ATTI DEL I° SEMINARIO INTERNAZIONALE SUL

"DISAGIO PSICHICO DELLA DONNA"

Unità Operativa USL 39 Napoli

RESP.: Dott. Elvira Reale

 

 

 

 

UN NUOVO APPROCCIO AL DISAGIO PSICHICO DELLA DONNA

Vittoria Sardelli

CNR, UNITA'OPERATIVA USL 39 NAPOLI - SERVIZIO DONNE DI SALUTE MENTALE

 

Premessa e obiettivi

L'intervento terapeutico del Servizio Donne (SD) della USL 39 di Napoli è rivolto all'utenza femminile di due quartieri della città: Soccavo - Pianura, con una densità di circa 150.000 abitanti.

E' svolto solo da operatrici donne (5 psicologhe ed una sociologa) all'interno di un Servizio di Salute Mentale territoriale e funziona da circa dieci anni, ancor prima dell'applicazione della legge 180.

Esso è anche lavoro di ricerca clinica collegata con il C.N.R. e parte dai presupposti che: a) l'origine del disagio psichico della donna sia specifica e vada rintracciata nella sua storia di vita quotidiana e nelle sue enormi difficoltà a rispondere a particolari e molteplici richieste provenienti dall'ambiente familiare e sociale. Queste sono richieste che configurano un sovraccarico cioè un carico di lavoro e di responsabilità che esulano dalla sfera delle competenze individuali della donna ma che riguardano altri membri del suo contesto; b) l'espressione malattia sia solo una codifica tecnica, esterna alla sofferenza; c) la donna arriva a sentirsi malata nell'ultima parte di un percorso di vita particolare, segnato da una forte contrapposizione d'interessi con le figure significative del suo contesto ambientale.

Il disagio, secondo l'ipotesi dell'intervento, si costituisce a partire da una lettura non corretta degli interessi personali e come conseguenza dell'adesione a posizioni altrui.

Elementi precursori della percezione di una propria malattia sono i vissuti d'incapacità, di scarsa stima di sé che riflettono i giudizi dei contesto ambientale.

L'intervento punta, pertanto, a: 1) dare alla donna la possibilità di parlare della propria sofferenza e dei suoi sintomi senza dover, come accade in altri contesti tecnici, riferirla, spiegarla in termini di una patologia psichica; 2) pervenire con la donna alla comprensione del come e perché è arrivata a sentirsi prima incapace e poi malata, comprensione funzionale alla riduzione/eliminazione dei sintomi; 3) ricercare e iniziare a sperimentare strategie più idonee, rispetto alle precedenti, alla espressione/costruzione di proprie esigenze e desideri e alla gestione degli scontri con l'ambiente.

Note sull'utenza

Dal 1981 all'87 sono state trattate 1113 donne con patologie psichiatriche diverse.

Sono stati, trattati casi di "piccola" e " grande psichiatria" e affrontate situazioni d'emergenza psichiatrica.

A parte i raggruppamenti nosografici convenzionali è emerso che la condizione prevalente e compresa in tutto le patologie, è la depressione.  L'utenza è raggruppata in fasce di età ciascuna di 10 anni e, in generale, non vengono trattate direttamente le ragazze di età inferiore ai 14 anni in quanto si cerca di evitare loro l'impatto con una struttura psichiatrica che potrebbe contribuire a costruire l'immagine di una propria diversità, anormalità. Vengono seguiti invece i loro genitori, in maggioranza le madri che vivono in prima persona il problema dei figli.

L'utenza del nostro servizio non presenta caratteristiche che si differenziano, in modo particolare, da quelle della popolazione del territorio. Le donne che si rivolgono al Servizio sono rappresentative di ogni età, livello culturale e socio - economico.

Emerge che le donne più a rischio sono quelle più implicate nell'esercizio del ruolo femminile: la fascia di età dai 25 ai 34 anni. E' l'età dei figli piccoli e del lavoro domestico e/o extradomestico e della maggiore  pressione di richieste relative allo svolgimento di compiti e mansioni di ruolo. 197

 

Questi dati confermano l'ipotesi guida del nostro intervento e della ricerca: l'esistenza di una correlazione tra specifiche condizioni di esistenza della donna, relative al proprio ruolo sessuale, e disagio psichico.(Analisi dei dati del Servizio donne negli anni 1981 - 85)

 

Nota sulla metodologia di ricerca del Servizio Donne.

L'esperienza clinica e soprattutto il costante rapporto con la vita quotidiana delle donne ha consentito la messa a punto e la codifica di un bagaglio di strumenti precisi e attenti alla rilevazione del disagio femminile.

Una breve nota è necessaria sul come si sono andati formando metodi e strumenti d'indagine. Essi si sono sviluppati e articolati intorno ad una idea centrale (ipotesi): che dall'oppressione specifica contenuta nell'esercizio e nella pratica sociale del ruolo femminile derivasse, attraverso opportune trasformazioni, l'oppressione perde la sua visibilità e lascia il posto a vissuti di incapacità, disfunzionalità, colpa.

Il nostro lavoro metodologico, che abbiamo condotto in questi 10 anni, è stato quello di articolare e dettagliare sempre più nello specifico e nella concretezza della vita quotidiana, questo processo di trasformazione dello stato di oppressione in percezione soggettiva di malattia.

La direzione data alla nostra indagine va dall'esterno all'interno.

La nostra attenzione cioè si è sempre rivolta alle concrete ragioni di ammalamento delle donne da ricercare nelle strategie puntuali messe in atto dal contesto per sviluppare un'oppressione e sottomissione strisciante e inapparente. In questo modo abbiamo attivamente combattuto contro una rappresentazione della donna in termini "naturalmente emotiva, passiva, portata agli eccessi affettivi e agli stati mentali patologici".

Primo strumento da noi sviluppato è stata la lettura della vita quotidiana cosi come emergeva dal racconto diretto delle protagoniste. Questo strumento ha costituito il primo atto di rottura con la scienza psichiatrica (nei suoi strumenti diagnostici e curativi), ma ci ha posto di fronte ad un primo problema metodologico. Se da un lato infatti si volevano comprendere le radici della sofferenza attraverso le parole delle donne, dall'altro le parole delle donne coincidevano paradossalmente con quelle della psichiatria da cui volevamo prendere le distanze; le donne cioè in prima istanza esprimevano il malessere secondo le più classiche diagnosi psichiatriche e chiedevano una cura farmacologica ed un ripristino delle condizioni di esistenza precedenti all'insorgere dell'evento malattia, condizioni per altro considerate felici

Ciò che ci ha permesso di superare quest'impasse, nella costruzione di un metodo coerente con la sua idea ed ipotesi di partenza, è stato il ricorso al sapere storico - collettivo delle donne e soprattutto all'esperienza "privilegiata" che esse hanno in i temi del dominio e dell'oppressione.

La metodologia che abbiamo proposto non è altro che una tecnica di rilevazione agli occhi della donna utente del Servizio dello stato d'oppressione in cui è calata e dei meccanismi manipolativi del contesto tendenti a far apparire come libera una situazione che tale non è.

Questa metodologia tende in definitiva a restituire alla donna la consapevolezza della sua oppressione accantonata a vantaggio della crescita e sviluppo di sentimenti e vissuti d'incapacità, debolezza, inadeguatezza soggettiva.

Ciò ha implicato nel riferimento costante ed esclusivo al punto di vista femminile la necessità di seguire la donna nei suoi cambiamenti di posizione. La donna infatti, nella nostra ricerca clinica, si sposta gradualmente da una prospettiva di malattia e di conformità alle ragioni del contesto ad una prospettiva di insostenibilità della propria condizione di vita e di dissenso dalle ragioni del contesto. Il mutamento di posizione si attua in un processo storico e ritroso che conduce la donna dalla percezione di essere una persona malata alla percezione di un'oppressione subita. In questo processo si dispiegano agli occhi dell'osservatore esterno, i molteplici punti di vista della donna, assunti storicamente l'uno  dopo l'altro: dalla negazione di sé all'affermazione e scoperta o riscoperta di valori, desideri, progetti  personali. Questo processo si svolge in tappe di progressivo avvicinamento allo "svelamento dell'oppressione dietro la percezione di malattia ". In questo processo ogni tappa è negata dalla precedente, in ogni tappa la donna modifica le sue percezioni, ribalta il significato di fatti e rapporti, rivede il ruolo di persona e cose, trasforma il suo "non essere capace" in consapevolezza dell'oppressione e pressione del contesto a limitare la sua autonomia.

Una tale metodologia - volta alla definizione di questo percorso a ritroso - si attua nella messa in opera di due strumenti principali: l'analisi della vita quotidiana e del processo di formazione della percezione di malattia.

Il primo strumento rappresenta le operazioni che riguardano l'aggregazione dei fatti della storia personale intorno a tappe di vita segnalate come significative per la formazione del ruolo sociale (l'adolescenza, la maternità, la menopausa). Sempre con questo strumento si procede alla ulteriore aggregazione dei fatti, all'interno delle tappe prima individuate, secondo un criterio bipolare di funzioni, mansioni, compiti, svolti "per sé" o "per altri" (svolti cioè perché richiesti da altri - il contesto - o per un interesse personale). 

Il secondo strumento mira alla collocazione e alla disposizione dei fatti così aggregati in una sequenza domanda/risposta in cui s'ipotizza il contesto sempre come richiedente e la donna come colei chiamata a rispondere. Oggetto delle richieste sono i contenuti della vita quotidiana (l'assunzione di compiti, mansioni e responsabilità che riguardano il contesto). Le modalità della richiesta riflettono una logica di prevaricazione e di dominio sulla persona socialmente più debole (in genere la donna, ma non solo).  Queste modalità sono rappresentate da diversi e vari meccanismi d'imposizione del punto di vista (interessi) del contesto. Tra questi è particolarmente efficace il meccanismo di svalutazione delle capacità, delle risorse, delle possibilità d'autonomia e d'autodeterminazione di colui che si vuole occupi socialmente una posizione subordinata.

L'insieme di queste sequenze domanda/risposta tra contesto e donna sviluppa un percorso punteggiato da graduali perdite di forza del punto di vista della donna a vantaggio del punto di vista del contesto, fino alla malattia caratterizzata appunto dalla totale (anche se reversibile) abdicazione al proprio punto di vista (interessi, spazi, progetti personali).  La metodologia del Servizio attraverso questi strumenti concreti facilmente appropriabili dalle donne stesse, si definisce come analisi di un processo di modifica del punto di vista della donna dalla percezione d'essere malata (punto d'arrivo) all'emersione delle azioni oppressive del contesto (punto di partenza storico).

Questa metodologia si è incarnata in tempi e modi di svolgimento adeguati ai tempi e ai modi soggettivi di ciascuna donna. L'analisi del percorso dell'ammalamento all'interno della storia di vita e dei rapporti quotidiani, avviene quindi in tempi diversi per ciascuna donna (a secondo della lunghezza del percorso, del tempo trascorso nella percezione di malattia, dell'atteggiamento del contesto, ecc.); utilizza nella comunicazione tecnico - donna utente le parole, gli strumenti espressivi, i termini del discorso più vicini ai fatti e alla storia di vita che ciascuna donna porta all'ascolto dell'operatrice, nel rispetto delle diversità socio - culturali e di quelle relative alle diverse età; prevede fasi diverse di ascolto in cui sia possibile  dare a ciascuna donna spazio e diritto di espressione ai suoi diversi punti di vista: la malattia, la storia  precedente con gli scontri con il contesto, la ristrutturazione di un nuovo progetto di vita al di fuori dell'ottica della malattia.

 

Fasi dell'intervento

L'intervento si svolge in tre fasi:

a)                       La fase di ascolto: in questa fase viene ampliamente ascoltato il punto di

vista della persona su ciò che porta come sua malattia.

I sintomi vengono esaminati in tutte le loro espressioni, soprattutto

quelle che più spaventano la donna e ne rafforzano l'immagine di persona malata.

Lo scopo è la familiarizzazione, da parte della donna, con i sintomi e la

riduzione dei caratteri d'estranietà e incomprensibilità che questi

assumono. Si è molto attente, in questa fase, a rispettare le richieste della

persona che, inizialmente espresse nell'ottica della malattia, sono

richieste di cura e normalizzazione.

Contemporaneamente, tuttavia, si cerca di non darle risposte che

confermino il suo stato di malattia, per esempio non emettendo diagnosi,

né prescrivendo farmaci se la persona non ne ha mai presi.

b)                      La fase intermedia è caratterizzata da tutto il grosso lavoro - che si

compie con la donna - di collegamento della sofferenza alla sua vita e di scoperta dei meccanismi che hanno prodotto in lei la percezione di essere una persona malata. In particolare vengono messi in campo i vari giudizi svalutativi espressi dal contesto nei suoi confronti per mantenerla legata ai compiti assegnati e impedirle eventuali deroghe. Vengono rivisti modelli di comportamento portati ad esempio dal contesto e nei cui confronti la donna si è sentita incapace ed inadeguata.

Si svolge un'analisi delle condizioni di vita atta ad evidenziare la

relazione tra eccessivi carichi di responsabilità e di lavoro e

restringimento progressivo dei propri spazi personali e produzione di

sofferenza psichica.

 c)La terza fase è quella delle prime modifiche di atteggiamento e delle

nuove progettualità.

L'interpretazione diversa del proprio stare male e l'attribuzione di alcuni

comportamenti prima definiti "strani e anormali" non più esclusivamente

ad una malattia consentono alla donna di guardarsi con occhio diverso:

non più come una persona colpita da un accidente che solo il tecnico può

cercare di rimuovere, ma come soggetto cui sono stati negati i propri

spazi.

Da ciò la ricerca e la messa in atto d'atteggiamenti e comportamenti idonei a garantire la possibilità d'espressione di sé più libera.

In questa fase è importante non solo il lavoro di recupero di precedenti progetti che non sono stati realizzati ma anche una loro rielaborazione che ne consenta la fattibilità. Molti progetti formulati, per esempio, nell'adolescenza solo per dimostrare al contesto le proprie capacità da questo messo in discussione, devono perdere il loro carattere di "dimostrabilità" e riferirsi solo a ciò che s'individua come propria ispirazione o desiderio.

 

Durata dell'intervento

La durata dell'intervento dipende da molti fattori tra cui l'età della persona e la sua permanenza, antecedente al rapporto con il S.D., nell'ottica e nel circuito psichiatrici.

In generale la durata media dei colloqui varia da 6 mesi a un anno.

La frequenza media è di una volta alla settimana, verso la conclusione dell'intervento i colloqui sono meno frequenti.

L'intervento termina quando l'utente ha superato la percezione di un sé malato e si rimette nel circuito del quotidiano dal quale, nell'ottica della malattia, si era progressivamente staccata.

 

Strumenti dell'intervento

Il metodo dell'intervento e della ricerca può definirsi metodo della concretezza: si analizzano con l'utente i fatti concreti della sua vita, i suoi atteggiamenti, i suoi vissuti e desideri cercando una spiegazione nelle loro connessioni.

Il metodo prevede l'uso di 4 strumenti da noi elaborati in questi anni e che oggi possono essere applicati da altre operatrici in realtà diverse dalla nostra.

E' necessario, tuttavia, precisare che il nostro intervento non consiste in una corretta applicazione degli strumenti metodologici. Esso è un intervento terapeutico basato sull'aggancio con la persona che chiede aiuto, sul forte legarne che ella stabilisce con l'operatrice che sente vicina e dalla sua parte. Va inoltre precisato che il percorso di comprensione degli elementi significativi dell'esistenza, produttori di vissuti d'incapacità e malattia non è solo d'ordine conoscitivo ma emozionale.

 

In questo percorso possono prevedersi frequenti revisioni di dati ricavati da una prima analisi, via via che emergono nuovi fatti e nuovi collegamenti. Gli strumenti non sono un questionario da somministrare all'utente ma un abito mentale dell'operatrice, una guida per rintracciare i nessi tra disagio e vita dell'utente, per organizzare e collegare i dati d'analisi tra loro in modo da delineare il percorso d'ammalamento.

Gli strumenti da noi coniati sono: I)La cartella clinica; 2) Il protocollo di rilevazione del quotidiano e della storia personale; 3) Il protocollo di rilevazione della percezione di malattia; 4) Il protocollo di intervista all'utente.

Essi vengono presentati e ampiamente illustrati nel "Manuale per l'intervento sul disagio psichico della donna" elaborato dalla nostra Unità Operativa, nell'ambito del Progetto Finalizzato C.R.N. "Medicina Preventiva e Riabilitativa".

 

La cartella clinica

La cartella è strutturata in modo tale da avviare un primo aggancio tra utente ed operatrice. La cartella è volutamente priva di diagnosi nosografiche e di notazioni sulla gravità o meno del malessere. E' finalizzata alla raccolta dati che si riferiscono al modo in cui l'utente vede il suo problema all'inizio e nel corso dell'intervento: il linguaggio usato è solo quello dell'utente.

Essa riassume i dati salienti della condizione socio - culturale dell'utente, le tappe della sua malattia e le tappe principali dell'intervento del Servizio di salute mentale.

La cartella clinica si compone di tre parti. La prima parte analizza i dati che riguardano l'utente nel momento in cui inizia il suo rapporto con il Servizio. Questa parte registra i dati anagrafici e socio - ambientali dell'utente, i modi d'espressione della sua sofferenza, i tentativi fatti per risolvere il problema (storia degli interventi psichiatrici); gli atteggiamenti della persona nei confronti dei vari aspetti della vita quotidiana.

La seconda parte costituisce un'analisi dell'intervento e delle sue modalità di svolgimento. In essa è compresa sia l'annotazione sintetica di alcune tappe del percorso (progetto d'intervento, sue realizzazioni, prescrizioni, interventi specifici), sia l'annotazione cronologica di ogni fase dell'intervento (diario e sintesi dell'intervento).

La parte terza, infine, analizza il dato finale dell'intervento, la sua conclusione con gli effetti ottenuti e riconosciuti dall'utente stessa.

 

Protocollo di rilevazione della vita quotidiana e della storia del personale

Il Protocollo di rilevazione della vita quotidiana e della storia personale va usato con il Protocollo della percezione di malattia: l'uso rappresenta la storia della persona con tutti i carichi di lavoro e di responsabilità imposti dal contesto, l'altro la storia dello strutturarsi dei vissuti d'incapacità e malattia che vanno ad invadere progressivamente l'esistenza della donna. Esso ha per scopo l'individuazione dei tempi e dei luoghi in cui si è verificato un sovraccarico di lavoro e di responsabilità attribuito dal contesto alla donna in nome del normale espletamento delle sue funzioni di ruolo.

Il Protocollo è strutturato in sei parti che analizzano sei sfere della vita quotidiana. La 1° parte analizza i contenuti del lavoro familiare; la 2°, il lavoro extrafamiliare; la 3° l'attività di studio e formazione; la 4°, i rapporti sociali; la 5°, i rapporti sessuali; la 6°, il tempo libero. L'analisi riguarda sia l'attualità che la storia passata.

Ogni parte si articola in tre sezioni che analizzano, ciascuna per la propria sfera di competenza, le attività proprie (della donna); le attività altrui (delle altre figure significative del contesto); le caratteristiche generali dell'attività.

Le sezioni (le prime due) di ciascuna parte si suddividono a loro volta in tre sottosezioni che analizzano, sempre rispetto all'attività di competenza della loro parte, i carichi di lavoro, le responsabilità e gli atteggiamenti assunti, richiesti e desiderati sia dalla donna che dalle altre figure del contesto. Queste sezioni prevedono inoltre il riferimento ad una serie di ambiti direzionali, che illustrano e definiscono nello specifico la direzione (il " da chi " e il " verso chi ") dei carichi di lavoro, delle responsabilità e degli atteggiamenti. Gli ambiti direzionali variano a seconda delle parti e delle sfere di attività prese in considerazione.

La terza sezione non prevede al suo interno sottosezioni né ambiti direzionali. Essa costituisce una rilevazione sintetica delle caratteristiche generali delle sei sfere d'attività. L'analisi generale delle sfere di attività viene effettuata attraverso indici di rilevazione che aiutano a definire i carichi e gli spazi propri e altrui e a precisare le differenze di condizioni di vita della donna rispetto agli altri membri del suo contesto.

 

Il Protocollo di rilevazione della percezione di malattia

Il protocollo serve all'individuazione degli elementi e delle tappe di un percorso in cui la donna, in contrasto con un contesto particolarmente caricante di responsabilità che a lei non competono e coartante i suoi spazi, viene ad essere oggetto di giudizi svalutativi.

Questi giudizi hanno la funzione di mantenere legata la donna ai compiti richiesti e, insieme contribuiscono, alla produzione in lei di vissuti di una propria incapacità a svolgere ciò che le viene richiesto. Via via che gli scontri con il contesto si fanno sempre più perdenti per la donna, i progetti personali si riducono, gli spazi si restringono, ella sperimenta anche vissuti d'insostenibilità del peso della propria esistenza e di immodifícabilità della sua situazione.

La percezione di un sé malato viene prodotta solo alla fine di questo percorso, come negazione della situazione di insostenibilità oggettiva determinata dai meccanismi di oppressione del contesto. Il protocollo si compone di 4 parti che rappresentano in ordine inverso (dall'ultima alla prima) le tappe o fasi del processo di formazione della percezione soggettiva di malattia.

La parte 1° analizza l'ultima fase del processo: lo specifico percorso della persona che si percepisce malata all'interno dell'istituzione medico - psichiatrica; raccoglie gli elementi del processo di cronicizzazione della percezione di malattia.

La parte 2° analizza il percorso di ammalarnento della persona all'interno della vita quotidiana, nel rapporto con il contesto, prima che sia avvenuta una qualsiasi codifica tecnica del problema. Essa definisce il processo attraverso cui l'attenzione della persona si sposta gradualmente dalle ragioni e dai motivi di scontro con il contesto alle ragioni e ai motivi della propria disfunzione psico - fisica. Il percorso di ammalamento è dato allora dal passaggio della percezione d'insostenibilità alla percezione di malattia. Questo passaggio è costituito dal cambiamento/ribaltamento del punto di vista della persona sulla propria situazione di vita e di rapporto con il contesto d'appartenenza.

La parte 3° analizza la formazione del vissuto d'incapacità, conseguente a scontri con il contesto, che ha avuto luogo in qualsiasi tappa della vita dell'utente antecedente allo specifico percorso dell'arnmalamento.

La parte 4° analizza la percezione d'incapacità formatasi in una tappa specifica: quella dell'adolescenza e dell'addestramento al ruolo.

In questa parte s'individua la percezione d'incapacità che una donna ha assunto relativamente agli scontri adolescenziali con il contesto familiare. Il progetto di ruolo formulato è dimostrativo delle proprie capacità negate. Lo scontro con il contesto nell'età adolescenziale verte essenzialmente sui progetti futuri: quando un determinato progetto risponde anche all'esigenza di dimostrare le proprie capacità di riuscita esso si carica d'aspettative specifiche che ne renderanno difficile la modifica ed il ricambio in caso d'impraticabilità. La caduta del progetto adolescenziale e l'impossibilità, per le quote dimostrative in esso contenute, di trasformarlo sarà uno dei fattori che insieme agli altri apre alla donna il percorso della malattia.

La 4°e la 3° fase individuano un percorso che può essere rappresentato orizzontalmente: esso definisce infatti solo un processo di accumulo di dati, esperienze, giudizi che man mano approfondiscono una percezione svalutata (ma non patologica) di sé.

La 2°e la l° fase individuano invece un percorso che può essere rappresentato da una linea continua rispetto alla precedente ma posta in verticale: esso infatti sta a significare il ribaltamento del punto di vista della persona sui dati e sulle esperienze della propria vita in una direzione che è quella della attribuzione di malattia alle proprie incapacità (segnalate dal contesto e al fallimento del proprio progetto (reso immodificabile dal peso dello scopo dimostrativo in esso contenuto fin dall'adolescenza).

 

Il Protocollo d'intervista all'utente  

L'intervista non va intesa solo come un follow-up sulle condizioni di salute dell'utente a distanza di 6 mesi - 1 anno dalla conclusione dell'intervento, ma come uno strumento che offre all'utente la possibilità di una ulteriore riflessione sul proprio percorso di ammalamento e sul percorso terapeutico.

Dal punto di vista del Servizio serve a precisare gli elementi più significativi delle strategie adottate per affrontare i problemi dell'utente. Costituisce uno strumento di verifica dell'intervento del Servizio di salute mentale e dell'efficacia della metodologia usata.

L'intervista è costituita da una griglia di domande suddivise in Parti e Sezioni. Esse costituiscono una guida ed uno schema generale di riferimento per l'intervistatore.

L'intervista affronta i terni della vita quotidiana e della formazione della percezione di malattia nella loro evoluzione storica e nell'evoluzione del rapporto con il Servizio.

Nella l° parte si guarda con l'utente al problema del quotidiano e della percezione di sé prima dell'intervento del Servizio; nella 2° parte si considerano i mutamenti graduali avvenuti nella percezione di sé e nella vita quotidiana durante il rapporto con il Servizio; nella 3° parte si definiscono i cambiamenti avvenuti a conclusione dell'intervento.

La 4° parte (che è una parte a sé stante) analizza il rapporto utente - servizio, le sue peculiarità, le sue modalità di svolgimento, i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi, cosi come sono risaltati agli occhi dell'utente.