ATTI DEL I° SEMINARIO INTERNAZIONALE SUL

"DISAGIO PSICHICO DELLA DONNA"

Unità Operativa USL 39 Napoli

RESP.: Dott. Elvira Reale

 

STRESS E SALUTE MENTALE

Sebastiano Bagnara

UNIVERSITA' DI SIENA, ISTITUTO DI PSICOLOGIA DEL CNR

 

Devo innanzitutto precisare che mi occupo dei sintomi e delle modalità d'affaticamento mentale. Questo campo di ricerca è attinente allo studio della salute mentale, ma non coincide con esso.

Nella mia relazione cercherò di offrire alcuni spunti e ipotesi per la discussione a partire da osservazioni non sistematiche sul comportamento umano raccolte in ricerche condotte sia in laboratorio che nel mondo del lavoro. E vorrei toccare tre temi principali: a) il lavoro esecutivo, b) il lavoro in presenza di tecnologie a base informatica abbastanza evolute; e c) la fatica mentale come sistema adattivo di rilevazione, interpretazione e gestione di segnali precoci di malfunzionamento del sistema mente/corpo.

Nell'affrontare il tema del lavoro esecutivo farò riferimento a delle osservazioni raccolte circa quindici anni fa in una fabbrica di confezioni, dove il lavoro era estremamente parcellizzato, e ad altre annotazioni riprese in ricerche condotte molto recentemente su attività di "Data entry". Per inciso infatti, è bene ricordare che il lavoro di "data entry" non rientra, se non per aspetti superficiali, nelle attività condotte con tecnologie a base informatica, di cui parlerò successivamente, almeno per due ordini di motivi. In primo luogo, le abilità umane utilizzate in questi lavori esecutivi sono di tipo percettivo -   motorio, e nulla hanno a che fare con le attività cognitivamente più complesse richieste dalle tecnologie informatiche evolute. In secondo luogo, quasi tutte le attività di "data entry" vengono espulse dalle grandi aziende e subappaltate a piccole imprese, in cui vengono impiegate nella gran parte dei casi delle donne che svolgono questa attività ripetitiva per otto nove ore al giorno senza alcuna possibilità di variazione e di sviluppo professionale. Non vedo in che cosa questa situazione sia diversa dalle tipiche situazioni di lavoro esecutivo, di tipo percettivo - motorio, che avevo osservato più di dieci anni fa nelle fabbriche tessili e di confezione.

Nei lavori esecutivi, basati sulla ripetizione continua di semplice routine percettivo - motorio, si osserva pressoché sempre una condizione che ha delle conseguenze sul benessere psicologico a breve termine, e sulla salute mentale a lungo termine. Chi lavora in queste condizioni ben presto presenta una dissociazione profonda e radicale fra l'attività mentale e l'attività che svolge. In quasi tutti questi lavori si arriva a una prestazione efficiente dopo un apprendimento molto breve: bastano pochi giorni per raggiungere la quota di lavoro media assegnata. Durante la fase di apprendimento la gente tende a pensare a quello che fa, ma non appena l'apprendimento è avvenuto, queste attività vengono svolte in modo del tutto automatico. Non occorre più impegnarsi mentalmente su di essi: vengono eseguite in modo rapido e fluido attraverso un circuito chiuso percettivo motorio.

Ben presto si osserva così una dissociazione tra l'attività svolta nel lavoro e l'attività di pensiero condotta contemporaneamente. Questa si svincola man mano dalle condizioni e dal contesto in cui uno si trova e si concentra su un mondo immaginario che non ha alcuna relazione di contenuto con quanto si sta effettivamente vivendo. Durante la ricerca sul personale della maglieria ha avuto modo di condurre circa duecento colloqui quasi clinici con le operaie. Questi colloqui confermavano quanto profonda fosse questa dissociazione tra l'immaginario su cui veniva occupato il pensiero e la realtà di vita e di lavoro.

Questa condizione di lavoro portava all'instaurazione di un comportamento mentale di tipo dissociativo, che non garantisce affatto un buon livello di salute mentale, ma rappresenta semmai una forma reattiva a condizioni che tendono a produrre effetti patologici.

La dissociazione stessa è in parte un comportamento di difesa, ma anche una forma prepatologica. D'altra parte questa "fuga dalla realtà" era anche attivamente difesa, l'attività immaginaria veniva (e viene) protetta mediante "barriere artificiali " che le singole persone si costruiscono. Nel caso della maglieria, c'era un livello di rumore molto elevato (spesso assai superiore ai limiti massimi accettabili) che non era dovuto alla presenza di macchine, quanto al suono delle radioline: praticamente ogni operaia teneva vicino a sé una radiolina a volume altissimo. Il suono delle radioline serviva da "barriera artificiale ", così da preservare la possibilità di fuga in un mondo fantastico durante il lavoro.

Questo mondo rimaneva così individuale, non sociale, dato che la comunicazione veniva attivamente impedita. Nelle situazioni di lavoro di "data entry" si ritrovano esattamente le stesse condizioni. In entrambi i casi, il lavoro esecutivo, ripetitivo, basato su abilità percettivo - motorie spinge a costruire la condizione per cercare la solitudine, la fuga e allo stabilirsi di condizioni mentali prepatologiche.

Il lavoro con tecnologie informatiche di tipo più evoluto presenta una caratteristica del tutto peculiare. Occorre una attività di apprendimento continuo; non c'è mai un "punto di arrivo" in cui si possa dire di "saper fare il proprio lavoro". Nel lavoro esecutivo questo punto d'arrivo esiste, dopo un certo periodo la curva d'apprendimento si stabilizza e si raggiunge il massimo che si può dare in quelle condizioni.  Nelle tecnologie a base informatica che incorporano un minimo d'intelligenza e richiedono una cooperazione attiva da parte dell'utente, non si raggiunge mai un massimo di prestazione, perché cambia continuamente sia l'attività di lavoro che le caratteristiche delle tecnologie con cui si lavora. Cambia il software che viene utilizzato, occorre apprendimento continuo.

 Questa condizione vale ovviamente per tutti e rappresenta una delle maggiori difficoltà a "stare" nelle tecnologie informatiche. L'assenza di uno stato da raggiungere, la sensazione di vivere in una dinamica continua, di cui è difficile capire la direzione e l'obiettivo finale, mette le persone in uno stato d'irrequietezza, crea ansia.  Questa caratteristica intrinseca al lavoro con tecnologie a base informatica produce però delle conseguenze diverse per le donne rispetto agli uomini. E' noto infatti che i processi di sviluppo professionali e nella carriera dipendono in modo stretto dalla possibilità e capacità di stare dentro le tecnologie e fare  esperienza, ma dipendono anche dalla possibilità e disponibilità a fare autoinformazione, e quindi a utilizzare tempi extralavorativi per fare aggiornamento.

Le ricerche condotte in Germania da Frigga Haug dimostrano che molto spesso nello sviluppo della carriera conta moltissimo l'autoinformazione e che la  disponibilità all'auto - aggiornamento dipende in modo stretto dal carico di lavoro familiare. E, come si sa, attualmente il carico familiare non è equamente distribuito fra uomini e donne. Questo significa che le tecnologie a base informatica, forse ancor più delle tecnologie e delle attività di lavoro tradizionali, più stabili, penalizzano in modo assai accentuato chi ha anche un carico di lavoro extra -  aziendale. Questa penalizzazione viene aggravata dalle uscite temporanee (ad esempio la gravidanza) dal lavoro, perché queste impediscono di tenere il passo con il cambiamento. Stare nelle trasformazioni tecnologiche richiede alle donne uno sforzo personale aggiuntivo, un aumento dei rischi di affaticamento mentale e di stress.

Questi due effetti (uscite temporanee dal lavoro, che impediscono di mantenere il passo con il cambiamento, e carico di lavoro familiare, che riduce là disponibilità ad attività di autoformazione per lo sviluppo professionale) spesso si combinano tra loro e fanno si che alle donne nelle tecnologie a base informatica, vengano di solito lasciati i lavori "residuali", quei lavori che a breve o medio termine vengono eliminati o sostituiti dalle tecnologie. A conferma di ciò non vi sono solo analisi socio - economiche, ma anche la storia dello sviluppo dell'informatica, che racconta come le donne fossero ben più numerose degli uomini nello sviluppo del software del primo calcolatore (il rapporto era del tutto opposto nello sviluppo dell'hardware), ma che il loro numero e livello diminuì successivamente in modo drastico man mano che divenne chiaro che la dimensione strategica e l'evoluzione più rapida delle nuove tecnologie stavano  nel software.

Viene spesso affermato che le tecnologie a base informatica producono delle condizioni di "isolamento ". Questo non è vero. Vi sono molte ricerche, ad esempio quelle condotte da Susanna Zuboff, che dimostrano invece come nelle nuove condizioni di lavoro si formino nuovi gruppi, basati però, a differenza che nei lavori tradizionali, non sulla continuità fisica e temporale fra i membri, ma sulle relazioni derivate dalla struttura di comunicazione e di informazioni dei sistemi di elaborazione di informazione e sulle  competenze che questi richiedono di sviluppare. Le nuove tecnologie tendono a far formare gruppi di tipo professionale, e permettono la costituzione di gruppi di interesse i cui membri sono spazialmente anche molto distanti fra di loro. Tuttavia, è molto probabile, proprio per le due ragioni ricordate in precedenza, che le donne abbiano maggiori difficoltà a sfruttare le possibilità cooperative, le opportunità di decisione distribuita e di formazione di gruppi che pure sono offerte dalle tecnologie informatiche.

Le donne hanno maggiori probabilità di rimanere "sole" dentro il lavoro con tecnologie a base informatica anche per un'altra ragione messa in luce alcuni anni fa da Susan Terkle in un articolo dal titolo "Il computer come Rorschack", ma ancora non molto studiata. Nel rapporto con il calcolatore spesso si instaurano degli stati emotivi (ad esempio, spesso il calcolatore viene antropormofizzato), in ogni caso  vengono toccati aspetti che riguardano la personalità individuale e la dimensione affettiva. Non, c'è in  questa occasione spazio sufficiente per affrontare questi aspetti, è però opportuno ricordare che (per  quanto le tecnologie informatiche siano attualmente abbastanza "amichevoli") tutte le ricerche dimostrano che l'interazione uomo - uomo via macchina influenza il tipo di linguaggio utilizzato. Questa interazione tende a tagliare il contenuto emotivo della comunicazione, trasforma la comunicazione in trasmissione di informazione. Questo vale per tutti, però è noto che il contenuto emotivo gioca un ruolo assai più importante nel linguaggio femminile che in quello maschile. E si può quindi ipotizzare che le donne in questo caso soffrano di un depauperamento maggiore, che certamente influisce sulla qualità dei rapporti interpersonali e sulle caratteristiche dei gruppi in cui entrano a far parte.

Per quanto riguarda la fatica è utile partire da una constatazione. Questo fenomeno non è necessariamente negativo, anzi svolge una funzione essenzialmente positiva. La fatica va concepita come un sistema di segnali precoci che l'organismo, inteso come insieme di corpo e mente, manda alla coscienza, che funziona come sistema di controllo di questo insieme, e che indica quali componenti e meccanismi  interni stanno andando verso l'usura, preavvertendo cosi che è possibile arrivare ad una situazione di "rottura" o di "breakdown", se si continua a sollecitarli. Questa concezione non è diversa da quella utilizzata dagli ingegneri quando parlano di "fatica" di un ponte, di una costruzione o di un motore. Quando un ingegnere afferma che un ponte dà segni di affaticamento, vuole indicare che alcune componenti danno segni di usura e che richiedono delle operazioni di manutenzione o delle modifiche nelle sue modalità d'uso, e quindi una strategia di risposta a questi segni. I segnali di fatica svolgono la stessa funzione rispetto al sistema uomo.

Il sistema di produzione, rilevamento, interpretazione dei segnali di fatica e di risposta ad essi, è, nell'uomo, dinamico, presente con caratteristiche per cosi dire " storiche ". I segnali prodotti variano in funzione delle attività svolte, e quindi delle componenti del corpo e della mente sollecitati. Ad esempio, chi passa dal lavoro contadino a quello della fabbrica taylorizzata (e lo dimostrano le ricerche condotte alla Olivetti alla fine degli anni '50) si trova di fronte a segnali diversi di fatica, perché vengono sollecitate  componenti del tutto diverse. I segnali vengono comunque inviati, ma il sistema di controllo non può rilevarli, perché non li conosce. In questa modo si arriva facilmente al breakdown, perché non viene messa in atto alcuna strategia adattiva di risposta. Infatti gli operai ex-contadini, che sapevano riconoscere solo i segnali dalla fatica fisica pesante, ma non capivano i segnali che venivano da fatica nervosa che nasceva dalla ripetizione di movimenti semplici, spesso svenivano in fabbrica e incorrevano in situazioni di "burn out". Per capire i segnali di fatica occorre un modello mentale, un sistema di conoscenze su quali segnali possono apparire. E occorrono anche delle conoscenze su quali strategie risultano più efficienti per gestirli e quindi per preservare l'integrità psicofisica. Ma questo modello si costruisce con l'esperienza, occorre tempo, e inoltre va socializzato in modo da legittimarlo, altrimenti si possono mettere in atto delle strategie adattive non accettabili socialmente e "punite". In questo senso è anche un modello storico. 

Quasi tutte le ricerche che seguono questa impostazione studiano l'evoluzione delle componenti interne dei modelli di fatica e le strade attraverso le quali diventano socialmente accettati, e quindi legittimi. In questo modo ci si muove però da una assunzione per la quale viene implicitamente affermato che l'uomo dispone di un unico modello di fatica, che man mano evolve in funzione dell'esperienza lavorativa. E' questa la base delle ricerche che puntano a studiare i tempi e i modi attraverso cui si aggiorna, ad esempio, il modello di fatica di un operaio che passa da lavori ripetitivi alla catena di montaggio, alla conduzione di robot. E' molto probabile però che per le donne la questione si ponga generalmente in modo assai diverso. Per la donna che lavora c'è sempre la compresenza di due modelli di fatica: uno legato all'evoluzione della sua attività nel mondo del lavoro organizzato e uno relativo all'area di attività domestica. Mentre il primo modello dovrebbe tendere alla evoluzione, il secondo dovrebbe rimanere più "stabile", ma può anche interferire con il primo. Questa compresenza può non essere facile da gestire, può portare conflitti.

In ogni caso, la capacità di aggiornamento del modello di fatica "da lavoro esterno" è strettamente in relazione con la quantità e la qualità di esperienza che viene fatta con i segnali di fatica. Se è vero quanto si sosteneva in precedenza (e cioè che è molto probabile che le donne abbiano relazioni discontinue con il lavoro che cambia, e quindi minore capacità di " stare " dentro le tecnologie), ne deriva che per le donne dovrebbe risultare molto più difficile aggiornare la loro cultura della fatica e quindi di adottare rapidamente strategie efficaci di risposta. In sostanza la donna può pagare un doppio prezzo: il primo nel dover gestire contemporaneamente due modelli di fatica che possono entrare in conflitto, e il secondo deriva dal ritardo nel aggiornamento del modello più evoluto legato alla dinamica delle tecnologie nel lavoro. 

Vi è anche un altro possibile costo. Come si è ricordato i modelli di fatica vanno socializzati e comunicati per essere legittimati. Se si analizza la presenza femminile in funzione dei livelli gerarchici nel lavora, si osserva che le donne sono relativamente molto più presenti nei livelli bassi che nei livelli alti. A dire la verità non occorre rifarsi a statistiche, basta salire su un volo aereo frequentato da "persone d'affari"  per osservare quanto sia esigua la presenza femminile. Le donne a certi livelli sono più sole, hanno minori possibilità di comunicare le esperienze di fatica e soprattutto non trovano facilmente legittimazione per socializzare i possibili conflitti fra i due modelli di fatica. Il numero di persone che ha le stesse esperienze e lo stesso retroterra spesso non raggiunge la soglia critica per arrivare alla legittimazione. 

Negli ultimi anni si è cominciato a studiare lo stress nel management e soprattutto lo stress connesso con la decisione in condizioni d'incertezza. In queste situazioni la decisione presenta due aspetti importanti. In primo luogo, essa è il frutto di un processo di apprendimento attraverso il quale impariamo delle " euristiche ", dei metodi per ridurre l'incertezza o comunque per gestirla in modo tale da non abbassare di molto la probabilità di successo.

L'apprendimento di questi metodi è essenzialmente basato sulla esperienza, sull'aver avuto la possibilità di trattare situazioni incerte molte volte. Se l'esposizione  all'incertezza è stata scarsa o si è stati esclusi dalla comunicazione sulla gestione di eventi incerti e dei  suoi risultati, si conosceranno meno euristiche e queste verranno usate peggio. Come si è visto in precedenza le donne hanno molto probabilmente meno occasione di fare esperienza e di comunicarla. Da questo punto di vista lo stress della donna manager dovrebbe essere superiore a quello dei suoi colleghi.

Nella decisione entrano però anche i valori e le preferenze individuali, non tanto nella soluzione, quanto nella scoperta dei problemi. Questo aspetto è sempre stato trascurato nello studio dei processi decisionali perché porta dentro la decisione cosiddetta razionale aspetti soggettivi ed individuali, ma è stato ancor più trascurato il ruolo che giocano nella decisione le differenze dei valori di cui sono portatori appartenenti a culture diverse. In sostanza, non è affatto chiaro se nella presa di decisione "razionale" accettata nel lavoro, le donne debbano assumere valori non coerenti con la propria cultura e con le proprie credenze individuali.

Di certo non si sa quale costo viene eventualmente pagato in termini di gestione dei conflitti rispetto alla coerenza individuale.  Infine un ultimo appunto. E' ormai ben noto che quando c'è cambiamento si osserva sempre un "effetto impatto". Ad esempio , tutte le indagini sugli operatori ai videoterminali dimostrano che, subito dopo l'introduzione dei VDT, aumentano in modo drastico la gravità e il numero di sintomi di disagio    psico - fisico. Se viene fatta un'indagine sugli stessi operatori a distanza di circa quattro anni, anche se non sono cambiate affatto le condizioni di lavoro e le tecnologie, il numero e la gravità dei sintomi diminuiscono, e la sintomatologia si precisa e focalizza. E' questo l'effetto impatto, legato con il cambiamento in quanto tale. Date le condizione di erogazione del lavoro femminile, l'effetto impatto tende a diventare per le donne una condizione perenne di malessere.