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LE SCHEDE SU DONNE E....
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LE
DONNE E LA RELAZIONE DI COPPIA
LE DONNE E LA CURA DEI /DELLE FIGLI/E ADOLESCENTI
LE DONNE ED IL LAVORO PROFESSIONALE
LE DONNE NELLE RELAZIONI MALTRATTANTI A CASA E SUL LAVORO
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LE DONNE E LA RELAZIONE DI COPPIA
La depressione correlata alla relazione con il partner:
Le perdite affettive, che sfociano nella depressione, hanno alla loro base le relazioni di dipendenza "infelice" che presentano le seguenti caratteristiche: § isolamento nella coppia; § mancanza di supporti amicali esterni; § discredito e ipercriticismo del partner; § accantonamento/rinuncia a progetti e spazi personali; § sopravvalutazione del partner cui si attribuisce la capacità di soddisfare e gratificare la maggior parte dei bisogni affettivi personali.
Alcuni consigli per la prevenzione della depressione nella "relazione di coppia"
§ Non sovraccaricarsi dei problemi dell'altro, non farli diventare i propri. § Mantenere una giusta differenziazione tra le proprie aree di interesse e quelle dell'altro. § Conservare la propria area sociale ed amicale. § Mantenere il proprio progetto di vita centrato sulla realizzazione personale oltre che su quella di coppia. § Mantenere le proprie idee su di sè: ovvero non cercare di aderire alle aspettative dell'altro, perché queste possono farci uscire dai "nostri giusti panni e modi di essere". § In particolare nel caso di atteggiamenti di svalutazione del partner, valutare che tali comportamenti di svalutazione possono nascondere obiettivi di possesso: essi vanno quindi contrastati, confrontandoli con atteggiamenti e giudizi diversi, e soprattutto positivi, di altre persone esterne alla relazione di coppia.
Non considerarsi capaci di tutto, non tollerare tutto; per converso praticare la debolezza come strumento per mettere dei limiti alla pratica "onnipotente" di prendersi sempre cura degli altri, tralasciando la tutela dei propri bisogni ed interessi. Dirsi e dire agli altri: “ non posso e non voglio fare…”.
Le ricerche dicono che: incorrono in maggiori rischi di depressione le donne con figli piccoli (più figli minori di 14 anni,) senza un rapporto di confidenza con il partner e con scarsi supporti sociali. Dicono anche che le donne adulte in generale sono più esposte degli uomini agli eventi stressanti che patiscono maggiormente, sia in termini di numero che di gravità (ovvero di maggiori effetti subiti).
La diagnostica relativa alla maternità
E' importante differenziare dalla depressione quella che è una normale variazione del tono dell'umore, questa sì correlata in modo appropriato alle vicende ormonali, che va sotto il nome di "baby blues", e che ha una durata limitata di pochi giorni. Baby blues: stato di irritabilità, tendenza al pianto, ansia, instabilità dell'umore, che si presenta nei primi giorni dopo il parto, e che colpisce l'80% delle madri, dura qualche giorno e poi naturalmente passa. Depressione post-partum: può essere qualsiasi tipo di disturbo depressivo che però si colloca a quattro settimane dal parto. Per quanto riguarda poi la sintomatologia, lo stato dell’umore, il senso di non farcela, l’inappetenza, è simile alle altre sindromi e non differisce da quella degli episodi di alterazione dell'umore "non post-partum" Il disturbo depressivo dopo il parto colpisce il 13% delle neo-mamme e la durata è variabile.
Quali sono i vissuti delle donne nella depressione post-partum?
o Vissuti di insicurezza e paura che hanno per oggetto la fragilità del bimbo: non essere in grado di far fronte a tutte le necessità del piccolo, paura di far male al bambino per la propria inaccuratezza ed incapacità. o Perdita del sentimento positivo: non sentire l'amore, non sentire la gioia relativamente all'evento nascita. o Distacco fisico dal bambino: non volerlo toccare ed abbracciare. o Infine la paura di non essere una madre normale. Tali vissuti però possono riscontrarsi anche in periodi lontani dal post-partum, e riguardare anche il tempo dell'ingresso del bambino in asilo, ma anche periodi successivi. Sono quindi relativi alla tappa della maternità con figli piccoli, che si contraddistingue per la massima concentrazione di responsabilità materne. Questi vissuti, se sono bene inquadrati, indicano la presenza di un sovraccarico, di una solitudine di fronte alle responsabilità complesse, di un investimento eccessivo nella relazione con il figlio, in assenza di altre relazioni gratificanti.
La maternità è da considerarsi un potente fattore di stress*?
Si, la maternità è da considerarsi un fattore di stress nella vita della donna, ed anche un fattore di rischio per la sua salute, se tale rischio non è accuratamente preso in considerazione e contrastato da adeguate pratiche di prevenzione. Di conseguenza ogni valutazione che si fa dello stato di salute di una donna nella maternità deve considerare sempre con attenzione le condizioni di stress attuale, che in generale possono riferirsi: al sovraccarico materiale ed emozionale, all'isolamento della madre nel lavoro di cura, alla modifica dei modi abituali di vita. Con la nascita di un figlio il lavoro della donna aumenta in termini quantitativi ma non solo. Il lavoro di cura degli altri, di cui quello verso un figlio è il prototipo, è un lavoro le cui caratteristiche non sono rintracciabili in nessun altro tipo di lavoro. E' un lavoro che potrebbe essere definito "impossibile" perchè non è limitato nel tempo, non ha pause, nè interruzioni, è incessante, pone problemi di responsabilità illimitata, ed in qualsiasi momento e per un qualsiasi motivo, la donna potrà essere chiamata a rispondere degli accadimenti che implicano la salute ed i comportamenti del figlio. Guardiamo ad esempio ai tanti trattati di psicologia che vedono nel rapporto madre-figlio la base di ogni problema attuale e futuro del bambino. Tutto ciò si riverbera sulla singola madre nel suo rapporto con il figlio caricandola impropriamente di responsabilità e sensi di colpa.
Quali sono le principali condizioni di stress nella maternità?
Il lavoro di cura stravolge i ritmi di vita della donna, soprattutto nella prima fase della nascita del piccolo; e può avere così un fortissimo impatto sul suo equilibrio psico-fisico, se essa non è correttamente preparata, se non è supportata adeguatamente. L’evento-nascita infatti irrompe nella vita della donna con due tipi di cambiamento: a. un cambiamento oggettivo della vita quotidiana caratterizzato da un aumento improvviso ed elevato di compiti e di responsabilità, non confrontabili con esperienze precedenti; una condizione che tipicamente si configura come sovraccaricante e quindi stressante; b. una modifica soggettiva dei processi cognitivi ed emozionali che riguardano la percezione del sè (tutto ciò che riguarda me stessa delimitato rispetto a ciò che è esterno ed altro da me). Il riferimento valutativo del sè subisce un "ampliamento" incorporando anche la valutazione dell'altro come parte del sè. Da ora in poi la relazione con il proprio sè nella donna sarà mediata fortemente e prepotentemente dalla relazione con l'altro, ovvero dai bisogni dell'altro, che saranno tendenzialmente messi al primo posto o vissuti come quelli da "mettere al primo posto". In crisi sarà il rapporto con il proprio sistema di bisogni, e le proprie sicurezze potranno essere intaccate. Ambedue questi effetti, che costituiscono cambiamenti altamente stressanti, nella vita delle donne, sono implicati nel rischio di depressione e vanno quindi posti sotto controllo con pratiche adeguate di prevenzione.
Consigli per il contesto
Informare la donna dei rischi del sovraccarico
Le donne devono essere più consapevoli nella fase di preparazione al parto, di quali siano le aspettative irrealistiche sulla maternità, di come non sia assolutamente consigliabile, anche se si sentono forti e capaci, affrontare da sole un così grosso carico di lavoro e responsabilità.
Garantire alla donna i supporti
Per quanto riguarda l' aspetto del carico di compiti e responsabilità, la donna deve necessariamente essere coadiuvata. Il primo supporto che dovrebbe esserle fornito è quello del partner: è necessario che il partner condivida le responsabilità della cura, in modo che la donna non si senta l'unica responsabile o colpevole, nel caso che qualcosa non vada per il verso giusto. Se il partner non è supportivo, se non condivide in alcun modo le responsabilità della cura, oppure se oltre a considerarsi "senza responsabilità alcuna", oltre a lasciare la donna da sola, la giudica inadeguata alle nuove responsabilità e la critica, indurrà inevitabilmente nella donna insicurezza, disistima personale e sensi di colpa. Oltre il partner, soprattutto se questi non è disponibile o è assente, garantiamo alla donna il supporto di altre figure familiari o di altre figure esterne alla famiglia.
Aiutiamo la donna a ridurre le sue aspettative
La donna deve poter essere indirizzata a mantenere la centralità sul proprio Sè, visualizzando i suoi bisogni e le sue necessità di donna, al di là dell'essere madre, riconfermando una scelta di vita precedente, soprattutto se da lei considerata soddisfacente (il lavoro esterno ad esempio), e ridimensionando le sue aspettative su come deve essere una “madre perfetta”.
Alcune regole pratiche per le donne di fronte alla maternità
Cambiamo le nostre idee Se lavoravamo ed ora siamo in casa con il permesso di maternità, forse possiamo pensare che sia giusto e doveroso dedicarci totalmente a nostro figlio. Ecco questo pensiero che tutto il nostro tempo, visto che non lavoriamo, deve essere dedicato al bambino, può essere dannoso e può portarci a vivere l'oggetto delle nostre cure come oggetto persecutorio che ci prende tutte le nostre energie e da cui dobbiamo difenderci.
Cambiamo il nostro modello di madre perfetta e buona E' importante che non si creda che esista un modello perfetto di madre che sacrifica tutto per i figli. La madre buona non è quella sempre presente che fa tutto. Quando al contrario vi è questa aspirazione e si cerca di metterla in pratica il rischio di depressione è più vicino a noi ma anche ai nostri figli. Ricordiamoci che questa madre "perfetta" va in rotta di collisione con le esigenze di sviluppo e di autonomia dei figli.
E agiamo diversamente da prima E' bene, cominciando da questo periodo in cui un bambino piccolo richiede molte cure, ad organizzare attivamente una "nostra assenza" in tutte le forme possibili. Anche un'ora al giorno senza il bambino, e fuori dalle responsabilità che la cura comporta, può aiutarci a prevenire la depressione. Così come quando si ritorna al lavoro, non è assolutamente sufficiente pensare di farsi sostituire solo per il tempo di lavoro esterno. E' bene prevedere più tempo libero anche dalle attività della cura, organizzando una sostituzione più lunga. Se siamo incerte sul fatto di lasciare il lavoro esterno, riflettiamo bene, dobbiamo sapere che presto il bambino non avrà bisogno di noi, anzi è bene che il bambino non sia sempre con noi, ed allora eliminare il lavoro esterno non è una misura appropriata, soprattutto se è una fonte di gratificazione per noi e di per se stesso non crea stress, ma ci aiuta a tollerare meglio lo stress domestico. Ma soprattutto non pensiamo che il bambino, per quanto piccolo sia, non possa sopravvivere senza di noi, senza il nostro controllo 24h/24.
Una madre allora può pensare a sè, senza paura di essere una cattiva madre, una madre egoista, senza che questo danneggi il bambino?
La relazione con la madre è importante, ma non è l'unica, nè è una relazione insostituibile, come ogni altra relazione; per il bambino tutte le relazioni sono importanti; ed un buon sviluppo del bambino richiede anche una buona socializzazione. Il bambino sin dal primo momento ha bisogno di crescere in autonomia e socialità, sin dal primo momento richiede cure, ma anche dismissioni progressive delle cure, per dare spazio alla sua iniziativa, per far crescere la sua competenza, per spaziare in più relazioni con il mondo esterno, per sollecitare le sue capacità di autonomia nel problem solving (soluzione dei problemi) che il mondo esterno gli pone. Il bambino sin dal primo giorno pone non solo il problema di cure ma anche quello opposto, ed apparentemente contraddittorio, di saper riorientare le cure materne o genitoriali verso una loro graduale e progressiva riduzione. E proprio per questo il pensare a se stessa significa prepararsi meglio e da subito ad uno stile comportamentale di riduzione /dismissione delle cure. Le strategie per ottenere questo risultato, procedendo dal minimo verso il massimo, sono : delegare, farsi sostituire, essere fungibile con altri/altre.
PRO-MEMORIA PER LE DONNE ED I MEDICI
La relazione madre -figlio, così come posta acriticamente, può contenere rischi per la salute della madre e quindi di conseguenza anche per la salute del figlio. Ricordiamoci in generale, e indichiamolo alle nostre utenti, che la cura "totale" è limitata nel tempo, e deve essere limitata proprio per garantire lo sviluppo armonico del bambino. Poniamo attenzione, inversamente a quanto si fa oggi, ai rischi contenuti sull'eccesso di cure materne più che sulla loro mancanza. Poniamo attenzione ai vissuti di stanchezza, demotivazione, di incapacità espressi dalla donna: "non mi sento di, non sono più capace, ecc."; per poi esplorare la sua vita quotidiana ed i carichi nascosti.
Indicazioni per un intervento di valutazione e modifica del carico di lavoro
v Valutare il sovraccarico: se tutto è sulle spalle della donna, non consentendole spazi esterni per coltivare rapporti amicali, interessi. Il lavoro materno deve avere dei limiti precisi di tempo e di spazio; ed in particolare non deve modificare radicalmente stili di vita precedenti. Se vi è un lavoro esterno, la donna deve avere indicazioni sul perché e sul come ridurre il carico familiare. v Riconoscere il collegamento del malessere con la organizzazione della vita quotidiana: in particolare è opportuno che la donna riconosca il carattere patogeno dell’isolamento, sia nel lavoro esterno che in casa, e che non sia lasciata sola con tutte le responsabilità. v Ridefinire il rapporto di cura madre-bambino alla luce delle esigenze di sviluppo dell'autonomia del bambino, e delle esigenze della madre di non sovraccaricarsi. v Informare la donna della necessità di munirsi di supporti: la maternità non deve essere assunta dalla donna come esclusivo onere personale. v Informare la donna dell'importanza del mantenimento della cura di sè, ben oltre l'estetica, riferita alla cura delle proprie risorse e capacità personali. v Individuare con la donna strategie di alleggerimento del carico di lavoro e della pressione dei compiti di ruolo. Suggeriamole che il rapporto con i figli e gli altri componenti della famiglia può essere improntato all'assunzione della cura di sè da parte di ciascun membro. Valutiamo insieme alla neo-mamma tutte le possibilità di interventi altrui nella gestione/accudimento del bambino. v Valutare con la donna il peso ed il segno della presenza e dell'intervento del partner nella relazione di coppia ed in quella di cura. v Suggerire di coinvolgere il partner nella condivisione dei carichi e nel supporto alla madre. v Sostenere la donna nel modificare le sue aspettative se eccessive, mostrandole l'impossibilità e la nocività della realizzazione di un progetto di "cure materne" perfette, totalizzanti, ecc.
LE DONNE E LA CURA DEI/DELLE FIGLI/E ADOLESCENTI alcune domande
Ma se consigliamo alla donna di staccare progressivamente le cure sin da quando il bambino è piccolo cosa succede quando sarà adolescente? In che modo occuparsi o non occuparsi di un figlio/a adolescente?
Prima di tutto bisogna affermare che il destino di un adolescente non è soltanto effetto della buona o cattiva cura di una madre o di un genitore. Molti problemi delle nuove generazioni vanno inquadrate in fenomeni più vasti che sovrastano le vicende di singole famiglie. Quindi come prima cosa, le madri non devono sentirsi caricate del destino dei loro figli, altrimenti ancora una volta aumentiamo i loro sensi di colpa e per converso il vissuto di onnipotenza ovvero "io sono responsabile di tutto", che ovviamente è un vissuto ed una condizione irrealistica. Per gli adolescenti rimane vero ciò che abbiamo detto a proposito della relazione madre-figlio nei primi mesi di vita. Come finora abbiamo detto che la prevenzione della depressione nella donna coglie anche l'obiettivo di promuovere la salute nel bambino attraverso lo sviluppo della sua autonomia, ciò va ancor più ribadito nell'adolescenza che è l'età tradizionale, da tutti asserita, dello svincolo dalla famiglia.
Ma l'autonomia dell'adolescente non prevede solo un ritiro delle cure materne, che per altro verso possono essere state già ritirate, ma anche l'evitamento di pesi impropri, carichi eccessivi che possono ostacolare il percorso dell'autonomia personale.
Ma se abbiamo finora parlato di sovraccarico nella donna, come invece l'adolescente può essere sovraccaricato?
L'adolescente ed in particolare la ragazza (da qui le statistiche di una maggiore implicazione delle ragazze nel disturbo psichico in adolescenza ) possono patire lo stesso sovraccarico delle loro madri.
Che vuol dire? Che le madri scaricano sulle figlie femmine le loro responsabilità di ruolo?
In effetti può succedere proprio questo, quando la donna non ha altri mezzi per alleggerirsi di un carico di lavoro stressante, chiama la figlia adolescente in questo ruolo di supporto. La richiesta di un supporto può essere materiale e portare alla condivisione dei compiti di cura della famiglia; oppure più spesso può essere emotivo e supportivo nei confronti di una madre che a sua volta non ha altri supporti; una madre che per esempio non ha una relazione di confidenza con il partner, o una madre priva di altre relazioni amicali ed interessi extra-familiari. L'adolescente in questo caso sopporterebbe il peso di una strategia inappropriata di alleggerimento della condizione di stress o di isolamento che la società scarica sulla donna-madre. Inappropriata perchè " risolve" il disagio della madre rinviandolo sulla figlia e creando un meccanismo a catena di mantenimento di una condizione di stress e disagio inter-generazionale.
Non è chiaro in che modo si arriva alla depressione se una figlia aiuta una madre, o le fa compagnia, o se ascolta le sue confidenze, o le sue lamentele.
E' molto semplice perchè le sue energie, le sue risorse destinate proprio in questa fase allo sviluppo dell'autonomia personale e allo svincolo dalla famiglia, rimangono intrappolate nella relazione di aiuto con la madre o di supporto alla coppia ed alla famiglia. Ed in questo modo le risorse vengono deviate dai loro obiettivi specifici: la scuola, le amicizie, il gruppo, lo sport, le prime esperienze con l'altro sesso; ecc. e l'adolescente sperimenta una condizione di vita più gravosa, diversa da quella dei coetanei; che può trasformarsi poi in vissuti di incapacità personale, e di minore competenza nell'area del sociale.
E' sufficiente non dirottare all'interno della famiglia, per attività di servizio, energie che servono agli adolescenti ad esplorare il mondo esterno e a fare esperienze personali?
Si certamente questo, ma non solo. Una figlia adolescente, che dà supporto alla madre, in qualche modo anticipa i tempi della maternità, fa da madre alla propria madre. Può così essere indirizzata anzi tempo ad assumere quel modello comportamentale del sostituire gli interessi altrui ai propri, tipico della relazione madre-figlio, senza però aver consolidato l'esperienza e la capacità di essere al mondo per se stessa per individuare correttamente i propri bisogni ed i propri progetti. Così facendo renderemmo le nostre figlie, attraverso questo apprendistato realizzato con l'inversione dei ruoli madre-figlia, più vulnerabili, più disponibili a vivere la cura dell'altro come annullamento ed espropriazione del sè. Al contrario dobbiamo agire perchè il peso delle cure si risolva in altro modo, sia condiviso non dai figli adolescenti, ma dal mondo degli adulti, e perchè le figlie apprendano dalla loro madre, in veste di modello, come fare per stare in coppia, procreare figli e vivere con agio una dimensione anche personale.
Qual'è l'indicazione concreta per rapportarci con le nostre figlie ed in nostri figli?
Poniamoci un solo obiettivo per la crescita dei nostri figli adolescenti: non caricarli dei pesi che riguardano la maternità ed il ruolo di cura, ma risolvere questi pesi per altra via. Significa che le madri ma anche i padri, devono risolvere i loro problemi senza chiamare in causa i figli. Devono lasciarli liberi di organizzare le loro risorse, poche o molte che siano non ha importanza, intorno ai loro interessi di crescita e sviluppo, senza vincolarli a comportamenti e progetti che non li riguardano.
La prevenzione nella relazione madri-figlie ed insegnanti-studenti
v La prevenzione rivolta alle adolescenti necessita di mediatori sociali come la famiglia/i genitori e la scuola/gli insegnanti cui vanno rivolte precise informazioni. § I genitori devono conoscere i rischi che maggiormente creano le condizioni di disagio nell'ambito della famiglia .
Fattori di rischio per la patologia psichica negli adolescenti sono: - la tendenza ad alleanze con un figlio contro l'altro genitore; la tendenza a svalorizzare agli occhi di un figlio un genitore, in particolare la madre agli occhi delle ragazze; - la violenza indiretta di un padre su una madre è fattore di rischio per i figli in genere ed in particolare per la figlia femmina, sul cui sviluppo psicosessuale si proietta l'immagine femminile vittimizzata e svalorizzata; - la violenza e l'abuso sessuale in famiglia, e la mancanza di tutela; - lo sfruttamento delle risorse dell'adolescente femmina per il supporto al lavoro familiare ( materiale o di cura); - la disparità di atteggiamenti educativi maschio-femmina con le maggiori limitazioni di movimento per le femmine; - l'orientamento ad affidarsi al giudizio degli altri e la tendenza a ridurre nelle femmine le esperienze di "self-confidence".
§ Gli insegnanti devono essere informati che i rischi di patologia psichica, collegati alla scuola, si riferiscono al mancato esercizio di un ruolo di protezione da parte della scuola stessa. Tale ruolo è infatti presente nelle finalità "naturali" della scuola che sono quelle di promuovere e sviluppare le capacità e le risorse dell'adolescente.
Ciò cui la scuola deve mirare, per costituirsi come polo formativo di benessere, è una organizzazione adatta a creare socializzazione ed interscambi, promuovere l'iniziativa e le autonomie personali, sostenere nelle attività la valorizzazione di sè insieme a quella degli altri; sviluppare la solidarietà e la capacità di studiare e stare insieme in gruppo. Ma la scuola deve aver cura anche di promuovere giuste relazioni tra i sessi e di formare una cultura della parità tra le nuove generazioni. In questo senso la scuola può: - combattere i pregiudizi sessuali, valorizzando la parità dei sessi e le differenze tra persone; - sviluppare parimenti in maschi e femmine il lavoro intellettuale e quello di cura rivolto alle relazioni e all'ambiente; - vigilare e sviluppare una comunicazione sulle modalità di rapporto tra i due sessi per prevenire e contrastare orientamenti alla violenza.
LE DONNE ED IL LAVORO PROFESSIONALE
Non dimentichiamo, se abbiamo anche un lavoro retribuito, che comunque non siamo esenti dai pesi e dai carichi del lavoro familiare. Il lavoro familiare è infatti il principale fattore di stress sia per le donne casalinghe che per le altre donne. Sotto il primo aspetto (protettivo), esso può avere un ruolo di compensazione dello stress familiare offrendo alla donna alcune condizioni di vita che mettono al riparo dalla depressione o da eventi che favoriscono la depressione, quali: l’autonomia economica, e l’autonomia dal partner; il mantenimento della stima di sé attraverso riconoscimenti e gratificazioni professionali, lo stimolo a mantenere la cura di sé, la spinta ad accrescere le proprie risorse e competenze, la socializzazione, ecc. Inoltre ricordiamoci che le ricerche indicano in modo univoco come lo stress legato al lavoro familiare sia associato prevalentemente a decremento del benessere psico-fisico, a insoddisfazione, bassa autostima e depressione. Sotto il secondo aspetto (di rischio), il lavoro esterno può essere esso stesso un elemento di potenziamento dello stress se ripete, accrescendole, le condizioni di stress familiare. E ciò può succedere anche frequentemente per una serie di ragioni. Nel lavoro professionale, il maggior potere decisionale è concentrato nelle mani degli uomini che dettano le regole per l'accesso al lavoro e per la carriera. In esso quindi possiamo individuare specifici agenti stressanti (stressor) legati alla differenza di genere e cioè: discriminazioni e minori riconoscimenti economici e di carriera dati alle donne a parità di qualità ed impegno con i maschi; mobbing e molestie sessuali.
Indicazioni ed orientamento alla prevenzione nello stress da doppio carico di lavoro
Se hai un lavoro esterno, impara a riconoscere e valutare questo lavoro come lavoro doppio perchè si assomma a quello familiare. In questa prospettiva impara a valutare sempre il tuo carico di lavoro come lavoro complessivo (familiare ed extrafamiliare). Impariamo a fronteggiare la nostra abitudine a sovrapporre le mansioni esterne a quelle familiari: ricordiamoci che questa modalità “flessibile” crea particolari livelli di stress e di fatica mentale. Se ci sentiamo stanche e non ce la facciamo più ad andare avanti, ragioniamo da sole o con gli altri (anche con i tecnici, se necessario) dello stress di ambedue le attività messe insieme e dell’impatto specifico di ciascun carico di lavoro (familiare o extrafamiliare) sulla nostra salute. Prima di ogni decisione, e soprattutto prima della decisione di eliminare uno dei due carichi, in genere il lavoro professionale, fermiamoci, prendiamoci una pausa, e valutiamo bene la nostra condizione di vita, i nostri progetti, ed il futuro rispetto a noi stesse ed alla crescita dei nostri figli.
ALCUNE DOMANDE DI APPROFONDIMENTO ED ALCUNE RISPOSTE PER COMBATTERE LO STRESS
Più chiaramente, alla donna conviene avere un lavoro esterno?
Si, nel senso che nel lavoro esterno si possono trovare alcune condizioni fondamentali per combattere la depressione. Si possono trovare gratificazioni personali per un agire che riguarda la propria produttività, vi possono essere riconoscimenti, si può realizzare una relazione con gli altri di supporto scambievole, una maggiore socializzazione e competenza nel sociale. Tutto ciò è favorevole se confrontato con un lavoro familiare che nella generalità dei casi oggi è fatto di mancanza di rapporti sociali, chiusura ed isolamento nelle relazioni familiari scarsamente riconoscitive. E attestazione di questa diversità la troviamo in molte donne, che nonostante dei costi mantengono il lavoro esterno perchè lì si sentono bene o meglio che a casa. Oppure in donne che riflettono sulla diversità di condizione lavoro-casa: sul lavoro si sentono competenti ed apprezzate; a casa si sentono svalorizzate e spesso incapaci di fare bene. Ma le cose non vanno sempre così: e non stanno così se, -come molte volte accade- il lavoro non è un sostegno ma esso stesso elemento di ulteriore stress; cioè ripete le condizioni di stress familiare. Il lavoro stressante esterno è ancora una volta quello non riconosciuto giuridicamente o non riconosciuto adeguatamente sul piano economico, quello con turni che privano della possibilità di mantenere ritmi sociali e familiari appena sufficienti; quello con mansioni dequalificate, con alta sorveglianza e basso gradi di libertà, ecc. ecc. Quando ciò accade, ed accade più frequentemente tra le donne, che occupano nella scala sociale i lavori gerarchicamente più bassi e dequalificati, la donna soffre maggiormente di sintomi di stress rispetto agli uomini. Questo perchè già gravata, a differenza dei maschi del carico di lavoro familiare.
Allora quello che si dice della donna, che soffre maggiormente di stress nel lavoro perchè più debole degli uomini, è un pregiudizio?
Si, perchè la donna nel lavoro esterno presenta limiti di tolleranza allo stress più bassi degli uomini proprio perchè gravata dal peso del lavoro familiare. Se si valutasse la sommatoria dell'uno e dell'altro si capirebbe che le donne sono invece molto più forti e resistenti degli uomini allo stress complessivo presente nella loro vita quotidiana.
Quando succede che il lavoro esterno diviene per sè stressante, e la donna non lo tollera perchè già ha un altro peso sulle spalle, che deve fare?
Anche qui la valutazione non può essere semplicistica come oggi avviene, cioè le donne pensano, in ciò aiutate anche dai loro medici, che, in situazione di stress e di sovraccarico complessivo, conviene eliminare il lavoro esterno. Pensiamo invece a come ragionerebbe un uomo: il mio lavoro è necessario alla famiglia, se i costi per la salute sono eccessivi , cerco di cambiarlo, se non è possibile e mi ammalo mi rivolgo ad un Servizio tecnico per documentare le mie condizioni di salute ed ottenere migliori condizioni di lavoro. Questo pensiero abita poco la mente delle donne: si pensa rapidamente che il lavoro esterno è un di più, che economicamente forse non conviene, e non si riflette ad altro.
Le donne dovrebbero allora.....
Nessun dovere, ed è bene che le donne capiscano che deve finire l'epoca degli obblighi e dei doveri; parliamo invece di qualche consiglio invece per stare meglio. Per le donne il consiglio è: prima di considerare che il lavoro esterno sia da eliminare, prendersi una pausa di riflessione (malattia, ferie, ecc.) e ripensare alla propria vita complessiva cercando di avere un atteggiamento più flessibile sul lavoro familiare e non considerare quest'ultimo come immodificabile. Solo dopo aver alleggerito il lavoro familiare possiamo valutare la valenza propriamente stressante del lavoro esterno ed a questo punto decidere il da farsi.
Ma se i mariti appoggiano l'uscita dal lavoro, dichiarando che sopporteranno loro i costi economici dello stare in casa, magari con un doppio lavoro esterno ?
Non è mai solo poi problema economico. Non ci dimentichiamo che uscire da casa ci permette di affrontare meglio il problema del distacco e dell'autonomia dei nostri figli, di non essere in casa sempre nelle vesti di madri ansiose e preoccupate; ci consente di mantenere le relazioni con gli altri in modo più semplice, di partecipare più facilmente ad una vita sociale che è sicuramente il primo antidoto della depressione.
Ma solo il lavoro garantisce queste opportunità?
No assolutamente. Per cui se una donna, ha già una autonomia economica, o comunque non ha il problema economico, o è in pensione, ogni attività svolta nel sociale o tutto ciò che ci mette in relazione con gli altri al di là della nostra famiglia, ha quelle caratteristiche positive per prevenire la depressione. Segnaliamo comunque e sempre che le attività, professionali/lavorative o non professionali/lavorative, svolte con passione ed con piacere, in qualsiasi campo, sono quelle che costituiscono un vero e proprio antidoto per la depressione. Al contrario la perdita di piacere in una determinata attività, lavorativa o non, deve sempre poter costituire un campanello di allarme e spingere ad una valutazione di quello che sta accadendo dentro e fuori di noi.
Ma nel lavoro non vi sono condizioni specifiche di stress per le donne?
Questa è una domanda cruciale ed importante perchè non dobbiamo pensare che il lavoro sia la panacea di tutti i mali. Non dimentichiamo che in effetti non vi sono differenze nella possibilità di ammalarsi tra donne casalinghe e donne con un lavoro esterno. Abbiamo finora esaminato il risvolto positivo del lavoro esterno per il mercato rispetto al lavoro di cura per la famiglia. Ma non possiamo dimenticare che nel lavoro professionale vi sono quegli stessi pregiudizi che troviamo espressi anche a casa dai nostri familiari. Il minore valore dato al genere femminile si esprime con specifici stressors lavorativi che sono: minori riconoscimenti economici e di carriera dati alle donne a parità di qualità ed impegno nel lavoro ma anche in condizione di migliori prestazioni lavorative effettuate dalle donne rispetto ai colleghi maschi. Inoltre al lavoro le donne trovano maggiori condizioni di maltrattamento rispetto agli uomini: mobbing e molestie sessuali sono fenomeni che colpiscono in prevalenza donne.
IL DISAGIO DELLE DONNE NELLE RELAZIONI DI LAVORO IN CASA E FUORI
Il punto di vista legale
Questo comportamento configura un reato previsto dal nostro codice penale (art. 572), punibile con la reclusione da 1 a 5 anni. Nella pratica legale è emerso che l’informazione su questo reato è carente. Quello che caratterizza il reato di maltrattamento è l’abitualità del comportamento vessatorio; gli episodi non devono essere occasionali o sporadici ma ripetuti nel tempo anche se per un limitato periodo di tempo, ed idonei a provocare sofferenze psichiche o fisiche nella donna. Consiste in una serie di atti lesivi dell’integrità fisica o psichica , della libertà o della dignità delle persone di famiglia, in modo da rendere abitualmente dolorose le relazioni familiari. Vi rientrano anche gli atti di disprezzo, di umiliazione, di svalorizzazione che causano durevole sofferenza psicologica. La coabitazione o la convivenza non sono presupposti essenziali del maltrattamento pertanto tale reato è configurabile anche nei casi di persecuzione da parte dell’ex marito o ex convivente, che pone in essere una condotta lesiva dell’integrità psicofisica della donna. E’ un reato poco utilizzato perché fatti quali ad esempio: l’avarizia esasperata, il disprezzo, il pedinamento, l’isolamento, il controllo, lo scherno, il silenzio immotivato, la violenza sulle cose, il non riconoscimento dell’altro, generalmente non vengono individuati come comportamenti penalmente rilevanti. Tali comportamenti al contrario sono rilevanti anche in sede civile. La giurisprudenza civile nelle cause di separazione tra i coniugi li considera causa di addebito della separazione (la sentenza che dichiarerà la separazione ne attribuirà la responsabilità all’autore di detti comportamenti). La Corte di Appello di Torino con sentenza del 21.2.2000 li ha accomunati al mobbing ed ha affermato che: “costituisce causa di addebito della separazione il comportamento del marito che assuma in pubblico atteggiamenti di mobbing nei confronti della moglie, ingiuriandola e denigrandola, offendendola sul piano estetico, svalutandola come moglie e come madre”.
Anche questa forma di maltrattamento al lavoro, come quello familiare , ha come vittime una percentuale sensibilmente più elevata di donne, e la quasi totalità di donne, nelle molestie sessuali. Ambedue questi eventi che danno luogo a sindromi da stress, hanno un denominatore comune che possiamo chiamare, insieme alla studiosa francese Marie France Hirigoyen: molestie morali o psicologiche. L’obiettivo di tali comportamenti è unico: la riduzione all’impotenza della vittima, il che significa eliminazione, distruzione psicologica, o anche “messa in dipendenza” dell’altro. Lo scopo è eliminare o ridurre all’impotenza il diverso, chi potrebbe essere un nemico, chi non si adatta alle regole del gruppo, chi mette in discussione l’autorità ed il prestigio con la sua autonomia; oppure lo scopo è utilizzare le risorse e le competenze dell’altro appropriandosene come fossero proprie, senza riconoscerne la paternità/maternità. Il punto di vista legale Il mobbing non costituisce ancora una fattispecie di reato anche se vi sono proposte di legge per identificarlo come tale e per promuovere misure di prevenzione nei luoghi di lavoro. Attualmente il mobbing può configurare il reato di violenza privata (art. 610 c.p.) che tutela la libertà di autodeterminazione, la libertà psichica dell’individuo nella sua volontaria esplicazione. Con tale reato viene punito il comportamento di colui che, mediante minaccia o violenza anche psicologica pone in essere atti idonei a realizzare pressioni sulla volontà altrui, al fine di costringerla a fare, tollerare od omettere qualcosa.
Come si manifestano questi comportamenti mobbizzanti o maltrattanti?
Le strategie sono molteplici ed in genere si avvantaggiano di un rapporto verticale ovvero del fatto che un mobber (aggressore) ha più potere del mobbizzato (vittima): attacchi alla possibilità di comunicare con la riduzione in isolamento; attacchi alla immagine sociale con il suo discredito; attacchi alla qualità del lavoro, valutandola ingiustamente come negativa; attacchi alle qualità personali, denigrazione della persona e delle capacità personali attacchi alla salute con vere e proprie aggressioni fisiche, sessuali e verbali.
Tutti questi attacchi tendono a colpire le capacità di autonomia, d’iniziativa delle persone, e tendono a renderle insicure di sé e delle proprie risorse, bisognose dell’appoggio e del consenso dell’altro. In una parola minano l’autostima ed instillano il dubbio sulla qualità del proprio patrimonio di capacità e risorse personali. Questa condizione di maltrattamento, comune all’ambiente lavorativo e familiare, si realizza non a caso di più rispetto alle donne. Nell’ambito familiare i dati sono quasi tutti al femminile; nell’ambito lavorativo colpiscono più donne che uomini.
Quale prevenzione?
La prevenzione del maltrattamento indica misure valide per i due campi: non lasciarsi isolare; avere o procurarsi le informazioni appropriate sui propri diritti; trovare alleanze e cercare supporti esterni; raccogliere le prove dei maltrattamenti intraprendere adeguati percorsi di sostegno legale.
Ma non sarebbe meglio andarsene dal lavoro o separarsi da un coniuge maltrattante e tutelare così la propria salute? Sia il lavoratore/trice che la donna hanno con il lavoro e con la famiglia legami che non possono essere spezzati con facilità. Quasi sempre questi legami sono consolidati da dipendenze oggettive: il bisogno di lavorare per la sopravvivenza, il bisogno della relazione con il partner per la prole o per la sopravvivenza del nucleo familiare.In ciascuna di queste circostanze è necessario evitare soluzioni che si ritorcano sulla vittima e sulle persone che dipendono dalla vittima (famiglia e figli). E’ necessario procedere quindi per gradi, in modo che se si arriva alla definizione del rapporto, ciò sia attribuito per colpa al datore di lavoro o al coniuge maltrattante, che ne dovrà pagare in toto le spese morali e materiali, garantendo alla vittima una posizione di tutela della salute e della qualità di vita. Se infatti un lavoratore/trice si licenzia, e si ritrova nella condizione di disoccupato, forse avrà poi problemi più gravi della condizione precedente. E così la donna, se si separa, senza alcuna garanzia, potrebbe avere difficoltà a mantenere se stessa, o se stessa insieme ai figli.
Cosa è consigliabile fare in queste circostanze?
Prima di tutto essere informate sui rischi del maltrattamento all’interno del lavoro e della famiglia. Poi sapere che psicologicamente è difficile capire di trovarsi in una condizione di maltrattamento/mobbing proprio perché gli strumenti usati sono sottili e puntano a far sì che la persona arrivi a disistimarsi ed a considerarsi colpevole o causa del maltrattamento. Il processo in generale in cui si innestano i maltrattamenti e le molestie possono essere anche inizialmente connotate da atteggiamenti positivi o addirittura iper-positivi che enfatizzano le qualità della futura vittima. A questi atteggiamenti possono seguire poi richieste di prestazioni o di assunzioni di compiti eccessivi, o debordanti dai ruoli, o da quello che è considerato dalla persona come limite personale invalicabile. Se le richieste vengono respinte, o se la persona mostra poca disponibilità, oppure se la persona mostra troppa autonomia mettendo in pericolo l’autorità e la posizione di prestigio dell’altro, o solo fa intravedere questo pericolo, il clima del rapporto può cambiare. Il cambiamento di clima è contrassegnato da: distanza, distacco, ritiro della fiducia e del consenso; e poi a salire: le denigrazioni, gli attacchi, le violenze, ecc. ecc. Le richieste cui non si dà seguito ed il cambiamento di clima e di relazione devono suggerire alla persona la possibilità di un inizio di comportamento maltrattante o mobbizzante che può incidere sulla sua salute. La prima cosa da fare quando ciò succede è non interrogarsi in questo modo: “che avrò fatto io per meritarmi questo cambiamento?” Ma è opportuno mettersi subito a distanza per valutate il comportamento dell’altro, parlandone anche con altri, esterni alla situazione. Importante è non rimanere soli e non addossarsi le responsabilità, né credere alle critiche ed alle svalutazioni dell’altro.
PRO-MEMORIA PER I MEDICI
Essere attenti, nelle più comuni patologie delle donne, alle cause di stress, di maltrattamento e di mobbing nel lavoro ed in casa. Fare domande sui sintomi in relazione al come, quando e dove compaiono con più frequenza e soprattutto in relazione al dove della loro prima insorgenza. Suggerire alla donna la possibilità che dietro il suo malessere vi possa essere una causa di questo genere, mostrando alcuni tra gli esempi più frequenti. Informare la donna che in letteratura molte delle patologie di cui soffre possono avere una causa ambientale e da stress più che individuale e biologica. Offrire riferimenti associativi di supporto sia legali che sociali presenti sul territorio (centri anti-violenza, anti-mobbing, istituti di medicina legale e del lavoro).
PRO-MEMORIA PER LA DONNA
I maltrattamenti sul lavoro ed in famiglia vanno immediatamente fermati perché tendono ad incrementarsi nel tempo ed a cronicizzarsi. L’ assenza di reazione non provoca cambiamenti positivi. Esistono gli strumenti giuridici da azionare subito per tutelarsi. E’ importante confidarsi con colleghi, amici, parenti, insegnanti dei propri figli, vicini di casa ed uscire dall’isolamento cui si è costrette. E’ importante acquisire certificati medici in caso di lesioni ( o disagi) fisiche o psichiche. E’ necessario rivolgersi a persone specializzate sul tema. E’preferibile rivolgersi ai centri antiviolenza o a centri esperti di maltrattamento e mobbing.
Lo stress è generalmente la normale risposta dell'individuo alla pressione esercitata dall'ambiente (esterno ed interno, fisico e psichico). Ma non sempre tali pressioni o richieste dell’ambiente esterno generano risposte fisiologiche: quando le richieste eccedono sia soggettivamente (mancanza di risorse) che oggettivamente (eccessivo peso) le capacità individuali di fronteggiamento, e/o quando la risposta di fronteggiamento si prolunga nel tempo, l’effetto dello stress può essere l’usura delle risorse psico-fisiche dell’individuo e l’avvio di una condizione patologica. Lo stress può passare così da una condizione fisiologica ad un’altra abnorme, senza soluzione di continuità: è il prolungamento dell'esposizione alla situazione stressante oltre un limite soggettivo ed oggettivo, che può determinare o favorire una rottura dell'equilibrio fisico o psichico (break-down) e quindi l’avvio di una possibile malattia fisica o psichica. La valutazione dello stress in medicina è molto importante perchè apre la porta alla decifrazione delle risposte patologiche (le malattie) in termini di vita quotidiana, ambiente, eventi stressanti e relazioni sociali e familiari. |