Età: 16 anni
Problema segnalato: bulimia
Sintomi: abbuffate ricorrenti più volte alla settimana con vomito autoindotto, controllato prima e poi non più.
Esordio: marzo ’98
Eventi collegati: -rottura rapporto amicale;
-gennaio ’98: inizio relazione affettiva con un amico di famiglia; primo rapporto sessuale. Lui è già fidanzato da 3 anni.
-febbraio ’98: fine rapporto: lui torna dalla fidanzata ufficiale.
Ambito del problema: familiare.
Padre alcolizzato e violento nei confronti della madre.
Madre nel ruolo di “vittima”, ripete che non lascia il marito perché ci sono i figli. Fratello maggiore: sostituto paterno.
1) Sovraccarico:
sostegno alla madre: a turno i figli restano a casa per non lasciarla sola con il padre;
ruolo di confidente: la sera Rossella non esce per evitare che, su questo, si inneschi un conflitto tra i genitori ( “se esco poi mio padre se la prende con mia madre);
scuola: studia da sola l’intero pomeriggio. Il rendimento è buono (media:7) ma lei pensa di dover fare di più.
2) Interessi/hobbies: assenti.
3) Rete relazionale: relazioni superficiali con un gruppo di coetanei che frequenta solo il sabato e fino alle 20.30.
Rapporto di confidenza solo con la sorella. Negli ultimi mesi riduzione dei tempi trascorsi fuori casa “perché devo studiare” e per le richieste di compagnia della madre.
4) Progetto personale: iscriversi a psicologia, ma difficile da realizzare perché la Facoltà è a Roma.
5) Percezione di sé : svalutativa, non ha fiducia nelle sue capacità.
Pensa di non essere all'altezza e di non avere la costanza per raggiungere gli obiettivi prefissati
6) Giudizio altrui : costituisce un rinforzo rispetto alla competenza, ma una riduzione rispetto alla sicurezza, alla capacità di essere autonoma e di prendere iniziative.
7) Disturbi psicofisici: preoccupata per i suoi sintomi perché non riesce più a controllarli; la richiesta di psicoterapia è spontanea.
- La perdita in progress di due figure di riferimento esterne alla famiglia. Su di esse Rossella si è appoggiata, compensando il senso di inadeguatezza personale. Con queste relazioni Rossella ha cercato di supplire la mancanza di iniziativa e di mediare il rapporto con il mondo esterno percepito come difficoltoso.
Quando si realizza questa perdita Rossella è risucchiata nelle relazioni familiari sovraccaricanti, all'interno delle quali perde il senso di sè, così com'è occupata a dirimire i conflitti.
- Anche lo studio su cui si concentra, non riesce a costituire un fattore di protezione sufficiente dalle tensioni familiari.
- Alla fine il vomito sembra essere l'unica strada attraverso cui riesce a scaricare la tensione emotiva.
La richiesta di intervento psicologico nasce però quando il meccaniscmo di autoinduzione del vomito le sfugge di mano, ed anche il vomito diviene un elemento che segnala la sua incapacità ad essere autonoma.
Rossella dice: "mi sento a volte come se non esistessi, in famiglia tutti hanno un ruolo, io invece no”.
Ruoli familiari
- Padre: alcolista, violento fisicamente e verbalmente nei confronti di moglie e figli.
- Madre: “vittima” del marito con cui litiga quotidianamente. “Usa” la paura della violenza fisica del marito per chiedere ai figli, in particolare a R. che è la più piccola, di non lasciarla sola in casa (“se esci tuo padre poi se la prende con me”).
- 1° fratello (29 anni): gestisce i soldi della famiglia, sostituisce il padre anche nelle funzioni genitoriali.
- 2° fratello (27 anni): “consolatore di mamma”.
- Sorella (23 anni): “è l’unica che riesce a parlare con mio padre, a calmarlo”.
IL CORSO DELL'INTERVENTO
Rossella racconta: "quando i genitori litigano mi sento come una spettatrice, vorrei far qualcosa, ma non riesco a fare niente”.
Gradualmente nel corso dei colloqui, Rossella ridimensiona le immagini “mitiche” della madre che si è sacrificata per i figli e quella corrispondente del “padre-mostro”.
La madre di R., orfana di entrambi i genitori, ha trascorso l’infanzia in orfanotrofio; all’età di 18 anni ha conosciuto l’attuale marito e dopo poco l’ha sposato.
R. riconosce che il matrimonio ha significato per la madre la possibilità di avere una famiglia che non ha mai avuto e collega a questo (non più al bene dei figli) la decisione della madre di non lasciare il marito.
Riconosce inoltre l’inutilità di farsi carico di problemi non suoi (conflitto tra i genitori), il peso della situazione familiare, la necessità di liberarsi di questo peso: il vomito acquista il significato di modalità attraverso cui scaricare la tensione “quando vomito mi sento più leggera, senza tensione”.
Emerge, nell’ambito delle dinamiche familiari, il ruolo protettivo di R. nei confronti della madre ma anche dei fratelli: R. sembra essere il vero problema, concentrarsi su di lei consente agli altri di non vedere i propri fallimenti (la madre nel progetto matrimoniale, i fratelli e la sorella in quello universitario: sono tutti iscritti all’Università ma nessuno di loro è ancora laureato; la sorella, iscritta al 3° anno di chimica non ha fatto alcun esame.
Emerge anche la rabbia “verso tutti, ma soprattutto verso mia madre che non lascia mio padre”, ed il significato del vomito come attacco alla madre, unico modo che R. sembra avere per scaricare la rabbia che non può esprimersi in altri modi.
Ridefinizione della rabbia come sentimento “normale” che può essere usato in modo costruttivo (affermazione di sé, studio, ambizione…) e non necessariamente distruttivo.
R. ridimensiona l’idea onnipotente di essere indispensabile al benessere altrui e di dover “piacere a tutti”.
RISULTATI DELL’INTERVENTO
- Scomparsa del sintomo (abbuffate e vomito).
- Riorganizzazione dei tempi (in casa/fuori casa), e ampliamento rete relazionale.
- Ridefinizione modelli familiari e delle responsabilità nella relazione di coppia.
- Capacità di sottrarsi alle dinamiche conflittuali della coppia genitoriale e conseguente ridefinizione del suo ruolo all’interno della famiglia (abbandono del ruolo di mediazione della coppia genitoriale).
- Iniziale recupero del rapporto con il padre.
- Capacità di esprimere la rabbia nei confronti dei familiari.
- Reinvestimento delle proprie risorse: dagli altri a sé, con apertura di tempi e spazi alle relazioni amicali allargate.