come lavoro produttivo è in realtà parziale e non esaustiva,
eppure è sempre stata
rappresentata come universale, vale a dire come valore unico della produzione. La
personalità femminile è stata vista in omaggio alla funzione sessuale-
biologica della riproduzione solo come ricezione, passività, fusività: sono
stati espunti tutti gli altri aspetti di aggressività, competizione, attività,
produttività che sono presenti nella donna e nella
stessa funzione riproduttiva se analizzata in modo scevro da pregiudizi.
Gli
eventi che colpiscono gli uomini sono diversi da quelli che colpiscono le donne:
gli uomini sono rappresentati rivolti alla cura degli affari e le donne alla
cura degli affetti, nonostante che l'esperienza indichi che gli eventi di un
tipo o dell'altro possono colpire in eguale misura i due sessi.
L’osservazione
fin qui condotta, sullo stato della ricerca e sulla presenza di pregiudizi,
indica che il primo compito di un ricercatore è la critica dal punto di vista
di genere. E con questo
punto di vista siamo passate: dall'individuazione dei limiti e dei pregiudizi
della ricerca, alle scelte correttive da operare sul piano sia dei contenuti sia
delle metodologie per allestire un nuovo campo d’indagine.[19]
Nella
prospettiva prima definita dell'inserimento del punto di vista di genere nel
campo d’indagine dello stress abbiamo riformulato ipotesi e assunti di
partenza, riattrezzato il campo d’indagine con strumenti confrontabili, capaci
di rilevare le fonti di stress per ambedue i generi. Nella
tabella successiva sono rappresentati gli elementi essenziali del processo di
modifica del campo d’indagine: - la
riconsiderazione del peso dell’evento stressante; la valutazione della gravità
degli eventi in rapporto a modifiche e cambiamenti nel quotidiano. Ad esempio
abbiamo verificato che lutti gravi (madre, marito) sostengono una depressione,
definita patologica, solo nel caso che quella perdita s’inserisca in un
cambiamento della vita quotidiana caratterizzato da: aggravio di lavoro e
responsabilità, diminuzione di supporti, o azzeramento della rete sociale e
relazionale. - l'inserimento della
variabile "lavoro" anche per la valutazione del collegamento tra
stress ed ogni tipo di patologia, comprese quelle ad ampia diffusione tra la
popolazione femminile; - l'ampliamento della
variabile "lavoro", con l'inserimento del lavoro familiare, giungendo
ad una definizione del lavoro come attività complessiva
data dalla sommatoria del lavoro familiare e di quello per il mercato; - la revisione
delle tipologie di personalità (tipo A e B) e la valutazione differenziale
degli stili di risposta in rapporto a motivazioni diverse: la personalità di
tipo non solo presente negli uomini e quella di tipo B non solo nelle donne.
Da questa
diversa e nuova impostazione del campo di ricerca, che non separa
pregiudizialmente i contenuti della vita delle persone in base al sesso, ma che
è attenta a tenere insieme gli elementi di specificità di ciascuna condizione,
si colgono tre effetti generali: ¨
1°
Effetto generale: la depressione esce dal campo delle patologie correlate quasi
esclusivamente a fattori biologico-riproduttivo ed entra a pieno titolo nel
campo delle patologie da stress per il ruolo centrale svolto dalla pressione del
carico di lavoro familiare. A questa si aggiungono elevate quote di
insoddisfazione e percezione di sovraccarico, in connessione con altri fattori
quali: la riduzione delle risorse personali con conseguente abbassamento della
stima di sé, e la riduzione di supporti esterni. ¨
2° Effetto generale: anche per il carcinoma, il carico di lavoro
svolge un ruolo importante; il lavoro familiare e quello esterno pesano
qualitativamente e percettivamente, sono infatti vissuti come insoddisfacenti, non rispondenti alle
motivazioni personali e producono senso di sovraccarico e di fatica.
L’associazione con la depressione come principale fattore di rischio è
sconfermato: questo gruppo infatti evidenzia la migliore auto-stima ed
etero-stima ed ha i maggiori supporti ed aiuti. ¨
3°
Effetto generale: l’ipertensione ed i disturbi cardiovascolari insieme si
correlano per le donne, così come già emerso per gli uomini, al sovraccarico
di lavoro e responsabilità considerato però come qualità di lavoro totale
(lavoro familiare + lavoro extra-familiare). Queste patologie escono così dalla
generale sottovalutazione in cui erano state relegate per la mancanza di
indagini a tutto campo sulla dimensione lavorativa. Questo risultato è
importante anche per la valutazione del rischio cardiovascolare in età
menopausale: la caduta dello scudo protettivo ormonale nella donna deve indurre
i ricercatori ad una maggiore e più attenta valutazione dei fattori di rischio
collegati al carico di lavoro familiare ed extra-familiare che possono, in
questa fase di minore difesa biologica, svolgere il ruolo di fattori scatenanti
la patologia. [1] Dal 1981 abbiamo creato un servizio di salute mentale rivolto alla donne, oggi questo Servizio si è trasformato in un Centro di prevenzione per la salute mentale della donna e dell’adolescente presso la Azienda Sanitaria Napoli 1. L’attività di ricerca che abbiamo condotto, in parallelo con l’attività clinica (costituendo per 15 anni una Unità Operativa di ricerca all’interno di tre Progetti Finalizzati del Consiglio Nazionale delle Ricerche) è stata rivolta all’analisi e alla valutazione di nuovi strumenti di lettura del disagio femminile, di nuove prassi di intervento adottate in via sperimentale ed alla individuazione di fattori di rischio legati alla condizione complessiva di vita della donna. Confronta per l’intreccio tra lavoro clinico e ricerca i seguenti testi: Reale, E. et al. (1982), Malattia mentale e ruolo della donna, Il Pensiero Scientifico, Roma. Reale, E. (1985), Il posto della donna nella storia della psichiatria, in Devianza ed Emarginazione, anno IV n. 8, Editiemme, Milano. Reale, E. et al. (1988), Manuale di intervento sul Disagio Psichico della Donna, CNR, Roma. Reale, E. (1991), “Disagio psichico della donna: principi metodologici e aspetti dell'intervento di salute mentale", in Arcidiacono C. (a cura di), Identità, genere, differenza, F. Angeli, Milano. Reale, E. et al. (1998), Stress e vita quotidiana della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia, CNR, Roma. [2] Come esogena intendiamo una eziologia che ricerca le cause nel contesto ambientale: per gli uomini e le patologie di maggiore interesse maschile vediamo i ricercatori impegnati a trovare nell’ambiente e nel lavoro le cause delle malattie; come endogena intendiamo una eziologia che ricerca le cause all’interno dell’individuo e prima di tutto nel suo corpo biologico e psicologico: vediamo infatti che le patologie a maggiore incidenza tra le donne si accompagnano quasi sempre ad eziologie di tipo endogeno. [3] Descuret J.B.F. (1859), La medicina delle passioni, Firenze. [4] Arieti, S.; Bemporad, J. (1981), La depressione grave e lieve, Milano, Feltrinelli. [5] Corbeil, C. et al. (1983), L’intervention féministe, Montréal. [6] Il movimento delle donne per la salute ha una storia complessa, che non possiamo richiamare in questa sede; esso ha lottato ed ancora lotta in tutti i settori contro la medicalizzazione impropria e contro tutte le forme di discriminazione delle donne all’interno delle nuove tecnologie. [7] OMS (1995), Highlights on Women’s Health in Europe, Regional Office for Europe Sexuality and Family Planning Health of Women and Children. [8] Popper, K. (1969), Scienza e filosofia, Einaudi, Torino, p.138. [9] La scienza positivistica è stata attraversata dalla critica su vari versanti: dalla critica all’economia di Karl Marx, alla teoria fisica della relatività di Einstein, al principio di indeterminazione di Heisemberg. [10] Kuhn, S. (1962), La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino. [11] Cini, M ; Mazzonis, D. (1981), Il gioco delle regole, Feltrinelli, Milano. [12] Voglio solo ricordare che quando nel 1978 si parlava di una questione femminile e di genere nella psichiatria, gli psichiatri democratici insorsero contro l’idea di una ricerca sulle condizione di malessere e sugli strumenti di intervento che tenesse conto del genere. [13] Si pensi: alle tecniche messe in atto per pilotare i parti e adeguarli alle esigenze dell’organizzazione sanitaria o a quelle del mercato; alle ricerche tecnologica sulla procreazione assistita; alla terapia ormonale sostitutiva in menopausa, ecc. [14] Si pensi alla diagnostica ed eziologia psichiatrica che trova le connessione tra i disturbi delle donne ed ogni fase del ciclo biologico: depressioni e psicosi si declinano per le donne nel modo seguente: catameniali, pre-mestruali gravidiche, post-partum, menopausali. [15] Per anni si è avuta una sottovalutazione del rischio cardio-vascolare nelle donne, dovuta alle ricerche che hanno ipotizzato come fattore di rischio principale lo stress nel lavoro ed un tipo di personalità attivo/aggressiva, considerate antitetiche, secondo il pregiudizio sessuale, alla natura e alla realtà femminile. [16] Quando negli ultimi anni, sotto la pressione del movimento delle donne in America, i cardiologi hanno preso atto che vi era anche tra le donne una emergenza di disturbi cardio-vascolari, si è fatto ricorso solo a teorie collegate con il ciclo (la perdita dello scudo ormonale protettivo in menopausa) escludendo l’interpretazione dello stress lavorativo che era stato considerato fattore di rischio princeps per gli uomini. [17] Nel Seminario Internazionale su:”Il disagio psichico della donna”, organizzato dal nostro gruppo di ricerca, presso il CNR a Roma nel 1988, molte ricercatrici mostrarono come le ipotesi correnti sul disagio psichico della donna, in contrasto con statistiche e dati, volevano che la donna non sposata e/o senza figli, o nel periodo menopausale (in coincidenza della perdita della sua “femminilità”) andasse incontro più facilmente ad episodi depressivi. Dal convegno e alla luce di indagini condotte con un punto di vista scevro da pregiudizi sessuali emerse con chiarezza che le donne (casalinghe o lavoratrici poco importa) nel matrimonio e con figli piccoli incorrono nei maggiori rischi di depressione. [18] Reale, E. et al. (1998), Stress e vita quotidiana della donna: una indagine sperimentale sui rischi di malattia, CNR, Roma. [19]
Reale, E., Sardelli, V. (1992), Stress e condizione femminile: ampliamenti
del campo di ricerca, in La Rosa G (a
cura di) Stress e lavoro, Il
Mulino, Bologna.
|