CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Direttore: E. Reale

 

 

Consiglio Nazionale delle Ricerche Italiano

Stress e vita quotidiana della donna:

un’indagine sperimentale sui principali rischi di malattia

 

PARTE 1 CAPITOLI:    1  -  2

 


 

Capitolo 1

 

L'INIZIO DELLA RICERCA

 

 

 

1          LA RICERCA CLINICA NELLA UNITA' OPERATIVA DI NAPOLI

 

            In settori sempre più vasti i ricercatori si trovano di fronte al problema di non poter valutare appieno la significatività dei dati relativamente alla loro connotazione di genere, inteso come insieme complesso di caratteristiche biologiche e sociali diversificate per i due sessi.

            Infatti  la significatività di un dato relativamente al genere non può emergere se esso non viene prima pensato e poi collocato in campi di indagine attrezzati ed in grado di cogliere gli elementi differenziati della realtà biologica e sociale delle donne e degli uomini.

            La ricerca che presentiamo prende in esame questa differenza analizzando il fenomeno dello stress dal punto di vista della vita lavorativa e di relazione della donna.

            Per valutare questa specifica condizione di vita all'interno del panorama delle ricerche sullo stress, si è dovuto preliminarmente "attrezzare il campo" con metodologie e strumenti di indagine adatti allo scopo. Si è cioè proceduto ad una ristrutturazione e ad un ampliamento del campo di indagine (Reale et al., 1992).

            Prima di definire quali siano state le ipotesi e le metodologie introdotte, occorre fare un passo indietro per  analizzare il punto di partenza e quello di arrivo delle ricerche svolte in precedenza dalla Unità Operativa del Consiglio Nazionale delle Ricerche che oggi propone l'analisi dello stress dal punto di vista del quotidiano femminile.

            Partecipando in circa 10 anni a due progetti finalizzati del CNR sulla malattia mentale, si è sviluppata una ricerca clinica sul disagio psichico femminile condotta su  una casistica che a tutt'oggi conta circa 3000 casi. Essi costituiscono il terreno su cui si sono fondate le ricerche che hanno dato luogo alle pubblicazioni, citate nella Bibliografia della presente ricerca, di E. Reale et al., dal 1982 al 1993.

            Il lavoro svolto ha messo in evidenza la relazione  tra alcune condizioni di vita della donna,  e la formazione del disagio psichico.

            Il disagio e le condizioni di malattia psichica sono state colte all'origine come un processo di scollegamento dagli accadimenti della vita quotidiana attraverso  il percorso di formazione del sintomo (percorso di ammalamento), messo in atto per due condizioni fondamentali:

-   la presenza di un evento sovraccaricante in termini sia di lavoro concreto che di responsabilità  personali, ma soprattutto di lavoro e responsabilità "per conto di altri";

-   la impossibilità, derivata dalle modalità relazionali che intercorrono tra la donna e le figure significative del suo contesto di vita, di: a.  riconoscere il sovraccarico e/o la sua non pertinenza rispetto alla sfera delle responsabilità personali; b.  procedere in una risposta di  evitamento e/o alleggerimento del carico.

            Con questo punto di vista storico - processuale si è proceduto nella ricerca clinica fin dal 1980, strutturando un campo di osservazione ad hoc (si è creato infatti un Servizio di salute mentale per accogliere le donne con disturbi psichici), e individuando alcuni strumenti di indagine in grado di cogliere i nessi tra processo di formazione del sintomo e eventi di vita significativi all'interno della quotidianità femminile.

            Il percorso storico e dinamico - dalla insostenibilità alla malattia (Reale et al., 1988) -  analizza nell'ambito della relazione con il contesto i carichi ultimi che la donna ha assunto (analisi dell'ultimo anno che precede l'inizio della malattia), gli eventi che hanno determinato la richiesta e/o la necessità di assunzione di un nuovo carico, la riduzione/azzeramento degli spazi e progetti personali, l'ampliamento della percezione di incapacità/diversità, l'ingresso nel punto di vista della patologia con l'attenzione al "corpo che non funziona".

 

Schema del percorso di ammalamento psichico.

Percorso storico: fase della insostenibilità - unbearableness

(N.B. La presente tabella va letta da destra verso sinistra)

 

 

Percorso di costruzione del sintomo

 

 

 

Cambiamento del punto di vista

Attribuzione di responsabilità a sè e al corpo che non funziona

2° Fase Insostenibilità

1°  Fase Insostenibilità

 

Attenzione alla stanchezza come sintomo e riflessione sul corpo che non funziona.

1° livello del sintomo

2° livello del sintomo

3° livello del sintomo

Perdita del punto di vista sull' interesse personale Stanchezza = Sintomo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Evento crisi (smuove le ultime sicurezze)

Senso di incapacità generalizzato

Mancanza di referenti

Caduta del progetto (ultima fase)

Stanchezza psichica (demotivazione)

Stanchezza fisica

Sovraccarico

Richiesta del contesto

Ultimo scontro per affermare il proprio punto di vista (riduzione del carico)

Fine dello scontro accettazione del punto di vista del contesto

Condivisione dei giudizi (su di sè)

Assenza di referenti esterni

Riduzione progetto personale

 

Schema del percorso di ammalamento psichico.

Percorso dinamico: dialettica domanda - risposta

Percezione di insostenibilità

Contesto

Donna

Richieste alla donna di farsi carico di ulteriori pesi e responsabilità materiali ed affettive. Ampliamento dei carichi e dei compiti di ruolo

Restringimento dei propri spazi di vita; percezione di gravosità. Domanda di aiuto al contesto.

l

m

Percezione di incapacità e di immodificabilità

Contesto

Donna

Domanda di aiuto respinta. Legittimazione della richiesta di sovraccarico attraverso il richiamo ai modelli di ruolo. Attribuzione del giudizio di incapacità alla donna.

Adesione al punto di vista del contesto, condivisione del criterio di legittimità dei modelli, percezione di una incapacità personale nell'adempimento dei compiti di ruolo e nell'assunzione delle responsabilità personali.

ò

ò

 

Percezione di  malattia

Contesto

Donna

Mantenimento delle richieste, rinforzo del giudizio di incapacità con ricorso a giudizi di " diversità" e "patologia"

Ampliamento della percezione di incapacità e perdita del punto di vista della gravosità e inaccettabilità del compito. Percezione della stanchezza e di altri malesseri  in termini di malattia.

 

 

            In questo percorso ha valore centrale l'indagine degli accadimenti dei sei mesi prima o dell'anno prima, che definiamo come   situazione di insostenibilità . Il percorso di ammalamento sopra sintetizzato nella sua fase finale si concentra su:

a. l'ultimo evento, che ha portato la persona a ritenere di dover chiedere un aiuto esterno (il momento in cui si verifica la percezione soggettiva di malattia) ;

b. un ulteriore evento di vita, collocato nei sei mesi - un anno prima dall'insorgenza del sintomo e della percezione di malattia;

c. la relazione con il contesto per individuare, a partire dall'evento a 6 mesi/1 anno, la richiesta di compiti e di carichi di lavoro e l'ultima situazione di scontro (contrapposizione tra richiesta del contesto ed esigenze espresse della persona);

d. eventi precedenti, collegati ad altre tappe di vita (adolescenza in particolare) e ad altri stati di malessere non patologicizzati,

e. gli stili e i tipi di risposta appresi nelle relazioni con il contesto socio-familiare in epoca adolescenziale.

            Il tipo di indagine condotta sul disagio psichico femminile ha così messo in evidenza che il fattore principale che sovraintende alla malattia, ed in particolare alla formazione dell'evento depressivo, è costituito dall'assunzione del carico di lavoro familiare (lavoro di cura) all'interno di relazioni contestuali obbliganti e percepite come ineludibili, e da altri sei fattori tra loro collegati (Reale et al., 1989) riconoscibili in ciascuna delle situazioni analizzate come tappe del percorso di ammalamento.

 

Tipologia dei fattori di rischio per la patologia psichica

 

1. Sovraccarico di lavoro e responsabilità

2. Restrizione/assenza delle attività e degli interessi personali

3. Restrizione/mancanza di relazioni e persone esterne di riferimento

4. Giudizi svalutativi da parte del contesto

5. Percezione soggettiva di incapacità

6. Riduzione/assenza del progetto personale

7. Presenza di malesseri fisici

 

            Questi fattori sono stati enucleati come elementi di rischio per la patologia psichica; essi infatti sono risultati essere fortemente collegati con l'evento "disturbo psichico" sotto un duplice profilo: storico e dinamico. Da un punto di vista storico essi costituiscono elementi della vita quotidiana della donna presenti dalla infanzia all'età adulta; da un punto di vista dinamico identificano gli elementi costitutivi di una dialettica domanda - risposta tra la donna ed il suo contesto di vita.

            I sette fattori non sono quindi elementi fissi e statici della vita della donna: essi sono in movimento ed in relazione tra loro, per cui a secondo della loro consistenza, qualità, composizione ed interrelazione possono dare luogo all'evento malattia, costituire in determinate fasi solo fattori di rischio, essere o divenire all'opposto fattori di protezione.

 

Primo fattore individuato è il carico di lavoro o meglio il sovraccarico di lavoro caratterizzato dal lavoro familiare, con le sue peculiarità (Reale et al., 1988) e dalla specifica composizione ottenuta dalla sovrapposizione del lavoro familiare con il lavoro extrafamiliare. Esso costituisce il punto di partenza e di arrivo nell'analisi di una situazione di malessere, l'elemento strutturale dell'economia della vita di una persona. Attorno ad esso si compongono  e prendono posizione gli altri fattori, organizzandosi  in un movimento  scalare in cui in modo alternato troviamo, come elemento trainante, ora il carico ora gli altri fattori.

Secondo fattore  immediatamente connesso con l'assunzione di un determinato carico di lavoro è la sequenziale e frequente riduzione degli spazi di interesse personale.

Terzo fattore  anch'esso connesso, è la mancanza  di gruppi, o persone alleate con punti di vista favorevoli a quelli del soggetto ed eventualmente in antitesi a quelli del contesto familiare. La mancanza di una  rete relazionale siffatta e specifica è connessa con l'assunzione di carichi limitanti la libera espressione di sè.

Quarto fattore  è quello costituito dalla riduzione progressiva di un progetto personale che all'atto della malattia e del percorso sintomatico, diviene chiusura e fallimento del progetto personale in toto.

Quinto fattore  é quello rappresentato dalle percezioni  soggettive di incapacità personale. Una volta messe in dubbio le capacità personali, il compito richiesto cui ci si è sottoposti o si è stati sottoposti anche con fatica e scarsa motivazione personale, non viene più considerato come oggettivamente faticoso o non voluto, ma solo come soggettivamente impraticabile: la persona comincia a sentirsi incapace.

Sesto fattore  é quello costituito dai giudizi svalutativi espressi dal contesto. Mentre gli "altri" o i modelli dominanti affermano che tutti sono in grado di affrontare la situazione, la persona, le cui capacità sono state sottoposte a critica, tende ad attribuire l' incapacità ad affrontare e risolvere una situazione a se stessa, a difficoltà individuali, alla improvvisa insorgenza di una qualche malattia.

Settimo fattore  è quello costituito dai segnali fisici di stanchezza che in questo quadro non sono più letti ed interpretati come normale reazione ad un carico eccessivo, ma come evidenze patologiche che segnalano l'ingresso del corpo e della mente nel circuito della patologia. La stanchezza accompagna gli altri fattori come contraltare fisico della perdita di una motivazione personale e di un valore di sè.

 

 

 

2          DALLA RICERCA SULLA DEPRESSIONE ALLA RICERCA SULLO  STRESS

 

            La ricerca sulla depressione psichica e sugli eventi che strutturano tipicamente la vita quotidiana della donna ha mostrato un percorso di formazione della patologia depressiva decifrabile come percorso di strutturazione di una risposta di stress nel corso di un evento che richiede impegno, fatica, sforzo, lavoro. La depressione è allora interpretabile nella nostra ricerca, come break-down insorto nella fase di esaurimento di risorse nel corso della risposta.

Ciò che indirizza verso la depressione é:

-        la percezione di dover far fronte a qualunque costo a quella determinata e specifica domanda di carico di lavoro e responsabilità (la non possibilità di individuare strategie di evitamento);

-        il non avere un interesse personale nel carico di lavoro che si sta sostenendo (la doverosità esterna);

-        il non riconoscere e non possedere modelli di fatica adeguati che possano indurre la previsione del break down (e ciò è tipico del lavoro familiare che non possiede adeguate rappresentazioni sociali di sforzo e fatica);

-        il percepire la stanchezza e la demotivazione, e non sapere a chi e a che cosa attribuirle.

 

            In definitiva  ciò che è emerso dalla ricerca clinica è che la patologia depressiva ha come antefatto una dinamica tipica dello stress: un evento che produce un cambiamento ed una variazione in aumento del carico di lavoro (con riduzione di interessi e attività personali); una risposta attiva, motivata da considerazioni essenzialmente di doverosità (pressione dei modelli di ruolo e dei giudizi sociali) di assunzione del carico di lavoro; una incapacità a mettere in atto strategie di alleggerimento o evitamento del carico (in relazione non solo a stili di risposta appresi ma anche alla pressione esterna esercitata dai modelli e dal contesto); infine l'impossibilità di leggere il limite o la fase di esaurimento nel corso della risposta.

            Da questo percorso verso il disagio psichico sono stati tratti gli elementi centrali che chiamiamo accadimenti, che strutturano situazioni di stress nella donna e possono dare luogo a risposte patologiche:

 

- il primo  accadimento  è un evento di vita, relativo allo sviluppo biologico o alla vita di relazione, connotato come cambiamento, connesso con un contenuto di lavoro concreto e di fatica;

- il secondo accadimento  è la richiesta del contesto di assumere il carico di lavoro e responsabilità che l'evento ha comportato: richiesta diretta - esplicita o indiretta - implicita connessa con modelli e comportamenti di ruolo femminile definiti come normali;

- il terzo  accadimento è il depauperamento di risorse personali (interessi personali e rapporti) connesso con l'esecuzione del compito e l'adesione alla richiesta;

- il quarto  accadimento  è la percezione di stanchezza e di altri disturbi scollegata dallo sforzo e della fatica concretamente sostenuti.

 

            Questi 4 accadimenti  configurano un terreno di fattori di rischio psico-sociale valutabili nell'area della patologia psichica e di altre patologie femminili. Essi hanno costituito la possibilità di leggere e reinterpretare la patologia psichica che accomuna maggiormente le donne, la depressione, come effetto di eventi stressanti. Possono inoltre costituire una griglia di lettura unitaria per affrontare e valutare il peso degli eventi stressanti sul fronte  di più patologie connesse con l'universo femminile. Al centro di questa griglia va collocato il lavoro familiare con le sue caratteristiche di lavoro con elevati costi  energetici (sia fisici che psichici), ma con bassi livelli di controllo e riconoscibilità.

            Da queste analisi prende l'avvio il progetto di ricerca sulle condizioni di stress nella vita quotidiana della donna, condotto nell'ambito del Progetto Finalizzato del CNR "Prevenzione e Controllo dei Fattori di Malattia - Sottoprogetto Stress".

 

Gli obiettivi generali della ricerca attuale  sono:

-    la valutazione nel campo della ricerca sullo stress dei fattori psico-sociali più frequentemente correlati con il genere femminile;

-    la valutazione dello stato della ricerca sullo stress e genere femminile in rapporto al lavoro e a tre specifiche patologie: depressione psichica, carcinoma mammario, ipertensione arteriosa;

-    l'ampliamento dei criteri della ricerca sullo stress con l'inserimento e l'analisi del carico di lavoro globale dato dalla valutazione congiunta del lavoro produttivo e del lavoro familiare;

-    la validazione dei fattori di rischio individuati nella ricerca clinica come elementi strutturali della condizione di stress e come precursori della malattia;

-    il confronto della patologia depressiva con altre patologie e con un gruppo controllo per individuare differenze e somiglianze nella risposta da stress tra diversi gruppi di donne.


 


 

Capitolo 2

 

LE PRINCIPALI LINEE DI RICERCA SULLO STRESS

 

 

 

1          INTRODUZIONE

 

            Per affrontare correttamente il tema della nostra ricerca che verte su due concetti fondamentali: la differenza di genere nella valutazione delle condizioni di stress, ed il confronto tra donne con diversi percorsi patologici, occorre preliminarmente esaminare lo stato degli studi su questi argomenti, ed evidenziare le linee di tendenza della ricerca  maggiormente condivise.

            Una prima considerazione verte sulla contrapposizione tra ricerche clinico- epidemiologiche in tema di depressione e disturbi psichici, e la ricerca sullo stress di tipo psico-sociale. A tal proposito osserviamo infatti:

1) da un lato vi è prevalenza di ricerche e studi sulla depressione femminile che mettono in relazione la frequenza di questa patologia nelle donne con caratteristiche di personalità (passività, dipendenza, ecc.) e con caratteristiche biologico - ormonali. La depressione non è sufficientemente analizzata al contrario come esaurimento di risorse in situazione di stress;

2) dall'altro lato si collocano le ricerche sui fattori psico-sociali di stress. Esse hanno quasi sempre escluso l'analisi del doppio carico di lavoro delle donne e non hanno fornito sufficienti correlazioni tra la stanchezza che molte donne provano nella loro vita quotidiana ed il sovraccarico di lavoro. Per gli uomini al contrario queste ricerche hanno sempre messo in relazione sintomi psico-fisici e malattie (come ad esempio quelle cardiovascolari) con il carico di responsabilità rintracciabile nel lavoro produttivo.

 

Confronto di studi su: genere, stress e malattia mentale

 

 

Studi sul genere e stress

Genere   maschile

    Numerosi dati epidemiologici. Ricerche e studi centrati sulla sfera del lavoro produttivo. Correlazioni significative tra tipi di organizzazioni comportamentali ed insorgenza di specifiche malattie.

Genere   femminile

    Pochi dati epidemiologici. Scarsa rappresentatività degli studi sul rapporto tra stress e lavoro. Scarse e non significative correlazioni tra determinati comportamenti (individuati come rischiosi tra la popolazione maschile) e specifiche patologie.

 

 

Studi sul genere e  malattia mentale

Genere   maschile

    Studi epidemiologici che indicano correlazioni tra condizioni socio-economiche e malattia. Maggiore incidenza di psicosi schizofreniche ed organiche.

Genere   femminile

    Studi epidemiologici che indicano correlazioni tra tappe di vita biologiche, stati emotivi e malattia. Prevalenza di patologie dell'affettività.

 

            Da questo schema si può notare come le ricerche sullo stress siano carenti di una prospettiva di analisi del quotidiano femminile con i suoi carichi di lavoro. Conseguenza di questa impostazione metodologica, è stata la scarsa rappresentanza delle donne come oggetto di ricerca nel campo di indagine sullo stress.

            Così vi è una predominanza di donne nella ricerca epidemiologica psichiatrica ed una minore presenza di uomini. I fattori di rischio maggiormente individuati tra le donne sono gli stati emotivi e psico-affettivi correlati alle tappe di vita biologica (menarca, gravidanza, parto, menopausa); i fattori di rischio tra gli uomini sono relativi ai percorsi lavorativi e alle tappe dello sviluppo cognitivo.

            Si può notare che la presenza di uomini e donne nella ricerca può apparire "equilibrata" solo se si avvicinano i due campi di indagine stress e malattia mentale, e se essi si valutano in modo integrato, annullandone così l'attuale separatezza: le donne nel campo  delle malattie psichiche  legate al dominio dell'affettività, gli uomini nel campo  dello stress  legato al lavoro.

            Partendo da questo punto di vista molto generale  della integrazione  degli studi su stress e patologia psichica,  attualmente caratterizzati da una rigida divisione, siamo andate a utilizzare alcune parole chiave  (donne, lavoro, stress, patologie cardio-vascolari, depressione psichica e tumore alla mammella) per  accedere ai diversi campi di indagine sullo stress e sviluppare un'analisi comparativa di teorie e metodi attualmente esistenti.

 

 

2          DONNE, LAVORO E STRESS

 

            Le ricerche sullo stress hanno finora dato poco peso alla variabile di genere. Ciò non è solo fonte di un pregiudizio, o di una mal intesa funzione neutrale della scienza, ma anche conseguenza di un circolo vizioso: gli studi sullo stress sono collegati all'evento più  significativo della vita quotidiana e ritenuto di maggior peso: il lavoro produttivo. La minore presenza delle donne in questo spazio o comunque una presenza di minore peso e qualità (lavori di minor valore e responsabilità decisionale, lavori in prevalenza subalterni), ha fatto sì che le donne "naturalmente" non entrassero sulla scena di questo settore della ricerca.

            Tutto ciò fino a quando gruppi di ricercatori e ricercatrici di vari paesi non hanno iniziato ad illuminare il circolo vizioso costituito dall'assioma: stress = lavoro produttivo; lavoro produttivo = prevalenza maschile.

            Si è così cominciato a confrontare il lavoro manageriale di donne ed uomini e si è giunti alla  individuazione di differenti profili di vulnerabilità allo stress (Davidson et al., 1986).

            Si sono messi in discussione i caposaldi della ricerca sullo stress ed in particolare la validità per le donne della correlazione tra comportamento tipo A e determinate patologie. Si è visto che tale correlazione è significativa per le donne che rivestono un ruolo più simile a quello maschile, ma è meno significativa per le donne che rivestono ruoli tradizionalmente femminili (Meininger, Eaker,  et al., 1988).

            Si sono fornite raccomandazioni per nuove aree di indagine. In particolare questi contributi  sottolineano come la ricerca futura debba rivolgersi alle situazioni psicologiche che concernono l'impiego (lavoro svolto per scelta o necessità); alla quantità di esposizione allo stress (lavoro continuo o meno), e a tutta l'area della sovrapposizione tra lavoro familiare e lavoro per il mercato (Haw, 1982).

            Tra questi nuovi orientamenti della ricerca segnaliamo il dato nuovo di maggiore importanza: il lavoro familiare, che assume in sè le attività di cura psicologiche e materiali, costituisce il fattore principale di stress per le donne.

            Si è cominciato così ad immettere nell'osservazione anche il lavoro familiare e a studiare le caratteristiche di quest'ultimo da solo o associato al lavoro extrafamiliare, in modo da consentire un ampliamento della ricerca funzionale all'apertura del campo di indagine al  soggetto donna.

            Il lavoro domestico e la casa, che erano stati considerati in precedenza come ambienti non patogeni - là dove le ricerche si erano concentrate sulla vita quotidiana maschile e avevano identificato il luogo di lavoro come principale stressor - sono stati  riscoperti come fattori prevalenti di stress per le donne sia casalinghe che lavoratrici.

            Il lavoro domestico infatti si compone di compiti e mansioni più difficilmente quantificabili e controllabili: la individuazione dei carichi di lavoro e la legittimazione per la loro autolimitazione  è più difficilmente raggiungibile a casa che non nel lavoro esterno.

            E' chiaro che la misura in cui un evento è controllabile e prevedibile condiziona, al di là del carico materiale o di responsabilità, il fatto che esso sia stressante o meno. E nel lavoro di cura questa caratteristica è la regola: compiti molto esigenti dal punto di vista psicologico, uniti ad un basso livello di controllo su di loro, creano contemporaneamente proteste, ovvero non gradimento, in chi ne è il destinatario, e frustrazione in chi li eroga e li svolge (Baruch et al., 1987).

            Un'altra ricerca che confronta madri lavoratici e non lavoratrici individua misure analoghe di stress familiare: i due gruppi non differiscono in alcuna misura del benessere psicologico; è invece lo stress familiare un significativo predittore del malessere psicologico per i due gruppi (Schwartzberg et al., 1988).

            Il lavoro familiare associa spesso queste due caratteristiche: ha come obiettivo il procurare agli altri condizioni di benessere, attraverso atti materiali e psicologici, ma al tempo stesso non è in grado di controllare gli effetti che produce. Quando si parla di lavoro familiare ci si riferisce soprattutto al lavoro connesso con il ruolo materno.

            Queste caratteristiche del lavoro familiare fanno sì che esso risulti facilmente associato a malessere psicologico, depressione e bassa autostima: esso grava su tutte le donne sia impiegate che non impiegate, ma l'impiego costituisce, in determinate condizioni  un fattore di " moderazione dell'impatto dello stress familiare" (Schwartzberg et al., 1988).

            Anche nell'analisi del  lavoro extrafamiliare le ricerche sullo stress cominciano da qualche anno a inserire la nozione di carico di lavoro globale per definire il carico femminile composto di lavoro produttivo e carico familiare (La Rosa et al., 1994). Alla luce di questo nuovo parametro di misura dello stress lavorativo, le donne, finora poco visibili sulla scena delle ricerche sullo  stress, balzano in  primo piano mostrando sul lavoro maggiore predisposizione a riportare burn-out, e malattie legate allo stress.

            Per questi autori, l'analisi dello stress non può prescindere dall'analisi del lavoro familiare che è individuato come principale fattore di stress per il genere femminile.

            Nell'ambito del lavoro extrafamiliare, le donne madri, a parità di condizioni lavorative con i maschi, evidenziano maggiore vulnerabilità ai fattori stressanti che si manifestano sul posto di lavoro.

            Dai risultati di una ricerca condotta su madri e padri impiegati si evince un'alta vulnerabilità allo stress lavorativo di genitori che lavorano in casa e fuori casa, e questi in prevalenza risultano donne. La fatica del lavoro familiare  è risultata fortemente associata  ad un decremento del benessere psico-fisico (Googins e Burden, 1987).

            L'analisi dell'impatto del lavoro su 992 impiegati postali di cui la metà donne, indica che le donne, pur rispondendo come gli uomini  ai lavori stressanti, riferiscono livelli di disagio più alti (Lowe e Northcott, 1988).

            Dati sull'impatto dei ruoli familiari  sul lavoro extrafamiliare si ritrovano anche nella ricerca su insegnanti maschi e femmine e sulle cause di burn-out. Per gli uomini le cause del burn-out sono rintracciabili nello stress del lavoro, per le donne nello stress determinato dai conflitti di ruolo (Greenglass e Burke, 1988).

            Anche la ricerca sulle Donne - quadro in Francia giunge alla individuazione di una maggiore vulnerabilità allo stress lavorativo delle donne con lavoro familiare (donne sposate con figli minori di 14 anni) (H™pital de l'Institut Psychosomatique de Paris; Stora, J. B.).

 

            Dagli studi esaminati che prendono in considerazione la condizione femminile risulta sufficiente concordanza nell'affermare che il lavoro familiare per le sue caratteristiche si impone come fattore principale di stress per il genere femminile, determinando anche una maggiore vulnerabilità delle donne allo stress che si sviluppa nel  lavoro extrafamiliare. Come prima si accennava, non è invece sempre vero il reciproco; ovvero: i carichi di impegno e responsabilità inevitabilmente legati al lavoro extrafamiliare di una donna, non sempre incrementano il valore stressante del suo lavoro familiare. Anzi, talora, e sotto questo specifico profilo, il lavoro extrafamiliare può fungere, in determinate condizioni, addirittura da fattore protettivo rispetto al valore stressante del lavoro familiare. Deve quindi tenersi ben presente che l'effetto stressante di ciascuna delle due diverse tipologie di lavoro non può essere calcolato mediante una semplice sommatoria, ma deve essere analizzato utilizzando più sottili e complesse interazioni dinamiche.

            Inoltre lo stress legato al lavoro familiare viene associato prevalentemente a decremento del benessere psico-fisico, a  insoddisfazione, bassa autostima e depressione.

 

            Rispetto a questo tipo di problematica la ricerca che abbiamo svolto ha riformulato alcuni temi e campi di indagine rivedendo concetti di base dello stress (Reale e Sardelli, 1992).

 

 

 

3.         LE RISPOSTE PATOLOGICHE ALLO STRESS:

                CARCINOMA MAMMARIO, DEPRESSIONE PSICHICA, IPERTENSIONE     ARTERIOSA

 

            Tra le risposte patologiche allo stress, quella consistente in depressione psichica riveste un maggiore interesse non solo per la specificità della nostra esperienza clinica, ma anche perchè tra le patologie è quella che ha una maggiore diffusione tra la popolazione femminile, e che ha trovato in ambito psichiatrico una serie di spiegazioni  scientifiche il più delle volte connesse con il campo della biologia e della genetica più che con quello della vita quotidiana e dei ruoli sociali e lavorativi. In molte ricerche, inoltre, la depressione viene segnalata come la reazione allo stress che più frequentemente si associa al genere femminile.

            Il carcinoma mammario è una patologia femminile che ha la sua specificità nel collegamento con la funzione dell'allattamento e con la sua storia. Tale patologia ha comunque un riferimento più generale nella patologia cancerosa: lo sviluppo anomalo delle strutture cellulari. Essa quindi come ogni altro tipo di carcinoma fa riferimento alle variazioni dell'organismo ed in particolare all'abbassamento delle difese immunitarie in situazione di stress.

            L'ipertensione arteriosa è una patologia altamente correlata con il rischio coronarico, attualmente in crescita tra le donne, e finora sottovalutata dai ricercatori orientati sul versante maschile. Negli ultimi anni tale sottovalutazione è stata oggetto di polemica - in particolare negli USA - da parte di associazioni femminili che hanno prodotto statistiche sul comportamento discriminatorio nella pratica medica che privilegia gli uomini nelle prassi di accertamento diagnostico e nelle terapie conseguenti all'infarto del miocardio.

            Uno dei motivi della sottovalutazione, presente nella pratica medica nei confronti delle donne, è la tendenza a considerare più facilmente i disturbi fisici delle donne, come derivati da stati emotivi e psicologici senza fondamento (o effetto) organico.

            Dati recentemente pubblicati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (1995, Highlights on Women's Health in Europe) confermano che i disturbi cardiocircolatori e vascolari sono tra le prime cause di morbilità e mortalità tra le donne in Europa insieme al carcinoma mammario e alla depressione.

            Si legge nel rapporto: "A paragone con gli uomini le donne sono più frequentemente affette da depressione, fanno più frequentemente tentativi di suicidio ed autolesionismo, e sono al primo posto nel consumo di antidepressivi". Ancora: "Le più frequenti cause di morte sono dovute al cancro ed in particolare al cancro alla mammella, e a disturbi circolatori".

            Le ricerche sui rapporti tra fattori psico-sociali e le tre patologie indicate sono molteplici ma contraddittorie per il genere maschile, e tanto più per quello femminile che da minore tempo è oggetto di indagini mirate.

 

Tre sono i filoni principali della ricerca sui fattori psico-sociali:

- i life events ;

- le tipologie di personalità;

- le strategie di adattamento e gli schemi di reazione allo stress.

 

I life events:

sono costituiti da eventi oggettivamente gravi e non controllabili, o ad alto impatto emotivo, indagati e correlati con le patologie prese in esame in un arco di tempo che va dai 5 anni  ad un anno prima dell'insorgenza della patologia in  oggetto.

 

Le tipologie di personalità:

si incentrano sullo studio di due costrutti principali, il comportamento Tipo A e il comportamento Tipo B:

- il modello comportamentale di tipo A (Coronary-prone Behavior Pattern Type A)  è costituito da un insieme di comportamenti e stili di vita  che comprendono aggressività controllata, competitività, impazienza, la necessità di controllare il proprio ambiente, l'urgenza del tempo ovvero  la spinta  a fare più cose in un intervallo di tempo limitato (Rosenman e Friedman, 1983).

- il modello comportamentale di tipo B per converso si organizza intorno a tratti di tipo opposto: scarsa competitività, bassa ostilità, mancanza di urgenza del tempo.

 

Le strategie di adattamento:

comprendono modalità di reazione che vanno dall'atteggiamento di inermità e inadeguatezza, alla repressione, negazione ed evitamento delle emozioni, alla  iperattività ed espressività .

 

 

 

3.1       La depressione

 

            Gli studi sui  fattori di rischio psico-sociale nella depressione hanno esplorato prevalentemente l'area degli eventi di vita ed in particolare gli eventi di perdita affettiva.

            Sono stati più frequentemente associati alla depressione eventi di vita di particolare intensità emotiva, a carattere prevalentemente negativo (non desiderati) con scarso potere di controllo (senza possibilità di modifica) (Paykel et al., 1969).

            Questi eventi possono essere recenti o scatenanti (sei mesi, un anno prima della situazione depressiva) oppure remoti e predisponenti ad esempio in epoca infantile, come la morte di un genitore.

            Per quanto riguarda la depressione femminile i ricercatori concordano sugli eventi affettivi di perdita, separazione, contrasto. Gli eventi economici e lavorativi sono meno indagati o comunque non mostrano significativa associazione con la depressione. Citiamo uno studio che propone cinque fattori di rischio come risultato concordante di più ricerche sul tema:

- matrimonio infelice o scarsa confidenza con il partner;

- una storia familiare di depressione;

- la presenza in casa di 2-3 figli minori di 14 anni;

- la presenza in anamnesi di una separazione dei genitori prima dei  17 anni;

- la disoccupazione.

Di questi 5 fattori i primi due si sono ritrovati nella depressione sia endogena che non endogena, gli altri tre nella depressione non endogena (Roy, 1987).

            Una particolare attenzione merita lo studio del 1978 sui fattori di rischio nella depressione femminile "Social origins of depression " (Brown e Harris, 1978). Questo studio propone un modello eziologico della depressione che ha le sue radice nel sociale. L'evento ultimo improvviso ha un impatto depressivo solo se la persona non ha al suo attivo fattori di protezione che la rendano non vulnerabile o scarsamente vulnerabile all'evento.

            Fattori di vulnerabilità sono la presenza in casa di più figli minori, la mancanza di confidenza con il partner, la mancanza di un lavoro esterno. Incide sulla gravità della forma depressiva un evento luttuoso in epoca infantile come la perdita della madre (Brown e Harris, 1978).

            Molti studi riscontrano un'associazione tra disfunzione coniugale e sintomi di depressione, specialmente nelle donne. Studi epidemiologici in coppie con difficoltà coniugali rilevano che i sintomi di depressione si presentano nelle donne in una percentuale doppia rispetto agli uomini. Infine le donne attribuiscono maggiormente a se stesse la responsabilità delle relazioni disfunzionali (Heim e Snyder, 1991).

            Altri studi pongono l'accento sul tipo di personalità che si associa alla depressione e indagano in questa direzione. Il tipo di personalità è quello tendenzialmente passivo, scarsamente reattivo; questo tipo di persona, associato in genere ai caratteri del ruolo femminile, più facilmente di altri tende a porsi nella risposta all'evento stressante come rinunciatario ed  in una situazione di inermità.

            Il comportamento rinunciatario, spesso associato ad una percezione di non controllabilità dell'evento o alla percezione di incapacità soggettiva, apre la strada a ricerche che valutano l'impatto di caratteristiche psicologiche come il livello della stima di sè. La bassa stima di sè é frequentemente associata alla depressione; essa costituisce il fattore che, nella vita quotidiana, induce nelle donne sia una rappresentazione di sè come persona scarsamente potente e capace, sia  frequenti  vissuti di colpa.

            In molte ricerche che riguardano la depressione troviamo nelle donne la  significativa associazione tra basso livello di autostima e relazioni interpersonali deteriorate ( Miller et al., 1989).

            Così in ricerche sull'associazione tra livello di  autostima, relazioni di confidenza, concetto di sè ed esperienze stressanti, le donne hanno riferito maggiore stress riguardo alle relazioni familiari. Le donne inoltre riferiscono sotto stress più sintomi di ansia e depressione rispetto agli uomini, e più facilmente esprimono la propria rabbia ed i propri sentimenti. Gli uomini al contrario mostrano maggiore reattività in risposta allo stress (Zuckerman, 1989).

            Un'alta autostima e una buona rete relazionale che comprenda un rapporto di confidenza con il partner sono individuati concordemente come fattori di protezione (Brown et al., 1986).

            Sul versante del lavoro familiare e della mancanza di supporti troviamo molti studi concordanti nell'individuare il collegamento tra: ruolo sociale, carico di lavoro familiare (erogazione delle funzioni di cura), scarsa possibilità di ricevere sostegno e maggiore possibilità di sperimentare stati di ansia e depressione come sintomi più frequenti di stress (Mallinckrodt e Leong, 1992;  Piechowski, 1992;  Reifman  et al., 1991).

            Molti ricercatori, e soprattutto ricercatrici individuano il ruolo materno come fattore di rischio principale per la depressione.

            L'analisi del lavoro materno e delle sue caratteristiche (responsabilità, aspettative, modelli, fatica, dipendenza dalla soddisfazione delle esigenze altrui, ecc.) può costituire la riflessione centrale sui fattori di rischio per le donne (Reale, 1989).

            "Ancora oggi le donne pagano un prezzo altissimo diventando madri: per quanto riguarda la  loro integrità fisica, il loro benessere psicologico, e la loro posizione sociale" (Romito, 1992).

 

 

3.2       Il carcinoma mammario

 

            Anche per il carcinoma mammario gli studi sono polarizzati sugli eventi stressanti, sul tipo di personalità e sugli schemi di reazione allo stress.

Tra gli eventi  sono stati individuati eventi ad alto contenuto emotivo, di grave intensità correlati a fattori  di perdita affettiva.

            Il tipo di personalità è tendenzialmente depressivo, rinunciatario; i meccanismi di reazione sono improntati al controllo delle reazioni emozionali e all'adattamento sociale. Repressione degli stati emotivi, uso della rimozione e negazione come meccanismi di difesa; reazione depressiva e di inermità di fronte agli eventi stressanti. Questi tipi di comportamento configurano complessivamente rispetto allo stress e all'evento stressante una inibizione cronica della reazione.

            Gli studi di personalità in questo campo della patologia tumorale hanno identificato  come personalità a rischio una tipologia contrapposta al "Tipo A" che è più frequentemente correlato con la patologia coronarica. Questa  personalità di "Tipo C" è caratterizzata da atteggiamenti e comportamenti di accondiscendenza, pazienza, passività, scarsa espressione della rabbia. I risultati sulla correlazione di questo tipo di personalità con la patologia tumorale sono difformi: alcuni danno come esito l'esistenza di tale correlazione, altri no.

            Biondi e Pancheri (1988), sottolineano nella relazione tra stress e cancro l'alta incidenza di eventi di perdita. Definiscono anche gli stili di comportamento a rischio di patologia tumorale: repressione degli stati emotivi, uso della rimozione e negazione come meccanismi di difesa; reazione depressiva e di inermità di fronte agli eventi stressanti. Questi tipi di comportamento si configurano complessivamente, rispetto allo stress e all'evento stressante, come una inibizione cronica della reazione.

            In alcuni studi controllati sull'associazione del carcinoma mammario con fattori psico-sociali abbiamo individuato i fattori di rischio su cui vi è maggiore concordanza tra ricercatori:

- maggiore incidenza di eventi stressanti severi e acuti (Conti  et al., 1981; Forsèn, 1991;  Geyer, 1991);

- minori caratteristiche di tipo A, maggiore repressione emozionale (Cooper e Farangher, 1989 );

- maggiore repressione della rabbia e adeguamento alla norma sociale (Brèmond, 1986);

- maggiore depressione, minore aggressività espressa, maggiore mascheramento emozionale ( Jansen e Muenz, 1984);

- minore ansia, meccanismi di difesa del tipo rimozione e diniego (Biondi et al., 1981).

            Citiamo in dettaglio due studi  italiani e uno studio inglese su pazienti affette da carcinoma mammario.

            Nel primo studio (Grassi et al., 1988) non trovano conferma le associazioni tra tumore alla mammella ed eventi stressanti (definiti secondo la scala di Paykel). Nè trovano conferma le associazioni tra tumore e scarsi supporti sociali, sebbene le pazienti con il tumore facciano registrare più eventi stressanti e minori supporti. L'associazione che lo studio mette in rilievo è tra tumore e tipo di personalità. Viene in questo studio analizzata in modo approfondito la personalità di tipo C. Il "Tipo C" (Cancer-prone personality)  si caratterizza per lo stile di comportamento repressivo (repressive coping style) e per la marcata tendenza al controllo emozionale.

In particolare lo studio di Grassi ha evidenziato tra le emozioni il ruolo significativo della rabbia e la sua non espressione.

            Nel secondo studio (Biondi et al., 1988) viene sottolineato che i soggetti con carcinoma mammario presentano più alti valori nella scala della depressione del MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) e coping styles prevalenti di tipo rimozione - diniego nell'affrontare situazioni di conflitto.

            Nel terzo studio (Cooper e Faragher, 1993), che si basa su un campione molto ampio di soggetti (2163 donne di cui 171 con tumore alla mammella, 155 con cisti mammaria, 1110 con neoplasia benigna, 727 sane) i ricercatori individuano una netta demarcazione tra le donne con tumore e le altre. Le donne che hanno sperimentato un evento di perdita di grave intensità stressante presentano un rischio significativamente aumentato di ricevere una diagnosi di patologia maligna rispetto a tutte le altre pazienti del campione. Il rischio è ulteriormente aumentato se la donna risulta fare uso di strategie di adattamento basate sulla negazione e l'evitamento. La personalità investigata è quella di "Tipo B", antitetica al "Tipo A" caratterizzato da un alto rischio di malattia coronarica. La tendenza ad esprimere la propria rabbia è risultata essere fattore protettivo rispetto alla comparsa di patologia neoplastica, così come l'elevata autostima.

            Infine vogliamo sottolineare come vi sia una tendenza nei ricercatori ad associare tra di loro depressione e patologia tumorale, e ad investigare in questa direzione sia attraverso i tratti di personalità comuni, sia attraverso gli eventi di perdita affettiva tipici anche della patologia depressiva.

            Questa linea di tendenza della ricerca (associazione della patologia neoplastica con tratti depressivi di personalità) non è confermata da altri studi prospettivi e retroprospettivi. In questi studi su ampi campioni sani seguiti per un periodo di tempo non si è riscontrata una associazione significativa tra personalità di tipo depressivo e morbilità e mortalità per cancro.

            Uno studio retroprospettivo di 22 anni condotto su 3000 soggetti sani ha addirittura individuato un'associazione positiva tra personalità di tipo A e morbilità per cancro (Ragland et al., 1992).

            Alcuni studi che confrontano la patologia tumorale in genere e la patologia  coronarica (Eysenck, 1988, 1990), individuano una correlazione più  stretta tra cancro e sentimenti di disperazione/impotenza/depressione come reazione allo stress; mentre  correlano la collera e l'eccitazione con la malattia coronarica. Tipi invece più lontani da queste due modalità di reazione allo stress sembrano essere meno soggetti a queste due patologie.

            Su questo confronto alcuni ricercatori hanno indagato la significatività del fattore ostilità. I risultati raggiunti dimostrano che il fattore ostilità è contenuto in maniera significativa nei tratti comportamentali sia dei pazienti affetti da carcinoma che dei pazienti affetti da coronaropatia (Weekes e Waterhouse, 1991).

 

 

3.3       Le malattie cardio-vascolari

 

            Faremo riferimento, per quanto riguarda i disturbi cardiovascolari e circolatori, alla ipertensione arteriosa e alle cardiopatie ischemiche dovute ad arteriosclerosi coronarica (angina pectoris, infarto del miocardio, e morte improvvisa coronarica).

            Molteplici sono i  motivi di connessione tra queste due patologie. L'ipertensione arteriosa può essere considerata una patologia a sè stante, ma anche come un fattore patologico predisponente o precipitante la cardiopatia ischemica.

            Gli studi sui fattori di rischio psico-sociale hanno spesso dato risultanze sovrapponibili soprattutto per quanto riguarda il tipo di personalità.

            Gli studi sui life events si sovrappongono per quanto riguarda lo stress cronico, soprattutto nell'ambito lavorativo; divergono per quanto riguarda gli eventi negativi acuti  (ad esempio eventi di perdita affettiva) che risultano tipicamente associati all'infarto del miocardio con esito letale. In questo ambito sono stati svolti studi su soggetti con recente vedovanza per valutare la presenza di un  rischio più elevato di morte per broken heart  (Parkers et al. , 1969).

            Se nello studio dei fattori di rischio psico-sociale le due patologie risultano simili, la ricerca ha inevitabilmente binari diversi. L'importanza di una diagnosi precoce di ipertensione, mirata a ridurre con una terapia adeguata e tempestiva la morbilità e la mortalità associate, con la sua relativa facile accessibilità (costi economici, psicologici e fisici minimi) pone la ricerca di questa patologia al centro di massicci programmi di massa di screening  e prevenzione (Jones et al., 1987). Le patologie coronariche sono di più difficile accertabilità prima che si manifesti un evento ischemico: la prevenzione in questo campo è affidata a campagne indirette di informazione dei fattori di rischio più frequentemente associati, o a controllo diretto di fattori associati e predisponenti come l'ipertensione arteriosa anche di grado lieve: "...Il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare sale con il salire dei livelli della pressione arteriosa" (OMS/ISH, 1993).

            Nel Framingham Study  l'incidenza della cardiopatia ischemica negli uomini di media età con valori pressori superiori a 160/95 millibar, era cinque volte maggiore rispetto a soggetti normotesi (con valori pressori uguali o minori a 140/90) (Haynes  et al., 1978).

            Gli studi sulla modifica della  pressione arteriosa rientrano in molte ricerche di laboratorio che hanno come oggetto la valutazione dell'intensità di vari tipi di stress: da quello fisico a quello psichico. Infatti  tra le modifiche funzionali cardiocircolatorie che si verificano nella situazione di stress ed in particolare nello stress acuto, troviamo sia l'aumento della pressione arteriosa che l'aumento della gittata sistolica (Pancheri, I984).

            Nei soggetti normotesi infatti l'elevazione della pressione arteriosa è uno dei correlati tipici del fronteggiamento della situazione di stress.

            La differenza essenziale tra soggetti normotesi e ipertesi sta nel fatto che gli ipertesi hanno difficoltà a ritornare, dopo lo sforzo tollerato, ai valori pressori di base. Gli ipertesi inoltre dimostrano una maggiore reattività cardiovascolare agli stressors (Bohlin et al., 1986).

            Molte sono le ricerche di laboratorio che hanno avuto come oggetto il rapporto tra pressione arteriosa e variabilità emozionale, poche invece le ricerche nell'ambito della vita quotidiana. Tra queste ultime segnaliamo: "The influence of happiness, anger and anxiety on the blood pressure of borderline hypertensives" (James et al., 1986). I soggetti indagati facevano rilevare un aumento significativo della pressione sia sistolica che diastolica per l'ansia e l'ira, e non per la felicità; i valori pressori erano poi più elevati nel "fuori casa". Il fuori casa è associato nella ricerca alla condizione di lavoro che viene vista come luogo di maggiore scatenamento delle emozioni negative. In questa ricerca non vi è riferimento alla differenza dei soggetti rispetto al genere.

            Nel campo degli studi sui fattori di rischio psico-sociale ampio spazio ha trovato l'associazione tra  tipo A e patologia coronarica ed ipertensiva.

            Per la patologia coronarica le ricerche si focalizzano maggiormente sulla  personalità di tipo A, per l'ipertensione le ricerche sono maggiormente centrate sulla così detta sindrome ORA - ostilità, rabbia, ansia - (Pancheri, 1988).

            Molti studi hanno dimostrato l'associazione altamente significativa tra Tipo A (Type A Behaviour Pattern ), patologie coronariche e ipertensione (Rosenman e Friedman, 1983).

            Analisi più dettagliate delle singole caratteristiche del Tipo A hanno portato alla luce la significatività di alcuni tratti rispetto ad altri: tra tutti emergono l'ostilità e la rabbia repressa come fattore di rischio maggiormente associato alla patologia coronarica e alla ipertensione.

            La competitività e l'ostilità per Rosenman (1985) definiscono più precisamente i soggetti di "Tipo A" che hanno maggiori probabilità di andare incontro ad un evento coronarico.

            Potential for hostility  e anger in  (ostilità potenziale e soppressione della rabbia) costituiscono per MacDougall (1985) fattori associati nel potenziamento della predisposizione a disturbi cardiaci.

            Il Tipo A, rispetto al Tipo B, ha una tendenza ad un più pronto aumento dei valori pressori  e della frequenza cardiaca con un più lento ritorno ai valori basali (Pancheri, 1988). Un più elevato aumento riguarda sia la pressione sistolica che diastolica in situazioni stressanti sperimentali di tipo essenzialmente competitivo. In particolare i soggetti con tale pattern di personalità mostrano sul piano cardiovascolare una maggiore reattività ad eventi e situazioni stressanti di varia natura con maggiore elevazione della pressione  arteriosa (Pancheri, 1988).

            Come l'associazione tra tipo A e malattie cardiovascolari è ben documentata da molteplici studi, così è ben documentata l'associazione tra malattie ipertensive e sindrome ORA.

            Numerosi studi trasversali condotti su pazienti ipertesi, e studi di carattere longitudinale condotti su soggetti normali che successivamente hanno sviluppato una malattia ipertensiva, hanno dimostrato che la tendenza a sopprimere le manifestazioni esterne della propria ostilità e della propria rabbia si associa ad un maggior rischio di ipertensione essenziale (Biondi e Reda, 1984). L'aumento di pressione sistolica che si osserva in situazioni sperimentali frustranti, tende ad essere più elevato e più persistente nel tempo se viene impedita la manifestazione aperta dell'aggressività (Biondi, M; Reda, G., 1984).

            Ampi studi su soggetti giovani hanno confermato la correlazione tra soppressione/inibizione dei comportamenti aggressivi e alti valori di pressione arteriosa. I soggetti   che in un test di autovalutazione della rabbia, mostrano di riuscire ad esprimere in modo aperto comportamenti aggressivi, hanno infatti valori pressori più bassi dei soggetti che tendono a iper-controllare e a volgere all'interno la propria aggressività (Spielberger  et al., 1985).

            Tra gli studi che hanno approfondito il costrutto comportamentale di Tipo A segnaliamo alcuni da cui emergono differenze tra i sottogruppi di soggetti con ipertensione, angina pectoris ed infarto del miocardio (Floderus, 1974; Slaby et al., 1981; Bonaguidi et al., 1990).

            L'ipotesi è che angina ed ipertensione caratterizzino soggetti tendenti maggiormente all'introversione (autopunitività, cautela, dipendenza); l'infarto differenzi i soggetti tendenti maggiormente all'estroversione (orientati a rispondere agli stimoli del mondo esterno più che a quelli del mondo interno).

            Per Pancheri (1988) l'identikit del soggetto a maggior rischio psico-sociale è di sesso maschile, con personalità di tipo A, con un recente stress esistenziale acuto o cronico, del tipo lavorativo, aggravato da eventi di perdita, e con basso supporto sociale (solitudine, mancanza di persona su cui contare, ecc.).

            Come si è già avuto modo di osservare, i soggetti presi in esame sono essenzialmente di sesso maschile; pochi gli studi sulle donne, e tagliati sui parametri maschili  come il "Framingham Study " per il rischio coronarico femminile (Haynes et al., 1980).

            Le malattie coronariche e le malattie ipertensive sono più diffuse tra gli uomini, anche se si riscontra un loro aumento tra il sesso femminile nelle società industrializzate. Tale aumento è interpretato alla luce di un più ampio ingresso delle donne nel mondo del lavoro che è considerato il maggiore responsabile delle cardiopatie ischemiche. L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro è responsabile anche di una maggiore diffusione del pattern Tipo A. Gli studi individuano un maggior coinvolgimento delle donne nelle malattie coronariche man mano che le abitudini di vita tra i due sessi si avvicinano, e principalmente in relazione alla competizione presente nel mondo del lavoro produttivo.

            Segnaliamo due studi che si sono occupati di ipertensione in giovani donne. I risultati sulla connessione tra ipertensione e stati emotivi hanno messo in evidenza anche per le donne, l'associazione significativa tra maggiori livelli della pressione sia sistolica che diastolica e la repressione dei sentimenti d'ira (Johnson  et al., 1987).

            In un altro studio risultano le differenze tra uomini e donne con  una storia di genitori ipertesi: gli uomini derivano una maggiore iper-reattività della pressione di base combinata con l'essere di maggior peso corporeo; le donne derivano la maggiore iper-reattività pressoria combinata con stati emotivi più generali ( Russo e  Zuckerman, 1992).

            Diverse ricerche sui soggetti femminili riportano le medesime associazioni  presenti negli studi sugli uomini, quando siano controllate le variabili socio-economiche: cioé: maggiore reattività cardiovascolare, maggiori valori pressori e Tipo A di personalità, aggressività e competizione, orientamento al ruolo maschile (Warwick et al., 1988; Baker  et al., 1984; Greenglass et al., 1991).

            Nelle patologie cardio-vascolari gli eventi stressanti più frequentemente correlati  sono legati al carico di lavoro e responsabilità ed in particolare ad una esposizione al sovraccarico; sono infatti gli eventi collegati alla vita lavorativa ad essere maggiormente correlati con disturbi coronarici e ipertensivi.

            Eventi importanti sono: la perdita di prestigio, un fallimento, una bancarotta, difficoltà finanziarie, o più in generale situazioni stressanti  caratterizzate da frustrazione, insoddisfazione protratta, conflitti con superiori e colleghi nell'ambiente di lavoro, periodi di sovraccarico acuto di lavoro.

            In particolare viene segnalata l'associazione tra sovraccarico lavorativo, bassa soddisfazione ed aumento delle responsabilità come elementi tra loro correlati che svolgono una funzione altamente stressante.

 

            Altri studi individuano la correlazione tra eventi di perdita ad alto impatto emotivo e l'infarto miocardico acuto. Gli eventi di vita negativi e non controllabili sono associati ad un aumento del rischio di cardiopatia ischemica con esito letale.

            Studi sulla depressione come fattore di rischio per la malattia coronarica non hanno fatto segnalare risultati significativi, se non per quanto riguarda la connessione attraverso gli eventi gravi di perdita che ritroviamo nelle reazioni sia depressive che cardiovascolari.

            Si segnalano studi sull'effetto moderatore dello stress da parte di supporti sociali. Anche nel campo delle patologie cardiovascolari il supporto sociale costituisce un fattore di protezione. Pancheri (1988) ipotizza che il supporto sociale attutisca in generale il peso degli eventi negativi (perdite, insuccessi, ecc.) costituendo un fattore di protezione per  diverse patologie.

            Per quanto riguarda il periodo di incubazione dello stress che porta ad un disturbo cardio-circolatorio sono stati  individuati periodi che vanno dai sei mesi ai 5 anni.

            Il lasso di tempo di sei mesi si correla in genere con gli eventi di perdita affettiva, il periodo più lungo con gli eventi di tipo lavorativo che coincidono con un accumulo graduale di stress.