Resp.: dr. E. Reale
SOMMARIO |
LA DEPRESSIONE ED I FATTORI DI RISCHIO NELLA VITA DELLA DONNA |
|||
LO STRESS
L'ISOLAMENTO
LA MANCANZA DI SUPPORTI
LA BASSA AUTOSTIMA
LA DIPENDENZA
GLI EVENTI DI VIOLENZA
GLI EVENTI DI PERDITA
ATTENZIONE A DUE FATTORI DI RISCHIO:
IN DETTAGLIO: IL LAVORO DI CURA E LA RINUNCIA ALLA CURA DI SE'
2. LA VIOLENZA FAMILIARE: IL MALTRATTAMENTO E' REATO GRAVE
LE VIOLENZE SONO MOLTEPLICI E TUTTE GRAVI: LA PIU' COMUNE E'QUELLA FAMILIARE
LA VIOLENZA HA EFFETTI GRAVI SULLA SALUTE
DIFFICOLTA' DELLA DONNA A SOTTRARSI ALLA VIOLENZA AGITA IN FAMIGLIA
LA VIOLENZA FAMILIARE A LUNGO TOLLERATA CREA PROBLEMI PSICHICI PIU' GRAVI
|
I fattori di rischio psico-sociali maggiormente riconosciuti sono più di uno e si riferiscono ad una condizione di vita che è comune a tutte le donne; dalla loro combinazione ed interazione dipende poi il se, il come, ed il quando la depressione si presenta nella vita della singola donna.
§ Lo stress ed il sovraccarico; che le ricerche sulla depressione generalmente hanno individuato nella condizione di donna coniugata con figli piccoli al di sotto dei 14 anni.
§ L'isolamento sociale, che le ricerche hanno generalmente individuato nella mancanza di relazioni di confidenza e di supporto, ed in particolare per le donne sposate nella mancanza di relazione di confidenza con il partner.
§ La mancanza di relazioni e supporti sociali.
§ Ed ancora la bassa auto-stima rappresentata nella scarsità di riconoscimenti che le donne ricevono sia nel sociale che nella famiglia.
§ La tendenza alla dipendenza ed alla passività, quale risultante dello stile comportamentale definito come "to care", del farsi carico cioè dei bisogni dell'altro, ascoltando e silenziando i propri bisogni, nella relazione di cura.
§ Gli eventi di vita stressanti, che in misura maggiore colpiscono le donne e che fanno riferimento soprattutto alla relazione con l'uomo ed all'esercizio del potere maschile sono: la violenza ed il maltrattamento in famiglia, la violenza sessuale, le discriminazioni economico-sociali, ecc.
§ Gli eventi così detti di perdita affettiva (lutti, separazioni, abbandoni, ecc.) che riguardano figure significative della vita relazionale di una donna (un partner, un genitore). Tali eventi, al primo posto nella lista dei life events che generano depressioni anche gravi, a ben guardare non hanno solo o principalmente il carattere affettivo, ma implicano il più delle volte la perdita di supporti materiali, sociali, economici, essenziali alla sopravvivenza di una donna e dei suoi figli.
DUE FATTORI DI RISCHIO SU CUI SOFFERMARSI:
LO STRESS DEL LAVORO DI CURA E LA VIOLENZA
Il carico familiare è il fattore di rischio specifico per le donne per due motivi:
v si declina con le caratteristiche di un lavoro quantitativamente e qualitativamente stressante, con aspetti in sè contraddittori, di elevata responsabilità e bassa soddisfazione;
lo stress al lavoro si misura in molti modi e tutti questi modi li ritroviamo nel lavoro di cura svolto dalle donne in prevalenza il numero di compiti e responsabilità e la loro non equa suddivisione tra pari; l’eccedenza dei compiti rispetto a capacità professionali o personali; il numero di ore in straordinario o in eccedenza rispetto al lavoro regolare (8 ore); la non pianificazione dei turni; la frequenza di turni disagevoli (notturni in particolare); la mancanza di pause adeguate tra i turni ed all’interno dei turni; la mancanza di strumenti adeguati di informazione per il controllo del processo lavorativo e dei rischi connessi; la mancanza di luoghi ed occasioni di socializzazione e scambio; la mancanza di messa in sicurezza del luogo di lavoro e degli strumenti del lavoro; la mancanza di adeguati riconoscimenti economici e di carriera.
v comprende l'attività di cura che si declina come cura degli altri e negazione della cura di sè.
IN DETTAGLIO IL LAVORO DI CURA E LA RINUNCIA ALLA CURA DI SE'
Consideriamo ora in dettaglio tutte le caratteristiche del lavoro di cura familiare alla luce delle analisi dello stress lavorativo, per poi valutare quanto questo lavoro sia più o meno stressante di altri e soprattutto che tipo di risposta e stile comportamentale induce in chi lo pratica. - Il lavoro di cura familiare come lavoro non condiviso impone il dovere al to care : la donna deve fronteggiare tutto e sempre, non può assentarsi, non può sottrarsi. Induce così lo sviluppo di sentimenti di indispensabilità, di onnipresenza; esso è assimilabile al modello di lavoro di un dirigente di azienda con compiti di direzione e coordinamento elevati ed accentrati. - Il lavoro di cura, come lavoro socialmente non riconosciuto, non ricompensa la donna, non le dà riconoscimenti e gratificazioni da parte dei mandanti (la società come azienda); esso non è retribuito e il più delle volte non procura apprezzamenti da parte dei fruitori, che vedono in quello che viene fatto per loro solo l’espressione di un dovere. Esso quindi costituisce un lavoro gratuito e doveroso, senza scambio. - Il lavoro di cura si basa principalmente sull’ascolto dei bisogni dell’altro e sulla interpretazione del bisogno, silenziando i propri: la donna impara ad essere passiva ed a silenziare i propri bisogni. - Il lavoro di cura come lavoro totalizzante non consente o riduce la possibilità di altri spazi di realizzazione personale, la donna non impara a coltivare la dimensione del per sé - Il lavoro di cura nella nostra società è isolato: esso insegna che stare nel sociale, fermarsi con gli altri è una perdita di tempo, è sottrazione di energie a compiti più importanti; esso riduce le occasioni di sviluppo di rapporti sociali. - Il lavoro di cura è mirato alla soddisfazione dei bisogni altrui, creando con ciò vincoli di dipendenza: solo il gradimento dell’altro è segno delle mie capacità e del mio valore. Questa dipendenza si definisce come dipendenza dai fini e dai bisogni altrui. - Il lavoro di cura, attraverso il meccanismo della dipendenza, espone maggiormente la donna alal violenza e soprattutto stimola le capacità di tolleranza alla stessa.
In definitiva tutte queste caratteristiche del lavoro di cura familiare fanno di esso non solo un lavoro stressante, ma un lavoro stressante atipico, perchè solo in esso e non in altri si richiede come normale esercizio non solo l'attivazione della " cura degli altri" ma anche la disattivazione della " cura di sè". Nel lavoro familiare così come oggi è concepito e praticato la donna non solo impara la cura degli altri, ma tende a disimparare la normale e naturale cura di sé; mette al centro i bisogni degli altri e accantona i propri; comprime le proprie reazioni per dare spazio a quelle degli altri; si passivizza e comprime l’iniziativa personale per meglio ascoltare l’altro; dipende dal giudizio dell’altro come segno degli obiettivi raggiunti, e come termine e soddisfazione del lavoro svolto; quando l’altro (l’oggetto della cura) è violento, non si difende ma si colpevolizza pensando di aver sbagliato la propria funzione di cura, e pertanto è portata a tollerare anche la violenza attribuendosene la responsabilità.
Un rischio specifico per la depressione: la cura degli altri come rinuncia alla cura di sè Fare per altri come fare per sè: sovrapporre e fondere gli interessi degli altri con i propri. Attendere il giudizio degli altri per valutare il proprio operato: solo gli altri sono giudici del comportamento femminile rivolto alla soddisfazione dei loro bisogni; Non riconoscere stanchezza e noia, essere sempre pronte a farsi carico di tutto. Restringere i propri spazi, silenziare i propri bisogni, per non essere intralciate nell'ascolto e nell'attenzione ai bisogni altrui. Sviluppare atteggiamenti e comportamenti confacenti alla cura degli altri ma negativi per la cura della propria salute: accogliere, attendere, tollerare, essere passive, controllare le reazioni aggressive, comprimere gli atteggiamenti di rabbia e di diniego, rimuovere e negare i sentimenti ostili ed i desideri di fuga e di evitamento, rimuovere l’interesse ed il piacere personale. In definitiva quando il lavoro di cura, tipico delle attività familiari, è rivolto solo alla soddisfazione dei bisogni altrui (la cura degli altri) e non comprende la soddisfazione personale (la cura di sé) esso non solo costituisce un fattore di stress ma anche un potente fattore di rischio specifico per la depressione.
LA VIOLENZA PIU' COMUNE CONTRO LE DONNE:
"Nello schema dei delitti di maltrattamento in famiglia non entrano solo le percosse, le minacce e le ingiurie e le privazioni imposte alla vittima ma anche gli atti di scherno, di disprezzo di umiliazione, di vilipendio e di asservimento che cagionano durevole sofferenza morale" Esso nel 95% riguarda le donne come vittime e gli uomini ( partners o ex-partners) in veste di maltrattatori. La violenza familiare è la più comune violenza contro le donne Dalle indagini nazionali ed internazionali emerge che la violenza contro le donne è un fenomeno complesso; quando si parla di violenza contro le donne ci si riferisce a più tipi di violenza: dalla violenza sessuale (stupro, tentato stupro, molestie), alla violenza fisica, (botte, ferite, omicidio), a quella economica ( privazione di fondi e risorse), alla violenza psicologica e verbale (minacce, ricatti, denigrazioni, svalutazioni). Le ricerche svolte negli ultimi anni mostrano che la violenza contro le donne è frequente. Nei paesi industrializzati, tra il 25 e il 30% delle donne subiscono, nel corso della loro vita adulta, violenze fisiche e/o sessuali da un partner o ex-partner; tra il 5% ed il 15% subiscono queste violenze nei 12 mesi precedenti la ricerca; la prevalenza delle violenze psicologiche è ancora più elevata. La violenza contro le donne ha come autori gli uomini ma nessuna ricerca finora ha rilevato specifici fattori come indicatori di rischio per quanto riguarda la tipologia del violento e del maltrattatore. Gli ambiti in cui più frequentemente di produce la violenza è quello familiare. A conferma di ciò le statistiche indicano l'ambito domestico e le relazioni di coppia con partner ed ex partners quelle maggiormente a rischio di violenza per le donne.
La violenza
familiare, agita prevalentemente all'interno di
un rapporto di coppia, ha come caratteristica più
comune la violenza verbale e psicologica (denigrazione, svalorizzazione) ma non solo, frequenti sono le botte, le minacce e
l'imposizione del rapporto sessuale.
Studi
condotti in tutto il mondo indicano che le donne sono più a rischio di
violenza nelle loro case.
Rispetto
alla violenza sessuale occasionale la violenza domestica è ripetuta e tende
alla cronicità.
Questa
è la violenza meno riconosciuta
dalla donna e dal contesto sociale.
Essa
crea gravi problemi di salute a medio e lungo termine.
BISOGNA SAPERE CHE LA VIOLENZA HA GRAVI EFFETTI SULLA SALUTE: Ogni tipo di violenza sia fisica, psicologica o di altro tipo, determina un effetto di lesione e di danno sulla salute psichica, perchè: - induce un vissuto di esposizione, inermità, disvalore; - riduce l'autostima, deteriora l'immagine di sè, induce sensi di incapacità ( il non aver saputo agire, contrapporsi) e di inferiorità rispetto alle altre donne percepite come "rispettate" e indenni da violenza; - stimola l'isolamento da un contesto "che non deve sapere"; - in definitiva collabora attivamente alla crescita dei disturbi psichici ed in particolare della depressione.
Ricordarsi che - le violenze sono di tipo diverso: non sono pericolose e penalmente rilevanti solo quelle fisiche (le botte o le lesioni) e sessuali, ma anche quelle verbali, economiche e psicologiche; - terreno fertile della violenza è la relazione di coppia, con il suo ancor oggi prevalente dislivello di potere a scapito della donna; - il ruolo di cura che le donne hanno all'interno della famiglia costituisce un deterrente per denunciare e sottrarsi alla violenza.
IL RUOLO DI CURA CHE LA DONNA SVOLGE ALL'INTERNO DELLA FAMIGLIA COSTITUISCE UN OSTACOLO ALLA INDIVIDUAZIONE, DENUNCIA E SOTTRAZIONE AL COMPORTAMENTO VIOLENTO. Il ruolo materno organizzato intorno al "prendersi cura sempre, comunque e prima degli altri" favorisce i meccanismi della dipendenza e della soggezione ai bisogni degli altri e sfavorisce la presa di coscienza dei bisogni personali ed auto-centrati. Inoltre quando si crea una contrapposizione tra i propri bisogni e quelli altrui, l'affermazione dei propri è sfavorita svantaggio di quelli altrui. Il ruolo femminile- materno entra così nella formazione del circuito della violenza in due momenti: a. quando pone la donna nell'atteggiamento di colei che cerca di soddisfare il bisogno altrui (attività di cura), e la presenta come disponibile a soddisfare ogni richiesta; b. quando riduce le capacità di reazione attraverso il dubbio sulle responsabilità personali e l'auto-riflessione sulle colpe derivate da compiti e richieste non soddisfatti o ignorati. Riesce difficile alle donne distanziare l’azione violenta ed il violento, giudicare l’atto violento senza mettere in gioco se stessa e le proprie responsabilità attribuite alla sua specifica attività di cura.
Problemi più gravi da un punto di vista psichico si hanno quando la violenza perdura nel tempo, ovvero quando la violenza non è facilmente e tempestivamente riconosciuta come tale. Il non riconoscimento o la difficoltà al riconoscimento indica generalmente che si tratta di una violenza: - accaduta all'interno di rapporti familiari, affettivi; - perpetrata da conoscenti, amici e parenti; - coinvolgente la donna come corresponsabile ovvero come colei che "l'ha provocata". In presenza di queste condizioni si verificano i disturbi psichici di maggiore consistenza e durata e soprattutto disturbi psichici che la donna presenta al tecnico senza collegamenti con la violenza subita.
|
|||
|