Unità
Operativa CNR – USL Napoli
Servizio
donne di salute mentale
Responsabile:
dr. E. Reale
il percorso di Gina il percorso di Katy il percorso di Angela il percorso di Silvia
E.
REALE, F. FORMISANO, P. OREFICE**,
R. MOLLE *, V. SARDELLI *,
M. L. PEPE*, L. BELARDINI *, S.VENTURA*
*
Dal
gennaio 1981 al dicembre 1985 il gruppo di lavoro del Servizio di salute mentale
per le donne della USL di Napoli ha svolto un lavoro di decodifica e trattamento
del disturbo psichico, che ha riguardato 671 donne con patologie psichiatriche
diverse - 36,36% di nevrosi (d'ansia, isterica, fobico - ossessiva); 46,95% di depressione (quadri depressivi di ogni origine); 13,56% di
psicosi (dissociativa, confusionale, maniacale); 3,13% di sindromi
psico-organiche (cerebropatie, epilessie, vasculapatie, ecc.).
Le
donne che si rivolgono al Servizio sono rappresentative di tutte le fasce
sociali di cui si compone la popolazione del territorio: vi sono donne di ogni
età, di ogni livello culturale, lavoratrici o casalinghe.
Non
emergono così condizioni sociali più « ammalanti » di altre: le casalinghe
per esempio sono nella nostra utenza il 58,42% e le lavoratrici (suddivise in 82
impiegate, 47 lavoratrici precarie, 32 insegnanti, 15 operaie, 12 lavoratrici a
domicilio, 5 libere professioniste, 4 commercianti) sono il 29,36%; ma questo
rapporto apparentemente a svantaggio del casalingato, non è un dato
significativo perché esso rispetta la proporzione che tra casalinghe e
lavoratrici c'è nel territorio. Anzi bisogna di- re che il tasso di donne, così
detto, emancipato è in continuo aumento e tende a ribaltare la proporzione che
c'è nel territorio. Oltre le casalinghe e le lavoratrici vi sono anche una
percentuale di donne disoccupate in cerca di prima occupazione (2,38%), ed una
di studentesse (9,84%)
Ancora
un altro esempio che riguarda le fasce di età. Ogni età produce disagio perché
esso nella donna - si è più volte detto - è collegato, non ad una condizione
o ad un fattore determinato, ma all'esercizio del ruolo sociale femminile che
trova in ogni età i suoi carichi di lavoro e di responsabilità specifici.
Ecco,
a riprova di quanto il nostro gruppo argomenta sull'ipotesi di una correlazione
significativa tra disturbo psichico e ruolo sociale femminile nel suo complesso,
emerge dal nostro lavoro che le donne per così dire « più a rischio » sono
quelle delle fasce di età più implicate nell'esercizio del ruolo femminile (la
fascia 25-34 con la fascia soprastante: 35-44). Sono queste le età in cui una
donna, a prescindere dalla sua collocazione sociale e culturale, si trova ad
essere maggiormente bombardata di richieste, che
riguardano l'assunzione dei multiformi compiti del suo ruolo.
La
composizione variegata della nostra utenza ha rafforzato la ricerca e la
sperimentazione clinica di un metodo terapeutico unitario, che cioè potesse
avere validità in tutte le situazioni presentate dalla donna utente e che
potesse giungere a collegamenti dettagliati e specifici tra disagio e condizione
di ruolo.
L'approfondimento del metodo di intervento del Servizio ha costituito il
maggior impegno di questi ultimi cinque anni di lavoro. Questo lavoro è stato
condotto in collegamento con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche),
divenendo il gruppo Unità Operativa di ricerca sul tema del disagio femminile
all'interno Progetto Finalizzato "Medicina Preventiva e
Riabilitativa". Precedentemente aveva fatto parte di un altro progetto
finalizzato: «
Prevenzione Malattie Mentali ».
L'ipotesi
guida della nostra ricerca è l'esistenza di una correlazione tra specifiche
condizioni di esistenza delle donne, relative al proprio ruolo sociale, e il
disagio psichico. Uno dei caratteri salienti della nostra ricerca è il modo
di lavorare: gli strumenti usati ricerca rappresentano le modalità
d'intervento sul disagio; la verifica delle ipotesi è data dall'analisi degli
effetti dell'intervento; ed infine le ricercatrici sono quelle che conducono e
riflettono sul lavoro clinico all'interno del Servizio.
Altra
caratteristica importante nostra ricerca è la scelta del campo d'indagine: il
solo disagio femminile rispetto a quello generale. Tale scelta è stata determinata dal presupposto che se il disagio è in relazione alle condizioni
socio-culturali di chi ne è
portatore, non si può non tenere
conto delle diversità di condizione esistenti tra uomini e donne e del peso
quindi che tale diversità ha nella
produzione di un disagio specifico.
Un
altro motivo che ha determinato questa scelta
di campo è di tipo soggettivo
ed è rappresentato dalla identità di
ruolo che accomuna operatrici ed utenti, creando condizioni di omogeneità
tra soggetto ed oggetto della ricerca.
Ed
infine vi è, come ulteriore ragione di questa scelta, la constatazione
dell'entità del fenomeno: sono le donne che ammalano di più, che consumano di
più psicofarmaci, che maggiormente si rivolgono ad agenzie psichiatriche
pubbliche o private che siano.
In
questa sede ci preme delineare i
passi che il nostro lavoro pratico e teorico ha compiuto dopo i
primi anni.
L'esperienza
dei primi anni di ricerca ha
rappresentato il contenuto del
volume « Malattia mentale e ruolo
della donna».
La
ricerca è quindi proseguita con l'approfondimento
del percorso di ammalamento della
donna e con la creazione ed il perfezionamento
di strumenti di intervento capaci di analizzare questo percorso.
Il percorso è delineato nella pubblicazione
del CNR: « Manuale per l'intervento
sul disagio psichico della donna». Il manuale offre la presentazione
completa del modello operativo del
Servizio di Salute Mentale per la donna e dà una sistemazione organica agli
strumenti di intervento in modo che essi possano essere utilizzati da altri
operatori in realtà diverse dalla nostra.
Come
era già emerso nella prima fase ricerca l'elemento precursore del percorso di
ammalamento risulta essere la
percezione di incapacità.
Pertanto
i nostri sforzi sono stati tesi alla
costruzione di un metodo che riuscisse a far risaltare agli occhi della donna sofferente come i tentativi di induzione di incapacità da parte del contesto di vita costituissero il percorso antecedente e
preparatore di quello della
malattia.
Gli
strumenti, da noi coniati, adatti a
questo scopo sono: a) il protocollo di
rilevazione del quotidiano e della storia
personale; b) il protocollo di rilevazione della percezione di malattia[ii]
Il
quotidiano viene analizzato attraverso sei ambiti di applicazione del modello di
ruolo nel contesto socio-culturale di ciascuna donna: il lavoro familiare, il
lavoro extrafamiliare, l'attività di studio o di avviamento professionale, i
rapporti sociali/amicali, i rapporti sessuali, il tempo libero. Tali sfere
vengono analizzate nell'attualità e nel passato secondo lo schema cronologico
delle tappe biologiche: l'infanzia, l'adolescenza/menarca, il
matrimonio/maternità, la menopausa. Le tappe
biologiche rappresentano i momenti più
importanti di addestramento al ruolo
femminile: in essi infatti si verificano le maggiori spinte e pressioni
del contesto affinché la donna si adegui ai modelli giudicati più
convenienti socialmente.
Il
modello fondamentale verso cui la donna
è spinta è quello della maternità vista come funzione naturale. Questo
modello implica l'accantonamento delle esigenze personali a vantaggio di quelle
altrui (figli, marito, ecc.). Se questo è il modello fondamentale su cui si
giudicano le capacità o le incapacità della donna ad adeguarvisi, molto ampio
risulta essere il campo delle possibili inadempienze e deroghe: soddisfare le
richieste ed i bisogni altrui rischia di essere un compito impossibile.
L'impraticabilità di tale modello, cui per altro la donna è chiamata ad
uniformarsi, copre e mantiene la storica disuguaglianza tra uomo e donna, che
oggi da più parti si ritiene superata.
L'analisi dettagliata del quotidiano attraverso il protocollo
da noi elaborato serve invece a chiarire la reale posizione della donna rispetto
al suo contesto ambientale.
In esso si definiscono l'insieme delle richieste che
il contesto fa alla donna,
l'insieme dei carichi di lavoro e
responsabilità che la donna si assume nei riguardi del suo contesto, ed infine
l'insieme dei carichi e responsabiltà che desidererebbe o non desidererebbe
assumere nei confronti del contesto.
Dal
quadro complessivo delle richieste fatte alla donna e da quelle fatte alle altre
figure dominanti del suo contesto di vita emerge la sproporzione dei carichi che
la donna si assume e la limitazione degli spazi e degli interessi personali a
vantaggio degli interessi altrui.
La
sproporzione di questi carichi che la donna si assume - e che il contesto
richiede, in nome dell'adempimento di un ruolo naturale -, e la limitazione
degli spazi di interesse personale che ne deriva danno luogo ad una fase in cui
la donna percepisce la gravosità e l'insostenibilità della sua condizione di
vita. L'insostenibilità, come emerge in ogni storia di donna che viene al
Servizio, costituisce l'esperienza che precede e prepara la via della malattia.
Quando la donna vede restringersi lo spazio dei propri interessi; quando, avendo
cercato aiuto al contesto, si è sentita tacciata di incapacità a conformarsi
ad un ruolo «normale per ogni altra donna »; quando vede fallire, per questi
carichi e responsabilità assunti in nome di altri, il proprio progetto -
l'ultimo rimasto in campo a rappresentare le proprie capacità ed i propri
desideri - ecco che le rimane aperta un'unica strada: quella di attribuire, ciò
che le hanno fatto vivere come fallimento personale, ad una qualche patologia.
L'elemento
di passaggio dalla fase della insostenibilità a quella della malattia va
ricercato nell'assunzione completa da parte della donna del punto di vista del
contesto riguardo alla totale legittimità dei carichi di lavoro e di
responsabilità che le sono stati richiesti e che non sono stati soddisfatti.
Nella malattia, grazie a questa assunzione del punto di vista e degli interessi
del contesto, non si rende evidente più alcuna contrapposizione tra la donna ed
il contesto socio-familiare. Segno
di questo modo diverso di porsi nei confronti del contesto sono un
persistente senso di stanchezza, una mancanza di interessi e di
entusiasmo, una caduta di tono generale.
Le
ragioni di queste sensazioni spiacevoli diventano inspiegabili perché - con
l'assunzione del punto di vista del contesto - gli altri non sono più visti
come fonte di scontro e sofferenza. Se gli altri non hanno colpa, di chi la
colpa se non di questa incapacità che gli altri le hanno sempre attribuito? A
questo punto prende corpo l'idea di una propria patologia individuale, quale
unica spiegazione plausibile dell'incapacità ad essere come le altre donne
sono, ed a vivere senza i malesseri e le sensazioni strane.
Così l'attenzione viene concentrata sul proprio corpo
e sulla propria mente che, senz'altro, non funzionano come dovrebbero: al ritiro
progressivo dell'attenzione dal quotidiano come luogo di contrasti con il
contesto corrisponde la costruzione di una sempre più articolata sintomatologia
psico-fisica.
Dalla
percezione di una propria malattia inizia poi il percorso della cronicizzazione.
La conferma e la stabilizzazione di questa percezione dipenderà poi dalle
risposte che la donna riceve dai tecnici e dai servizi ai quali si rivolge per
« essere guarita ».
Il
processo di formazione della percezione di malattia si compone quindi una serie
di fasi (quattro) che schematicamente analizziamo qui di seguito, iniziando
dall'ultima fase (che è la prima dal punto di vista dell'intervento del
Servizio).
4° fase - la cronicizzazione (l) essa rappresenta lo specifico percorso della donna all'interno
dell'istituzione medica-psichiatrica a partire dal momento in cui si è
instaurato un vissuto soggettivo di patologia e disfunzionalità individuale.
3° fase - il percorso di ammalamento (0):
esso individua il percorso della donna dalla situazione di insostenibilità (O°°)
a quella della malattia (O°). Il percorso dall'una situazione all'altra è
caratterizzato dal cambiamento/ribaltamento del proprio punto di vista sulla
situazione di vita e di rapporto con il contesto. La percezione di malattia è
in questa fase ancora priva di una
codifica tecnica (essa si assume come conferma della propria percezione nel
percorso della cronicizzazione).
2° fase - la percezione di incapacità
antecedente al percorso dell'ammalamento
(r):
individua la formazione della percezione di incapacità conseguente a scontri e
contrapposizioni con il contesto, per l'affermazione delle esigenze, modi di
vedere, stili di vita personali, in una qualsiasi tappa della vita della donna
antecedente al percorso specifico dell'ammalamento. In questa fase si realizza
una assunzione da parte della donna dei giudizi svalutativi espressi dal
contesto senza però una rinuncia al proprio punto di vista e senza una
attribuzione di patologia a queste incapacità.
la 1° fase - la percezione di incapacità nella fase di addestramento
al ruolo. Formazione
del progetto di ruolo (D):
in questa fase si individua la percezione di incapacità che una donna ha
assunto relativamente agli scontri adolescenziali con il contesto familiare.
L'importanza di questa fase risiede nella formulazione del progetto di ruolo che
la donna mette in campo come dimostrazione delle proprie capacità negate. Lo
scontro con il contesto nell'età adolescenziale verte essenzialmente sui
progetti futuri: quando un determinato progetto risponde anche all'esigenza di
dimostrare le proprie capacità di riuscita esso si carica di aspettative
specifiche che ne renderanno difficile la modifica ed il ricambio in caso di
impraticabilità. La caduta
adolescenziale e l'impossibilità, per le quote dimostrative in esso
contenute, di trasformarlo sarà uno dei fattori che insieme agli altri aprirà alla
donna il percorso della malattia.
La
I° e la 2° fase
individuano un percorso che può essere rappresentato orizzontalmente: esso
definisce in fatti solo un processo di accumulo di dati, esperienze, giudizi che
man mano approfondiscono una percezione svalutata (ma non patologica) di sé che
è un potente fattore di rischio per la patologia psichica.
La
3° e la 4° fase
individuano invece un percorso che può essere rappresentato da una linea
contigua alla precedente ma posta in verticale: esso infatti sta a significare
il ribaltamento del punto di vista della persona sui dati e sulle esperienze
della propria vita in una direzione che è quella della attribuzione di malattia
alle proprie incapacità (segnalate dal contesto) e al fallimento del proprio
progetto (che si presenta generalmente rigido perchè contiene uno scopo
dimostrativo della propria capacità, e come tale non è flessibile e
difficilmente dà luogo a progetti di ricambio).
Analizzeremo
ora, attraverso la storia di alcune donne che si sono rivolte al nostro
Servizio, il percorso che dalla percezione di incapacità porta alla definizione
di un sé malato. I casi che presentiamo vengono esaminati in modo da rendere
ragione del percorso che ha condotto la donna attraverso i giudizi di incapacità
espressi dal con- testo a percepirsi malata ed a rivolgersi quindi ad un
servizio di tipo psichiatrico
L'intervento
del Servizio non viene in questa sede esplicitato; esso tuttavia è
sufficientemente rappresentato dalla ricostruzione del percorso di ammalamento
che è parte integrante del processo di « guarigione» ovvero di uscita
dall'ottica della malattia.
Per
quanto riguarda i percorsi finali di uscita dal malessere, si può consultare in
questo sito il protocollo di intervista all'utente con
l'esemplificazione di alcuni casi clinici.
Gina
è una ragazza di 19 anni, frequenta il Conservatorio.
l
Gina si rivolge
ad un amico psichiatra che le conferma la percezione soggettiva di un
collegamento tra malesseri fisici (insonnia, mal di testa, vomito, mancanza di
concentrazione) e disfunzionalità di origine psichica (senso di irrealtà, di
diversità, insoddisfazione); lo psichiatra, quindi, le consiglia di effettuare
una psicoterapia.
Il percorso dalla insostenibilità/immodificabilità
alla malattia
O°
Gina da circa sei mesi si percepisce debole, insoddisfatta, senza volontà,
né alcun desiderio, incapace di suonare il pianoforte, diversa rispetto ai suoi
coetanei, sofferente di insonnia, insicura su ciò che pensa e depressa perché
bloccata.
Accetta il punto di vista: a) dei genitori, che la considerano
poco intelligente, svogliata; b) del fidanzato, che la considera immatura,
complessata dal punto di vista sessuale.
Frequenta
il conservatorio senza interesse, lo vive come un peso, un dovere. Continua a
studiare il pianoforte con sforzi sempre più gravi, provando continui
malesseri.
E'
fallito un progetto (unico/ultimo), dimostrativo delle proprie capacità
rispetto alle aspettative dei familiari.
O°°
Il maestro di pianoforte che per otto anni (dagli undici ai diciotto anni) cura
la sua preparazione, sostiene il progetto dimostrativo delle sue capacità perché
le dà sicurezza (rispetto ai giudizi negativi dei genitori) e perché
rappresenta il modello di artista e di persona capace a cui lei aspira.
Il
maestro diventa parte integrante del progetto di vita di Gina quando egli le
rivolge « attenzioni » particolari che però la caricano di ulteriori
richieste: costruire una cultura universitaria (infatti ella si iscrive alla
facoltà di lettere moderne); studiare il pianoforte con ritmi pressanti;
isolarsi, di fatto, dalle amiche e dai « coetanei » che si interessano a lei.
Tali
richieste, da parte del maestro, vanno in qualche modo a coincidere con le
richieste dei genitori: studiare il pianoforte, non uscire con i ragazzi.
Il
maestro, improvvisamente, però, viene trasferito al conservatorio di un'altra
città. La ragazza vorrebbe andare con il maestro (dato che egli stesso esprime
tale richiesta ai familiari) ma i genitori ritengono che Gina sia «piccola» e
poi, in quanto donna, incapace di studiare, temono un possibile
"esaurimento".
Gina
improvvisamente sente cadere le sue certezze, si sente stanca; per i continui
mal di testa si rivolge ad un medico generico, amico di famiglia, che le
prescrive sedativi per la sua « cefalea nervosa ».
La
ragazza non prende i sedativi, abbandona l'università e pensa di risolvere il
problema del cambiamento interno, «sostituendo»
il maestro con un compagno di studi (portato ad esempio da studenti e docenti
per le sue doti artistiche) che le dia la stessa carica che le dava il maestro.
Ma
il fidanzato avanza delle richieste che Gina non può soddisfare ( perchè è
lei che si percepisce bisognosa di.....): dargli carica, supporto, sicurezza e
instaurare rapporti sessuali più soddisfacenti.
O°
E' a questo punto, che non ha altre risorse e che non si sente più in
grado di portare avanti il progetto del conservatorio, e che sis ente del tutto
incapace sia come professionista , sia come partner. Si rivolge
così all'aiuto del tecnico amico.
r
Gina a diciassette anni (due anni prima) « prova » a
fidanzarsi per due volte e sempre pensa di non riuscire ad « essere sé stessa
», ha paura di mostrare piacere o che i ragazzi si accorgano della sua
esperienza maturata in un precedente e precoce rapporto sessuale.
D
A quattordici anni instaura un legame affettivo con un cugino di nove
anni più grande di lei. E' curiosa, disinvolta, prova piacere nella relazione.
I genitori, però, scoprono questo legame, colpevolizzano la ragazza ed
effettuano su di lei un controllo più rigido.
Il
progetto che la ragazza sostiene come valido per sé, nella fase adolescenziale,
è molto articolato rispetto agli interessi e agli spazi personali.
Gina
è molto attiva, studia il pianoforte, pratica sport, è inserita in un gruppo
di coetanei, vuole divertirsi, conoscere, effettuare esperienze di vario genere,
comprese quelle sul piano affettivo/sessuale.
Infatti
Gina prova interesse per un cugino e per un periodo di circa due anni vive
questo legame in modo soddisfacente, gratificante; i genitori, però, non
giudicano «buono » l'atteggiamento «libero» della figlia, iniziano a
limitarne la libertà, materialmente (con chiusura in casa e percosse in caso di
ribellione) e psicologicamente (con giudizi negativi sul suo comportamento e
critiche sul suo operato).
Gina,
ora, prova insicurezza verso i ragazzi e, secondo le richieste materne (che la
vorrebbe « casalinga », seria, studiosa), si dedica prettamente allo studio
del pianoforte.
Rispetto
al progetto personale originario di Gina è avvenuta una prima riduzione di ciò
che lei riteneva portatore di benessere. Supera queste "difficoltà"
in quanto sostenuta dal maestro che diviene l'unica persona attestante la
capacità come persona e come studentessa; subisce anche le richieste eccessive
del maestro perché ormai dipende solo da tale figura il suo benessere.
Conclusioni del percorso
Una
volta venuto meno il referente del progetto, Gina percepisce insostenibile la
situazione, iniziano i malesseri, ma vuole ancora risolvere lo stato di cose cercando un nuovo sostenitore. Quando si accorge di non
riuscire a mantenere un rapporto affettivo «opprimente » (secondo i dettami
materni: « tanto tutti opprimono »), si sente confusa, non ha più desideri.
Non ha più la possibilità di
muoversi, si trova schiacciata
dalla «prova » della sua incapacità,:
incapacità a realizzarsi professionalmente come le sarebbe piaciuto (ma insieme
ad altro) e come esclusivamente volevano i genitori; incapace ad avere relazioni
sentimentali soddisfacenti (come un tempo sembrava saper fare, ed ora non più).
A questo punto il distacco dalle cose quotidiane troppo penose e si ritrova a
provare sensazioni che la portano a percepirsi malata.
Katy è una ragazza di 21 anni iscritta al terzo
anno di Giurisprudenza.
E'
originaria della provincia di Avellino e durante i corsi universitari vive a Na-
poli in un appartamento che divide con
la sorella ed un'amica.
l
Si è rivolta al
neurologo nell'ottobre poiché soffriva di forti emicranie e vertigini. Katy
temeva di avere una malattia grave. Il medico non riscontra alcuna patologia a
livello organico, ma le fà una precisa diagnosi (emicrania endogena depressiva)
che le conferma una malattia di origine psichica.
Il passaggio dalla insostenibilità/immodificabilità alla malattia
O°
Quando Katy viene al Servizio in dicembre (due mesi dopo) riferisce un
senso di inutilità nello studio, non riesce più a concentrarsi come un tempo,
la sua capacità nello studio è vissuta come un peso e non ricorda più alcun progetto. Si definisce « introversa »,
« timida », «chiusa » e a causa di ciò è convinta di apparire antipatica
per cui si sente molto a disagio tra i ragazzi della sua età. Inoltre nella sua vita c'è molto poco e tra l'altro non ha mai avuto una relazione affettiva.
Secondo
Katy è iniziato tutto nell'agosto di quell'anno dopo uno svenimento che
non ha trovato alcuna spiegazione oggettiva e che è considerato dalla
paziente una prova di uno stato patologico in atto. Inizia da quel momento una
lunga e penosa riflessione sul suo corpo e
sulle sue capacità. Katy non avverte più alcun desiderio, sente solo
attorno a sé un senso di vuoto e
di morte.
Rinuncia
anche ad andare a Napoli per i corsi del secondo anno. Aderisce completamente al
giudizio di incapacità espresso
dal contesto familiare e amicale e lo studio non veicola più esigenze
personali.
O°°
Nel luglio precedente Katy rientra da Napoli. Ripensa ai contenuti e
significati della sua permanenza a Napoli, che era molto importante per lei. E'
molto triste, ha poca voglia di uscire. Parte
con i genitori per la villeggiatura ma senza entusiasmo. Quelle poche volte che
esce con un gruppo di ragazzi del
suo paese non riesce ad aggregarsi a loro. Le lamentele familiari
sul suo umore aumentano e Katy non sa
più darsi ragione del suo disagio e della
sua tristezza.
I motivi contestuali del suo malessere diventano sempre più
sfocati e si delinea la « diversità » come figura predominante.
Nel
novembre dell'anno precedente era partita dal paese con un progetto di evasione.
L'inizio degli studi universitari è stato pensato come un terreno
fertile per realizzare i suoi
interessi: intraprendere un'attività in cui potesse esprimere il meglio di sé,
scegliersi nuove amicizie e sperimentare il piacere di
una relazione sentimentale.
Katy
riesce a sostenere due esami con un buon profitto, ma non ha avuto modo di
scegliersi delle amicizie, si è solo adeguata alle amicizie della sorella,
rappresentative di un ambiente socio-culturale
nel quale lei non si è mai
ritrovata, inoltre non sente di essere stata «capace » di conoscere un ragazzo
che le interessava.
Il
soggiorno infruttuoso a Napoli è considerato da Katy una prova della sua
incapacità ad avere relazioni sociali ed affettive, quindi aderisce al giudizio
materno secondo il quale l'essere «
introversa » non le gioverà mai.
Katy
percepisce il peso del modello comportamentale e caratteriale della so-
rella che è considerato legittimo e giusto dalla madre. Anche la sua
capacità di studio è stata
svuotata di significato. La madre la utilizza per controllare il rendimento
degli altri figli. Per quest'ultima
essere capace nello studio significa
accelerare i tempi della laurea che è considerata solo un titolo da
conservare, poiché il suo progetto per
Katy è il matrimonio. Anche le amiche, che non hanno altre aspettative
se non quella del matrimonio, ritengono l'essere « sgobbona » una
incapacità a stare nel sociale. E così le sue
abilità intellettuali appaiono un peso
e uno svantaggio o per lo meno inutili.
Il
progetto personale viene percepito come fallimentare. Lo studio in un'altra città
non è servito a crearle un ambiente amicale diverso ( come lei avrebbe voluto),
nè a darle un rapporto sentimentale (come voleva la madre).
Katy
sente che non ci sono possibili alternative a questo stato di cose. Questo
progetto ( andar via nella città) era
stato messo in campo da Katynell'estate dell'anno precedente in seguito ad uno
scontro con il gruppo amicale.
La
maturità classica, superata con un buon esito da Katy, era stata commentata con
molto sarcasmo dal gruppo amicale, che la considerava "sgobbona e
asociale".
Anche
nell'ambito familiare Katy percepisce il peso dell'atteggiamento protettivo e di
controllo della madre che le invia i soliti messaggi di incapacità nel
destreggiarsi all'esterno.
E'
questa una situazione insostenibile che le procura un malessere (insonnia) non
vissuto come patologia ma come esito di una contrapposizione di modi di vedere e
sentire diversi.
Katy
individua questa contrapposizione
tra lei e il contesto di vita (familiare ed extra-familiare) e pensa di superarlo con l'evasione dal paese.
La fase adolescenziale ed il primo progetto
D
Il
primo progetto di Katy, all'età di 13-14 anni, aveva lo scopo di contestare la
mentalità del suo paese scrivendo - sul giornale della F.G.C.I. - articoli
d'avanguardia sulla donna, sulle condizioni dei giovani e sui possibili
cambiamenti all'interno del suo paese. Poi l'atteggiamento di censura dei
genitori su tale attività, le critiche del paese sui contenuti dei suoi scritti
e le critiche dei ragazzi della stessa F.G.C.I., la distolsero da questo
impegno. Venuto meno il sostegno del gruppo di riferimento alternativo alla
famiglia, Katy sposta la realizzazione del suo progetto dal paese alla città e
comincia a pensare di realizzarsi solo lasciando il paese.
In
questa occasione pur essendo presente il dubbio sulle sue capacità di
rapportarsi, istillato dal giudizio materno, Katy non addossa su di sé la
responsabilità di quanto accaduto, ma alle condizioni di arretratezza del
paese. Il progetto di cambiamento e di realizzazione si sposta nel tempo e nello
spazio (dopo la scuola e nella grande città) ma si presenta come ultima
possibilità per dimostrare le proprie capacità.
Negli
scontri con la madre, nel periodo scolastico, lei si prospetta come donna
impegnata nel mondo del lavoro e sociale che non considera il matrimonio come
unica possibilità di realizzazione della donna. Questo modello è in forte
contrasto con quello materno della casalinga, considerato legittimo. Ecco che vi
è un grosso incoraggiamento della madre per le attività inerenti il modello
della casalinga con giudizi di incapacità laddove non riesce, e uno
scoraggiamento per quelle attività inerenti il modello che pro- pone la figlia.
Katy
che professa apertamente le sue idee di dissenso dalla logica familiare è
tenuta maggiormente sotto controllo dalla madre. Quest'ultima giustifica la
necessità del controllo-protezione con la rappresentazione di Katy come persona
ingenua e troppo fiduciosa negli altri, incapace pertanto di difendersi.
La
madre tende a mostrare e a far vivere alla figlia i suoi progetti di apertura
sul mondo e di deroga dal tradizionale modo di concepire il ruolo femminile come
"pericolosi". La madre tende, inoltre, a far leggere a Katy le
difficoltà che si incontrano nei rapporti con il mondo esterno e le piccole
disavventure di ogni giorno come sua incapacità a stare con gli altri e a
stabilire giusti rapporti sociali.
Conclusioni sul percorso
Katy
per un poco riesce a sostenere il proprio progetto di autonomia dagli schemi
materni e familiari, ma quando il progetto ultimo cui aveva affidato la riuscita
delle proprie idee (venire a Napoli e stabilire nuove relazioni sociali, ed un
primo rapporto affettivo- sentimentale) non le riesce ecco che Katy inizia il
percorso che dall'analisi e dalla condivisione del giudizio di incapacità la
porta ad interrogarsi su questa incapacità come frutto di malesseri fisici o
psichici, come chiaramente succede a partire dall'episodio
dello svenimento.
Se
fallimento ci è stato ciò è dipeso dal
fatto che l'iter precedente è stato
punteggiato da perdite parziali del
proprio progetto a favore dei consigli e del modello materno. Katy, pur non condividendo ciò che la madre pensa, tuttavia è guardinga nei rapporti, non esprime molto
i propri sentimenti, non prende iniziative con gli altri e in particolare con i ragazzi, si
affida di più al giudizio della sorella
- considerata dalla madre più capace - nella scelta degli amici.
Inoltre
pur essendo considerata dalla madre "più incapace" degli altri figli,
è su Katy che la madre fa affidamento per controllare i fratelli all'Università.
Così Katy si trova a portare un progetto avanti, con quote di responsabilità
maggiori degli altri fratelli: sul piano materiale porta il peso dei compiti che
la madre le ha affidato (controllare il rendimento degli altri fratelli
all'Università) , sul piano psicologico porta il peso di dover mostrare che è
capace di rapporti sociali lontano dal paese, e soprattutto, secondo le
intenzioni della madre, che è
capace di trovare un "fidanzato". Questa situazione duplice di
sovraccarico le imopediscono di fare esperienze concrete di relazione e
soprattutto di sperimentare modalità personali di stare insieme agli altri.
In
sintesi prima di considerarsi malata e di perdere ogni desiderio riguardo alla
realizzazione dei propri interessi esperisce ancora un progetto
ma in questo mostra di non avere gli strumenti adatti ai suoi scopi.
Angela
è una donna di 32 anni, casalinga, sposata, da circa 12 anni con
un uomo che è impiegato; ha 3 figli.
Si
rivolge al Servizio su un'indicazione di un'altra utente. Precedentemente è
stata in cura da vari neurologi e psichiatri.
Quando
viene per la prima volta al Servizio Angela riferisce come problema il sentirsi
una persona "anormale, esaurita, tarata". Ha costantemente una
sensazione di angoscia che le comporta
dolore allo stomaco e mal di testa.
Da
2 anni segue una terapia farmacologica con antidepressivi ed ansiolitici.
L'intervento del S.D. è consistito principalmente
sul restituire un significato a comportamenti, fantasie, azioni dismesse da
tempo da Angela a vantaggio di quelli sostenuti dal contesto familiare, in
particolare dalla madre.
Nel
lavoro di ricostruzione alla ricerca di comportamenti, interessi, fantasie
accantonati ormai da tempo, Angela ha percorso le seguenti tappe:
a)
storia della incapacità;
b)
primi scontri adolescenziali;
e)
malattia;
d)
insostenibilità.
In
una determinata fase della sua vita, Angela, per come è stato socialmente congegnato il suo ruolo, ha sentito la impossibilità
di far fronte a determinate richieste provenienti dal contesto
familiare e ciò ha indotto in lei, inadempiente - rispetto a queste
richieste - una percezione di incapacità.
Questa
incapacità ha a sua volta messo in moto un percorso soggettivo di
costruzione di malattia come percezione di una propria disfunzionalità
psichica: Angela nei colloqui afferma: « Sono diversa, ho le fissazioni!».
Il percorso dall'adolescenza alla percezione di incapacità
r
L'intervento terapeutico ha tentato di ricostruire
tutte le tappe del quotidiano di A. (sia attuale che storico)
attraverso cui si è formata la sua percezione di incapacità prima di
giungere alal tappa della percezione di malattia.
-
All'età di 8 anni A. soffre di « fissazioni » (così definisce ora il
problema di quell'epoca): odia il padre, desidera la sua morte anche se piange
per questo. Viene portata dal neurologo.
-
A 10 anni, le ritornano le « fissazioni »; odia i santi ed è impegnata
solo a pensare questo. La
madre le fa ricevere il sacramento della comunione.
In
questo periodo A. si masturba. Lo
dice alla madre e la madre allarmata la accompagna dal ginecologo
per sincerarsi, se è ancora vergine.
-
A 12 anni, le ritornano le « fissazioni »; tutte le parolacce che sente le riferisce a Dio. Viene portata da una zia al Duomo come una sorta di esorcismo.
Incomincia a farsi strada in A. la percezione
di incapacità, incapace ad essere
una buona figlia. La madre in quegli anni, aiuta economicamente il marito
eseguendo lavoro nero in casa; A. aiuta la madre
in questo lavoro supportandola là dove il padre è assente.
-
A 14 anni, dopo la licenza media, per
aiutare economicamente i genitori A.
lavora come commessa; mentre la sorella
diabetica, prediletta dalla madre e di 5 anni più grande di lei rimane in casa.
Durante questa tappa adolescenziale - e precedentemente in quella
pre-adolescenziale - si verifica una responsabilizzazione precoce di A. nel
senso di un maggior carico di responsabilità in sostituzione della
madre. La ragazza si assume il
compito - richiestole - di portare i soldi in casa per
alleggerire il lavoro della madre. Ma
non è consapevole di lavorare per altri: la madre così come gli altri
familiari non le riconoscono l'aiuto fondamentale che dà in casa. Al contrario
la sorella è considerata maggiormente
perché sta in casa e ciò la fa risultare
come l'unica figlia che aiuta la madre.
A questo punto Angela si sente sempre più incapace ad essere una buona figlia, e non avendo riconoscimenti per il lavoro esterno che pure è fatto per altri - non percependo lei neanche la remunerazione economica - tende a vivere il lavoro come un peso.
-
A 18 anni muore la sorella diabetica. A.
smette di lavorare e, richiamata in casa, ripara la percezione di incapacità -
relativa all'essere una buona figlia - con l'accudimento della madre e del padre
ormai anziani.
-
A 19 anni le ritornano le « fissazioni »; odia la sorella defunta; viene
portata dal neurologo.
-
A 20 anni si sposa. Da sposata continua
a vivere a casa della madre per
paura che il contesto (parenti ed amici)
dica che è una cattiva figlia.
Fin
qui Angela non ha sviluppato la percezione
di malattia per 3 motivi:
a)
le fissazioni di cui parla sono considerate
esplosioni di odio in qualche modo giustificate, la famiglia tende a
considerarla più che malata come « cattiva » e « pecora nera »;
b) i tentativi fatti presso specialisti sono fatti nell'ottica
della modifica del carattere più
che della modifica di uno stato
patologico. Questi interventi so- no
agiti dal contesto e non richiesti da
Angela, essi inoltre si sommano ad interventi
- non medici - di tipo magico-religioso;
c) il progetto di Angela travalica il giudizio di incapacità come figlia: A. aspira ad una vita matrimoniale e guarda alla realizzazione delle proprie capacità come moglie e come madre. In concreto il suo progetto è: conservare i soldi per poi
comprare una casa e andare a vivere per conto suo.
Fin qui Angela ha accumulato una serie di motivi di insoddisfazione e di
percezione di sè come persona defettuale ed in molti campi incapace e diversa
dagli altri.
Il passaggio
dalla insostenibilità/immodificabilità
alla malattia
O°° Gli ultimi eventi che caratterizzano la fase
della insostenibilità con la caduta del progetto personale dimostrativo
(costruire una propria autonomia ma non farsi dire di essere una "cattiva
figlia") .
Angela
non riesce a conservare i soldi perché preferisce darli alla madre (per non
essere giudicata "cattiva"); così man mano si allontana la
realizzazione del progetto personale.
La situazione precipita circa due anni fa per due eventi che
riguardano la messa in discussione del progetto personale:
a)
Angela riceve dei soldi da una zia con il patto di vivere con lei e occuparsi di
lei;
b)
uno scontro sull'educazione dei figli.
Angela
non vuole accettare i soldi - gli
unici che le permetterebbero di andar
via da casa della madre - perché si troverebbe ugualmente a vivere
una situazione di inautonomia, dovendo abbandonare la madre ed occuparsi
di un'altra parente.
Lo
scontro sull'educazione dei figli avviene
con il fratello e in questa occasione la madre accusa Angela di non essere una
buona madre ( mostrando così di non avere in alcun conto i sacrifici che Angela
fa per lei).
O°
A questo punto A. si sente sempre più
male, sempre più fissata, sempre più
isolata, diversa e anormale; per la prima volta
prende l'iniziativa di andare da un
neurologo. Ella ritiene di essere incapace, come sempre l'ha definita la madre,
a realizzare le sue aspirazioni.
L'intervento
del neurologo dà una codifica alla percezione di malattia: conferma la
situazione di diversità e anormalità di A. Il neurologo le dice, infatti, che
è supersensibile, che non capisce
certe cose mentre il marito è molto
equilibrato, la spinge al mantenimento delle relazioni familiari.
Conclusioni sul percorso
Parliamo di insostenibilità quando si verifica una
particolare situazione di conflitto
tra il punto di vista della donna sul suo ruolo e sul suo esercizio e il punto di vista del contesto (familiare e/o sociale).
Nel
caso di A. il punto di vista del
contesto è che lei debba occuparsi,
come dovere e non come scelta,
oltre che dei figli e del marito,
anche della cura materiale ed
affettiva dei genitori anziani. Il progetto di vita di A. è invece
inconciliabile con l'interesse del contesto.
A.
vuole un marito, A. vuole vivere autonomamente in una casa sua ed avere un
marito forte ed equilibrato per dividere con lui la cura materiale della casa e
quella materiale ed affettiva dei
figli. Ma A. è indotta dal suo ruolo a pensare
ed a provvedere al soddisfacimento del
bisogno degli altri (madre, padre, marito,
figli) e della casa d'altri (dei genitori):
ciò la rende inevitabilmente dipendente dal bisogno di benessere che gli altri
esprimono. In questa
dipendenza A. non è certamente passiva: ella è attenta e attiva organizzatrice
di risposte rivolte alla soddisfazione altrui, mentre non è altrettanto attenta
alla soddisfazione dei propri, in quanto non previsti dalle funzioni di ruolo.
Si
crea così per A., una particolare esposizione al giudizio altrui (non sei una
buona figlia - non sei una buona madre). Il giudizio « non sei una buona madre
» è proprio quello che introduce Angela nell'ottica della malattia: sul-
l'esser una buona madre A. aveva costruito la sua aspirazione al riscatto dalla
condizione di «cattiva fìglia». Questo giudizio si lega al precedente e
insieme costituiscono per Angela una situazione di totalizzante incapacità da
cui non vede più alcuno sbocco.
Il
progetto di una vita autonoma con il marito è anch'esso decaduto: questo come
tutti i progetti di tipo dimostrativo sono appesantiti anche delle esigenze
degli altri. Angela infatti vuole l'autonomia, ma non vuole o non può rischiare
di essere considerata una "cattiva figlia", e così attende una
realizzazione impossibile. Quando
arrivano i soldi si chiarisce che Angela non lascerà la casa materna, e nello
stesso tempo si chiarisce che Angela si sente insicura nell'essere una buona
madre e teme di non poter assolvere da sola a questi compiti.
Ora
il senso di incapacità è totale, la vita le sembra bloccata, tutto diviene
pesante perchè fermo impossibile da modificare ed è a questo punto che A. va
dal neurologo.
La percezione di malattia e la richiesta di conferma
l Silvia,
36 anni, arriva al Servizio di Salute Mentale nel gennaio. Porta come sintomo le
dimenticanze. Sono iniziate nel settembre precedente, a casa: non ricordava
assolutamente niente di discorsi, richieste, osservazioni fattele dai familiari.
La donna comincia a prestare attenzione a queste « stranezze
» e pensa che ci sia qualcosa che
non va su un piano fisico. Chiede
infatti al fratello medico una «curetta
» per la memoria. Dopo tre mesi nota con ansia che
la cosa si ripete anche sul lavoro, che
lei ha svolto sempre con piacere ed
efficienza.
Il passaggio
dalla insostenibilità/immodificabilità
alla malattia
O°
Silvia fa l'impiegata in un ente statale e svolge un lavoro di
responsabilità. E' quindi con un senso di
panico che scopre di invertire continuamente le cifre dei numeri su cui
deve fare conteggi complicati, pregiudicando tutto il lavoro e
costringendosi a una estenuante operazione di
controllo.
La
crisi è di un paio di giorni prima di venire al Servizio. Per tre
giorni è costretta ad un ritmo di lavoro stressante perché sono assenti
i due collaboratori che normalmente
l'aiuta-no. Prova un rifiuto totale per il lavoro e abbandona l'ufficio. Arriva
subito al Servizio motivando questa
decisione con la stanchezza che prova per le
dimenticanze. In realtà è estremamente angosciata dall'idea che perduri
il rifiuto per il suo lavoro.
O°°
Analizzando il periodo antecedente all'inizio delle dimenticanze, Silvia ricorda
sensazioni di oppressione legate al
terzo figlio, Nino, un anno e mezzo
di età. Nessuno della famiglia (marito,
figlie, suocera) se ne prendeva assolutamente carico. Per andare in bagno doveva
pregare gli altri di dargli un'occhiata. Inoltre ricorda sensazioni di «
stanchezza mentale » per cui non aveva la pazienza di accontentare
Nino in tutte le sue richieste. Si sentiva in colpa quando, tornando dal
lavoro, non provava allegria nel ritrovare il figlio, né immediata disponibilità
alle richieste del bambino. Silvia riesce a ricordare bene il disagio provato
nell'accorgersi di non avere sempre voglia di accudire Nino; di sentire una
profonda frustrazione per l'aver perso
qualsiasi spazio personale (straordinari lavorativi, hobby della maglieria,
possibilità di uscire tranquillamente per spese).
Poiché
è risultato evidente l'enorme peso
della nascita di Nino sulla vita di
Silvia è stato analizzato che signifìcato avesse assunto per la donna questo
evento. Silvia la ricorda come una nascita
non cercata ma desiderata. Ni no è stato « la ventata di giovinezza ».
Si è dedicata esclusivamente a lui, come se fosse stato il primo figlio
(Silvia ha già due figlie di 11 e 8 anni).
La
prima grossa delusione è stata l'impossibilità di allattarlo oltre i due mesi
- per una assunzione di antibiotici - vissuta come propria incapacità a
perseverare. All'inizio
non ha voluto assolutamente che qualcun altro toccasse o si prendesse cura del
bambino (tranne, nelle ore lavorative, la suocera), coltivando con tenacia un
rapporto madre - figlio esclusivo.
Dopo
il primo anno la situazione si complica: Nino comincia a camminare, è un
bambino vivacissimo e capriccioso. Silvia, tornata dal lavoro, deve trascorrere
tutto il resto della giornata seguendo passo
passo il figlio. Adesso desidererebbe
un po' d'aiuto dagli altri ma nessuno
glielo offre. Le figlie non vanno d'accordo con il fratellino; il marito
è sempre assente né, per altro, potrebbe chiederglielo perché la suocera
interviene subito con commenti sulle presunte
incapacità del figlio; la suocera non è assolutamente interpellata perché se
ne occupa già durante la mattinata.
Tutto
questo è vissuto senza rabbia perché uno degli imperativi della madre, a cui
lei crede totalmente è: «I figli devono essere cresciuti da chi li fa ».
In
questa situazione le sensazioni di malessere, legate al bambino, sono
inspiegabili, o spiegabili con la constatazione che lei non è una
buona madre.
Il
marito la definisce fissata (è troppo apprensiva). Ma sono soprattutto i
giudizi della suocera a colpirla di più: «Sei pazza a maltrattarlo così? »,
di fronte ai suoi tentativi di arginare i capricci di Nino. Tutto questo trova
una conferma nel legame preferenziale instauratosi tra nonna e bambino.
La
seconda fase della situazione di insostenibilità è allora caratterizzata da
mancanza di entusiasmo, stanchezza,
mancanza di desiderio di stare con il
figlio; ed inoltre dalla cessazione di
ogni scontro sia con il marito che con
la suocera. Dalla nascita del figlio all'arrivo al Servizio è passato un
anno: in questo anno il progetto
personale cui aveva affidato la
realizzazione del proprio benessere
man mano decade. Il
figlio su cui si erano concentrate le
sue aspettative di riuscita delle proprie capacità di donna, si rivela un
peso; il lavoro che le dava piacere sovraccaricato del lavoro familiare
comincia anch'esso a divenire pesante.
In
questa fase (caratterizzata dal dismettere i tentativi di risolvere la
situazione di sovraccarico, e dal non chiedere più aiuto) l'ultimo progetto personale, già in precedenza ridotto, inizia a decadere, così come sono decadute le capacità di scontro con il contesto per affermare le proprie esigenze.
Le tappe precedenti: i primi anni di matrimonio e la riduzione del
progetto personale
r
All'epoca del
matrimonio il progetto di Silvia è quello di realizzare una unione paritaria
con il marito in cui vi sia stima e confidenza.
Dopo
il matrimonio cominciano a crollare le sue sicurezze: il marito avanza richieste
man mano crescenti che
riguardano la conduzione della casa e dei figli, sottraendosi ai suoi compiti e
delegando in questo la propria madre;
ed inoltre il marito inizia a tradirla
sistematicamente. Silvia non accetta subito questa situazione: litiga, ha crisi
di pianto, pretende di controllarlo, nello stesso tempo sente venir meno le
ragioni del suo matrimonio che riteneva fondato su: «
fedeltà e sincerità ».
In
questo stesso periodo vanno ad abitare dalla suocera che è rimasta vedova, si
verificano due conseguenze: una
ulteriore riduzione del rapporto di intimità con il
marito e una intromissione della suocera nei suoi compiti casalinghi e di
accudimento dei figli.
In
questo periodo vi sono i primi malesseri, allora non percepiti come
«malattia », mentre ora sono riportati come prime avvisaglie
dell'attuale stato di malessere definito come patologico.
Questo
periodo termina con un tentativo di risolvere la situazione con una separazione.
Il marito, le rimprovera la scarsa vivacità sessuale e
dichiara di sentirsi oppresso nel rapporto coniugale, di volerle bene ma
di non amarla più, attribuendo a lei la responsabilità di tutto ciò. Silvia:
« mi sentivo molto spaesata, non capivo cosa era successo. Ho cercato di avere
pazienza, però non capivo in che cosa dovevo cambiare.
Alla
fine, esasperata, va via di casa con le figlie. Il marito e i familiari la
sollecitano a tornare indietro perché: « è da pazzi distruggere per tanto
poco una famiglia ».
Silvia
torna a casa, tutto rientra apparentemente nella normalità. Ma Silvia si
percepisce ormai inadeguata come donna e come moglie. Da parte
sua non ci saranno più richieste, liti, controlli, perché ormai li
sente inutili e perché non sente più di «meritare »
un rapporto diverso simile a quello da lei desiderato prima di sposarsi.
Da
questa fase Silvia esce con una riduzione del progetto personale e con l'idea di
non saper fare la moglie.
Le
rimane però la possibilità di essere una buona madre: è a questo punto che Silvia rimane incinta.
Nel
progetto del figlio e di una madre perfetta Silvia converte il progetto
precedente: la sua sessualità negata si converte in capacità procreativa.
Quando
anche le sue capacità di madre saranno messe in discussione, uni-
tamente ma in modo secondario anche le capacità lavorative, ecco che
inizia il percorso verso la malattia con
il vissuto specifico che tutte queste
incapacità devono trovare una spiegazione in una qualche patologia.
Il percorso adolescenziale ed il progetto personale
D
Abbiamo
rintracciato con Silvia i suoi progetti di vita, quelli formulati durante l'adolescenza e che, nel suo caso, rispecchiano interamente i progetti della madre per la
figlia: il matrimonio, un lavoro che la renda indipendente sul piano economico,
e capacità casalinghe « anche se avrà una cameriera ».
L'unica
nota personale è il tipo di rapporto
che crede di aver instaurato con il marito: totalmente confidenziale e
paritario. Con il fallimento del
progetto personale Silvia recupera
tutti i giudizi negativi formulati dalla madre soprattutto durante
l'adolescenza, e ribaditi costantemente dalla
suocera durante questi anni.
Silvia
ricorda la madre come una donna bella, vivace, aggressiva, « una carabiniere »,
e vede se stessa brutta, spenta, docile. Ricorda l'umiliazione di certe frasi:
« Truccati un po'. Cerca di essere come le altre ragazze. Mi vuoi rimanere
sullo stomaco? ». Giudizi in
qualche modo superati quando, a 17 anni, si fidanza con l'attuale marito. Per la
prima volta Silvia si sente profondamente amata e accettata. Il suo ragazzo ha
per lei stima, fiducia, desiderio. F. diventa l'unico punto di riferimento su
cui poggiare la sicurezza in se stessa. Quando il marito viene meno in questa
azione di sostegno, ecco che avviene la saldatura tra i vecchi giudizi negativi
della madre e quelli attuali che vede riflessi negli atteggiamenti di rifiuto
del marito.
Abbiamo
delineato con Silvia il rapporto che aveva con la madre. Silvia è stata
la compagna della madre che non aveva
altri riferimenti amicali ed un marito
che era sempre assente. Infatti il padre gestiva un negozio di
antiquariato dove trascorreva tutta la giornata e che, per altro, rappresentava
la sua grande passione. Silvia, una volta finiti i compiti, faceva compagnia
alla madre; accompagnava la madre a fare spese, a fare visite; aiutava la madre
nell'accudimento del figlio più piccolo, nato quando la madre a- veva già 40
anni. Un'adolescenza improntata quindi a una grande chiusura verso il mondo
esterno. Chiusura giustificata da una propria diversità rispetto alle altre
ragazze (ingenuità, disponibilità eccessive: i giudizi della madre). Chiusura
mai letta come bi- sogno della madre di un sostegno, perché la madre appare
donna forte e indipendente. Di più, la madre era quella che la spingeva a fare
le cose: a farsi delle amiche (per poi giudicarle "superficiali e poco
serie"); a fidanzarsi (per poi fare previsioni e commenti negativi prima e
dopo il matrimonio).
Con
questa saldatura tra i giudizi attuali di incapacità e quelli passati; e,
all'opposto, la verifica della sfasatura esistente tra le proprie esigenze e
quelle delle persone significative del suo contesto; si conclude il percorso a
ritroso di Silvia, partito dalla percezione di una disfunzionalità individuale,
per arrivare a quella significativa fase dell'adolescenza in cui si
concretizzano, attraverso le necessità altrui, le molteplici funzioni del ruolo
femminile.
[i] Pubblicato in:”L’albero dell’utopia: Atti del Convegno Nazionale di Studi sulla Psichiatria nei Servizi Pubblici, Napoli marzo 1987” vol III ed. Spazi della mente.
[ii] Gli altri due strumenti usati nel contesto dell'intervento sono: la cartella clinica ed il protocollo di intervista all'utente. Attraverso la cartella si ha un quadro immediato del rapporto tra utente e Servizio; attraverso l'intervista si coglie il punto di vista dell'utente sulla propria malattia e sull'intervento del Servizio.
[iii] Il caso di Gina è a cura di Rossella Molle.
[iv] Il caso di Katy è a cura di Silvana Ventura.
[v] Il caso di Angela è a cura di Felicia Formisano.