"DISAGIO
PSICHICO DELLA DONNA"
Unità Operativa USL 39 Napoli
RESP.: Dott. Elvira Reale
DIPENDENZA E DISAGIO PSICHICO FEMMINILE: ANALISI
TEORICA E SPUNTI PER UNA
RIFLESSIONE
Rita
D'Amico
ISTITUTO DI
PSICOLOGIA DEL CNR, ROMA
Sebbene negli ultimi decenni sia stata spesso usata per spiegare molti
fenomeni sociali, dai rapporti economici, al conformismo, alla condizione
svantaggiata delle donne, la dipendenza è una tematica finora mal definita da
un punto di vista teorico e ancora tutta da esplorare.
Anche la relazione tra dipendenza
e disagio psichico delle donne non è stata sufficientemente affrontata nella
sua specificità. Infatti, a parte poche eccezioni (Chevron, Quinlan, &
Blatt, 1978; Ford and Berkman, 1988), l'unico approccio a questa problematico
rimane quello generale delle teorie psicodinamiche sull'insorgenza della
depressione e della psicosi maniaco - depressiva (e.g. Freud, 1928; Fromm -
Reichman, 1959). All'interno di tali teorie la dipendenza è vista, più o meno
esplicitamente, come un tratto di personalità caratterizzato dalla tendenza a
ricercare affetto e supporto dagli altri. Tale tendenza, considerata comune a
tutti gli individui, produce disagio quando essa trae origine da un bisogno
d'amore che non solo non è stato sufficientemente soddisfatto nell'infanzia e
fanciullezza, ma che, per svariati motivi non trova soddisfazione nemmeno nel
presente.
Nonostante la validità di questo
approccio che non pretendo qui di mettere in dubbio, tuttavia a me sembra che
esso possa limitare la comprensione del rapporto esistente tra dipendenza e
disagio psichico degli individui in generale e in particolare delle donne. In
primo luogo perché un'analisi di questa problematico focalizzata solo sulla
dipendenza affettiva esclude altri possibili tipi di dipendenza implicati, quali
la dipendenza economica, così come quella determinata dal non possesso di
determinate competenze, ecc. In secondo luogo perché adottando tale approccio
si rischia di focalizzare l'attenzione esclusivamente o quasi esclusivamente sui
danni provocati dal mancato soddisfacimento dei bisogni affettivi e non,
perdendo di vista i potenziali effetti negativi delle relazioni di dipendenza,
non solo quando queste non soddisfano i bisogni dell'individuo, ma anche quando
esse svolgono tale funzione. Si
pensi ad esempio alla tendenza a svalutare più o meno esplicitamente chi
dipende da noi; oppure, dall'altro lato, al rischio di affidarsi sempre e
comunque agli altri per soddisfare i nostri bisogni o scopi anche quando questo
comporta appunto l'essere svalutati, ma anche la non verifica delle proprie
potenziali competenze e il sottostare al volere e alla disponibilità altrui.
Infine perché tale approccio, considerando la dipendenza un fenomeno
intraindividuale, esclude dalla sua analisi l'influenza di alcuni fattori
culturali sul modo in cui l'individuo percepisce la propria dipendenza e sui
suoi tentativi di modificarla o di accettarla. Si pensi qui all'attuale standard
sociale dell'autonomia e del contare su di sé, contrapposto alla dipendenza,
così come all'atteggiamento generale di svalorizzazione delle competenze delle
donne.
Considerando sia la insufficiente
analisi teorica della dipendenza, sia le carenze degli approcci che si sono
finora occupati del rapporto di quest'ultima con il disagio psichico, rimangono
in sospeso alcune problematiche, quali: è vero che la dipendenza è solo una
caratteristica di personalità? E inoltre, è possibile che la dipendenza abbia
sempre effetti negativi sull'individuo? In tal caso, di che effetti si tratta, e
quanto questi sono specifici per le donne? E infine, quanto tali effetti sono
determinati dal valore negativo attribuito alla dipendenza nella nostra cultura?
Per rispondere a questi interrogativi mi è sembrato necessario prima di tutto
chiarire che cos'è la dipendenza all'interno di un contesto culturale e
relazionale, e secondariamente analizzare i suoi possibili effetti negativi
sugli individui.
Dipendenza oggettiva e soggettiva
Il primo passo necessario per la
nostra analisi mi sembra sia quello di dare una definizione neutra della
dipendenza, senza legami iniziali con la psicopatologia e il più possibile
generale, che ci consenta di esaminare i vari aspetti specifici di questa
tematica. Iniziamo allora da alcuni esempi della vita reale di tutti i giorni.
Una donna non ha l'automobile per andare al lavoro, ma una sua collega le dà un
passaggio di tutti i giorni: un uomo anziano conta sulla moglie per la
soddisfazione dei suoi bisogni affettivi, uno studente può finire i suoi
compiti grazie all'aiuto di un amico. Che cosa hanno in comune queste
situazioni? Innanzitutto in ognuna c'è una persona (A) che ha uno scopo S
(andare al lavoro con l'automobile, finire i compiti, ecc.), ma non ha le
risorse per raggiungere tale scopo da sé. In secondo luogo, c'è un'altra
persona (B)che ha le risorse necessarie e le usa per consentire ad A di
raggiungere il suo scopo. Dal mio punto
di vista, questi sono gli elementi necessari per parlare di dipendenza.
Dati questi elementi, stabiliti
sulla base di un modello teorico che considera il comportamento umano regolato
da scopi, il cui perseguimento richiede la disponibilità di determinate risorse
o mezzi (Parisi e Castelfranchi, 1978), possiamo parlare di dipendenza in
maniera molto chiara e semplice e introdurre una prima distinzione nella sua
definizione. Diremo così che A è oggettivamente dipendente quando ha uno scopo
S ma non ha le risorse necessarie per raggiungerlo. Diremo che A dipende
oggettivamente da B relativamente ad S quando egli pur non avendo le risorse
necessarie per S, riesce a raggiungere tale scopo grazie a B che invece ha le
risorse in questione.
L'avere stabilito tale distinzione
ha una serie di conseguenze sulla comprensione della dipendenza. Innanzitutto
l'attenzione si sposta dalle caratteristiche stabili di personalità di un
individuo, ad una sua mancanza di risorse (abilità, strumenti a disposizione
e/o condizioni esterne), che egli può acquisire nel corso del tempo,
modificando così la sua dipendenza. Inoltre, e cosa più importante, l'avere
evidenziato che la dipendenza, pur essendo una condizione oggettiva di un
individuo, implica anche una relazione con un altro (individuo o istituzione),
consente di estendere l'analisi alle relazioni di dipendenza, spesso trascurate
da un approccio intraindividuale. Infine, menzionando gli scopi che una persona
può avere, diversi nella qualità, nel numero e nell'importanza che assumono
per l'individuo, possiamo distinguere tra diversi tipi di dipendenza, a seconda
degli scopi per cui si dipende, e di riferirci a particolari relazioni, senza
generalizzare a tutte le relazioni che una persona può avere. In questo modo,
pur assumendo come punto di partenza una definizione generale, è possibile
esaminare anche le specifiche situazioni in cui la dipendenza, come fenomeno
complesso, può verificarsi
E' importante notare che la stessa
definizione può essere applicata anche all'esperienza soggettiva della
dipendenza. In questo caso diremo che A è soggettivamente dipendente quando gli
elementi sopra menzionati vengono da lui assunti nella propria mente, o in altre
parole, quando pensa di avere uno scopo e di non avere le risorse necessarie per
raggiungerlo.
La dipendenza soggettiva
di A da B relativamente ad S implica invece che A oltre a pensare di non avere
le risorse necessarie per il suo scopo, pensa anche di poterlo raggiungere
tramite B che invece ha le risorse. La
dipendenza soggettiva, inoltre, può essere vera o falsa, nel senso che le
tre condizioni sopra menzionate possono corrispondere o meno alla realtà.
Falsa
assunzione di un individuo circa la propria condizione di dipendenza:
sue origini e
implicazioni
Una falsa assunzione circa la
propria condizione di dipendenza può avere origini diverse. Innanzitutto, A può
non avere originariamente uno scopo, ma in seguito decide di assumerla (un
bambino vuole mangiare la nutella dopo aver visto ripetutamente uno spot
pubblicitario in T.V.). E' evidente, qui, la connessione con quanto viene
comunemente definito induzione di bisogni, problematico che però non
approfondirò in questo ambito, ma mi limiterà a sottolineare che in genere si
tende ad assumere uno scopo che prima non si aveva per intervento di un altro.
Questo può avvenire perché l'altro (B) vuole: 1) che A raggiunga il suo scopo
S senza avere niente in cambio (adozione terminale o affetto); 2) ottenere dei
vantaggi dal perseguimento di S da parte di A; 3) far credere ad A di essere
dipendente da lui per ottenere dei vantaggi dalla relazione: A si sentirà di
reciprocare quanto ottiene da B; sia A che altri estranei alla relazione lo
considerano degno di rispetto e di stima cosicché l'autostima di B sarà
accresciuta.
Un'altra situazione che potremmo incontrare è quella
in cui A pensa di non avere le risorse necessarie per raggiungere il suo scopo,
ma ciò risulta essere falso; oppure A effettivamente non possiede le risorse,
ma oltre a pensare ciò pensa anche di non poter far nulla per acquisirle.
Riguardo la prima possibilità, A
pensa di non avere le risorse pur avendole quando: non ne è consapevole in
quanto non l'ha mai verificato o nessuno glielo ha fatto notare. Oppure egli si
convince di non averle e lo comunica esternamente perché sa che in questi casi
è più facile ricevere aiuto dagli altri. E' importante notare che una falsa
assunzione di dipendenza può essere anche un auto - inganno, nel senso che può
essere un mezzo per usufruire di una seria di benefici quali ad esempio: ridurre
i costi legati al raggiungimento di
uno scopo (impiego di energie, di tempo, di responsabilità); ed evitare il
rischi di fallire nel perseguire lo
scopo da solo e quindi di diminuire la propria autostima. Infine, una falsa
assunzione di A circa le proprie risorse si verifica quando B gli fa credere di
non averle perché vuole che A pensi di essere dipendente da lui per godere dei
benefici legati alla sua condizione di potere su A.
La seconda possibilità si verifica invece quando A
considera il non poter raggiungere i propri scopi da solo come un fallimento dovuto a sue caratteristiche
personali non modificabili in futuro, e non a una
mancanza temporanea di risorse. Come conseguenza, A penserà che non c'è
altro modo per lui di raggiungere i suoi scopi se non tramite l'azione di un
altro.
Infine, la dipendenza
soggettiva di A da B risulta falsa quando A pensa che B ha le risorse
necessarie per conseguire il suo scopo, mentre invece ad un osservatore esterno
questo non risulta. Qui le ragioni sono forse meno chiare, ma si potrebbe
pensare ad una sorta d'idealizzazione dell'altro, come nel caso
dell'innamoramento, oppure ad una forma d'inganno da parte di B per avere il
potere di influenzare A, oppure per aumentare il suo potere in assoluto.
L'analisi della dipendenza soggettiva falsa, posta in
termini relazionali e non esclusivamente intraindividuali, consente di
evidenziare alcuni punti interessati. In primo luogo i vantaggi dell'essere
dipendenti da qualcuno, aspetto questo già precedentemente considerato in
ambito psicodinamico, ma non sufficientemente approfondito nel caso della
dipendenza degli adulti. In secondo luogo, i vantaggi di chi accetta la
dipendenza dell'altro da sé. E' importante notare che una consapevolezza di
tali vantaggi può portare ad un'induzione di dipendenza soggettiva nell'altro,
attraverso i processi sopra esaminati e quindi ad una relazione di dipendenza
oggettiva. In terzo luogo le conseguenze che l'attribuzione della mancanza di
risorse a causa interne ha sull'individuo dipendente, e cioè sia il perdurare
di una condizione di dipendenza, sia l'inevitabile dipendenza da un altro.
Dipendenza e
scambio economico
Data la nostra definizione di dipendenza, è
difficile immaginare un mondo in cui gli individui riescono a soddisfare tutti i
loro scopi da soli. Anche solo se consideriamo uno scopo il cui raggiungimento
non è forse ritenuto da tutti necessario, quale ad esempio andare al cinema e
vedere un buon film, notiamo che per ottenere ciò non dipendiamo dalla
realizzazione di una serie di condizioni: l'esistenza di una sala di proiezione,
la sua apertura, l'acquisto di un buon film da parte dei gestori della sala,
l'avere i soldi per pagare il biglietto, ecc. ecc. Dall'altro lato, anche il
gestore del cinema dipende dal critico che ha ben pubblicizzato il film, dalla
presenza degli spettatori, ecc., se vuole fare un buon incasso. Lo stesso può
essere detto di uno scopo sicuramente più importante che è quello della
sopravvivenza in generale. Questo tipo di dipendenza è comune a tutti gli
individui che scelgono di vivere in una società. Da quest'ottica, tutti sono
dipendenti da tutti, ma in realtà è difficile sentir qualcuno affermare
d'essere dipendente dalla società. Ciò non accade perché le relazioni
implicate in tale dipendenza sociale sono basate o su un'interdipendenza in cui
ciascuno può fare qualcosa per l'altro che questi non può fare per o da se
stesso, oppure su un implicito scambio economico in cui l'altro mi offre
dei servizi ed io in cambio gli offro del denaro. In questo modo, il fatto di
pagare l'altro che mi consente di raggiungere i miei scopi, non mi fa sentire
dipendente da lui. Inoltre, è importante notare che ormai il modello dello
scambio economico si è diffuso così tanto nella nostra cultura occidentale da
investire tutte le relazioni interpersonali e le teorie su di esse (vedi Thibaut
& KelAey, 1978). Infatti, non è difficile sentire qualcuno riferirsi al
grado di soddisfazione di relazione intima in termini di un calcolo costi –
benefici.
Inoltre, e cosa più importante per la nostra
analisi, l'autonomia stessa del singolo individuo è misurata in accordo con la
sua capacità di soddisfare i suoi bisogni o i suoi scopi dato un certo livello
di risorse che può scambiare con quanto l'altro fa per conseguirgli di
raggiungere i suoi scopi. Da questo punto di vista, le donne sarebbero meno
autonome degli uomini, in quanto essendo meno impegnate in attività lavorative,
o pur lavorando, essendo meno retribuite, avrebbero un potere di scambio
inferiore a quello degli uomini.
Relazioni di
dipendenza
abbiamo visto in precedenza quanto sia facile
trovarsi nella situazione in cui non si è in grado di raggiungere tutti i
propri scopi da soli. Quando ciò si verifica, le possibili strategie per
fronteggiare tale situazione sono: accrescere le proprie risorse; rinunciare
agli scopi in questione, oppure dipendere da qualcuno. In quest'ultimo caso,
quand'è che si può parlare di relazioni di dipendenza? Consideriamo ad esempio
uno studente (Franco), dipendente da un suo collega (Marco) per finire i suoi
compiti. La relazione esistente tra i due colleghi si configurerà come una
relazione di dipendenza innanzitutto quando Franco finirà sempre o
ripetutamente nel tempo i suoi compiti grazie a Marco. In secondo luogo, quando
non c'è un'interdipendenza, cioè Franco non fa (o non potrebbe fare) nulla per
Marco che quest'ultimo non possa fare da sé. Al contrario, una relazione di
dipendenza implica che la persona nella condizione dipendente non può fare
niente per l'altro. Più specificamente ciò può corrispondere a casi in cui:
1) la persona non ha le risorse per raggiungere i suoi scopi; 2) egli lo pensa
ma ciò è falso; 3) quanto egli fa per l'altro viene svalutato da quest'ultimo.
Un esempio emblematico di quest'ultimo caso è costituito dalla tendenza a
svalutare alcune competenze ed attività delle donne collegate al ruolo
sessuale, soprattutto quelle richieste dal lavoro domestico, in contrasto con la
valorizzazione del lavoro extradomestico, in quanto produttivo. Ritornando al
nostro esempio, è facile pensare che qualche volta Marco sia occupato e si
rifiuti di aiutare Franco. Quest'ultimo si troverà certamente in difficoltà se
non ha un'altra persona che può sostituire Marco. A questo punto abbiamo
individuato un'altra condizione necessaria per parlare di una relazione di
dipendenza; vale a dire la disponibilità di relazioni alternative. Infatti,
secondo Thibaut & Kelly (1959), una relazione di dipendenza di A da B è
determinata dal basso numero di relazioni disponibili per A, alternative a
quella con B. Ma nel nostro esempio può anche accadere che Franco, per non
trovarsi nei guai ancora una volta, decida di acquisire le risorse (abilità)
per finire i compiti da solo. Come conseguenza, egli non avrà più una
relazione di dipendenza dal suo collega. Dal nostro punto di vista, allora, nel
parlare di una relazione di dipendenza tra due individui, vanno considerate
tutte le alternative che la persona dipendente ha per raggiungere il suo scopo,
cioè la disponibilità d'altre relazioni, ma anche la possibilità che ha o che
pensa di avere di cambiare la sua iniziale mancanza di risorse.
In sintesi, possiamo dire che una relazione di
dipendenza di A da B è determinata: 1) dal numero di relazioni alternative
disponibili per A; 2) dall'assenza di un'interdipendenza; 3) dal perdurare nel
tempo della dipendenza di A da B; 4) dalla credenza vera o falsa di B di poter
modificare la sua iniziale scarsezza di risorse.
Conseguenze
negative dell'essere dipendenti
Dopo aver chiarito che cos'è la dipendenza, rimane
da chiarire se e in quali casi essa ha effetti negativi sull'individuo e di
quali effetti si tratta. Consideriamo allora il primo aspetto presente nella
nostra definizione, cioè il caso in cui l'individuo A ha uno scopo ma non ha le
risorse per raggiungerlo. Qui ciò che si verifica è innanzitutto la mancata
soddisfazione dello scopo in questione. Posto il problema in questi termini,
risulta evidente che quanto più esso è ritenuto fondamentale dall'individuo,
tanto più la sua compromissione comporterà livelli diversi di disagio e
sofferenza (si veda a questo proposito l'analisi condotta da Conte e Miceli,
1984). Ad esempio, non avere alcune risorse materiali (denaro, oggetti,
strumenti), con le limitazioni che ciò comporta, può abbassare il grado di
soddisfazione di un individuo circa la propria esistenza. Ma anche il non avere
competenze intellettuali può avere delle ripercussioni sul benessere psichico
di un individuo se tale carenza è d'ostacolo alla sua realizzazione personale e
quest'ultima è per lui molto importante. Naturalmente questa problematico è in
stretta relazione con il fenomeno
prima menzionato dell'induzione di scopi o bisogni, nonché con gli standard
sociali riguardanti la desiderabilità delle condizioni di vita collegate al
raggiungimento di alcuni scopi, desiderabilità
soggetta ai cambiamenti socio - culturali. Sebbene non mi soffermerò su
questa tematica in quanto penso che essa richieda un'analisi a parte, vorrei però
sottolineare quanto gli effetti negativi dell'essere dipendenti possono essere
provocati più o meno direttamente da fattori socio - culturali e non dalla
mancanza di risorse o dal perseguire certi scopi di per sé.
Un altro effetto determinato dall'essere dipendenti
è indubbiamente la percezione, da parte dell'individuo, di non avere risorse
per il suo scopo. Ciò può provocare un senso di inadeguatezza personale, non
solo quando il possesso delle risorse in questione è considerato desiderabile
per l'individuo, ma anche quando l'individuo si sente in qualche modo
responsabile, e/o altri lo fanno sentire tale, della sua carenza di risorse.
Infine, tale carenza può provocare disagio quando l'individuo pensa di essere
solo in una condizione simile.
Relazioni di
dipendenza non soddisfacenti e suoi effetti negativi
Abbiamo visto che una relazione di dipendenza di A da
B circa uno scopo S implica tra l'altro che A raggiunga tale scopo
ripetutamente. In ragione di ciò in A si creano delle aspettative circa il
comportamento futuro di B. Egli si aspetta che l'altra faccia qualcosa per lui
ogniqualvolta il suo scopo S è attivo, o in altre parole, è da lui considerato
una meta da raggiungere. Ciò implica l'accettazione da parte di B di soddisfare
sempre e comunque le richieste di A. E' interessante notare che la situazione
qui descritta investe la tematica comunemente definita come "il contare su
qualcuno", un'espressione spesso usata come sinonimo di dipendenza.
Qualora, però, le aspettative di B non vengano
soddisfatte, egli cercherà di capirne le cause, cioè cercherà di capire
innanzitutto se il comportamento inatteso di B è dovuto al caso e/o a
costrizioni esterne (Marco è stato inviato dal padre a sbrigare una
commissione, il professore gli ha affidato un compito supplementare, ecc.);
oppure è stato intenzionale (Marco non ha voluto aiutarlo perché non vuole che
Franco raggiunga buoni risultati a scuola, mentre è lui che si impegna al suo
posto; oppure non vuole che Franco risulti essere bravo quanto lui; ecc.).
Naturalmente se il fallimento circa le aspettative su B è occasionale, allora
sarà più facile per A accettare una spiegazione in termini di non
intenzionalità. Se invece il fallimento si protrae nel tempo, allora ad A non
resterà che pensare, sebbene a malincuore, che B non vuole più usare le
proprie risorse per consentirgli di raggiungere il suo scopo, e che pertanto la
sua relazione di dipendenza da B non è più soddisfacente.
Forse la strategia più comune per far fronte a
questa situazione è quella di trovare alternative per raggiungere il proprio
scopo (attraverso altre persone o aumentando le proprie risorse), e troncare
l'attuale relazione di dipendenza. Tuttavia, ci sono scopi che noi non possiamo
raggiungere da soli per definizione, come ad esempio ricevere amore e/o supporto
affettivo. Inoltre, ci sono alcune relazioni attraverso cui possiamo raggiungere
più di uno scopo, in particolare noi possiamo ottenere da amici, parenti o
amanti aiuti materiali, supporto affettivo e divertimento. Di
conseguenza, abbandonare tali relazioni può essere più problematico per
l'individuo dipendente che non troncare una relazione con un collega o, in
generale, con quanti non ci assicurano il raggiungimento di un solo scopo.
Infatti, se può essere facile trovare mezzi "alternativi" per un solo
scopo, può risultare più difficile farlo per più di uno. Così, in genere
preferiamo rinunciare ad uno di essi, ma sentirci più sicuri circa il
raggiungimento degli altri. Un esempio emblematico in questo senso è quello di
alcune casalinghe che, per il fatto di essere dipendenti dai loro mariti e di
pensare di non avere le risorse per sostenersi materialmente da sole, continuano
a mantenere i loro matrimoni pur sapendo di non essere più amate. Il mancato
soddisfacimento del loro scopo di essere amate può non avere alcun effetto
negativo sul loro stato di benessere psicologico se esse riescono a convincersi
che l'affetto dei figli e/o dei parenti in genere è un sostituto sufficiente.
Ma se invece tale strategia non funziona, allora le
conseguenze possono essere negative. Infatti, come Ford & Berkman (1988)
hanno suggerito, si può considerare il fallimento del soddisfacimento di uno
scopo da parte di un altro simile ad una carenza di rinforzi positivi che, a
lungo andare porterebbe ad uno stato depressivo (Lewinsohn & Hoberman,
1982).
Nel nostro esempio ciò che in realtà viene a
mancare è il riconoscimento, da parte dell'altro, di essere una persona degna
d'amore e ciò porta come minimo ad un abbassamento dell'autostima, e cosa più
importante ad un concetto negativo di sé, che è appunto costituito dalla
rappresentazione mentale delle proprie ed altrui valutazioni. Di conseguenza, se
consideriamo che lo sviluppo e il mantenimento di un concetto negativo di sé è
considerato, nell'ambito delle teorie cognitive, tra i processi mentali che
portano alla depressione (Beck, 1967), allora è plausibile pensare che una
particolare relazione di dipendenza non soddisfacente possa originare uno stato
depressivo.
Relazioni
insostituibili: falsa percezione o realtà
Secondo Thibaut e Kelly (1978), una persona cerca di
stabilire una relazione alternativa solo quando i benefici ottenibili da
quest'ultima sono percepiti essere superiori ai costi implicati nel mantenere
quella attuale. Da questa prospettiva ritradotta nei nostri termini, la
decisione di continuare a meno una relazione di dipendenza può essere
influenzata anche dall'importanza che assumono per noi gli scopi in essa
implicati, così come dal pensare di poter trovare o meno alternative alla
relazione. Quando lo scopo è importante e nella stesso tempo pensiamo di non
poterlo raggiungere né da soli né tramite altri, allora la relazione in
questione ci sembrerà insostituibile. Un caso emblematico in questo senso è
quello delle donne coinvolte nelle relazioni intime extrasessuali. Qui lo scopo
per cui si è dipendenti è quello di essere amati dal partner. La funzione che
può assumere questo scopo, qualora venga soddisfatto, è quello di rafforzare
l'autostima dell'individuo. Per quanto riguarda invece il pensare di poter
trovare alternative ad una relazione d'amore, le variabili implicate sono da una
parte la disponibilità oggettiva di relazioni sociali, e dall'altra il credere
nelle proprie capacità circa lo stabilire una nuova relazione soddisfacente.
Oggettivamente le donne sono più isolate socialmente degli uomini, nel
senso che esse hanno meno relazioni che non siano quelle di parentela. (Fischer
& Phillips, 1982). Secondo gli autori del citato studio
empirico le ragioni sarebbero esterne: le donne sono meno impegnate degli
uomini in attività extradomestiche; ma a mio parere le ragioni sono anche
"interne", nel senso che le donne tendono maggiormente ad assumere
come modello quello di un rapporto d'amore totalizzante. Nei nostri termini ciò
vuol dire pensare sia ch'esso possa soddisfare tutti i nostri scopi, (dal
divertirci all'ottenere positive valutazioni circa le nostre competenze); sia
che esso richieda tutte le nostre risorse per conservarlo (cioè soddisfacendo
il maggior numero degli scopi dell'altro). Ciò potrebbe spiegare il dato
empirico secondo cui le donne tendono ad isolarsi di più dopo il matrimonio (Fischer
& Phillips, 1982). In ragione di queste due condizioni esterne ed interne le
donne hanno di fatto scarse possibilità di stabilire nuove relazioni; da qui al
pensare di non poter avere nuove relazioni il passo è breve.
Un altro fattore coinvolto è senza dubbio il livello
d'autostima della donna. E' stato empiricamente provato che individui con bassa
autostima sono più refrattari a partecipare a situazioni sociali non abituali
e, di conseguenza, essi iniziano meno facilmente nuove relazioni, così come non
approfondiscono incontri occasionali (Zimbardo, 1977). Pur non essendoci dati
che evidenziano una differenza tra i sessi,
tuttavia non è difficile supporre che la bassa autostima di una donna
possa influenzarla nel non creare attivamente delle relazioni alternative a
quella attuale.
Un livello d'autostima basso può anche giocare un
ruolo determinante nel pensare di essere in generale una persona degna d'amore.
Nel nostro esempio, se l'ottenere una conferma positiva in questo senso
dall'attuale relazione può gratificare la donna, ciò però non elimina l'ansia
di ricevere conferme negative, cioè di non essere amati dagli altri. Per
evitare quest'ultima eventualità, l'altro diventa insostituibile. Inoltre,
qualora l'altro venga a mancare sia per abbandono del rapporto, sia per decesso,
la situazione che si configura è simile a quella descritta dagli psicoanalisti,
vale a dire un grave lutto interiore e la possibilità che se questo non viene
adeguatamente affrontato, possa comparire una sintomatologia depressiva.
Per concludere, una relazione diventa insostituibile
anche quando si pensa che alcuni scopi possono essere soddisfatti solo
attraverso un particolare individuo e nessun altro che lui. Gli effetti dannosi
qui derivano da svariati motivi: da una parte può accadere che se l'altro non
è disponibile si rischia la compromissione di un numero maggiori di scopi.
Dall'altra, si corre il rischio maggiore, e cioè che l'individuo considerato
insostituibile si senta gravato dall'alto numero di richieste e che sia lui
stesso a pensare che la relazione non è più soddisfacente e quindi a decidere
di abbandonarla.
Dipendenza,
autostima e depressione
L'analisi fin qui condotta ha rilevato che una
condizione di dipendenza da un altro può abbassare il livello dell'autostima
dell'individuo e avere ripercussioni negative sul suo stato di benessere
psicologico. Ciò può avvenire per svariati motivi. Innanzitutto, seguendo la
nostra definizione, una relazione di dipendenza implica tra l'altro che uno dei
membri non ha determinate risorse, mentre l'altro ce l'ha. Quando le risorse in
questione sono abilità, è facile inferire che se uno è dipendente da un altro
è perché egli è meno competente, e questo può danneggiare la sua autostima (Ford
& Berkrnan, 1988). In realtà non sempre la percezione di bassa competenza o
di mancanza di una specifica abilità produce un abbassamento dell'autostima. Se
un mio amico traduce per me una lettera scritta in inglese, la percezione di un
dislivello d'abilità tra me e il mio amico non minaccia la mia autostima,
quando avere o meno tale competenza non è importante per l'immagine che ho di
me.
Al contrario, se il mio amico è anche un mio collega
e se penso che conoscere l'inglese sia una delle competenze richieste per essere
un buon ricercatore e io voglio esserlo, allora un deficit in questo senso può
provocare una percezione d'inadeguatezza e quindi abbassare la mia autostima.
Qualora poi l'individuo attribuisce tale deficit a cause interne piuttosto che a
cause esterne, o in altre parole, pensa di non avere quelle competenze perché
non è stato in grado di acquisirle e non perché ad esempio non ne ha
avuto il tempo né l'opportunità, allora ciò sicuramente danneggerà la
sua autostima. E' importante notare che in questi casi la tendenza
all'attribuzione interna sarebbe particolarmente frequente nelle donne (a questo
proposito rimando al lavoro di D.H. Hansen & V.E. O'Leary, 1985).
Inoltre la minaccia alla propria autostima
spiegherebbe anche perché molta gente evita di dipendere da
un altro, o comunque se proprio non può evitarlo, cerca di reagire alla
minaccia che la percezione di una condizione
di dipendenza rappresenta con varie strategie che esaminerò meglio più avanti.
Dipendere dalle
valutazioni altrui
Un altro caso in cui la dipendenza può avere
ripercussioni sul benessere dell'individuo si verifica quando lo scopo implicato
è quello del ricevere approvazioni dagli altri. Che gli individui tendono ad
avere lo scopo di ricevere approvazioni o positive valutazioni dagli altri e che
queste influenzano le loro autovalutazioni è stato ampiamente documentato in
una varietà di contesti (Jones, 1966; Markus & Sentis, 1982; Miceli e
Castelfranchi, 1984). Inoltre, ricevere positive valutazioni sembra essere uno
degli scopi che, per definizione, non possiamo raggiungere da soli: è
appropriato allora parlare qui di dipendenza? Quali sono le condizioni che la
determinano?
Innanzitutto mi sembra necessario precisare che
ricevere approvazioni dagli altri è in realtà un mezzo per raggiungere uno
scopo superiore, cioè avere un buon concetto di sé. Ciò è il risultato anche
delle auto - valutazioni dell'individuo. Quando però alle valutazioni altrui
viene dato un peso maggiore rispetto alle proprie auto - valutazioni, le prime
giocano un ruolo fondamentale nel determinare il concetto di sé dell'individuo.
Questa situazione può verificarsi quando l'individuo non ha sviluppato una
capacità critica adeguata, come nel caso dei bambini, o quando pensa di non
avere gli strumenti per autovalutarsi, ma ciò non corrisponde alla realtà, e
nello stesso tempo pensa che l'altro abbia invece tali strumenti. Posto il
problema in questi termini risultano più comprensibili i motivi per cui in
genere dipendiamo dalle valutazioni di coloro ai quali attribuiamo una
competenza maggiore nelle aree per cui intendiamo conoscere il nostro livello.
Inoltre, quando si verifica una valutazione negativa da parte di un altro, non
potendo bilanciarla con un'auto - valutazione positiva, essa mette in crisi il
nostro concetto di sé. Infine, maggiore è il numero degli ambiti in cui le
valutazioni degli altri sono più importanti per noi, più alto è il rischio
che la nostra autostima sia da queste influenzata, così come il nostro concetto
di sé. Ripetute valutazioni negative possono così produrre un concetto
negativo di sé e portare alla depressione.
Contare su e
affidarsi a qualcuno: un aspetto soggettivo della dipendenza
In precedenza abbiamo notato che il raggiungere
ripetutamente i nostri scopi per mezzo di un altro crea delle aspettative circa
il verificarsi di una situazione simile in futuro. Abbiamo analizzato anche gli
effetti negativi prodotti sull'individuo dipendente da queste aspettative
qualora esse siano disattese. E' plausibile allora supporre che una loro
conferma produca invece, a lungo andare, degli effetti positivi?
A me sembra che non sempre sia così e cercherò di spiegare le ragioni.
Gli studi di Bowlby (1 969), hanno rilevato che il
poter contare su qualcuno per ricevere aiuto materiale o affetto è di
fondamentale importanza per il benessere dell'individuo, specialmente quando
questi attraversa periodi di stress. A volte, a mio parere, è addirittura
sufficiente avere la consapevolezza di avere delle persone su cui contare, non
solo il fatto di ricevere effettivamente aiuto. Quando però il contare sugli
altri per raggiungere i nostri scopi non si verifica eccezionalmente, ma
normalmente, allora può diventare controproducente.
Più specificatamente, quello che può accadere è
che l'individuo si adatta ad una situazione in cui è più facile e meno
dispendioso raggiungere i propri scopi, e così egli non fa niente per
modificare la sua iniziale condizione di scarsezza di risorse (denaro e/o abilità).
Questa tendenza a lungo andare fa sì che egli non abbia verifiche circa le
proprie competenze, con possibili ripercussioni sul suo livello d'autostima. In
secondo luogo, l'individuo dipendente subordina il porsi delle mete e il fare
progetti per la propria vita alla volontà e all'agire degli altri. Il risultato
potrebbe essere il restringimento delle sue potenzialità riguardanti sia il
porsi degli obiettivi in generale, sia l'acquisizione e l'espressione di
competenze.
Se poi egli è consapevole di questo restringimento,
nel senso che ha un'immagine diversa di come lui potrebbe essere, allora il
confronto con la sua immagine attuale potrebbe portarlo ad uno stato di
malessere.
E' stato fatto notare (Dowlin, 1981), che nelle donne
la tendenza a contare sugli altri, anzi ad affidarsi a loro - che implica un
atteggiamento più totale o un maggior numero di scopi per cui si dipende - è
particolarmente frequente. Le ragioni sarebbero rintracciabili nell'assenza di
rinforzi positivi nell'infanzia e adolescenza circa il prendere l'iniziativa
personale e il risolvere i problemi da sole (Maccoby, 1966).
Inoltre, tale tendenza sarebbe talmente radicata da riemergere anche dopo
esperienze lavorative soddisfacenti e verifiche circa la loro capacità di
reggersi sulle "proprie gambe". Infatti, come è stato ampiamente
documentato dalla Dowling (1981), molte donne pur avendo sperimentato le loro
possibilità di raggiungere alcuni scopi importanti da sole (carriera,
indipendenza economica, vivere da sole, ecc.)una volta sposate, si autolimitano
accettando un ruolo di casalinghe e madri, e tornano ad aspettarsi che gli
altri, in questo caso il partner, si occupi della loro esistenza. Naturalmente,
qualora l'accettazione del ruolo femminile tradizionale e di una condizione di
dipendenza risulta soddisfacente, non costituisce alcun problema. Ma se al
contrario essa viene percepita come qualcosa di non scelto realmente, producente
una condizione mortificante per la donna, ma difficile da cambiare, - per
ragioni, analizzate in precedenza, legate ad una falsa assunzione di dipendenza
-, allora i rischi di cadere in depressione mi sembrano essere alti.
La dipendenza
contrapposta al valore dell'autonomia
E' stato notato (Ford & Berkman, 1988), e non
possiamo che essere d'accordo, che la nostra cultura occidentale dà un enorme
valore all'autonomia e al contare su di sé, mentre al contrario tende a
svalutare chi è dipendente dagli altri. Ma perché ciò accade? E che
ripercussioni ha sugli individui implicati nelle relazioni di dipendenza? Per
rispondere a questi interrogativi mi sembra necessario innanzitutto capire perché
l'autonomia è un valore.
Quando si dice di qualcuno che è autonomo a volte
s'intende che egli è un individuo in grado di farsi carico della propria vita;
in grado cioè di fare progetti per se stesso e avere l'abilità di portarli a
termine, ma anche di darsi standards, valori e regole di condotta (Haworth,
1986). Questa concezione sembra implicare tra l'altro che l'individuo sia in
grado di scegliere gli scopi da perseguire (non sia cioè influenzato dagli
altri), e abbia delle condizioni favorevoli per sviluppare le proprie competenze
(non sia cioè soggetto a restrizioni).
Da questo punto di vista l'autonomia è un valore
perché rimanda ad altri valori importanti nella nostra cultura, e cioè alla
libertà di scegliere e di agire, all'autoregolazione dell'individuo, nonché al
soddisfacimento dei suoi bisogni. Dall'altra parte, secondo la concezione
incontrata in precedenza basata sul potere di scambio economico, l'autonomia è
un valore perché rimanda alla produzione, ma anche alla
gestione e consumo di risorse.
Una delle conseguenze della contrapposizione della
dipendenza all'autonomia è l'inevitabile svalutazione dell'individuo
dipendente, visto più o meno consapevolmente come soggetto all'influenzamento
altrui, non produttivo, ma anzi " di peso" sugli altri e infine
incompetente. Inoltre, e cosa più importante, tale giudizio assume una
connotazione negativa poiché ciò che si pensa in genere è che se uno è così
è perché in fondo vuole esserlo.
Dall'altro lato, la conseguenza diretta della
valorizzazione dell'autonomia è in primo luogo la sua assunzione a standard
sociale in base al quale gli individui vengono valutati, e in secondo luogo la
creazione di aspettative circa il perseguimento di tale standard. Tuttavia, ci
sono alcune categorie di persone che sembrano essere escluse da queste
aspettative: dai bambini, dai malati, e forse dalle donne non ci si aspetta che
siano autonomi. La situazione quasi paradossale che si verifica in questi casi
è che mentre queste categorie di persone sono escluse dalle aspettative sociali
riguardanti l'autonomia, esse sono però investite dall'atteggiamento
svalutativo riguardante chi, per svariati motivi, non corrisponde a queste
aspettative, cioè gli individui considerati dipendenti. Vorrei inoltre
precisare che ho messo in dubbio il caso delle donne perché ho l'impressione
che le aspettative nei loro confronti stiano cambiando, se non sono già
cambiate. Infatti, mentre negli anni settanta da una donna, al contrario che da
un uomo, ci si aspettava che fosse dipendente, passiva, emotiva e non motivata
al successo (Bem,1974,1975,I.Browerman,Vogel,D.Browermán,Clarkson, Rosenkrantz,
1972), attualmente l'immagine ideale della donna si va equiparando a quella
dell'uomo, ed è apprezzata colei
che è forte, attiva e in grado di cooperare e di prendere l'iniziativa. Ma
poiché spesso, per motivi che in parte abbiamo già visto, le donne non
corrispondono a quest'immagine della perfezione, esse continuano ad essere
svalutate.
Seguendo la nostra analisi risulta allora
comprensibile perché molte persone, tra cui anche le donne, tendono ad evitare
di essere definite dipendenti e di trovarsi in una condizione di dipendenza, così
come altri non vogliono che qualcuno dipenda da loro, per non avere un
"peso" limitante la loro libertà.
Quest'avversione alla dipendenza propria e altrui sembrerebbe proprio
derivare dall'assunzione del valore dell'autonomia come uno standard a cui
riferirsi. Eppure, abbiamo visto che non è difficile trovarsi in una condizione
di dipendenza. Quando questo accade a coloro che hanno assunto lo standard
dell'autonomia, può verificarsi una discrepanza negativa tra lo standard e la
loro attuale condizione, discrepanza che cercheranno di fronteggiare con
svariate strategie. Innanzitutto, essi possono modificare la loro condizione di
dipendenza acquisendo le risorse necessarie per i loro scopi. Ma quando ciò non
è possibile, allora essi possono autoingannarsi, cioè negare la loro
dipendenza oggettiva. Oppure essi possono
sottovalutarla, considerandola transitoria e nello stesso tempo sopravvalutando
la loro autosufficienza in altri aspetti della loro vita. Quando invece
l'individuo non riesce a mettere in atto le strategie summenzionate, allora la
percezione della sua dipendenza potrà provocare disagio per via dell'implicita
svalutazione sociale, ma anche di quella propria.
Ci sono poi delle relazioni di dipendenza che
sembrano non creare problemi agli individui coinvolti, quali ad esempio la
relazione paziente - terapeuta, maestro - allievo, genitore - figlio, ecc. Si
tratta qui di relazioni tra particolari categorie di persone in cui la
dipendenza di una categoria dall'altra viene accettata solo se temporanea e
funzionale al conseguimento di un rapporto paritario. In questi casi
all'iniziale dislivello di risorse tra i membri della relazione non viene
assegnato un significato negativo da entrambe le parti. Infatti, il pensare di
non poter raggiungere i propri scopi da solo anche se produce una percezione di
minore competenza, non abbassa il livello dell'autonomia di chi è dipendente,
perché questa percezione è bilanciata dalla stima dell'altro circa le proprie
potenzialità verso un accrescimento delle risorse esistenti. La dipendenza ha
quindi qui degli effetti positivi perché favorisce la "crescita", cioè
fa si che l'individuo acquisisca le risorse per raggiungere da solo quegli scopi
per cui prima era dipendente da un altro, quali ad esempio la sopravvivenza nel
caso del bambino, la conoscenza critica di sé e la capacità di fronteggiare i
propri problemi nel caso del paziente, ecc.
Considerazioni
conclusive
L'analisi fin qui condotta mi sembra abbia chiarito
alcuni aspetti importanti per la comprensione della dipendenza e della relazione
con il disagio psichico.
Innanzitutto la dipendenza è una condizione
oggettiva e soggettiva dell'individuo, determinata dall'avere alcuni scopi che
possono essere raggiunti solo a condizione che si disponga di specifiche
risorse. Un primo tipo di dipendenza in cui la maggioranza delle persone può
trovarsi è quindi dalle risorse, la cui mancanza può costituire un limite per
il benessere psichico dell'individuo.
Tuttavia, poiché è possibile acquisire nel tempo le
risorse che prima non si avevano, la dipendenza non è necessariamente una
condizione stabile. Questa condizione dovrebbe far riflettere quanti attualmente
svalorizzano chi è dipendente. Inoltre, da quest'ottica il non avere risorse
non è disfunzionale di per sé, né lo è il fatto che l'individuo si ponga
alcuni scopi piuttosto che altri. Al contrario, ciò che risulta disfunzionale
è il pensare di non poter modificare la propria condizione di dipendenza, cosi
come il non valutare correttamente le proprie risorse reali. L'analisi della
dipendenza soggettiva falsa mi sembra abbia contribuito notevolmente a far luce
su questo problema, cosi come sul ruolo giocato dai processi cognitivi e sociali
in essa implicato, che possono determinare di fatto la dipendenza oggettiva.
Anche il dipendere dagli altri non è disfunzionale
di per sé, anzi ci consente di soddisfare quegli scopi ai quali dovremmo invece
rinunciare data la nostra mancanza di risorse. Esso invece lo diventa quando la
percezione del dislivello di risorse tra noi e quelli da cui dipendiamo abbassa
la nostra autostima; e/o quando questi ultimi utilizzano la discrepanza tra la
nostra condizione di dipendenza e la loro condizione di potere per svalutarci,
oppure ci fanno delle richieste troppo grandi in cambio dell'aiuto che ci hanno
dato.
Passando alle relazioni di dipendenza il discorso
diventa sicuramente più interessante. Anche in questi casi mi sembra che il
problema non è tanto se avere o meno relazioni di questo tipo che al limite
possono anche rassicurare circa il rischio di non raggiungere alcuni dei nostri
scopi, ma piuttosto a quali prezzi otteniamo tale rassicurazione e tutti gli
altri vantaggi che ne derivano. Se cioè la contropartita è, come abbiamo
visto, sia l'impoverimento delle potenzialità dell'individuo, sia della sua
capacità di fare piani per la propria vita, allora una o più relazioni di
dipendenza possono essere disfunzionali. Il discorso è invece diverso quando
tali relazioni favoriscono l'accrescimento delle risorse di chi è appunto
dipendente. Il riferimento qui non è solo alle relazioni di dipendenza che
nella nostra società sono comunemente accettate, come ad esempio tra terapeuta
e paziente o genitore e figlio, ma anche alle relazioni amicali, di lavoro e di
amore, che possono essere anche relazioni di dipendenza. Attualmente, però, mi
sembra che ciò non si verifichi, e che, forse a causa dello standard
dell'autonomia, nei nostri rapporti interpersonali ci sia sempre meno interesse
autentico per il benessere dell'altro e meno tolleranza e aiuto verso chi, per
svariati motivi, non può soddisfare da solo i suoi scopi.
Per quanto riguarda in generale tra dipendenza e disagio psichico, oltre
alla frequente mediazione dell'autostima dell'individuo dipendente, vorrei
sottolineare la funzione svolta dallo standard sociale dell'autonomia, un
aspetto senz'altro trascurato nelle precedenti analisi di questa problematico.
Evidenziando invece le differenze tra i sessi emerge un maggior rischio per le
donne sia d'essere dipendenti, sia d'avere relazioni di dipendenza. Ciò
accadrebbe da un lato per il ruolo giocato direttamente da alcune variabili
socio - culturali, quali la non occupazione, l'isolamento sociale, la
svalutazione sociale di alcune competenze specifiche di ruolo, ecc. Dall'altro,
per l'influenza di alcuni processi cognitivi implicati nell'assunzione della
dipendenza, soprattutto di quella falsa. A me sembra cioè che nelle donne sia
particolarmente frequente il caso in cui esse non hanno risorse, ma cosa più
importante, esse pensano anche di non poter far nulla per acquisirle. Ciò senza
dubbio è l'espressione di una non fiducia nelle proprie capacità, che non è a
mio avviso rintracciabile solo nel non aver avuto rinforzi positivi in tal senso
in passato. Infatti, un altro aspetto importante da tenere presente è la
costante svalorizzazione delle capacità delle donne, anche quando queste
dimostrano di essere competenti in una molteplicità di aree tradizionalmente di
dominio maschile.
Tenendo presente questo atteggiamento diffuso nella
nostra cultura è possibile comprendere quanto le donne non solo non si sentano
incoraggiate, ma addirittura siano ostacolate nel tentativo di modificare sia
una condizione oggettiva di dipendenza, sia una situazione di dipendenza
interpersonale. La consapevolezza dell'influenza di tali fattori socio -
culturali sulla dipendenza delle donne non dovrebbe però essere utilizzata da
queste ultime come una giustificazione. Semmai essa dovrebbe servire da stimolo
per modificare non solo tali fattori, ma anche quei processi cognitivi falsati
che, come abbiamo visto, giocano un ruolo importante nel rafforzare una
condizione di partenza oggettivamente svantaggiata. Indubbiamente resta da fare
ancora molto lavoro teorico ed empirico per comprendere sia la relazione tra
dipendenza e disagio psichico, sia la specificità della dipendenza femminile.
D'altro canto non era mia intenzione esaurire in questo articolo una tematica
che si è rivelata cosi ricca di materiale di studio e di riflessione.
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